19/12/18

Il ruolo della Germania in Europa - Siamo noi gli egemoni

Mentre imperversa la controversia tra Bruxelles (ovvero Berlino) e Roma sulla legge di bilancio presentata dal governo italiano per il 2019, il nostro collaboratore dalla Germania Beppe Vandai ha ripescato un articolo, comparso nel 2015 sulla Frankfurter Allegemeine Zeitung, dello storico e geo-stratega tedesco Herfried Münkler, un intellettuale di notevole influenza sulle alte sfere della classe dirigente tedesca. Nell'articolo si evoca, senza nominarla chiaramente, l'egemonia della Germania sull'Europa come un destino di un popolo che, quasi senza volerlo, per suo merito, si trova a dover affrontare questo compito; e si esortano gli intellettuali a discuterne apertamente nel paese per sollecitare quel forte consenso popolare che sarebbe necessario a sostenere la sfida. Alla fine dell'articolo alcune note di Beppe Vandai a commento.

 

 

 

di Herfried MÜNKLER, 21 agosto 2015

 

Traduzione di Beppe Vandai

 

 

Al momento i tedeschi si mostrano esitanti sul loro ruolo in Europa. Eppure, candidati di riserva non ce ne sono. È dunque il momento di affrontare la realtà. 

 

Né la politica né la società tedesche hanno ambìto a questo ruolo: quello della potenza centrale in Europa, a cui tocca il compito di domare le forze centrifughe che recentemente sono drammaticamente cresciute nell’Unione europea, di far incontrare i diversi interessi degli europei del nord, del sud, dell’ovest e dell’est, cercando nel contempo una linea comune, e infine di far sì che la sfida lanciata da una parte dell’Unione coinvolga anche la parte opposta. Questo è un compito che richiede una grande abilità politica. Bisogna essere pazienti, ma comportarsi con decisione, si devono finanziare dei compromessi per renderli accettabili, e contemporaneamente stare attenti che i patti su cui in definitiva si fonda l’Unione europea vengano effettivamente rispettati.

E per tutto questo è necessario, come se non bastasse, trovare il consenso politico della propria popolazione. I compiti a cui deve assolvere la potenza centrale europea assomigliano alla quadratura di un cerchio.

 

 

Efficiente e resistente al populismo

 

Non meraviglia che la politica tedesca, finché è stato possibile, abbia cercato di evitare di assumersi questo ruolo. Sono state necessarie più sollecitazioni dall’esterno prima che alla fine, almeno nella classe politica, si imponesse l’idea che la Repubblica federale deve assumersi, anche consapevolmente, il ruolo che nei fatti le è toccato, per poterne essere all’altezza e non fallire. Infatti il problema sta nel fatto che, se i tedeschi falliscono, non è pronto nessun candidato di riserva che possa entrare in campo e assumersi questo ruolo. Per dirla in modo drammatico: se la Germania fallisce nella missione di potenza centrale, allora fallisce l’Europa. L’espressione “il fallimento della Germania” – e non ad esempio “il fallimento della politica tedesca” – l’ho scelta con cognizione di causa, poiché la missione di “potenza centrale”, alla lunga, non può essere assolta dalla politica senza il sostegno duraturo da parte della società.

 

Non sono infatti solamente la potenza economica della Germania, il suo maggiore numero di abitanti, prossimo a quello degli stati immediatamente più popolosi, o la circostanza di essere il paese che nel suo insieme ha tratto il maggior profitto dall’ unificazione europea, ad aver imposto alla Repubblica federale la posizione di potenza centrale, bensì, in pari misura, anche il fatto, tutt’altro che ovvio, che la popolazione tedesca più degli altri stati europei ha dimostrato di resistere alle promesse dei partiti populisti. Questa è la premessa per poter elaborare in modo responsabile i compiti da potenza centrale europea.

 

Un dibattito all'interno della società, non un progetto elitario

 

La Francia, che nel progetto europeo, in tandem con la Germania, ha interpretato quel ruolo guida per decenni, ormai ha perso la sua funzione; non solo è alle prese con le mancate riforme economiche e sociali, ma si trova in questa posizione (di retrocessione, ndt) come conseguenza della forte affermazione del Fronte nazionale nella politica francese. Non appena raggiungono una certa forza, anche se non coinvolti nel governo, i partiti populisti di destra e di sinistra limitano la libertà d’azione di un Paese. Nella libertà d’azione si può dunque vedere l'arcano di una potenza centrale. Essere all’altezza delle sfide non è dunque una missione che una potenza centrale possa affrontare se questo rimane il progetto di una élite. Se si vuole veramente essere all’altezza, occorre il sostegno di gran parte dell’elettorato e la sua disponibilità ad affrontare queste sfide e a sopportarne il peso. A tal fine, alla lunga, non basterà certamente essere refrattari al populismo, bensì servirà una discussione nella società, in cui vengano esplicitate e discusse le opportunità e i rischi del ruolo di potenza centrale.

 

 

Assumersi questo compito, prima che sia troppo tardi

 

Su questo finora c´è un deficit in Germania. E se le cose stanno così dipende non tanto dal fallimento dei politici, quanto piuttosto dal fatto, ben noto, che gli intellettuali, di solito così amanti delle discussioni, evitano di affrontare questo problema. Invero questo dibattito non va condotto lanciando allarmi, richiami preoccupati o moniti, bensì confrontandosi in maniera responsabile con un grande tema, non destinato a scomparire dai titoli dei giornali in poche settimane; un tema che non si deve svolgere esortando la popolazione, o creando aspettative, ma in cui ne va della capacità di convincere, propria degli argomenti politici. Il ruolo di potenza centrale in Europa che ormai spetta alla Germania non si lascia ridurre alla capacità di resistenza dei politici nelle trattative-maratona di Bruxelles, bensì abbraccia un confronto politico e sociale dettagliato sui compiti da assumere. Questo forse non sembra ora così impellente, poiché i dati economici del Paese sono buoni ed è chiaro a chiunque sappia far di conto che la Germania trae vantaggi dall’UE, anche se è di gran lunga il maggior contributore netto dell’Unione. I compiti di una potenza centrale vanno assunti anche quando il quadro congiunturale peggiora. Ergo: discuti delle sfide e dei problemi per tempo, così in tempi difficili avrai almeno la possibilità di venirne a capo.

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Note di Beppe Vandai

 

L’articolo di Münkler è paradigmatico di ciò che pensa da alcuni anni la classe dirigente tedesca, i piani alti di partiti politici come la CDU, la CSU, la SPD, la FDP, dei sindacati (soprattutto quelli industriali), delle organizzazioni imprenditoriali, così come le alte gerarchie burocratiche, la Bundesbank e gran parte degli economisti tedeschi.

L’autore dell’articolo è uno dei più noti e apprezzati studiosi di storia moderna e contemporanea. Non solo, è considerato il più autorevole esperto di geopolitica in Germania.  Il suo chiodo fisso, nei libri pubblicati nell’ultimo decennio, è la definizione della Germania come die Macht der Mitte (ovvero die Zentralmacht); in italiano: “la potenza del centro, ovvero centrale”, con tutte le sfumature semantiche che il termine ‘centrale’ porta con sé.

[...]

Quando Münkler e tanti tedeschi pensano o sostengono che il loro popolo o il loro stato siano nella condizione privilegiata di chi sa gestirsi in modo giusto, equilibrato e sostenibile, a differenza di tanti altri popoli vittime in varie forme della dismisura, non si riferiscono agli individui, non teorizzano affatto la superiorità di un tedesco rispetto ad uno spagnolo o ad un italiano; non fanno cioè del suprematismo. Questo va detto a chiare lettere. Se cose del genere erano pane quotidiano in età guglielmina o in epoca nazionalsocialista, ora non lo sono più. Da questo punto di vista la democrazia in Germania ha lavorato indefessamente e bene.

 

Ciò non toglie però nulla al fatto che, quando si parla di stati e nazioni, ormai la Germania vive una resipiscenza del passato. Anche la stessa democrazia viene brandita come una clava. Ad esempio, nei media, stigmatizzando la mancanza di democrazia in Russia, si giustifica il fiancheggiamento ed il supporto all’Ucraina o alla Georgia affinché entrino nella Nato e nell’UE, ovvero nella zona d’influenza della Germania. Il tenore dell’argomentazione è subdolo. Si nasconde un interesse geopolitico dietro la proclamazione di principi assoluti, cancellando completamente lo spazio della mediazione politica.

 

Subdolo è anche quanto Münkler sostiene esplicitamente nell’articolo allorché dice che sono i fatti stessi, il disorientamento dell’Europa, il bisogno di avere un centro e una guida ad affidare alla Germania il compito di essere egemone. Subdola è – come ben sanno i Greci e gli Italiani (nel frattempo anche i Francesi) – la tesi che sia stata, per una sorta di leggi oggettive, la Germania a trarre il maggior profitto dall’Unione europea. Noi invece sappiamo che i vantaggi se li è presi, dettando dapprima le regole dell’eurozona, e poi usandole spregiudicatamente per impedire che gli squilibri sorti dalla sua politica economica competitiva venissero risolti in modo equo e cooperativo. Subdola è l’implicita asserzione che solo la Germania possieda la pietra filosofale della razionalità e dell’equilibrio, che la renderebbe immune dai populismi. Un corollario poi di quest’ultima presunzione di superiorità sarebbe che tutti dovrebbero accettarne il ruolo guida.

 

Mi si lasci concludere con tre osservazioni. Münkler rampogna gli intellettuali, che sarebbero ancora troppo legati al vecchio stile della discussione in Germania, tipico della Repubblica di Bonn, uno stile che privilegiava le battaglie sui principi e sui diritti umani, sulle garanzie dell’individuo, così come la forte autocritica della storia tedesca. Gli intellettuali dovrebbero a suo avviso fare un bagno di Realpolitik, capire l’occasione egemonica, che ora si presenta, di dare un ordine stabile all’Europa. L’autore si augura anche un’ampia discussione nell’opinione pubblica tedesca, senza tabù, sul nuovo ruolo che il Paese avrebbe da assolvere.

 

Noto da un lato che, a distanza di tre anni dall’uscita dell’articolo, e di quasi un decennio di queste sottolineature di Münkler, in Germania manca un dibattito franco su queste cose; dall’altro lato, noto che sul Paese grava una cappa di unanimismo sui fatti europei degli ultimi nove anni, da quando scoppiò la crisi greca. Come interpretare questa generale mancanza di dialettica e di agire comunicativo?

 

Credo che questo stato di cose si spieghi con l’autismo della società e della democrazia tedesche rispetto agli altri popoli. A parte circoli assai minoritari di spiriti critici, per lo più estranei sia ai partiti, che ai sindacati, che al mondo dell’informazione, il resto della popolazione tende a vedere il proprio Paese come assediato da popoli di gente disordinata, non abbastanza laboriosa, priva della necessaria disciplina individuale e collettiva. Vedono con favore l’immigrazione da questi paesi in Germania, purché essa sia accompagnata dall’apprendimento dei modi di comportamento e dei valori canonici per ogni tedesco. Non voglio addentrarmi nella fenomenologia di questo habitus, noto che in fin dei conti esso sfocia nell’atteggiamento difensivo e sospettoso di chi si aspetta di essere derubato del portafoglio. Chiaramente questa mentalità condiziona anche i politici più aperti, che non sanno fare altro che promettere coram populo che difenderanno fino all’ultimo sangue il risparmiatore ed il contribuente tedesco. Così si cementa il consenso universale che fa sì che le condizioni materiali negli altri Paesi dell’Eurozona e dell’UE si deteriorino sempre di più, e con esse crescano rabbia, delusione e la nostalgia della sovranità perduta.

 

Chiudo sul termine “egemonia”. Pochissimi tedeschi lo usano apertamente (in camera caritatis non so). Münkler non la usa praticamente mai, Schäuble nemmeno, per non parlare della signora Merkel che, credo, non la userebbe nemmeno sotto tortura. Ma il termine “egemonia” calza a pennello su quel che sostengono Münkler & Co. Il termine ha una lunga storia, che viene dall’Antica Grecia. L’egemonia era la capacità ed il diritto di una polis-leader di dirigere e comandare un gruppo di poleis sue alleate, di farlo innanzitutto con il consenso, ma, se necessario, pure con la coercizione. Non siamo all’epoca della summachía (alleanza militare) ateniese, siamo nel XXI° secolo, nell’Eurozona. Quanto consenso e quanta coercizione abbiamo sperimentato in questi anni? C’è motivo di dormire sonni tranquilli o di stare in guardia?

 

Nessun commento:

Posta un commento