L'autorevole economista francese Jean Pisani-Ferry, pur essendo un sostenitore dell'unione fiscale tra i paesi europei e quindi di decisioni economiche strettamente indirizzate e controllate dai burocrati a livello sovranazionale, in questo suo articolo su Project Syndicate esprime grossi dubbi sulla reale efficacia del Recovery Fund europeo, sul quale si fondano tutte le ambizioni e le prospettive di gran parte dei politici italiani con l'appoggio della grande stampa.
JEAN PISANI-FERRY*,
Se il nuovo programma di ripresa dell'Unione europea avrà successo,
potrebbe aprire definitivamente la strada alla creazione di un'unione fiscale.
Ma se i fondi dell'UE non riusciranno a raggiungere gli obiettivi dichiarati del
piano, o se gli interessi politici prevarranno sulla necessità economica, le
aspirazioni federali saranno deluse per una intera generazione.
PARIGI - Per aiutare le loro economie colpite dalla
pandemia, i leader dell'Unione europea hanno deciso a luglio di prendere in
prestito 750 miliardi di euro per finanziare 390 miliardi di sovvenzioni e 360
miliardi di prestiti agli Stati membri dell’Unione. Il programma, denominato
Next Generation EU, è stato giustamente salutato come un importante passo
avanti: mai prima d’ora l'UE aveva raccolto prestiti per finanziare spese, o
addirittura trasferimenti, a favore degli Stati membri.
Ma il programma, e il suo Recovery and Resilience Facility che erogherà la maggior parte dei fondi,
rappresentano una scommessa ad alto rischio. Se il piano avrà successo, aprirà
sicuramente la strada a ulteriori iniziative e forse alla fine a un'unione
fiscale accanto all'unione monetaria istituita due decenni fa. Ma se il
programma non riuscirà a raggiungere gli obiettivi dichiarati, se gli interessi
politici prevarranno sulla necessità economica, le aspirazioni federali saranno
deluse per una intera generazione.
Il primo dubbio riguarda la dimensione del programma. Sebbene 390 miliardi di euro in sovvenzioni possano sembrare una grossa somma di denaro, in realtà ammonta a meno del 3% del PIL dell'UE, da spendere nell’arco di diversi anni.
Jason Furman, ex presidente del Council of Economic Advisers del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ha stimato che la risposta fiscale del governo degli Stati Uniti alla crisi finanziaria globale del 2008 sia stata pari a 1,6 trilioni di dollari, ovvero circa il 10% del PIL. Circa 3-4 volte di più, in risposta a uno shock molto più lieve. Nel complesso, quindi, la responsabilità di rispondere allo shock pandemico resta in capo ai singoli paesi.
In realtà, il sostegno fiscale già impegnato dai principali Stati membri dell'UE rappresenta il 7-12% del PIL nazionale - e molto di più è in cantiere. Tuttavia, le sovvenzioni dell'UE potrebbero fare una grande differenza per alcuni paesi ancora in difficoltà per la crisi dell'euro. Secondo i calcoli della BCE, i trasferimenti al netto dei rimborsi attesi dovrebbero ammontare al 4% del PIL per la Spagna, al 5% per il Portogallo e all'8% per la Grecia. Una somma che supera il 2,6% del PIL di aiuti che gli Stati Uniti concessero all'Europa nell'ambito del Piano Marshall. Se investiti in modo accorto, importi di questa misura potrebbero cambiare il destino economico dei paesi beneficiari.
L'altro dubbio riguarda la velocità. Nella primavera di quest'anno, le economie dell'UE sono entrate in caduta libera. Ora si sono riprese dai loro minimi, ma continuano a funzionare circa il 5% al di sotto della loro capacità. Data la nuova ondata di contagi e l'aumento della disoccupazione, il problema immediato è se l’impulso alla crescita di queste economie durerà o si indebolirà.
Se la ripresa dell'Europa dovesse vacillare, potrebbe verificarsi un circolo vizioso di risparmi precauzionali e un peggioramento delle aspettative che potrebbero portare a una doppia recessione. La strategia appropriata è quindi quella di adattare il sostegno fiscale al ritmo della ripresa. Il denaro dovrebbe essere disponibile subito ed essere erogato rapidamente in caso di necessità.
Ma sia chiaro: il pacchetto di sostegno dell'UE arriverà solo in seguito. Prima che i soldi europei possano iniziare a essere spesi, l’unione deve concordare priorità, procedure e condizioni, il che inevitabilmente richiede tempo. Secondo la BCE, nel 2021 dovrebbe essere pagato meno del 10% del totale. Allo stato delle cose, quindi, la responsabilità di sostenere la ripresa spetta agli Stati membri dell'UE. Ancora nel 2022 sarà troppo presto per passare il testimone all'UE e liquidare i pacchetti di stimolo nazionali. Bisogna resistere alla tentazione di un risanamento di bilancio anticipato.
Piuttosto che cercare di progettare una espansione keynesiana della domanda, l'obiettivo di Next Generation EU è in realtà strutturale: tracciare un nuovo modello di sviluppo economico. Il programma mira ad aumentare la resilienza economica, sostenere la transizione verso un'economia priva di emissioni di carbonio, accelerare la digitalizzazione e mitigare le ricadute sociali e regionali della crisi pandemica. Questo ci porta al terzo problema: non si tratta di quanto velocemente il denaro dell'UE arriverà all'Europa meridionale, ma se aiuterà ad affrontare condizioni avverse di lunga data, come la bassa produttività, la disoccupazione strutturale, le disuguaglianze e la dipendenza da tecnologie ad alta intensità di carbonio.
L'UE è chiara su questo punto e la Commissione europea ha recentemente stabilito il tipo di investimenti e i piani di riforma che gli Stati membri dovrebbero mettere a punto per avere accesso ai fondi. Sebbene i governi nazionali avranno l'iniziativa nell'elaborazione dei piani, se l'UE ritenesse i progetti troppo vaghi o poco efficaci dovranno rimettere tutto in discussione. Ciò potrebbe rivelarsi politicamente esplosivo in paesi come l'Italia, il cui primo ministro, Giuseppe Conte, al vertice di luglio ha combattuto per giorni e notti contro gli sforzi dei paesi del nord di condizionare il sostegno finanziario a riforme predefinite.
Il compromesso cui si è giunti è ragionevole, ma fragile. I piani degli Stati membri saranno valutati rispetto ai loro obiettivi dichiarati e a obiettivi generali come la crescita, la creazione di posti di lavoro e la resilienza, mentre l'erogazione dei fondi sarà subordinata al raggiungimento da parte dei paesi beneficiari delle tappe e degli obiettivi concordati. Questo accordo non implica né condizionalità politica ("prima riformate le vostre pensioni, poi se ne può parlare") né una semplice ratifica ("ecco i soldi, per favore diteci cosa ne farete"). Piuttosto, è pensato per essere un contratto in base al quale il denaro è destinato a servire determinati obiettivi e l'UE verifica che ci siano le condizioni per raggiungerli.
Ma se la Commissione farà il suo lavoro, rifiuterà piani inefficaci e ritarderà gli esborsi quando le tappe fondamentali e gli obiettivi non vengono raggiunti, c'è da aspettarsi delle accese controversie. Il rischio è che il processo finisca in una controversia di tipo burocratico che il pubblico non riuscirà a decifrare, ma che fornirà munizioni ai populisti.
Thomas Edison ha notoriamente affermato che il genio è l'1% ispirazione e il 99% sudore. L'ispirazione era alla base della decisione di luglio. Adesso l'Europa dovrebbe iniziare a sudare per una buona causa.
* Jean Pisani-Ferry, senior fellow del think tank Bruegel
con sede a Bruxelles e senior non resident fellow del Peterson Institute for
International Economics, detiene la cattedra Tommaso Padoa-Schioppa presso
l'European University Institute.
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