Il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz prevede una nuova crisi per l'eurozona, per le ribellioni causate dalle fallimentari politiche attuate, frutto di una struttura sbagliata e delle screditate teorie economiche adottate. Stiglitz non esita a scaricare la colpa di tanta instabilità sulla Germania, tralasciando però di considerare che è perfettamente razionale per il paese dominante sfruttare la sua posizione di dominio, dal momento che la costruzione europea lo consente.
Joseph Stiglitz, 13 giugno 2018
L’euro potrebbe essere vicino a una nuova crisi. L’Italia, la terza economia dell’eurozona, ha scelto quello che può essere descritto eufemisticamente un governo euroscettico. La cosa non dovrebbe sorprendere nessuno. La reazione italiana è un altro episodio prevedibile (e previsto) nella lunga saga di un accordo valutario mal progettato, nel quale la potenza dominante, la Germania, impedisce le riforme necessarie e insiste su politiche che peggiorano i problemi sul tavolo, usando una retorica che sembra fatta apposta per suscitare reazioni.
L’Italia è andata male da quando l’euro è stato introdotto. Il suo PIL reale (corretto per l’inflazione) nel 2016 era allo stesso livello del 2001. Ma nemmeno l’eurozona nel suo complesso è andata bene. Dal 2008 al 2016, il suo PIL real complessivo è aumentato di appena il 3% in totale. Nel 2000, l’anno dopo che era stato introdotto l’euro, l’economia USA era solo del 13% più grande dell’eurozona; nel 2016 la differenza era diventata del 26%.
Dopo una crescita reale di circa il 2,4% nel 2017 – non sufficiente a invertire i danni di un decennio di malessere – l’economia dell’eurozona vacilla di nuovo.
Se un paese va male, è colpa del paese; se molti paesi vanno male, è colpa del sistema. E come ho scritto nel mio libro L’euro: come la moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, l’euro è un sistema praticamente progettato per fallire. Ha sottratto ai governi i principali meccanismi di aggiustamento (i tassi di interesse e i tassi di cambio); e, anziché creare nuove istituzioni per aiutare i paesi ad affrontare le diverse situazioni in cui si sono trovati, ha imposto nuove restrizioni – spesso basate su teorie politiche ed economiche screditate – sui deficit, il debito e perfino le politiche strutturali.
L’euro avrebbe dovuto portare una prosperità diffusa, che avrebbe dovuto aumentare la solidarietà e far avanzare l’obiettivo dell’integrazione europea. Di fatto, ha fatto esattamente il contrario, rallentando la crescita e seminando discordia.
Il problema non è la mancanza di idee su come andare avanti. Il francese Emmanuel Macron, in due discorsi, alla Sorbona lo scorso settembre, e quando ha ricevuto il premio “Carlomagno” per l’unità europea in maggio, ha articolato una chiara visione del futuro dell’Europa. Ma la tedesca Angela Merkel ha di fatto gettato acqua gelata sulle sue proposte, suggerendo – per esempio – un ammontare ridicolo di investimenti in aree dove ce ne sarebbe urgente bisogno.
Nel mio libro enfatizzavo l’urgente bisogno di uno schema di assicurazione comune sui depositi bancari, per prevenire corse agli sportelli nei paesi più deboli. La Germania sembra riconoscere l’importanza di un’unione bancaria per il funzionamento della moneta unica, ma, come Sant’Agostino, la sua risposta è stata “O Signore, rendimi puro, ma non ancora”. Sembra che l’unione bancaria sia una riforma da fare in qualche momento imprecisato nel futuro, a prescindere da quanti danni vengono fatti nel presente.
Il problema principale di un’area valutaria è come correggere i disallineamenti di cambio come quello che interessa l’Italia. La risposta della Germania è di lasciare che il peso dell’aggiustamento ricada sui paesi deboli che stanno già soffrendo di alta disoccupazione e bassa crescita. Sappiamo a cosa porta tutto questo: altro dolore, altra sofferenza, altra disoccupazione, e crescita ancora inferiore. Anche se la crescita alla fine riappare, il PIL non raggiunge mai i livelli che avrebbe raggiunto con una strategia più sensata. L’alternativa è di spostare parte del peso dell'aggiustamento sui paesi più forti, tramite salari più alti e una domanda più forte sostenuta da programmi di investimenti pubblici.
Abbiamo già visto il primo e secondo atto di questa tragedia molte volte. Viene eletto un nuovo governo, che promette di negoziare meglio con i tedeschi la fine dell’austerità e progettare un programma di riforme strutturali più ragionevole. Se anche i tedeschi gli vengono un po’ incontro, non è mai sufficiente per cambiare i fondamentali economici. I sentimenti anti-tedeschi aumentano, e tutti i governi, sia di centro destra sia di centro sinistra, che suggeriscono le riforme necessarie, vengono mandati a casa. I partiti anti-establishment aumentano i consensi. Si arriva a uno stallo.
In tutta l’eurozona, i leader politici vanno verso uno stato di paralisi: i cittadini vogliono rimanere nella UE, ma vogliono anche finirla con l’austerità e ritornare a prosperare. Gli viene detto che non possono avere entrambe le cose. Sperando sempre in un cambiamento di atteggiamento da parte del nord Europa, i governi nei guai mantengono la rotta, e la sofferenza dei loro cittadini aumenta.
Il governo socialista del portoghese Antonio Costa è l’eccezione. Costa è riuscito a riportare il suo paese alla crescita (2,7% nel 2017) e ottenere un alto grado di popolarità (il 44% dei portoghesi pensava che il governo stesse andando meglio del previsto nell’aprile 2018).
L’Italia potrebbe essere un’altra eccezione – ma in un altro senso. Lì, il sentimento anti-euro viene sia da destra che da sinistra. Con il suo partito di estrema (??? NdVdE) destra ora al potere, Matteo Salvini, leader del partito e politico esperto, potrebbe davvero mostrare quel tipo di minaccia che altrove i neofiti avevano paura di mostrare. L’Italia è sufficientemente importante, e con abbastanza economisti bravi e creativi, per gestire un’uscita di fatto – stabilendo di fatto una doppia valuta flessibile che potrebbe aiutare a ripristinare la prosperità. Ciò violerebbe le regole dell’euro, ma la responsabilità dell’uscita de jure, con tutte le sue conseguenze, verrebbe addossata a Bruxelles e Francoforte, con l’Italia che conterebbe sulla paralisi della UE nell’impedire la rottura definitiva. Indipendentemente dal risultato finale, l’eurozona rimarrà a brandelli.
Non dovrebbe essere necessario arrivare a tanto. La Germania e gli altri paesi del nord Europa possono salvare l’euro mostrando maggiore umanità e flessibilità. Ma, avendo visto i primi atti di questa tragedia così tante volte, non credo che la trama possa cambiare.
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