09/01/13

Europa 2013: l'Anno della Decisione

Stratfor - famosa  rivista di intelligence e geopolitica  - pone al centro del 2013, come fatto determinante per il mondo intero, la soluzione della crisi europea,  di cui fa un'analisi abbastanza lucida e cruda.
Grazie a Chicco DM per averla segnalata in un interessante commento su Goofynomics




di George Friedman
La fine dell'anno porta sempre con sè la domanda su quale potrà essere la questione più importante dell'anno che verrà. E' una domanda semplicistica, dal momento che ogni anno accadono molte cose e per ciascuno di noi potrebbe essere importante una cosa diversa. Ma bisogna prendere in considerazione quel singolo evento che potrebbe portare il mondo a cambiare rotta. A mio avviso, il luogo più importante a cui guardare nel 2013 è l'Europa.

Presa come una singola entità geografica, l'Europa è la più grande economia del mondo. Se solo lo decidesse, potrebbe diventare una potenza militare rivale degli Stati Uniti. L'Europa è uno dei pilastri del sistema globale, e ciò che accadrà in Europa andrà a definire come funzionerà il mondo. Direi che nel 2013 si arriverà a fare chiarezza sul futuro dell'Europa.
 

Il problema è se l'Unione europea si stabilizzerà, se riuscirà a fermare la sua frammentazione e avvierà una maggiore integrazione ed espansione. In caso contrario, nell'ambito dell'Unione europea le tensioni potrebbero intensificarsi, le istituzioni potrebbero perdere ulteriormente legittimità e gli stati membri potrebbero perseguire sempre di più delle politiche proprie, sia interne che estere.

Il Progetto europeo sotto attacco

Sono passati più di quattro anni dalla crisi del 2008 e circa due anni dai problemi del debito sovrano e della crisi bancaria generati dalla crisi. Da allora, la crisi si è trasformata da finanziaria in crisi economica, con l'Europa entrata in recessione e con una disoccupazione in crescita in tutto il continente, sopra il 10 per cento. Ancora più importante, è stato un periodo in cui gli organi decisionali creati sin dalla fondazione dell'Unione europea non sono stati in grado di creare delle soluzioni politiche,decisioni che pur sarebbero state sia ampiamente accettabili che possibili da attuare. I paesi dell'Unione europea stanno l'uno di fronte all'altro non tanto come membri di un'unica entità politica, quanto come singoli Stati nazionali che perseguono i loro interessi nazionali, in quello che è diventato una sorta di gioco a somma zero, in cui il successo di uno si realizza a scapito dell'altro.
 
La si può vedere in due modi. Il primo aspetto è centrato su quali sono i paesi che dovrebbero sostenere gli oneri finanziari della stabilizzazione dell'eurozona. I paesi finanziariamente più sani vogliono che siano i paesi più deboli a sopportare il peso con l'austerità. I paesi più deboli vogliono che siano i paesi più forti a sopportarne l'onere attraverso i continui prestiti, nonostante il rischio crescente che i prestiti non possano essere interamente rimborsati. Il risultato sono dei tentativi continui di compromesso che non hanno mai veramente funzionato. Il secondo aspetto è di classe. Il peso deve essere sopportato dalle classi medie e inferiori, riducendo la spesa pubblica che va a loro beneficio? O dalle élite, attraverso una maggiore tassazione e regolamentazione?

Quando si parla con degli europei convinti che l'Europa sia sulla strada di risolvere i suoi problemi, la domanda da porre è: qual è il problema che si sta risolvendo? E' il problema delle banche? Il problema della disoccupazione? O il problema dell'incapacità dei paesi di trovare delle soluzioni comuni? Più precisamente, i funzionari europei hanno lavorato su questo problema ormai per anni, e sono tra i migliori e i più brillanti al mondo. La loro incapacità di trovare una soluzione non dipende dalla mancanza di buone idee o dalla necessità di riflettere di più sul problema. Dipende dal fatto che non c'è un accordo politico su chi deve pagare il prezzo, geograficamente e socialmente. Le tensioni nazionali e le tensioni di classe hanno impedito di trovare una soluzione che possa essere condivisa e onorata.

Se gli europei non arriveranno a una soluzione nel 2013, è il caso di dubitare seriamente che una soluzione sia possibile, e quindi pensare al futuro dell'Europa senza l'Unione Europea o con un'unione molto indebolita. Se, tuttavia, l'Europa riuscirà a formulare un progetto che abbia un sostegno generale e un certo slancio, allora potremmo dire che l'Europa sta cominciando a uscire dalla sua crisi, e che questo, a sua volta, sarebbe l'avvenimento più importante del 2013.

A questo punto, una persona ragionevole potrebbe sostenere che sto ignorando gli Stati Uniti, che hanno problemi economici diversi ma altrettanto significativi e anch'essi non riescono a raggiungere un consenso su come risolverli, come abbiamo visto di recente a proposito del "fiscal cliff", e come accadrà ancora molte volte. Ma per quanto il confronto sia valido sul piano finanziario, non è valido sul piano politico. Gli Stati Uniti non si trovano davanti a una dissoluzione della repubblic,a anche se seguono delle politiche contraddittorie. Gli Stati Uniti hanno più di due secoli e hanno affrontato problemi ben peggiori, tra cui la Guerra Civile e la Grande Depressione. L'Unione europea esiste solo da circa 20 anni nella sua forma attuale, e questa è la sua prima crisi significativa. Le conseguenze della cattiva gestione del sistema finanziario degli Stati Uniti sono come minimo significative. Ma a differenza che in Europa, esse non rappresentano una immediata minaccia esistenziale.

Gli altri costi della crisi

E' la dimensione politica che è diventata la più importante, non quella finanziaria. Può anche darsi che l'Unione Europea sia in procinto di risolvere i suoi problemi bancari e che sia in grado di evitare altri problemi di debito sovrano, ma il prezzo pagato è sia la recessione che, ben più grave, la disoccupazione a un tasso superiore a quello degli Stati Uniti, e in alcuni paesi enormemente più alto.

Possiamo dividere l'Unione europea in tre categorie, confrontandola con il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti, che si attesta a circa il 7,7 per cento.Ci sono cinque paesi dell'UE con un tasso significativamente più basso (Austria, Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi e Malta). Ci sono sette paesi con un tasso di disoccupazione simile a quello degli Stati Uniti (Romania, Repubblica Ceca, Belgio, Danimarca, Finlandia, Regno Unito e Svezia). I restanti 15 paesi hanno dei livelli di disoccupazione al di sopra degli Stati Uniti; 11 hanno tassi di disoccupazione tra il 10 e il 17 per cento, e comprendono la Francia al 10.07, l'Italia all'11,1, Irlanda e Portogallo al 14,7 e al 16,3 per cento. Altri due sono incredibilmente al di sopra - la Grecia al 25,4 per cento e la Spagna al 26,2 per cento. Questi livelli sono vicini al tasso di disoccupazione degli Stati Uniti al culmine della Grande Depressione.

Per dei paesi avanzati – alcuni tra i più potenti in Europa, se è per questo - sono numeri mozzafiato. E' importante considerare che cosa significhino questi numeri da un punto di vista sociale. Tenete a mente che il tasso di disoccupazione è più alto per i lavoratori più giovani. In Italia, Portogallo, Spagna e Grecia, più di un terzo della forza lavoro sotto i 25 anni è disoccupata. In Spagna e in Grecia, ci vorrà una generazione per riportare il tasso a un livello accettabile. Anche per i paesi che rimangono a circa il 10 per cento per un periodo di tempo prolungato, la durata sarà fondamentale, e l'Europa è ancora in una fase di recessione.
 
Si consideri un disoccupato di 20 anni, magari con un titolo universitario. I dati mostrano che vi è un'alta probabilità che non avrà mai l'opportunità di portare avanti la carriera da lui scelta e molto probabilmente non potrà mai ottenere un posto di lavoro al livello sociale cui aspira. In Spagna e in Grecia, il giovane – come pure il vecchio - si trovano ad affrontare un disastro personale. Negli altri paesi, la percentuale di persone che si trova di fronte a un disastro personale è inferiore, ma ancora molto significativa. Bisogna anche ricordare che la disoccupazione non riguarda una sola persona. Essa colpisce la famiglia stretta, i parenti e le altre persone eventualmente collegate. L'effetto non è solo finanziario, ma anche psicologico. Si crea una cappa, un senso di fallimento e di terrore.

Crea dei giovani senza radici, pieni di energia e di rabbia. La disoccupazione dà origine a movimenti anti-statali di sinistra e di destra. Una massa di disoccupati disperati ha poco da perdere e pensa di avere qualcosa da guadagnare a destabilizzare lo Stato. E' difficile quantificare quale livello di disoccupazione possa dare origine a questo genere di disordini, ma non vi è dubbio che Spagna e Grecia sono già in questa zona e altri potrebbero arrivarci.

E' interessante notare che mentre la Grecia ha già sviluppato un movimento di destra radicale di una certa dimensione, il sistema politico spagnolo, benché stia vivendo uno stress tra il centro e le sue regioni autonome, rimane relativamente stabile . Direi che tale stabilità si basa sulla convinzione che ci sarà qualche soluzione per la disoccupazione. La sua reale enormità non è ancora stata pienamente realizzata, come nemmeno il fatto che questo tipo di problema di disoccupazione non può essere risolto rapidamente. È profondamente strutturale. Il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti durante la Grande Depressione è stato attenuato in una certa misura dal New Deal, ma c'è voluta la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale per risolverlo davvero.

È per questo che il 2013 è un anno cruciale per l'Europa. L'Europa è andata molto avanti nella soluzione della crisi bancaria e del debito sovrano. Ma col far questo, ha causato un serio indebolimento dell'economia e creato una disoccupazione di massa in alcuni paesi. La distribuzione ineguale dei costi, sia a livello nazionale che sociale, costituisce il problema che minaccia l'Unione europea. Non è solo una questione di paesi che tirano in direzioni diverse, ma di movimenti politici emergenti , soprattutto negli strati sociali economicamente più colpiti, che sono sia nazionalisti che assolutamente diffidenti nei confronti delle loro stesse élite. Cos'altro può accadere in quei paesi che stanno subendo queste catastrofi sociali? Anche se il disastro è in una certa misura attenuato dall'economia sommersa e dall'emigrazione, che riducono la disoccupazione, in 14 delle economie europee i numeri descrivono una situazione che va dal dolore alla miseria.
 

Il Crocevia Europeo

L'Unione europea è stata così concentrata sulla crisi finanziaria che non mi è chiaro se la realtà della disoccupazione ha raggiunto l'Europa dei funzionari e dei burocrati, in parte a causa di una spaccatura crescente tra la visione del mondo delle élite europee e quella di coloro la cui esperienza dell'Europa si è trasformata in un incubo. In parte, questo è anche provocato dal fattore geografico. I paesi con basso tasso di disoccupazione tendono ad essere concentrati nel Nord Europa, che è il cuore dell'Unione Europea, mentre la disoccupazione catastroficamente più elevata sta nella periferia. È facile ignorare le cose quando sono lontane.

Ma il 2013 è l'anno in cui la definizione del problema deve andare oltre la crisi finanziaria, alle conseguenze sociali della crisi. I progressi, se non una completa soluzione, devono diventare visibili. E' difficile pensare che una stagnazione e una disoccupazione continua a questi livelli di tensione possano durare ancora un altro anno senza dar luogo a una opposizione politica talmente forte da portare i governi a smantellare la costruzione dell'Europa.

Questa costruzione non è abbastanza vecchia e abbastanza solida da affrontare le sfide. Alle popolazioni europee non viene più chiesto di morire sul campo di battaglia per la patria, ma viene chiesto di vivere un'esistenza di miseria e disperazione. In un modo che è ancora più difficile che non avere semplicemente coraggio. E poiché la promessa di fondo dell'Unione europea era la prosperità, il fallimento nel realizzare la prosperità - e invece la consegna della povertà, nemmeno uniformemente distribuita - non è sostenibile. Se l'Europa è in crisi, la più grande economia del mondo è in crisi, politica e finanziaria. E forse questo conta per il mondo intero più di ogni altra cosa.



21 commenti:

  1. L'articolo non mi convince.
    Fa la consueta implicita equazione europa=euro (senza affrontarne il problema).
    Come più volte abbiamo cercato di spiegare (48 e Umanesimo48), la realtà europea può trovare un accettabile equilibrio ove assuma la forma giuridica della "confederazione" (+mercato unico, ovviamente, con le sue regole), ma senza infilarsi nel tunnel dell'area valutaria (o dello stesso "vincolo monetario") che addirittura "anticipi" maldestramente la troppo impegnativa "federazione": l'AVO- e la stessa federazione- sono una forzatura innaturale per le condizioni storiche, geomorfologiche, linguistico-culturali, dei paesi europei.
    C'è una plateale ipocrisia nel volere così "tanto" IN PRESENZA DI COSI' GRANDI OSTACOLI: l'ipocrisia di chi in realtà non è affatto interessato alla "integrazione " economica, in senso democratico e redistributivo, (cioè "costituzionale" nel senso di "volto al benessere dei popoli"), ma solo a creare occulte condizioni di riassetto finanziario-oligarchico (capisaldi: liberalizzazione capitali e lotta all'inflazione), in modo da aggirare, semmai, le costituzioni democratiche con un principio superiore che dà luogo e "necessità emergenziali".

    Si ha così una sorta di posizione "pighiana", affetta dagli stessi "shortfalls", di errata (o non voluta) conoscenza della realtà storica, geografica e culturale: neppure il Brasile si unisce monetariamente in AVO a Argentina e Venezuela. E il Canada, per non parlare del Mexico, si unisce monetariamente agli USA.

    Se ci si rapporta all'europa, come matrice culturale "plurima" (derivante dal colonialismo e dall'esportazione linguistica e culturale), l'euro, e ben vedere, è tanto praticabile quanto un'unione monetaria dell'intero continente delle Americhe del sud e del nord...più sudafrica, australia e nuova zelanda (laddove gli stessi USA per diventare un'AVO "sostenibile" hanno dovuto soffrire per oltre un secolo, fino all'assetto roosveltiano, passando per una guerra civile).
    Insomma, se la si butta sul piano politico, l'equazione implicita euro=europa mostra essenzialmente un difetto di cultura in chi formula tale analisi. E, ovviamente, il nazionalismo non c'entra nulla.

    Non c'è un fallimento politico dell'europa: c'è un fallimento economico dell'euro, scontato, nonchè il fallimento dell'ideologia oligarchica che gli sta dietro.
    Stessa ideologia "fanatica" (come dice anche l'intervento di Galbraith citato in "Lettera aperta a Bersani") che affligge anche gli USA, con l'ossessione della repressione di spesa e debito pubblico.

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  2. Cara Voci Dall'Estero,
    Debbo notare di non aver fatto in tempo a "pensare" che il buon Quarantotto a messo per iscritto le medesime perplessità.
    Ciò di cui parla l'articolista sarebbe calzante là dove si stesse parlando e propugnando una reale volontà comune di costruire un'Europa dei popoli. Concetto che, per la sua natura e definizione è lontano anni luce dalla federazione degli Stati Uniti d'America.
    La storia dell'Europa a partire dalla decadenza dell'Impero per antonomasia (quello di Roma naturalmente) è stata un susseguirsi di "divisioni" e "dominazioni" eterogenee.
    Oggi si cerca una base di coesione con mezzi coercitivi e "terroristici". Nel senso di costringere con la paura del "baratro" i popoli ad accettare condizioni di vita misere in nome di una "presunta" sopravvivenza o morte.
    Iernotte ho seguito l'intervento di Bagnai su Telenova alla presenza di personaggi quantomeno "singolari".
    La misura di tali spessori culturali è disarmante.
    A tal livello si vuole che le comunità dei popoli ragionino in una sorta di gioco della deresponsabilizzazione e depauperizzazione, ove ognuno incolpa l'altro della propria inadeguatezza.
    Lo scorso lunedì ho avuto modo di assistere ad un incontro (educativo) volto alla diffusione di concetti di approfondimento politico. Si è parlato di democrazia alla presenza di un relatore universitario. Platea eterogenea per eta e più o meno omogenea per "classe" (nel termine più generico possibile). Personalmente ne ho tratto una "oggettivamente" scarsa capacità d'incisione in contrasto al generale apprezzamento. Ciò che più mi ha lasciato però perplesso è la stessa inconsistenza delle tesi diversamente e bonariamente accolte.
    Purtroppo, ognuno di noi si imbeve sovente di termini sui quali raramente esercita una reale capacità critica e, conseguentemente, fattuale e sostanziale.
    L'Euro, l'Europa e l'Unione Europea sono concetti estremamente diversi che per superficialità, ignoranza od opportunismo vengono inevitabilmente assimilati.
    La costruzione dell'identità europea nella misura di una coesione popolare non mi risulta sia mai stata realmente perseguita in seno alle "commissioni" buro-tecnocratiche "dominanti". Piuttosto si è cercato sovente il colpevole cui addossare le responsabilità dei periodici sacrifici...
    Solo un ? però avrei da porre a Quarantotto (in tal caso) in relazione ad un presunto disegno perverso non contemplato dal Nord America.
    Mi riferisco all'ipotesi Amero di cui non conosco attualmente gli sviluppi e che implicherebbe a mio avviso "minori" squilibri rispetto all'Euro. Pur restando un disegno, a mio avviso, egemonico di chi dall'alto decide nella supponenza che dal basso si debba solo obbedire, in perfetto stile "feudale"!

    Un caro saluto a tutti,
    Elmoamf Massimo Paglia

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  3. UNISCI I PUNTINI E APPARE L'IMMAGINE

    Alcuni degli "attuatori" dei trattati dell'UE, gli Attali, i Prodi, i Padoa Schioppa, i Monti, i Delors, l'hanno dichiarato in modo esplicito il carattere antidemocratico del governo UE realizzato attraverso l'adozione di una moneta univa in un AVO non ottimale.

    Altri, gli economisti, solo alcuni e con rigido ordine alfa&beta , i De Grauwe, i Dornbusch, i Feldstein, i Krugman, i Salvatore, avevano evidenziato i gravi problemi economici, sociali legati all'introduzione di una moneta unica in un AVO NON ottimale ai primi sintoni di "crisi sistemica".

    A cinque anni dallo scoppio della "tempesta", le cui cause sono note ormai anche ai "sassi", nulla di "nuovo" oltre il piano US TARP di 700 mld US$, la mobilitazione "sommersa" di 16.000 mld di US$ sul fronte US FED RES (rapporto US GAO 696-2011) e di 4.500 mld € su quello UE.
    "Nulla" di nuovo oltre la trasformazione di un debito che da "privato" e divenuto "pubblico" sotto le bandiere del "too big to fail".
    "Nulla" di nuovo in sistemi sociali che, "privati" degli strumenti di politica monetaria e irrigiditi su cambi fissi e mobilità dei capitali, si sono visti "sfugggire dalle mani" ogni forma di concertazione sociale sotto i "vincoli esterni" e "condizionalità automatiche" legati all'emergenzialità dell'industria finanziaria internazionale.

    "Qualcosa" di nuovo invece sul fronte di quello che BSI (banca regolamenti internazionali) e FSB (board di stabilità finanziaria) andavano ad indicare come "rischi sistemici".
    BSI.
    Sotto "naturale" pressione, il 6/01/2013 i nuovi accordi hanno "diluito" l'adozione dei parametri BASILEA III "annacquando" i requisiti richiesti dall'Lcr (il liquity coverage ratio).
    Ed è stata venduta come misura "necessaria" per fronteggiare il rischio di irrigimento del credit crunch vs l'economia reale.
    Ma la verità vera è che quella enorme massa di titoli, obbligazioni e azioni con rating autoreferente fino a BBB, la "quasi" spazzatura che la finanza creativa era costretta a congelare nei "sotterranei" dei bilanci con operazioni cosmetiche off-shore, ora alchemicamente riacquista un valore di scambio ed è pronta ad un nuovo "giro di giostra".
    Dopo decenni di devastazione di ogni responsabilità sociale e civica, ormai siamo "quasi" tutti abituati a come si risolvono le "emergenze".
    E ben hanno imparato oltreoceano come mitigarne gli effetti esportandole dove più "fertili" sono gli AVO NON ottimali.

    That's all, folks"

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  4. Avete sicuramente ragione, e grazie dei bellissimi commenti, che correggono giustamente il tiro dell'analisi, che avevo descritto come "abbastanza lucida e cruda". E' vero che Stratfor manca di penetrare la vera natura della costruzione dell'euro, e le cause vere che hanno portato alla crisi, che non sono certo i debiti sovrani.
    Tuttavia, l'analisi mi è sembrata interessante per il fatto che – a differenza della maggioranza dei commenti dove la crisi è presentata come frutto di condizioni "oggettive" di natura economica che impongono degli interventi di riequilibrio – l'agenzia di intelligence geopolitica americana mostra in modo abbastanza disincantato la realtà di un'unione che non è un'unione, di paesi che tirano ciascuno dalla propria parte senza coordinamento o cooperazione, di creditori che vogliono rientrare a qualsiasi prezzo e di debitori che elemosinano l'unione fiscale – ma soprattutto non si nasconde la dinamica di classe, dove il peso dei "riaggiustamenti" è scaricato sui popoli, soprattutto dei paesi periferici, ai quali questa falsa unione era stata presentata come una strada verso la prosperità, e si sta invece rivelando invece per quello che è, una prospettiva di generale impoverimento e miseria. Questo per Stratfor non potrà continuare così ancora per un altro anno, altrimenti nuovi governi andranno al potere e smantelleranno la costruzione europea. Speriamo. L'Europa ovviamente rimarrà. E il mondo, ci dice Stratfor, ha gli occhi puntati su di noi.

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  5. Alle cose interessanti già dette, vorrei solo aggiungere un paio di osservazioni.
    La prima è che bisogna andarci piano sui confronti tra indici di disoccupazione tra USA e Europa, perché sono misurati in modo diverso, come venne a spiegare ad un convegno sul Lago d'Iseo nel 1997 tra gli altri Solow. Allora si era ad un 10% in Europa e ad un 5% in USA, e come al solito c'era il coro di coloro che dicevano che bisognava "fare come negli USA" per il mercato del lavoro.
    In realtà i criteri di rilevazione sono differenti, e per quanto difficile stimare, quel 5% valeva allora un 9% in termini europei. Sto cercando il materiale, e se lo trovo, lo pubblico.
    Questo non toglie nulla alle considerazioni fatte, dato che il fenomeno è visibile come andamento nel tempo dello stesso indicatore misurato coi medesimi criteri, ma bisogna stare attenti nel fare confronti non nel tempo ma nello spazio.
    Gli USA, inoltre, a differenza della Ue che è istituzionalmente un pastrocchio antidemocratico e lobbistico, è uno stato-nazione, con tutto quel che questo comporta. Non è solo un fatto di "durata nel tempo" in sé e per sé, ma di differente natura. Esiste una "politica USA" (giusta o sbagliata che la si ritenga). Non esiste una "politica Ue", perché non c'è una sede dove possa esercitarsi. Esistono delle "scelte politiche" extraistituzionali. In genere errate, ma questa è un'altra faccenda.
    Infine, una perplessità sull'intervento di 48, ma credo sia una pura questione lessicale.
    Non è solo l'area monetaria la fonte dei problemi, ma anche il "mercato unico", che ne è il complemento. La Ue è una forma di "globalizzazione perfetta" su scala continentale grazie alla combinazione dei due fattori.
    Mi riesce difficile parlare, nell'ambito di una confederazione (termine appropriato, a mio avviso) di un "mercato unico" regolato, perché quest'ultimo termine è a mio avviso non un ossimoro, ma un'aporia.
    Penso si debba parlare di "mercato comune", ovviamente regolato e gestito politicamente, con politiche variabili nel tempo e nello spazio, che non strangolino gli spazi di manovra dei singoli stati. Una zona non di "libero scambio" (il "free trade", salvo in Ue, non esiste), ma di scambi facilitati e coordinati.

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    1. Ma sì: è una questione lessicale (mi era rimasto uno "unique" leggendo l'Economist :-)). Concordo sul "mercato" COMUNE, che è poi un'area priva di dazi in senso proprio e con assolvimento dell'IVA (comunque la si voglia denominare nei vari paesi) nel paese, e secondo l'aliquota, di residenza dell'effettivo fruitore finale "percosso".
      Senza aggiunta di ulteriori regolamentazioni "uniche" (introdotte dai trattati successivi a quello del 1957), realizzata in base...alla capture concertata delle istituzioni sovranazionalida parte degli "sponsor" ufficiali "gradindustriali", in modo da introdurre un "dumping" normativo a favore delle grandi imprese, in particolare nei settori dove sono più forti i paesi "dominanti" (e che la stampa italiana, pateticamente, ha coperto di "meriti" per aver preseguito questi begli ideali di pace tra i popoli. E persino i "pub" inglesi ne risentono :-)).
      Resta da considerare la "PAC" e il CECA...con tutte le loro luci ed ombre (per noi più ombre)

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    2. Purtroppo ad occhio mi sembra "taroccato" pure il dato dei disoccupati Italiani; mettendoci chi in cassa integrazione lo è da almeno un anno e sono diretti al licenziamento, chi è in mobilità, i liberi professionisti che non fatturano più neppure i soldi per l'affitto di casa (tanti!) e quelli che lavorano in nero e ormai non cercano più (al Sud 1 su 4), il dato potrebbe essere, senza esagerare, sul 24-25% oppure oltre!

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    3. La Banca d'Italia mi sembra abbia calcolato una disoccupazione reale del 17-18% contraddicendo i dati Istat che ufficialmente la danno al 11,6%
      ..

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  6. l'autore dell'articolo analizza la situazione europea secondo termini d'analisi ormai superati, infatti non ha ancora capito che il sistema di produzione capitalistico è arrivato al dunque, per cui il capitale (non esiste il capitale produttivo e il capitale finanziario, sono la stessa cosa) per ora ha scatenato, non da quattro anni ma da trenta, il suo braccio finanziario per impadronirsi di tutto ciò che può avere con le sue tonnellate di moneta ormai prive di valore, poi, ad assecondare la sua azione, seguirà la polizia e per ultimo l'esercito. e l'autore non ha neppure capito, ci fa?, che il potere tedesco cerca da sempre l'egemonia, l'egemonia, l'egemonia, per cui.... l'autore dell'articolo sarà fortissimo in economia, ma non è una scienza!, ma sicuramente non ha mai letto von clausewitz, per cui sarà sempre e comunque in ritardo, detto da un piccolo proletario di provincia.
    franco valdes

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  7. Smantellare l'unione europea significa ritornare indietro dalle decine di anni. La situazione economica non è certo facile, ma la causa non è a mio avviso l'unione. La crisi è mondiale.

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    1. Dire che la crisi è mondiale è come dire che di notte tutte le vacche sono nere...bisogna poi saper distinguere le cause che hanno portato alle crisi finanziarie ed economiche degli ultimi trent'anni, tra cui l'ultima, questa europea, che stiamo vivendo adesso.

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    2. Io sono ingnorante e mi informo da pochi mesi, ma penso abbia ragione Vocidallestero..
      in Giappone il debito è su per giù al 202 percento del Pil!
      Eppure loro non hanno nessuno che a causa del loro debito gli stracciano i cosidetti dalla mattina alla sera (e alla Grecia pure la notte)! Noi si, ed è la BCE!
      Ed anzi, i loro titoli continuano ad avere rendimenti tra l'1 e l'1.5 % .. nonostante abbiano pure competitors come la Corea e la Cina praticamente attaccati al sedere!

      La crisi ovviamente è mondiale, ma questa continua e ossessiva rigidità della finta Comunità Europea e della BCE ne è sicuramente un aggravante!
      E neppure da poco! :-(

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  8. @Voci dall'estero
    cause? le stesse di adesso!
    politiche liberali (seppure rivedute e corrette).
    in sin dei conti quando chiesero a Bernanke la soluzione per la crisi del 2008, i suoi studi (stando ad un documentario che ho visto su history channel) gli suggerivano che la precedente (del 29) era frutto di mancanza di liquidità e allora la risposta fu semplice: L(i)TRIAMO (no, usano altri termini) il mercato di trilions of dollars..
    Certo, Friedman (ah ecco, il liberale) fece notare che in sin dei conti il problema in quel periodo fu che l'offerta monetaria crollò e che era stata colpa delle autorità monetarie che non...
    La risposta? LA CREDIBILITA'!
    ecco da cosa nasce il concetto di credibilità (penso! non vorrei sbagliarmi)... si dichiara che l'offerta monetaria aumenterà di un tot (3-4%) e ciò condurrà alle inflazioni (2%) e aumenti di PIL (2%) attesi.
    con andamenti molto regolari.

    a proposito di Friedman e della sua idea di base, mi è venuto in mente una similitudine:
    Milton ogni mattina, dal lunedì al venerdì, osserva che un uomo esce di casa alle 7e30 e ritorna alle 18.
    e ogni sabato esce di casa alle 10 e ritorna alle 12 con la spesa.
    Un bel giorno non vede più il tizio uscire la mattina né ovviamente ritornare il sabato con la spesa ma incomincia a intravedere e sentire che il tizio litiga con la moglie e quindi va a casa sua per offrirgli la sua idea per la risoluzione dei problemi coniugali:
    "caro buonuomo, faccia come le suggerisco: esca di casa ogni mattina e ritorni la sera alle 18.. vedrà che il sabato potrà fare la spesa!"

    capire le cause non è facile ma penso che tra cambi fissi e globalizzazione quel mondo fosse molto simile al nostro..

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    1. Certo, come no, il ciclo di Frenkel ce lo insegna!

      Volevo dire a questo trader col sistema binario che dar la colpa alla crisi mondiale rischia di essere generico se non si individuano le cause - i capitali che circolano nei mercati deregolamentati e destabilizzano via via varie parti del mondo, complice una inopportuna rigidità del cambio ...

      Se la causa non è l'unione in sè, lo sono però le regole che l'unione si è data - per di più al di fuori di un qualsiasi procedimento democratico...

      (Da stamattina ho la spiacevole sensazione di non centrare il punto quando parlo, e di non venire capìta...càpita!)

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  9. @Voci dall'estero
    io le do ragione ma nella mia idea di articolo c'è una contrapposizione tra la visione socialista dell'economia (non quella comunista ormai abbandonata) e haykiana (darwiniana).

    dico sempre che negli USA funzionano solo due cose: NBA ed NFL perché sono due sistemi "socialisti"...
    avete presente il football e il baskewt professionistico?

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    1. per il tuo articolo ti potrà essere utile questo link http://www.eco.unibs.it/~palermo/PDF/5-mercato-globale.pdf
      che ho già postato su Orizzonte48 :-)

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    2. Si, nei liberali USA le due maggiori organizzazioni professionistiche sportive hanno regole che neppure nei migliori paesi socialisti!
      Tipo:
      le ultime squadre del campionato hanno il diritto di scegliere per primi i giocatori da acquistare ad ogni inizo mercato, oppure la regola del tetto massimo che un ciocatore può percepire dalla società, o il potere che i sindacati degli stessi hanno e la possibilità di bloccare i tornei ecc ecc.. il tutto per uniformare e garantire equità nei campionati!

      L'esatto contrario di quello che succede, ad esempio, nei nostri campionati..

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  10. @Alessandro Ale..
    la disoccupazione reale è al 20%.. lo sappiamo tutti!
    non so al nord dove presumo sia sul 10% ma qui al sud ci attestiamo sul 30% e oltre!
    consideriamo che chi è impegnato in attività "Leggere" (ovvero cocopro) dovrebbe essere considerato per "terzi".. beh, nemmeno l'inflazione mi convince come dato ma tanto la soluzione la conosciamo: uscire dall'euro!

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  11. @Alessandro Ale
    le squadre più ricche contribuiscono per quelle più povere!
    in questa maniera l'indotto generale del sistema è maggiore!
    non interessa che la prima squadra per fatturato aumenti il suo perché hanno stimato che se il campionato crollasse nell'interesse ci perderebbe e parecchio!

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  12. Valsandra, curiosamente la disoccupazione italiana e molto simile al dato che aveva l'Argentina, all'incirca del 20% appunto, prima che dichiarasse default e si staccasse dal Dollaro..
    Se penso alle similitudini con l'Agentina mi vengono i brividi!
    :-(

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  13. @Alessandro Ale
    a memoria.. dovremmo avere un differenziale di occupazione rispetto ai paesi core del 10%..

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