Ancora dal Guardian il mitico Chang, segnalato dal mitico 48, mette a nudo l'assistenzialismo pubblico verso le grandi società. Altro che libero mercato!
Quartier generale della Novartis a Basilea |
Il
libero mercato non è che un mito. Dai brevetti sui farmaci al
quantitative easing, le società fanno soldi grazie agli aiuti di Stato.
All’inizio
di questa settimana, la corte suprema indiana ha deciso che non riconoscerà il brevetto a Novartis, la società farmaceutica
svizzera, per il farmaco anticancro Glivec. Dal momento che si
tratta di una nuova versione di un farmaco esistente - dice la
sentenza – esso non presenta sufficiente innovazione per poter
richiedere un brevetto. Novartis ha biasimato la sentenza definendola
“un passo indietro per i pazienti che mette in pericolo il
progresso medico su malattie prive di un trattamento efficace”.
Una
dichiarazione simile è coraggiosa per una società svizzera – un
paese tristemente noto per non avere alcuna legge sui brevetti fino
al 1888, a mezzo secolo dalla sua introduzione nella maggior parte
dei ricchi paesi capitalisti.
Anche
dopo il 1888, la Svizzera si è rifiutata di riconoscere brevetti
farmaceutici e chimici per 20 anni, dato la nuova legge stabiliva che i brevetti possono essere concessi solo a
“invenzioni che possono essere rappresentate da modelli meccanici”.
Il paese ha introdotto brevetti chimici solo nel 1907 dietro
grandi pressioni della Germania, le cui tecnologie erano largamente “prese in prestito” dalle società farmaceutiche svizzere.
Tra queste c’erano Ciba-Geigy
e Sandoz, la cui fusione nel 1996 ha creato Novartis.
Per
di più, fino al 1978, la Svizzera riconosceva i brevetti solo
sui processi chimici (ossia sul metodo di produzione delle sostanze
chimiche) e non sui prodotti chimici (ossia le sostanze chimiche
stesse), sulla base del ragionevole presupposto che tali sostanze sono
sempre esistite in natura, e che l’”inventore” ha solo trovato una maniera per isolarle. Questo
era un punto di vista abbastanza largamente condiviso, all’epoca. La Germania e la Francia hanno
introdotto i brevetti sulle sostanze chimiche solo alla fine degli anni ’60.
Il Canada e la Spagna si sono rifiutati di riconoscerli fino al 1992.
Nonostante
questa sia la storia, l’industria farmaceutica è estremamente
aggressiva riguardo ai brevetti sui prodotti chimici, come ad esempio
il Glivec, perché sa che senza di essi il proprio livello di profitti scenderebbe
drammaticamente .
A
differenza di una BMW o di un Airbus, le sostanze chimiche sono
estremamente semplici da copiare. Anche se i processi per produrle
sono coperti da brevetto, è relativamente facile trovare un processo
alternativo. Senza il monopolio artificialmente
introdotto dai brevetti, l’inventore di una nuova sostanza chimica
può guadagnare ben poco (le medicine “generiche” costano
tipicamente il 5% delle medicine protette da brevetto monopolistico).
Il monopolio dei
brevetti crea un sacco di problemi. Permette al possessore di ricaricare al massimo a spese dei consumatori.
Questo non è un problema se il prodotto brevettato è un genere di
lusso, come le parti che compongono uno smartphone, ma può invece
violare diritti umani fondamentali se riguarda medicinali salva-vita. Il monopolio dei brevetti inoltre blocca
il progresso tecnologico nel relativo campo di applicazione durante
la sua durata (20 anni), dal momento che nessun altro può
utilizzare le tecnologie brevettate per svilupparne altre.
Nonostante
tutti questi problemi, noi, come società, concediamo il monopolio di un brevetto perché crediamo che possa portare benefici maggiori
dei relativi danni. Dando maggiori incentivi a investire nello sviluppo di nuove
tecnologie, il monopolio di un brevetto può dar vita a tecnologie più
innovative. Questo significa anche che la società ha il diritto di
negare il riconoscimento di un brevetto per una tecnologia nel caso
in cui ritenga che i benefici sono inferiori
ai costi, come nella sentenza della la corte indiana contro Novartis.
L’industria
farmaceutica dimostra definitivamente come i profitti siano creazioni
“sociali” – essa genera i suoi profitti perché gli viene
garantito un monopolio artificiale sotto forma di brevetti. Ma non è la sola.
Un
altro caso evidente è l’industria bancaria. Oggi, molte banche
sparse per il mondo non esisterebbero se non fosse per l’immensa quantità di denaro pubblico riversato nelle loro casse
a seguito della crisi del 2008. Anche nel caso di quelle che non sono state "salvate", i loro profitti sarebbero stati molto più
bassi (o le loro perdite molto più grandi, nel caso di quelle che
sono in passivo) senza il denaro a basso costo che è stato messo
loro a disposizione – senza alcuna condizione, a differenza di quel
che avviene per gli aiuti di stato come i sussidi
di disoccupazione – attraverso i tagli ai tassi di interesse e il
quantitative
easing della banca d’Inghilterra.
In
altri casi, la protezione sociale del business è più indiretta. Lo scandalo
della carne
di cavallo ha rivelato che i supermercati britannici e
l’industria della carne europea hanno tratto maggiori profitti dall'allentamento della regolamentazione sugli standard alimentari,
introdotta dal governo di coalizione nel 2010 con la scusa di
tagliare le spese governative e, più importante ancora, l’eccessiva
burocrazia. Lo scandalo Poundland ha rivelato che i negozi inglesi
al dettaglio avrebbero fatto minori profitti se non avessero
potuto usare i vantaggi dei sussidi di disoccupazione.
Potrei
continuare, ma la questione è che tutti i business fanno i profitti
che fanno solo grazie al fatto che il governo - e quindi in definitiva l’elettorato sovrano in ultima istanza (almeno in teoria) - li aiuta in ogni modo possibile – denaro senza interessi (banche),
lavori senza pagare stipendi (Poundland), monopolio di diritti (case
farmaceutiche), permessi impliciti di utilizzare prodotti non di
prima qualità (supermercati).
Una
volta che accettiamo il concetto che la quantità di profitti che
fanno le società sono in definitiva determinati da questi “finanziamenti assistenziali” che lo stato decide di concedere loro, iniziamo a capire qual'è il problema col punto di vista del “libero mercato” che ha dominato il mondo
negli ultimi decenni.
Per
troppo tempo le lobby e gli ideologi del libero mercato ci hanno
raccontato che il profitto è l’indicatore obiettivo del contributo
di un’azienda all’economia, quando in realtà esso è determinato
socialmente e politicamente. La povera gente che riceve aiuti
governativi si è sentita dire troppo spesso di essere scroccona,
mentre in realtà i ricchi ottengono aiuti perfino superiori.
E’
tempo di accantonare il mito che il libero mercato è una forza della
natura che non deve essere contrastata. I mercati sono creazioni
sociali che possono essere, e sono già stati, modificati per
obiettivi sociali.
mi permetto di suggerire la traduzione di questo articolo che riporta come Berlusconi nel 2011 minacciò l'uscita dell'Italia dall'euro
RispondiEliminaG.B., mi pare che parli di borsa, hai sbagliato articolo?
EliminaAh, infatti il link è sbagliato, non l'avevo nemmeno guardato perché già sapevo di cosa stavi parlando, vedi sotto...
Eliminacaspita! sono stato tradito dal copia-incolla!
EliminaScusate per il disguido, la prossima volta starò più attento.
Cmq vedo che ci siamo capiti!
Come funziona la rete! :) Mi piovono avvisi da tutte le parti! Il primo Henry(che è all'opera)!...mo' arriviamo.
RispondiEliminaEccoci
EliminaArticolo molto bello e realista... strana però la conclusione , infatti il liberò mercato è una forza della natura che non dovrebbe essere contrastata, quelli che tu fai non sono altro che esempi di come gli stati contrastano il libero mercato per i loro scopi... Se permetti concluderei che quello di oggi non è un libero mercato
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