William
Oman, economista della RGE (Roubini Global Economics), afferma su Economonitor
che l’erronea narrazione sulla crisi dell’euro adottata dai politici, benché conveniente per alcuni, intralcia il dibattito e oscura le giuste soluzioni.
Articolo suggerito e tradotto da magi_c: Grazie!
Quali sono le cause della crisi
dell’eurozona? Per quanto questa domanda sia elementare, la
comprensione delle cause della crisi da parte dei politici europei è,
nel migliore dei casi, incompleta. Il risultato quindi è che
l’approccio adottato per risolvere la crisi è stato, e continua ad
essere, inadeguato per una serie di ragioni. Se la crisi ha un
merito, è quello di servire come opportunità pedagogica per capire
le profonde radici dei problemi europei.
Il grande inganno europeo: districarsi tra i sintomi e le cause della crisi
Since
2009, a flawed crisis narrative has dominated both the media and
politics. After the introduction of the euro in 1999, the dominant
diagnosis goes, profligate Southern European countries took advantage of
the low interest rates resulting from being thrown into a union with a
credible, inflation-averse Germany to embark on private and public
spending binges. This caused wages and prices to get out of hand and a
decline in competitiveness of Southern European economies vis-à-vis
their Northern European neighbors. Southern Europe then reaped the
fruits of this irresponsibility when the global financial crisis broke
out in 2008. - See more at:
http://www.economonitor.com/analysts/2013/09/03/europes-destructive-creation-why-the-euros-biggest-problem-is-the-flawed-crisis-narrative/#sthash.JXrDfZOO.dpuf
Since
2009, a flawed crisis narrative has dominated both the media and
politics. After the introduction of the euro in 1999, the dominant
diagnosis goes, profligate Southern European countries took advantage of
the low interest rates resulting from being thrown into a union with a
credible, inflation-averse Germany to embark on private and public
spending binges. This caused wages and prices to get out of hand and a
decline in competitiveness of Southern European economies vis-à-vis
their Northern European neighbors. Southern Europe then reaped the
fruits of this irresponsibility when the global financial crisis broke
out in 2008. - See more at:
http://www.economonitor.com/analysts/2013/09/03/europes-destructive-creation-why-the-euros-biggest-problem-is-the-flawed-crisis-narrative/#sthash.JXrDfZOO.dpuf
Sin dal 2009 una narrazione distorta
della crisi ha dominato la politica e i media. La diagnosi prevalente afferma che, dopo l’introduzione
dell’euro nel 1999, i dissoluti
europei del sud hanno sfruttato i bassi tassi di interesse risultanti
dalla credibilità dell’unione con un paese noto per essere avverso
all’inflazione, la Germania, per darsi alle spese folli nel settore
pubblico ed in quello privato. Questo ha causato la perdita di
controllo su prezzi e salari, facendo peggiorare la competitività del
sud Europa rispetto ai vicini del nord. Il sud Europa ha poi raccolto
i frutti di questa irresponsabilità a seguito della crisi
finanziaria del 2008.
Data questa diagnosi, molti tedeschi
ragionevolmente pensano che “se siamo stati in grado di farlo noi,
anche gli europei del sud possono farlo”. In altre parole, se i
tedeschi hanno tirato la cinghia, anche il sud Europa dovrebbe farlo.
La conclusione che segue questa
distorta narrativa – portata avanti dai politici tedeschi,
specialmente da Angela Merkel – è che il sud Europa debba ridurre
i deficit pubblici ed il costo del lavoro, in particolare attraverso
“riforme strutturali” atte ad incrementare la flessibilità nel
mercato del lavoro. L’idea è che, col tempo, queste misure
restituiranno competitività all’Europa del sud e renderanno i loro
debiti pubblici nuovamente sostenibili.
Non solo questa narrativa distorce
il pensiero dei leader europei su come uscire dalla crisi, ma
minaccia anche le prospettive di crescita a lungo termine del
continente, giustificando politiche a somma negativa. Il più grande
problema dell’Europa non è economico o politico, è cognitivo.
La narrativa dominante, riassunta
sopra, ignora molti aspetti determinanti della storia dell’euro.
In particolare ignora completamente due aspetti cruciali del DNA
istituzionale dell’eurozona: da una parte le iniziali differenze
tra le strutture industriali del sud e del nord Europa, che hanno
reso la divergenza inevitabile una volta che queste sono state unite
nella moneta unica; dall’altra parte l’ondata di integrazione
finanziaria che ha attraversato il continente in seguito alla
creazione dell’euro, che ha accelerato la divergenza fra gli
apparati industriali dei paesi, nonostante le élite europee si
aspettassero l’opposto.
Incolpare i pigri e dissoluti sud
europei è conveniente, e si presta ad ogni tipo di cliché.
Certamente alcuni governi della periferia dell’eurozona meritano la
loro parte di colpa per la corruzione e la mancata regolazione che
hanno portato all’emergere di bolle immobiliari negli anni 2000.
Tuttavia, le origini profonde della crisi vanno ricercate prima di
tutto e soprattutto in fattori fuori dal controllo dei paesi
periferici. Segnatamente, i grandi flussi finanziari, nati in
seguito all’euro e al mercato finanziario unico, contro i quali i
governi nazionali potevano poco. Lo sviluppo del mercato unico
europeo va considerato nello scenario di globalizzazione finanziaria
mondiale partito negli anni ’80.
I dati danno un’ottima idea di quanto importanti siano state queste forze finanziarie nel
causare la cisi dell’euro. Mostrano come i debiti cresciuti più
velocemente negli anni 2000 non sono quelli pubblici, come molti
politici e commentatori vorrebbero far credere, ma quelli privati, in
particolare quelli finanziari. Questi debiti hanno alimentato le
bolle immobiliari che hanno creato un enorme caos in Spagna, Irlanda
e, successivamente, tramite l’effetto contagio e le debolezze del
sistema bancario europeo, nell’intera eurozona.
Il grafico sottostante mostra
chiaramente tutto questo: il peggior segno degli eccessi finanziari
che hanno seguito la creazione della moneta unica è l’incredibile
crescita del debito del settore finanziario in Irlanda, che nel 2009
aveva superato il 500% del PIL. (ll Lussemburgo era in una situazione
simile, anche se grazie alla mancanza dell’euforia immobiliare non
ha sofferto lo stesso destino dell’Irlanda).
Fonte: Statistiche
nazionali, BCE.
Nota: I dati riguardano
il 2009.
Quali sono le conseguenze di questi
eccessi, sviluppatisi tra il 2000 e il 2008? La più importante è
l’enorme crescita del nuovo e unificato sistema bancario europeo. I
flussi finanziari transfrontalieri dalle banche di Germania
(principalmente), Francia e Regno Unito verso le banche e i borrowers
(letteralmente “chi prende in presito”, NdT) in Spagna,
Irlanda e altri paesi hanno permesso alla Germania di migliorare
continuamente la competitività del suo export, e al sud Europa di
deindustrializzarsi senza che i suoi abitanti soffrissero per un calo
negli stili di vita – almeno fino al 2008.
Una delle conseguenze di queste
dinamiche è il successo della Germania, che si riflette sul basso
tasso d’interesse pagato dai suoi titoli di stato, un basso tasso
di disoccupazione e un alto surplus delle partite correnti. La
traiettoria dell’economia del paese è notevole: nel 1999
l’”Economist” coniò la famosa espressione del “malato
d’Europa” per descrivere la Germania; nel 2013 la rivista ha
ribattezzato il paese “l'egemone riluttante d’Europa”.
Cosa ha portato a questo
cambiamento? Ci sono tre elementi da evidenziare.
Per prima cosa la Germania ha
beneficiato di un miglioramento della competitività legata al prezzo
e della competitività non legata al prezzo. La Germania ha una
tradizione manifatturiera secolare, e ha così beneficiato di una
forte base di partenza “strutturale”: ha profonde radici
industriali, una lunga cooperazione fra industriali e sindacati,
tirocini di alta qualità e grande know-how, in particolare in
settori che producono beni molto richiesti dalle industrie delle
economie emergenti (es. macchinari), come la Cina.
La seconda cosa è l’integrazione
dei “satelliti” (le economie dell’Europa dell’est), nella
catena di produzione verticale, che ha aiutato la Germania ad
aumentare la sua competitività. Due fattori hanno contribuito. Il
primo è l’”effetto casa”, identificato da Paul Krugman nel
1979: un paese che produce più manufatti di quelli che il suo
mercato interno può assorbire tenderà a diventare un esportatore
netto. Secondo effetto, l’“accordo in esclusiva”: un paese che
sviluppa un vantaggio tenderà a mantenerlo e incrementarlo tramite
la “dipendenza
dal percorso”.
Queste due forze hanno causato la
reindustrializzazione della Germania e dei suoi satelliti nell’Europa
dell’est, e la deindustrializzazione della Francia e del sud
Europa. Queste dinamiche sono state largamente ignorate dai politici
europei, specialmente nella “Strategia di Lisbona” del 2000, che
vedeva nella libertà di movimento dei capitali il fondamento per un
miglioramento della produttività del lavoro e della competitività
del sud Europa, piuttosto che bolle, inflazione e deterioramento
delle partite correnti, come invece suggerivano i vantaggi
strutturali delle Germania.
Infine, i politici europei hanno
fatto un grave errore nel non dotare la nuova unione monetaria di
forti meccanismi di regolazione ad un livello paneuropeo. Il metodo
Lamfalussy infatti, ha assicurato che il coordinamento tra i
regolatori nazionali rimanesse basso, nel migliore dei casi. Insieme
alla deregolamentazione del sistema finanziario che ha preceduto e
seguito la nascita dell’eurozona, le regole del gioco erano tali da
incentivare le banche tedesche a investire i risparmi tedeschi in
Irlanda e Spagna. Non dovrebbe essere una sorpresa allora la crescita
del debito privato e la nascita di bolle in numerosi paesi della
periferia. Una delle principali cause della crisi quindi, non è lo
sperpero di denaro di per sé, come molti politici credono e dicono,
ma piuttosto la stessa struttura finanziaria dell’eurozona e la
mancanza di adeguati poteri di regolamentazione a livello europeo.
La tragedia è che l’errata
narrativa che permea il dibattito sull’euro-crisi non opera solo
come una giustificazione delle politiche inappropriate adottate in
tutta la regione, ma sta gradualmente distruggendo il capitale umano
e le speranze di un’intera generazione di giovani europei –
minando le fondamenta della futura prosperità europea.
Molto chiaro e ovvio per noi frequentatori di questo e altri blog.... per tutti gli altri sarebbe da distribuire questo articolo come volantino in tutte le città!
RispondiEliminaComplimenti un'analisi di una lucidità encomiabile!
RispondiEliminaL'Autore, tra le varia cause della crisi della zona euro, punta il dito sulla finanza senza regole: avidi e stolti banchieri, sia del "centro" che della "perifeia", che hanno investito in bolle immobiliari e credito al consumo " ... che hanno permesso al sud Europa di deindustrializzarsi senza che i suoi abitanti soffrissero un calo negli stili di vita, almeno fino al 2008."
RispondiEliminaVebbè.
Ormai si è capito che la verità sta (come sempre) nel mezzo: tra una Germania ferocemente competitiva contro tutto e contro tutti, ed un Italia vittima dei propri conflitti interni e delle ricette cialtronesche propinate da destra e da sinistra ...
L'Autore, nella sua premessa, spiega che nelle cause della crisi ci stà pure la sua soluzione.
Ma se è così, l'interrogativo allore diventa:
.... se la Germania non vira in modo deciso la sua politica ... e noi non si esce dall'Euro (magari tireremo avanti per anni e anni, grazie a Draghi, a qualche piccola concessione, all'abitudine, etc.) ... noi nel frattempo che si fà per questo paese ?
Un cordiale saluto
http://marionetteallariscossa.blogspot.com/
Ahimé, tirare avanti per anni in questo modo sarebbe orrendo, speriamo che abbia ragione chi ritiene una cosa del genere insostenibile, non solo per noi periferici, ma anche per la Germania.
EliminaSi, ottima analisi. Peccato che il sponsor dell'autore. Roubini, (su SKY economia) predica ancora la necessità delle riforme strutturali e non menziona l'euro come il problema principale. Mi sono stufato di "economisti" del genere. E' gente corrotta.
RispondiEliminaIeri per puro caso mi sono ritrovata a vedere su rai tre dopo il tg delle 14,00 l'approfondimento su economia e finanza, volevo spegnere ma ho visto che da Cernobbio per l'european house - Ambrosetti intervistavano Savona ed allora mi sono fermata perchè ho detto speriamo che si esprima contro l'euro. Invece niente di niente, è vero che il giornalista ha chiesto qualcosa sulla stabilità del goveno, ma la risposta è stata quella che di solito siamo abituati a sentire. Dopo con Roubini, le solite solfa, nessuno menzione l'euro e si ripetono le litanie di sempre. Chiedo a Carmen il perchè, in genere poi Savona non ha problemi, mi ricordo anche da lerner ebbe modo di spiegare al sua posizione, forse in consessi internazionali ci si manitene neutri chissà per quale motivo, non so, ma mi sono stufata nache io di questo modo di fare mi sembrano più traditori degli altri.
Eliminanon è l'euro il problema ma la globalizzazione sfrenata cioè senza programmi di coinvolgimento delle economie a più basso reddito che con costi molto più bassi spingono economie come la nostra ad alti costi di produzione (energia,tasse,costo del lavoro,appesantimento burocratico,materie prime)poco strutturate,terziste,e poco innovatrici poco industrializzate, a delocalizzare o ridurre il costo del lavoro od evadere le tasse per creare una redditività. mentre chi delocalizza o le industrie dei paesi a basso reddito hanno un ottimo profitto da spendere in parte nei paesi ad alto reddito in termini concorrenziali. questo riduce sempre più la capacità di manovra dei paesi ad 'alto reddito' finchè soccomberanno il processo in atto si potrà fermare soltanto quando i redditi saranno uguagliati su tutto il pianeta(cosa non possibile a tempi brevi vista l'alta povertà in cui vessa gran parte dell'umanità)in questo tutti i paesi occidentali, chi più chi meno, sono invischiati e carichi di debiti, la spinta verso il basso del costo del lavoro crea anche disoccupazione (delocalizzazione) il problema quindi è la globalizzazione sfrenata cioè senza regole e non programmata.
RispondiEliminaRoberto, la globalizzazione è un aspetto del problema. Il cambio fisso è un altro. Ricordati che non abbiamo perso competitività verso le economie emergenti, ma principalmente verso i nostri partners europei, che rappresentano il grosso del nostro commercio estero.
EliminaTocca considerarle tutte, il quadro è un pochino più complesso. Ma il Tramonto dell'euro, l'hai letto?
Secondo me non l'ha letto come non ha letto i vari post di goofynomics soprattutto quelli consigliati. Come mai poi il problema economico ha messo radici per la maggior parte in Europa? Se l'euro era così benefico perchè la crisi si è fermata qui e sembra non se ne voglia andare rispetto a tutte le idiozie che ci propinano ogni momento rispetto alla presunta ripresa e crescita?
Eliminanon capisco perche tirate sempre fuori l'euro , l'autore dell'articolo ha appena finito di spiegare gli errorri commesi dai politici che governano l'europa proprio a significare che con politici differenti si sarebbe avuto un euro differente ed ecco che si riinizia con la solfa la colpa è dell'euro, la colpa è di chi non ha saputo amministrare l'euro
Eliminaps apparte tutto complimenti per gli articoli tutti bellissimi
Elimina@giogio, la moneta unica che precede l'unione politica produce necessariamente i guasti che ha prodotto e che erano del tutto prevedibili. Tanto è vero che lo sapevano e speravano negli effetti benefici della crisi (per alcuni, sono benefici). Ci sono delle affermazioni di Monti in proposito che circolano in rete. Ora non ho tempo di cercare il link, ma è una cosa che si sa.
EliminaI politici l'hanno fatto? Certo.
Avrebbero potuto fare una Costituente europea per dar vita a uno stato federale? No.
Quindi...de che stiamo a parlà?