06/09/13

Il più grande problema dell’euro è l’erronea narrazione della crisi

William Oman, economista della RGE (Roubini Global Economics), afferma su Economonitor che l’erronea narrazione sulla crisi dell’euro adottata dai politici, benché conveniente per alcuni,  intralcia il dibattito e  oscura le giuste soluzioni.


 Articolo suggerito e tradotto da magi_c: Grazie!
Quali sono le cause della crisi dell’eurozona? Per quanto questa domanda sia elementare, la comprensione delle cause della crisi da parte dei politici europei è, nel migliore dei casi, incompleta. Il risultato quindi è che l’approccio adottato per risolvere la crisi è stato, e continua ad essere, inadeguato per una serie di ragioni. Se la crisi ha un merito, è quello di servire come opportunità pedagogica per capire le profonde radici dei problemi europei.


Il grande inganno europeo: districarsi tra i sintomi e le cause della crisi


Since 2009, a flawed crisis narrative has dominated both the media and politics. After the introduction of the euro in 1999, the dominant diagnosis goes, profligate Southern European countries took advantage of the low interest rates resulting from being thrown into a union with a credible, inflation-averse Germany to embark on private and public spending binges. This caused wages and prices to get out of hand and a decline in competitiveness of Southern European economies vis-à-vis their Northern European neighbors. Southern Europe then reaped the fruits of this irresponsibility when the global financial crisis broke out in 2008. - See more at: http://www.economonitor.com/analysts/2013/09/03/europes-destructive-creation-why-the-euros-biggest-problem-is-the-flawed-crisis-narrative/#sthash.JXrDfZOO.dpuf
Since 2009, a flawed crisis narrative has dominated both the media and politics. After the introduction of the euro in 1999, the dominant diagnosis goes, profligate Southern European countries took advantage of the low interest rates resulting from being thrown into a union with a credible, inflation-averse Germany to embark on private and public spending binges. This caused wages and prices to get out of hand and a decline in competitiveness of Southern European economies vis-à-vis their Northern European neighbors. Southern Europe then reaped the fruits of this irresponsibility when the global financial crisis broke out in 2008. - See more at: http://www.economonitor.com/analysts/2013/09/03/europes-destructive-creation-why-the-euros-biggest-problem-is-the-flawed-crisis-narrative/#sthash.JXrDfZOO.dpuf
Sin dal 2009 una narrazione distorta della crisi ha dominato la politica e i media. La diagnosi prevalente afferma che, dopo l’introduzione dell’euro nel 1999, i dissoluti europei del sud hanno sfruttato i bassi tassi di interesse risultanti dalla credibilità dell’unione con un  paese noto per essere avverso all’inflazione, la Germania, per darsi alle spese folli nel settore pubblico ed in quello privato. Questo ha causato la perdita di controllo su prezzi e salari, facendo peggiorare la competitività del sud Europa rispetto ai vicini del nord. Il sud Europa ha poi raccolto i frutti di questa irresponsabilità a seguito della crisi finanziaria del 2008.
 

Data questa diagnosi, molti tedeschi ragionevolmente pensano che “se siamo stati in grado di farlo noi, anche gli europei del sud possono farlo”. In altre parole, se i tedeschi hanno tirato la cinghia, anche il sud Europa dovrebbe farlo.

La conclusione che segue questa distorta narrativa – portata avanti dai politici tedeschi, specialmente da Angela Merkel – è che il sud Europa debba ridurre i deficit pubblici ed il costo del lavoro, in particolare attraverso “riforme strutturali” atte ad incrementare la flessibilità nel mercato del lavoro. L’idea è che, col tempo, queste misure restituiranno competitività all’Europa del sud e renderanno i loro debiti pubblici nuovamente sostenibili.

Non solo questa narrativa distorce il pensiero dei leader europei su come uscire dalla crisi, ma minaccia anche le prospettive di crescita a lungo termine del continente, giustificando politiche a somma negativa. Il più grande problema dell’Europa non è economico o politico, è cognitivo.

La narrativa dominante, riassunta sopra, ignora molti aspetti determinanti della storia dell’euro. In particolare ignora completamente due aspetti cruciali del DNA istituzionale dell’eurozona: da una parte le iniziali differenze tra le strutture industriali del sud e del nord Europa, che hanno reso la divergenza inevitabile una volta che queste sono state unite nella moneta unica; dall’altra parte l’ondata di integrazione finanziaria che ha attraversato il continente in seguito alla creazione dell’euro, che ha accelerato la divergenza fra gli apparati industriali dei paesi, nonostante le élite europee si aspettassero l’opposto.

Incolpare i pigri e dissoluti sud europei è conveniente, e si presta ad ogni tipo di cliché. Certamente alcuni governi della periferia dell’eurozona meritano la loro parte di colpa per la corruzione e la mancata regolazione che hanno portato all’emergere di bolle immobiliari negli anni 2000. Tuttavia, le origini profonde della crisi vanno ricercate prima di tutto e soprattutto in fattori fuori dal controllo dei paesi periferici. Segnatamente, i grandi flussi finanziari, nati in seguito all’euro e al mercato finanziario unico, contro i quali i governi nazionali potevano poco. Lo sviluppo del mercato unico europeo va considerato nello scenario di globalizzazione finanziaria mondiale partito negli anni ’80.

I dati danno un’ottima idea di quanto importanti siano state queste forze finanziarie nel causare la cisi dell’euro. Mostrano come i debiti cresciuti più velocemente negli anni 2000 non sono quelli pubblici, come molti politici e commentatori vorrebbero far credere, ma quelli privati, in particolare quelli finanziari. Questi debiti hanno alimentato le bolle immobiliari che hanno creato un enorme caos in Spagna, Irlanda e, successivamente, tramite l’effetto contagio e le debolezze del sistema bancario europeo, nell’intera eurozona.

Il grafico sottostante mostra chiaramente tutto questo: il peggior segno degli eccessi finanziari che hanno seguito la creazione della moneta unica è l’incredibile crescita del debito del settore finanziario in Irlanda, che nel 2009 aveva superato il 500% del PIL. (ll Lussemburgo era in una situazione simile, anche se grazie alla mancanza dell’euforia immobiliare non ha sofferto lo stesso destino dell’Irlanda).

Fonte: Statistiche nazionali, BCE.
Nota: I dati riguardano il 2009.
Quali sono le conseguenze di questi eccessi, sviluppatisi tra il 2000 e il 2008? La più importante è l’enorme crescita del nuovo e unificato sistema bancario europeo. I flussi finanziari transfrontalieri dalle banche di Germania (principalmente), Francia e Regno Unito verso le banche e i borrowers (letteralmente “chi prende in presito”, NdT) in Spagna, Irlanda e altri paesi hanno permesso alla Germania di migliorare continuamente la competitività del suo export, e al sud Europa di deindustrializzarsi senza che i suoi abitanti soffrissero per un calo negli stili di vita – almeno fino al 2008.

Una delle conseguenze di queste dinamiche è il successo della Germania, che si riflette sul basso tasso d’interesse pagato dai suoi titoli di stato, un basso tasso di disoccupazione e un alto surplus delle partite correnti. La traiettoria dell’economia del paese è notevole: nel 1999 l’”Economist” coniò la famosa espressione del “malato d’Europa” per descrivere la Germania; nel 2013 la rivista ha ribattezzato il paese “l'egemone riluttante d’Europa”.

Cosa ha portato a questo cambiamento? Ci sono tre elementi da evidenziare.

Per prima cosa la Germania ha beneficiato di un miglioramento della competitività legata al prezzo e della competitività non legata al prezzo. La Germania ha una tradizione manifatturiera secolare, e ha così beneficiato di una forte base di partenza “strutturale”: ha profonde radici industriali, una lunga cooperazione fra industriali e sindacati, tirocini di alta qualità e grande know-how, in particolare in settori che producono beni molto richiesti dalle industrie delle economie emergenti (es. macchinari), come la Cina.

La seconda cosa è l’integrazione dei “satelliti” (le economie dell’Europa dell’est), nella catena di produzione verticale, che ha aiutato la Germania ad aumentare la sua competitività. Due fattori hanno contribuito. Il primo è l’”effetto casa”, identificato da Paul Krugman nel 1979: un paese che produce più manufatti di quelli che il suo mercato interno può assorbire tenderà a diventare un esportatore netto. Secondo effetto, l’“accordo in esclusiva”: un paese che sviluppa un vantaggio tenderà a mantenerlo e incrementarlo tramite la “dipendenza dal percorso”.

Queste due forze hanno causato la reindustrializzazione della Germania e dei suoi satelliti nell’Europa dell’est, e la deindustrializzazione della Francia e del sud Europa. Queste dinamiche sono state largamente ignorate dai politici europei, specialmente nella “Strategia di Lisbona” del 2000, che vedeva nella libertà di movimento dei capitali il fondamento per un miglioramento della produttività del lavoro e della competitività del sud Europa, piuttosto che bolle, inflazione e deterioramento delle partite correnti, come invece suggerivano i vantaggi strutturali delle Germania.

Infine, i politici europei hanno fatto un grave errore nel non dotare la nuova unione monetaria di forti meccanismi di regolazione ad un livello paneuropeo. Il metodo Lamfalussy infatti, ha assicurato che il coordinamento tra i regolatori nazionali rimanesse basso, nel migliore dei casi. Insieme alla deregolamentazione del sistema finanziario che ha preceduto e seguito la nascita dell’eurozona, le regole del gioco erano tali da incentivare le banche tedesche a investire i risparmi tedeschi in Irlanda e Spagna. Non dovrebbe essere una sorpresa allora la crescita del debito privato e la nascita di bolle in numerosi paesi della periferia. Una delle principali cause della crisi quindi, non è lo sperpero di denaro di per sé, come molti politici credono e dicono, ma piuttosto la stessa struttura finanziaria dell’eurozona e la mancanza di adeguati poteri di regolamentazione a livello europeo.

La tragedia è che l’errata narrativa che permea il dibattito sull’euro-crisi non opera solo come una giustificazione delle politiche inappropriate adottate in tutta la regione, ma sta gradualmente distruggendo il capitale umano e le speranze di un’intera generazione di giovani europei – minando le fondamenta della futura prosperità europea.

12 commenti:

  1. Molto chiaro e ovvio per noi frequentatori di questo e altri blog.... per tutti gli altri sarebbe da distribuire questo articolo come volantino in tutte le città!

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  2. Complimenti un'analisi di una lucidità encomiabile!

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  3. L'Autore, tra le varia cause della crisi della zona euro, punta il dito sulla finanza senza regole: avidi e stolti banchieri, sia del "centro" che della "perifeia", che hanno investito in bolle immobiliari e credito al consumo " ... che hanno permesso al sud Europa di deindustrializzarsi senza che i suoi abitanti soffrissero un calo negli stili di vita, almeno fino al 2008."

    Vebbè.
    Ormai si è capito che la verità sta (come sempre) nel mezzo: tra una Germania ferocemente competitiva contro tutto e contro tutti, ed un Italia vittima dei propri conflitti interni e delle ricette cialtronesche propinate da destra e da sinistra ...

    L'Autore, nella sua premessa, spiega che nelle cause della crisi ci stà pure la sua soluzione.

    Ma se è così, l'interrogativo allore diventa:

    .... se la Germania non vira in modo deciso la sua politica ... e noi non si esce dall'Euro (magari tireremo avanti per anni e anni, grazie a Draghi, a qualche piccola concessione, all'abitudine, etc.) ... noi nel frattempo che si fà per questo paese ?

    Un cordiale saluto
    http://marionetteallariscossa.blogspot.com/

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    1. Ahimé, tirare avanti per anni in questo modo sarebbe orrendo, speriamo che abbia ragione chi ritiene una cosa del genere insostenibile, non solo per noi periferici, ma anche per la Germania.

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  4. Si, ottima analisi. Peccato che il sponsor dell'autore. Roubini, (su SKY economia) predica ancora la necessità delle riforme strutturali e non menziona l'euro come il problema principale. Mi sono stufato di "economisti" del genere. E' gente corrotta.

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    1. Ieri per puro caso mi sono ritrovata a vedere su rai tre dopo il tg delle 14,00 l'approfondimento su economia e finanza, volevo spegnere ma ho visto che da Cernobbio per l'european house - Ambrosetti intervistavano Savona ed allora mi sono fermata perchè ho detto speriamo che si esprima contro l'euro. Invece niente di niente, è vero che il giornalista ha chiesto qualcosa sulla stabilità del goveno, ma la risposta è stata quella che di solito siamo abituati a sentire. Dopo con Roubini, le solite solfa, nessuno menzione l'euro e si ripetono le litanie di sempre. Chiedo a Carmen il perchè, in genere poi Savona non ha problemi, mi ricordo anche da lerner ebbe modo di spiegare al sua posizione, forse in consessi internazionali ci si manitene neutri chissà per quale motivo, non so, ma mi sono stufata nache io di questo modo di fare mi sembrano più traditori degli altri.

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  5. non è l'euro il problema ma la globalizzazione sfrenata cioè senza programmi di coinvolgimento delle economie a più basso reddito che con costi molto più bassi spingono economie come la nostra ad alti costi di produzione (energia,tasse,costo del lavoro,appesantimento burocratico,materie prime)poco strutturate,terziste,e poco innovatrici poco industrializzate, a delocalizzare o ridurre il costo del lavoro od evadere le tasse per creare una redditività. mentre chi delocalizza o le industrie dei paesi a basso reddito hanno un ottimo profitto da spendere in parte nei paesi ad alto reddito in termini concorrenziali. questo riduce sempre più la capacità di manovra dei paesi ad 'alto reddito' finchè soccomberanno il processo in atto si potrà fermare soltanto quando i redditi saranno uguagliati su tutto il pianeta(cosa non possibile a tempi brevi vista l'alta povertà in cui vessa gran parte dell'umanità)in questo tutti i paesi occidentali, chi più chi meno, sono invischiati e carichi di debiti, la spinta verso il basso del costo del lavoro crea anche disoccupazione (delocalizzazione) il problema quindi è la globalizzazione sfrenata cioè senza regole e non programmata.

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    1. Roberto, la globalizzazione è un aspetto del problema. Il cambio fisso è un altro. Ricordati che non abbiamo perso competitività verso le economie emergenti, ma principalmente verso i nostri partners europei, che rappresentano il grosso del nostro commercio estero.
      Tocca considerarle tutte, il quadro è un pochino più complesso. Ma il Tramonto dell'euro, l'hai letto?

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    2. Secondo me non l'ha letto come non ha letto i vari post di goofynomics soprattutto quelli consigliati. Come mai poi il problema economico ha messo radici per la maggior parte in Europa? Se l'euro era così benefico perchè la crisi si è fermata qui e sembra non se ne voglia andare rispetto a tutte le idiozie che ci propinano ogni momento rispetto alla presunta ripresa e crescita?

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    3. non capisco perche tirate sempre fuori l'euro , l'autore dell'articolo ha appena finito di spiegare gli errorri commesi dai politici che governano l'europa proprio a significare che con politici differenti si sarebbe avuto un euro differente ed ecco che si riinizia con la solfa la colpa è dell'euro, la colpa è di chi non ha saputo amministrare l'euro

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    4. ps apparte tutto complimenti per gli articoli tutti bellissimi

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    5. @giogio, la moneta unica che precede l'unione politica produce necessariamente i guasti che ha prodotto e che erano del tutto prevedibili. Tanto è vero che lo sapevano e speravano negli effetti benefici della crisi (per alcuni, sono benefici). Ci sono delle affermazioni di Monti in proposito che circolano in rete. Ora non ho tempo di cercare il link, ma è una cosa che si sa.
      I politici l'hanno fatto? Certo.
      Avrebbero potuto fare una Costituente europea per dar vita a uno stato federale? No.
      Quindi...de che stiamo a parlà?

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