Il presunto allievo modello dell’austerità – la Lettonia – entra nella moneta unica, nonostante il parere contrario dei suoi cittadini. Come scrive A.E. Pritchard sul Telegraph, il suo discutibile successo è un caso particolare, non applicabile ad altri paesi. Inoltre, il modello di sviluppo che il paese sta seguendo ricorda quello appena andato a rotoli a Cipro.
A capodanno, 5 anni dopo che la sua economia si è disintegrata, il piccolo stato baltico entra nell’eurozona contro la volontà dei propri cittadini, diventando il 18mo e più povero membro dell’unione monetaria.
Il paese ha subìto con stoicismo una depressione in stile anni trenta e una drastica terapia d'urto imposta dalla UE, rispettando rigorosamente i termini di un bail-out a cura UE-FMI.
Attraverso le esportazioni, la Lettonia ha riequilibrato i propri conti e ha sfidato i critici difendendo il suo aggancio all’euro contro tutto e tutti, ma l'impresa ha avuto un costo sociale elevato.
L’adesione all’euro è stata salutata con tristezza dalla maggior parte dei 2 milioni di lettoni, logorati dai licenziamenti e dal taglio del 28% degli stipendi di insegnanti, infermieri e poliziotti. Un esodo di massa di giovani è servito come valvola di sfogo, lasciando in eredità una società più anziana. La popolazione della Lettonia si è ridotta del 7% rispetto al 2007.
Un sondaggio SKDS di novembre ha riscontrato che solo il 20% è favorevole alla rinuncia alla valuta nazionale, il Lats, il simbolo della breve sovranità negli anni tra le due guerre tra gli intervalli dell'occupazione zarista e leninista. Il Lats venne ripristinato nel 1992, con grande emozione, dopo che la Lettonia si liberò dal controllo sovietico.
Pochi sembrano conquistati dal volto familiare di Milda – la 'fanciulla lettone' con la treccia – sulle nuove monete in euro. Circa il 58% è contrario all'adesione alla nuova moneta, eppure il governo ha scelto di andare avanti nonostante tutto, senza un referendum.
I Lettoni stanno acconsentendo quietamente, se non altro perché l'euro aiuta a contrastare la minaccia strategica della Russia di Vladimir Putin da est. "L'ombra lunga della Russia è il fattore più importante nella politica lettone," ha detto il Professor Ivars Ījabs dell'Università di Riga.
I leader della Lettonia hanno cercato di incastrare il paese il più profondamente possibile nel sistema economico e di sicurezza occidentale, in modo da scoraggiare l'intromissione di Mosca. Il Ministro delle finanze Andris Vilks dice che l'euro è una polizza assicurativa. "Guardate ciò che sta accadendo in Ucraina. La Russia non ha intenzione di cambiare. Conosciamo il nostro vicino", ha dichiarato al Financial Times.
Le traversie vissute dalla Lettonia tra boom, crolli e riprese, hanno aperto un dibattito acceso fra gli economisti di tutto il mondo, riguardo i pro e i contro della rigida austerità e del regime di cambio fisso, una disputa che difficilmente sarà risolta dall’ingresso nell’euro.
Olivier Blanchard, economista capo del FMI, ha avvertito che la storia della Lettonia deve essere trattata con "grande attenzione", perché il paese fa storia a sé e non può rappresentare un modello utile per gli altri. Ma questo non ha impedito alle due parti di stare ognuna ferma nelle sue posizioni.
I funzionari europei indicano la Lettonia come l’alunno modello delle politiche di “tough love” (le politiche neoliberiste definite dagli anglosassoni dell'"amore estremo", ndt), l'angelo vendicatore della strategia dell'UEM della "svalutazione interna", la prova che il “fare i compiti a casa” dia risultati migliori rispetto a una rapida svalutazione.
Il PIL è cresciuto del 5,5% nel 2011 e del 5,6% nel 2012 e dovrebbe crescere del 4% quest'anno. I livelli di produttività sono aumentati. Il tasso di disoccupazione è sceso da un picco di 20,5% all’11,9%. Olli Rehn, Commissario dell'economia UE, dice che la Lettonia è un modello per gli stati in crisi dell’eurozona: "Decisioni difficili hanno permesso alla Lettonia di riemergere dalla crisi economicamente molto più forte di prima".
I critici sono esasperati da tali rivendicazioni, e rispondono che è stato l’aggancio all’euro che ha prodotto il precedente disastro della Lettonia, poiché aveva portato a tassi di interesse che erano troppo bassi per un'economia post-Sovietica in via di sviluppo. Tale politica aveva provocato una bolla del credito enorme.
Il paese poi ha sbandato violentemente in direzione opposta, con una contrazione del PIL del 25% in 2 anni, e una caduta della domanda interna del 42%. I leader della Lettonia allora si sono aggrappati ad un tasso di cambio sopravvalutato, contro il parere del FMI - in gran parte per motivi politici, ma anche per proteggere i proprietari di abitazioni della classe media che avevano contratto mutui in euro e in franchi svizzeri.
Perfino ora, il PIL reale rimane dell’8% inferiore al picco precedente. Il tasso di disoccupazione è stato calmierato dall’emigrazione. Il Professor Mihails Hazans dell'Università della Lettonia ha detto che la maggior parte di coloro che lasciano il paese sono sotto i 35 anni, e spesso sono i più istruiti. Solo il 20% di costoro progetta di ritornare entro cinque anni. La società lettone è stata massacrata.
"L'adulazione della Lettonia ci dice di più su ciò che l'élite politica europea vuole credere, di quanto non dica sulla realtà dell'esperienza lettone" ha detto il Nobel per l'economia Paul Krugman, il più acceso tra i critici. "Quale lezione può dare la Lettonia agli altri paesi, e all'euro in generale? La risposta, in breve, è nessuna."
La questione chiave non è se la Lettonia stia nuovamente crescendo, ma se essa sia vicina al suo potenziale di economia ruggente post-marxista che ora ha accesso completo ai mercati dell'Unione europea, e che dovrebbe godere di tassi di crescita in stile asiatico. Nel complesso, la Polonia ha fatto molto meglio nell'ultimo decennio, utilizzando la sua moneta per controllare il boom e poi per attutire lo shock dopo la stretta del credito estero del 2008.
Il FMI ha detto che la ripresa della Lettonia è stata un successo, ma ha anche messo in dubbio che tale successo possa essere replicato. Il paese ha un'economia aperta con le esportazioni pari al 60% del PIL, livelli doppi rispetto all'Europa meridionale. Essa occupa il 24° posto nell’indice di facilità di fare impresa della Banca mondiale, vicino alla Germania e sopra ad Austria, Olanda e Francia.
La Lettonia ha un debito pubblico vicino al 40% del PIL, ben al di sotto dei livelli di Grecia, Cipro, Irlanda, Portogallo, Italia o Spagna. Questo riduce il rischio di una spirale debitoria causata dalle politiche deflazionistiche, il cosiddetto 'effetto denominatore'.
Il sistema bancario lettone è nelle mani delle banche svedesi e di altre banche del nord, che controllano il 60% del mercato, riducendo la necessità per lo stato di puntellare il sistema finanziario - come successo in Irlanda o Spagna.
L'ironia della questione è che la Lettonia sta reinventando il proprio modello di business, diventando un paradiso fiscale e un centro bancario offshore per fondi russi, adescando i depositi in uscita dall’inguaiata Cipro. Sta diventando la nuova Cipro, dice Marco Giuli del Collegio d'Europa. Ma questo è un dramma per un altro giorno, e per un altro giro di giostra.
L'ironia della questione è che la Lettonia sta reinventando il proprio modello di business, diventando un paradiso fiscale e un centro bancario offshore per fondi russi, adescando i depositi in uscita dall’inguaiata Cipro. Sta diventando la nuova Cipro, dice Marco Giuli del Collegio d'Europa. Ma questo è un dramma per un altro giorno, e per un altro giro di giostra.
Sempre interessante "voci dall'estero".
RispondiEliminaSpesso snobbato dalla Blogsfera e dai suoi frequentatori.
Ma si sa... la persone "amano" sentire e leggere, ciò che vogliono sentire e leggere. ;-)
Non ciò che non si aspettano.
Questione di stile.
Cortesi saluti
il.gem
bell'articolo!!
RispondiEliminaOlli Rehn è un semi analfabeta, una specie di scilipoti, un Razzi della tecnocrazia europea
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