Qualche mese fa, insieme ad altri autorevoli blog, abbiamo rilanciato un'operazione di verità per capire a che punto fosse la notte italiana, aldilà della propaganda del partito unico al governo. Oggi, da Vincitori e Vinti, l'operazione di verità prosegue con un'analisi delle previsioni di Banca d'Italia che, per quanto anch'esse troppo ottimistiche, smentiscono la propaganda del governo sulla ripresa che starebbe agganciando l'Italia.
L’altro
giorno, con la pubblicazione del bollettino economico 1/2014, anche la Banca
d’Italia ha demolito il quadro di finanza pubblica e le proiezioni di crescita
economiche elaborate dal governo nella Nota di Aggiornamento al Def dello
scorso settembre. Anche se, a parer di
chi scrive, le previsioni di crescita elaborate
da Bankitalia rimangono comunque ancora troppo ottimiste.
Giusto
per riprendere il discorso da dove lo avevamo lasciato, giova ricordare quelle
che erano (lo sono ancora), secondo il governo, le previsioni di crescita per
questo anno e per l’anno successivo,
paragonando le previsioni governative con
quelle delle principali istituzioni internazionali, e con Bankitalia.
STIME PIL
|
||
2014
|
2015
|
|
GOVERNO
|
1
|
1,7
|
UE
|
0,7
|
1,2
|
FMI
|
0,7
|
1,1
|
OCSE
|
0,6
|
1,4
|
BANKITALIA
|
0,7
|
1
|
Oggi
anche la Banca d’Italia si allinea alle previsioni di crescita delle
istituzioni internazionali, prevedendo, per il 2014, una crescita dello 0.7% e
dell’1% per il 2015, ben al di sotto di quelle del governo che
prevede per il biennio un +1% per il 2014, e +1,7% per il 2015.
Bankitalia,
contrariamente alle previsioni del Governo, evidenzia anche che la
disoccupazione tenderà a crescere, attestandosi al 12.8% nel 2014 (già oggi siamo al 12.7%) e 12,9 nel
2015. Anche le spese delle famiglie, seppur in miglioramento, saranno destinate
a rimanere deboli. Tuttavia Bankitalia precisa che il miglioramento delle spese
delle famiglie sarà determinato dal “venir meno dell’esigenza di correzione dei
conti pubblici, e dal calo dell’inflazione”. Per cui, queste dinamiche, determineranno
una ripresa del reddito reale disponibile dell’ 1.5% nel biennio
2014-2015, dopo un calo di 8 punti nell’ultimo quinquennio. E qui, non si
capisce proprio da dove possa derivare l’ottimismo di Bankitalia sulle
prospettive di ripresa dei redditi (e quindi dei consumi), nonostante si
affermi che il mercato del lavoro sarà destinato a peggiorare nel corso del
biennio. Inoltre appare prematuro ipotizzare un aumento del reddito per effetto del venir meno delle esigenze di
correzione dei conti pubblici, stante
anche un aumento delle probabilità di una nuova manovra di contenimento. Ma di
questo parleremo più avanti.
Nel
bollettino si legge anche che si avrà un
contributo alla crescita economica
anche dagli investimenti che tornerebbero a crescere, seppur a ritmi
ancora moderati (quasi il 2% in media all’anno), riflettendo un miglioramento
delle prospettive della domanda, la maggiore disponibilità di liquidità per
effetto dei pagamenti delle Amministrazioni Pubbliche e una “graduale
normalizzazione delle condizioni di erogazione del credito".
Anche in
questo caso, per pensarla come Bankitalia, occorre un grande esercizio di
ottimismo. E ciò per diverse ragioni. Cerchiamo di spiegarle:
Come si
evince dal sito del Tesoro, alla data del 30/11/2013, i pagamenti dei debiti
della Pubblica amministrazione ammontavano a 16.3 miliardi di euro.
Un’indagine
condotta sulle imprese creditrici sembra sconfessare l’ottimismo di Bankitalia
sul contributo alla crescita economica che potrebbe derivare dagli investimenti
posti in essere per effetto del pagamento dei debiti delle PA.
Infatti,
come è facile intuire dal grafico proposto, buona parte degli incassi ricevuti
dalle imprese creditrici, sarebbero destinati al pagamento dei debiti
commerciali (32%), al pagamento di debiti finanziari (16.2%), ad altre forme di
finanziamento del capitale circolante ((21.6%), alle riserve (11%), al
pagamento degli stipendi arretrati (8.9%), delle tasse e contributi arretrati
(4%) e, solo marginalmente agli investimenti per il 3.2%. Cioè, appena qualche
centinaio di milioni di euro.
A questo
punto giova ricordare che i pagamenti dei debiti arretrati della pubblica
amministrazione non necessariamente determinano una diminuzione dello stock di debito.
Nel senso che andrebbe comunque verificato di quanto il debito si sia ridotto
per effetto dei pagamenti. Perché, se da un lato si pagano i fornitori
emettendo nuovo debito pubblico, e dall’altro si differiscono ulteriormente i
pagamenti sulle nuove forniture, ciò non determina alcun miglioramento sulle
condizioni di liquidità delle imprese, se non marginalmente.
Sul tema
delle condizioni di erogazione del credito, appare del tutto inverosimile attendersi un
sensibile miglioramento delle condizioni, vista la persistente debolezza del
settore bancario di cui abbiamo parlato QUI (lettura suggerita per comprendere
perché è difficile ipotizzare una distensione delle condizioni di erogazione
del credito), ma anche altrove. Il tema
è sempre lo stesso: la crisi economica mette sotto pressione i bilanci delle
banche, che patiscono l’esplosione delle sofferenze, che, a loro volta, erodono
patrimonio. Minor patrimonio significa
minor credito da concedere alle imprese e alle famiglie. Quindi la contrazione
economica si aggrava e aumentano nuovamente le sofferenze in capo alle banche.
E il circolo riparte. Almeno fino a quando
non si assiste ad una robusta e consolidata inversione di tendenza, idonea a trasmettere al settore bancario la prospettiva
che prestare soldi sia divenuto meno rischioso rispetto alle condizioni attuali.
In buona
sostanza, le previsioni di crescita elaborate da Bankitalia, ai fini dell’incremento del Pil, attribuiscono
un rilevante contributo alla componente delle esportazioni sospinta dal
miglioramento degli scambi internazionali; anche se, dagli ultimi dati di novembre
pubblicati dall’Istat solo qualche giorno fa, appare un quadro non poco
preoccupante, considerato il calo dell’export
del 2% rispetto al mese precedente.
In un
quadro di questo genere con evidenti segnali di fragilità del ciclo economico,
benché la crescita economica
internazionale sia vista in progressivo miglioramento con il Pil
mondiale, secondo l’Ocse, in aumento del 3.6%, il cambio dell’euro sul dollaro
a livelli alti come quelli attuali - certamente non rappresentativi della
debolezza economica (e strutturale) italiana- rischia di rende poco appetibili i prodotti italiani sui mercati esteri,
minando le esportazioni.
Le
previsioni di crescita elaborate da Bankitalia, ancorché più realistiche di
quelle previste nel Def dello scorso settembre, appaiono ancora troppo
ottimistiche, tenuto anche conto
che l’espansione degli scambi mondiali
potrebbe essere meno vigorosa da quanto ipotizzato. Inoltre,
come segala il bollettino di Bankitalia, sulle economie emergenti potrebbero incidere condizioni finanziarie globali meno favorevoli connesse
all’avvio della riduzione dello stimolo monetario da parte della Federal
Reserve che, come noto, lo scorso 18 dicembre, ha deciso di ridurre, da gennaio,
gli acquisti dei mortage-baked securities
(MBS) e delle obbligazioni del Tesoro a
lungo termine per 10 miliardi di dollari al mese, portandoli a 75 miliardi.
Tutto
questo si potrebbe tradurre in una minore crescita rispetto a quella prevista,
che allontanerebbe significativamente l’Italia
dall’obiettivo di crescita del Pil nominale previsto dal governo solo lo
scorso settembre. Questo è anche aggravato dal fatto che l’Italia, nonostante
l’aumento dell’iva dello scorso ottobre - che avrebbe dovuto agire anche sui
prezzi e quindi sull’inflazione - sta conoscendo
un periodo di decrescita dei prezzi che
rende inverosimile (semmai che ne fosse ancora bisogno) la realizzazione degli obbiettivi di crescita
nominale del Pil previsti lo scorso settembre.
Da ciò
se ne deduce che anche il quadro di finanza pubblica ipotizzato lo scorso
settembre, relativo al 2014, sarebbe del
tutto inverosimile, poiché il minor gettito derivante da una crescita
inferiore rispetto a quella prevista, produrrà dei buchi di bilancio che
dovranno essere colmati con manovre correttive.
Questo è ancor più aggravato dal fatto che, nel
2013, per centrare l’obiettivo di deficit/Pil al 3% il governo ha adottato
delle strategie che avranno conseguenze sul 2014. In realtà, l’obiettivo del
3% è stato raggiunto (?) differendo al
2014 le spese per gli investimenti (che quindi peseranno sui conti
dell’anno in corso) e aumentando gli acconti di imposta per il
2013 dei soggetti Ires e Ipef. In buona
sostanza si tratta di anticipazioni (godute nel 2013) a valere sul 2014, che
non potranno essere riassorbite in mancanza di crescita economica, rischiando
di aggravare i conti del 2014. Perché, se non dovesse
sopraggiungere una ripresa significativa tale da riassorbire il debito che lo
stato ha maturato nei confronti delle imprese che hanno pagato gli acconti
maggiorati, in sede di dichiarazione dei redditi, cioè il prossimo giugno, gli acconti di imposta pagati dalle imprese
si trasformeranno in crediti pronti
ad essere compensati con altri tributi a debito. Quindi nuovi buchi di
bilancio, salvo un nuovo aumento degli acconti per il 2014.
Credo sia indispensabile sostenere la caduta della quota salari e di quei profitti danneggiati dalla globalizzazione economica, attraverso un prelievo forzoso su quei profitti e le loro rispettive posizioni patrimoniali cresciuti/e in modo esponenziale, provocando un impoverimento generale della popolazione.
RispondiEliminaSono altresì convinto che l'origine di questa crisi sia rintracciabile nella crescente diseguglianza economica, provocata da un enorme squilibrio delle forze e da un sistema politico assoggettato dallo strapotere delle oligarchie mondiali ( l'euro ne è un ottimo esempio). Quando sentiamo invocare la necessità della piena libertà dei mercati davanti a questa struttura oligopolistica, dove un piccolissimo gruppo di operatori è in grado di modicare le variabili di mercato, assistiamo alla richiesta del grande capitale di rimuovere quelle barriere politiche, che possono essere utilizzate per tutelare gli interessi della collettività mitigando gli squilibri di forza, a vantaggio dell'accumulazione spietata dei grandi patrimoni. Solo quando riprenderemo il controllo della politica, sottraendola dalla soggezione in cui si trova, potremmo ridimensionare il livello delle diseguaglianze e creare una migliore condizione di vita.
Oops...e comincia la solita sfilza di revisioni al ribasso....
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