20/06/14

Perché la crisi dell'euro non è finita, in un grafico

Dal sito del Washington Post un breve articolo sull'infinita crisi europea. Dice cose abbastanza risapute (per noi, s'intende, non certo per i media mainstream) e ha delle lacune, ma almeno azzecca il punto corretto (=il debito privato) e ne trae la ovvia conclusione (=il problema, irrisolto, è diventato una fatica di Sisifo).


di Matt O'Brien  – 17 giugno 2014

A tutti piace far finta che la crisi dell’euro sia finita.

Ci sono i politici che non vogliono più sentire la parola “salvataggi”. I banchieri centrali non vogliono più sentire la parola “deflazione”. E la gente non vuole più sentire la parola “spread”. Ma questa sospensione del giudizio, ovviamente, non è servita minimamente a far terminare la depressione dell'Europa. La disoccupazione è ancora sopra al 25 percento in Grecia e Spagna, sopra al 15 percento in Portogallo e al 10 percento in Irlanda.



Dunque per quale motivo l’Europa non ha agganciato una reale – o una qualsiasi – ripresa? Beh, è il debito, sciocco!

Ora, non si tratta dello stesso tipo di debito. La Grecia – come la Germania vorrà severamente ricordarvi – è nei guai per un eccesso di debito pubblico. Così l’Italia, nonostante sia stata abbastanza responsabile dal punto di vista fiscale – è danneggiata più dalla mancanza di crescita che da problemi di bilancio. Ma tutti gli altri paesi che stanno avendo dei problemi li stanno avendo per un eccesso di debito privato, non pubblico. Lo potete vedere nel grafico qui sotto, di Standard & Poor’s, che mostra il totale delle passività del settore privato – famiglie e imprese – in percentuale del PIL.
 

C’è un motivo per il quale debito è una parola di quattro lettere [in inglese “debt”, ndt]. Ogni singolo euro che il settore privato spende per ripagare ciò che deve restituire è un euro risucchiato dall’economia. Questo perché le famiglie e le imprese sovraindebitate non vogliono assumere ulteriore debito, e le banche non vogliono fare ulteriori prestiti ora che devono rispettare requisiti patrimoniali più severi.

In altre parole, il rientro dal debito sta producendo un vento contrario sull’economia che l’Europa non è capace di contrastare. Per la verità non ci ha nemmeno provato.

Ora, ci sono due cose che si potrebbero fare per un settore privato che si concentra a ridurre più che ad espandere il proprio debito: che il governo spenda di più, o che i paesi riescano ad esportare di più. Ma le regole dell’Europa sull’austerità rendono la prima cosa impossibile, e la rigidità monetaria della Banca Centrale Europea rende la seconda pressoché inutile. Vedete, senza una moneta più debole l’unico modo sicuro per aumentare l’export è tagliare il costo del lavoro – vale a dire, tagliare i salari. Ma come perfino gli economisti vi sapranno dire, alla gente non piace avere il salario tagliato, e così succede che in alternativa aumenta la disoccupazione.

E questo è il motivo per il quale la strategia dell’Europa è stata così autolesionista. Ha fatto in modo che i paesi tentassero di ridurre il debito pubblico e il debito privato e i salari, tutto contemporaneamente. È impossibile. Riguardate il grafico. Il rapporto del debito privato è a stento diminuito nonostante famiglie e imprese stiano tentando di ripagare quello che devono, perché il PIL nel frattempo è diminuito tanto quanto le passività esistenti. In altre parole, la scarsità di crescita ha neutralizzato qualsiasi risparmio.

L’Europa ha trasformato il suo difficile, ma gestibile, rientro dai debiti in una fatica di Sisifo. E ce ne vorrà di tempo perché Irlanda, Portogallo e Spagna completino la loro impresa – posto che la completino, prima che arrivi la prossima recessione (o è sempre la stessa?) a spingerli nuovamente giù dalla montagna.

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