Su Alphaville del Financial Times, Matthew Klein commenta l'ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale sulla Grecia, nella cui introduzione appare un grafico estremamente eloquente, che confronta la crisi greca con altre crisi finanziarie, inclusa quella degli anni '30. L'America si riprese dalla Grande Depressione dopo aver abbandonato il gold standard, e l'ovvio equivalente per la Grecia sarebbe - commenta Klein - l'uscita dall'euro. La conclusione dell'autore è che se il FMI non può certo raccomandare alla Grecia di uscire dall'euro (ci sono troppi europei nel suo consiglio direttivo), nei suoi report non si esime comunque dal suggerire la verità.
di Matthew C. Klein, 07 febbraio 2017
Il Fondo monetario internazionale ha appena pubblicato il suo ultimo rapporto Article IV sulla Grecia, nella cui introduzione risalta questo grafico davvero notevole:
(Ringrazio la mia collega Mehreen Khan del Financial Times per la segnalazione.)
A parte il fatto di porre l'ampiezza della depressione economica della Grecia nel contesto appropriato — cosa di cui Alphaville ha già parlato, ad esempio qui e qui — il report suggerisce che la Grecia ha perso un'occasione decidendo di restare dentro l'eurozona.
Il confronto con la Grande Depressione in America [negli anni '30, NdT] è particolarmente rilevante perché, proprio come la crisi dell'euro, essa è stata preceduta da un imponente boom del credito all'interno di un sistema di tassi di cambio fissi. La specifica combinazione di indebitamento privato e pubblico è stata diversa da paese a paese, a seconda delle circostanze, ma la crescita del credito negli anni '20 fu alquanto simile a quella che c'è stata negli anni 2000, che a sua volta può essere in gran parte spiegata con la creazione dell'euro.
Dopo aver tentato per anni di portare i bilanci in pareggio, aver lasciato fallire banche e avere inasprito la politica monetaria per poter mantenere l'aggancio del dollaro all'oro, nel 1933 l'America della Grande Depressione cambiò finalmente rotta e perseguì una politica di reflazione. (Questa è mostrata al punto t+4 del grafico.) In particolare, la Federal Reserve abbandonò l'aggancio all'oro e sincronizzò le sue manovre di stimolo monetario con l'azione del governo eletto. Il risultato concreto fu uno scatto dell'inflazione, una diminuzione significativa del peso del debito reale e una grossa ripresa dell'attività economica, che durò fino alla "recessione di Roosevelt" del 1937.
Se c'è un paese al mondo che negli ultimi sette anni avrebbe potuto beneficiare di una politica monetaria più flessibile, quello è certamente la Grecia, che ha sofferto (e soffre tuttora) di un costo del capitale esorbitante, di un indebitamento alle stelle e di un crollo del valore degli asset.
Sfortunatamente per i greci, però, le istituzioni dell'eurozona sono state progettate proprio per impedire qualcosa di simile alla reflazione americana del 1933. I fondatori della moneta unica si sono preoccupati molto di più di limitare le "svalutazioni competitive" degli anni '70 e '80, il che oggi appare piuttosto bizzarro.
Il confronto provocatorio suggerito dal FMI implica quindi che la migliore opzione del governo greco, che al tempo non appariva particolarmente attraente, sarebbe stata quella di ristabilire la sovranità monetaria e ridurre il fardello del debito tramite inflazione già alle prime avvisaglie che le cose si stavano mettendo male, cioè verso il 2010 o 2011.
Combinando un allentamento delle condizioni finanziarie interne con una mossa favorevole sul tasso di cambio si sarebbe potuta ottenere una situazione simile a quella dell'Argentina nei primi anni 2000 — forse un cattivo affare se confrontato con la tendenza della Grecia verso la convergenza degli anni '90, ma pur sempre molto meglio di quello che è successo dopo.
La domanda interessante è se la stessa logica si potrebbe applicare ancora oggi. Da un lato l'economia ha smesso di contrarsi, ma dall'altro non è nemmeno cresciuta, e non sembra esserci alcun mutamento politico all'orizzonte in Grecia tale da contrastare l'enorme crollo della domanda interna e la disoccupazione. Il FMI non suggerirà certo alla Grecia di uscire dall'euro adesso, vista la preponderanza di voti europei nel suo consiglio direttivo, ma la sua ultima analisi suggerisce alcune idee interessanti.
Sì ma far uscire la Grecia dall'euro non significa mollare la presa, questo dovreste dirlo.
RispondiEliminaLa Grecia ha bisogno di un accesso ai mercati e al sistema finanziario sennò sarebbe uscita per i fatti suoi subito dopo il referendum.
Né Schauble e il FMI prenderebbero in considerazione l'ipotesi se comportasse solo la perdita dei crediti.
Occorre una alleanza dei movimenti anti euro, sia quelli di destra che di sinistra, che a sua volta faccia capo al populismo trumpista.
In Grecia sono pronti?
Questo mi preoccupa, il paese più martoriato dall'euro e dalla UE ha ancora una maggioranza di elettori che vogliono restare.
Mi sono dimenticato di mettere un link con i sondaggi in Grecia.
RispondiEliminaDell'8 febbraio 2017.
http://greece.greekreporter.com/2017/02/08/greek-conservative-party-continues-to-lead-in-polls-leaving-leftist-govt-11-8-points-behind/
Il primo partito oggi sarebbe ND...il 71,4% dei greci vuole restare nell'euro...ci si rende conto?
L'unica speranza è che nella attiale lotta tutta interna all'establishment fra élite opposte si apra uno slot di vuoto di potere che consenta ai cittadini di aprire gli occhi prendendo finalmente coraggio.
Ma è difficile.
Leggere articoli come quello che ho linkato è sconfortante