Daniel Hannan sul Sun espone la posizione di chi ha sostenuto e sostiene la Brexit, ma vorrebbe evitare fastidiosi confini coi propri vicini (per la Gran Bretagna, soprattutto con l'Irlanda) e al contempo stare fuori dall'unione doganale della UE. La risposta ideale esiste già: la Svizzera, il cui confine è attraversato ogni giorno da milioni di persone, senza barriere militarizzate, ma anche mantenendo la piena autonomia sull'imposizione dei dazi (chi importa in Svizzera può dichiarare facilmente tutto online). È contro l'interesse dei britannici rimanere nell'unione doganale dopo l'uscita dalla UE, perché questo imporrebbe loro di seguire la stessa politica dei dazi del resto della UE, senza che i partner commerciali siano vincolati a reciprocare, ma c'è chi sta cercando la soluzione peggiore per la pessima ragione di far pagare un costo per la Brexit.
di Daniel Hannan, 24 aprile 2018
Personalmente attraverso il confine tra l’Unione Europea e la Svizzera ogni mese. E non ci farei nemmeno caso, se non sapessi che è lì.
La maggior parte degli spostamenti tra i paesi UE e i loro vicini non sono presidiati. Alcuni sono proprio invisibili.
È vero che ci sono delle cabine sul posto di frontiera con la Svizzera, ma queste servono per lo più a garantire che i veicoli stranieri comprino i contrassegni stradali per poter circolare sulle strade svizzere. I punti di dogana risalgono a quando gli esportatori non potevano ancora presentare le proprie dichiarazioni via internet.
Il confine svizzero è attraversato ogni giorno da 2,4 milioni di persone – si tratta di un numero colossale per un paese con una popolazione di appena 8,4 milioni di abitanti.
E 440.000 cittadini svizzeri vivono in UE, una proporzione molto maggiore [rispetto alla popolazione complessiva] se confrontati ai 1,2 milioni di britannici nella stessa condizione.
La Svizzera riesce a vendere [esportare] verso la UE, per ciascuno dei propri cittadini, cinque volte di più di quanto faccia la Gran Bretagna.
Ma qui è il punto. La Svizzera sta fuori dall’unione doganale della UE, e lì praticamente nessuno vorrebbe farne parte.
La Svizzera è la risposta a quelli che dicono che l’unione doganale è il modo migliore per evitare un inopportuno confine con l’Irlanda.
O, almeno, è una mezza risposta. L’altra mezza è la Turchia.
La Turchia è l’unico paese, ad eccezione dei microstati come Monaco, che sia nell’unione doganale pur essendo al di fuori della UE. Nonostante ciò la sua frontiera è molto più presidiata dalla polizia di quanto lo sia quella svizzera.
Nella foto sopra, confine tra Turchia e UE (in Bulgaria)
In altre parole, essere in un’unione doganale non fa scomparire i confini.
Ma se vogliamo rendere i confini il più discreti possibile, la Svizzera è il miglior punto di riferimento da cui partire.
Il suo accordo di libera circolazione con i suoi vicini è simile a quello che già esiste tra il Regno Unito e l’Irlanda.
E in effetti le cose con l’Irlanda dovrebbero andare anche in modo più facile. Ogni giorno 23.000 camion trasportano beni per milioni di euro tra il confine svizzero e quello UE.
A confronto, più del 90 percento del commercio tra Regno Unito e Irlanda è est-ovest anziché nord-sud.
Certo, il modo di evitare i controlli in Irlanda sarebbe quello di avere un ampio accordo commerciale tra Gran Bretagna e UE, che fornisca un reciproco riconoscimento. È su questo che Theresa May sta lavorando fin dall’inizio.
Ma allora perché gli eurofili di qui stanno lavorando con Bruxelles per rendere l’Irlanda un ostacolo a un simile accordo?
Non dovrebbero tutti, sia i sostenitori del Remain che quelli del Leave [cioè sia i pro che contro la Brexit, NdT] essere favorevoli al più ampio accordo possibile con i nostri vicini?
Ci sono diverse motivazioni in atto, alcune delle quali piuttosto spiacevoli. Gli eurocrati credono, evidentemente, che se la Brexit sarà sufficientemente dura, alla fine faremo marcia indietro e resteremo.
In assenza di quello, vogliono tenerci bloccati nel loro accordo commerciale perché, come ha spiegato Katya Adler della BBC, sono terrificati all’idea di avere un “paese ultra-competitivo” al proprio confine.
Alcuni parlamentari anti-Brexit vorrebbero capovolgere l’esito del referendum. “Guardate”, sembrano voler dire, “l’accordo commerciale promesso da chi ha voluto la Brexit non ci viene offerto. Dobbiamo ripensarci”.
Certo, è il loro stesso comportamento che fa temporeggiare Bruxelles. Perché mai dovrebbero firmare un ampio accordo commerciale, se il Parlamento britannico sembra potergli offrire qualcosa di molto meglio, e cioè una sottomissione permanente dei britannici alle regole UE?
Il ministro degli esteri Boris Johnson avrebbe detto privatamente che, senza un’uscita dall’unione doganale e il recupero del nostro diritto a siglare accordi commerciali indipendenti, la Brexit non ha nemmeno senso di esistere.
Ha totalmente ragione. Alcuni vedono la permanenza nell’unione doganale come una specie di compromesso. Se fosse vero potrebbe aver senso.
Il voto per la Brexit, dopotutto, non è stato a valanga. Dovremmo quindi cercare dei compromessi, restare in alcuni programmi della UE, permettere ai cittadini dei paesi UE di venire a cercare lavoro, e magari rientrare nella Associazione europea di libero scambio.
Ma restare nell’unione doganale non è un compromesso, non è come mangiare un hamburger a media cottura perché metà della nazione lo voleva ben cotto e l’altra metà lo voleva al sangue. Sarebbe più come buttare l’hamburger nel cestino e mangiarsi il tovagliolo.
Come ha notato Lord Hill, il nostro ex Commissario Europeo fermamente anti-Brexit, sarebbe come lasciare che Bruxelles ci detti il proprio accordo commerciale coi paesi non-UE senza che noi potessimo profferire parola. La realtà è ancora peggio.
Se la UE dovesse raggiungere un accordo commerciale, diciamo, con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna dovrebbe rispettare ciascun singolo punto deciso dalla UE a 27 paesi [cioè senza la Gran Bretagna, NdT]. Ma gli Stati Uniti, a quel punto, potrebbero anche decidere di non rispettare lo stesso patto con la Gran Bretagna singolarmente.
I laburisti lo sanno perfettamente. Come ha detto il loro portavoce Barry Gardiner: “La UE potrebbe fare un accordo con qualsiasi paese – diciamo con l’America – e noi nel Regno Unito vi saremmo vincolati.
“Dovremmo accettare la liberalizzazione del nostro mercato. E perché mai l’America dovrebbe darci lo stesso accesso, quando ha ottenuto tutta la liberalizzazione che voleva del nostro mercato?”
Proprio così, Barry.
Lo ha detto, ovviamente, prima che i laburisti vedessero in questo un’opportunità per mettere in imbarazzo il governo, o perfino per indire nuove elezioni, e allora hanno cambiato posizione.
Oggi Barry vuole mantenere un accordo a cui Jeremy Corbyn si era opposto ancora pochi mesi fa, a gennaio, sostenendo l’argomento indiscutibilmente socialista secondo il quale l’unione doganale “ci protegge dai paesi in via di sviluppo”.
I laburisti stanno incredibilmente sostenendo uno di quegli aspetti della UE a cui si erano sempre opposti, tornando così direttamente agli anni ’50.
Vogliono mantenere in opera dei dazi che non solo danneggiano molti paesi poveri, ma causano anche l’aumento del costo del cibo, del vestiario e delle scarpe in Gran Bretagna, colpendo così le famiglie a basso reddito delle quali i laburisti vorrebbero ergersi a paladini.
Nessun altro paese confinante accetterebbe simili termini dell’accordo. Non lo farebbero gli svizzeri, né i norvegesi, né i serbi, né gli albanesi. Perfino l’entrata della Turchia nell’unione doganale è solo parziale, ed è intesa come un primo passo verso una piena appartenenza.
Ankara è stata a gemere per su questo per 20 anni, e per buoni motivi.
I laburisti, assieme ai liberal democratici, all’SNP e ad alcuni conservatori ribelli, stanno chiedendo un accordo peggiore di quello che esiste per qualsiasi paese confinante con la UE.
Non possiamo dare la colpa agli eurocrati se si approfittano delle nostre debolezze. Dobbiamo dare la colpa a quei parlamentari britannici e ai loro simili che creano questa situazione.
Avrebbero ogni diritto di cercare di ammorbidire la Brexit. E invece stanno sostenendo ciò che sanno essere un pessimo esito nella speranza di capovolgere il voto popolare.
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