Dal blog Goofynomics di Alberto Bagnai traduciamo un post in inglese, principalmente rivolto agli investitori internazionali o comunque a un pubblico non esperto delle cose italiane, in cui, facendo riferimento a un articolo di Reuters, ne dimostra l'inesattezza, se non la tendenziosità. In giornate in cui il nostro paese si trova sotto attacco per la legittima volontà del suo governo di attuare un programma di rilancio dell'economia, che rischia l'asfissia, gli esempi di un'informazione imprecisa o volutamente manipolativa, che arriva a sfiorare il procurato allarme, si moltiplicano, purtroppo soprattutto in Italia. E invece qualcuno che parla chiaro, inaspettatamente, lo troviamo proprio in Germania...
di Alberto Bagnai, 14 ottobre 2018
I mercati sono nervosi, e li capisco bene. A volte le informazioni che ricevono dall’Italia sono davvero terrificanti! Li inviterei però a prenderle cum grano salis.
Prendiamo per esempio questo articolo, pubblicato qualche ora fa da Reuters. Mi concentrerò solo su una delle molte affermazioni discutibili: l’idea che il governo italiano programmi di “triplicare il deficit l’anno prossimo, facendo marcia indietro sulla precedente promessa di ridurlo”.
Ho provato a leggere questa frase con gli occhi di un investitore internazionale, comprensibilmente all’oscuro dei fatti e dei dati fondamentali dell’economia italiana, che conosce poco o nulla delle modalità con cui la legge di bilancio è scritta, discussa e approvata.
Prese alla lettera, queste parole significano che il governo italiano ha deciso di triplicare il deficit di bilancio del 2019 rispetto al valore di quest’anno. Quest’ultimo per ovvie ragioni non è ancora noto, ma secondo la maggior parte delle stime (incluse quelle del governo) è probabile che sarà all’1,8% del PIL. Poiché 1,8x3=5,4, gli investitori internazionali potrebbero concludere che il governo italiano programmi di espandere il deficit di bilancio oltre il 5% del PIL. Le loro preoccupazioni sarebbero del tutto giustificate.
Fortunatamente, tutti sanno che il dato corretto è 2,4: meno della metà del dato suggerito da Reuters. Da dove viene allora questo “triplo”? Per capirlo servono un po’ di informazioni di contesto. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) stabilisce un piano triennale per la politica di bilancio italiana, dove uno scenario di riferimento (il cosiddetto “tendenziale”, ovvero l’andamento previsto a politiche invariate) viene confrontato con uno scenario controfattuale (il cosiddetto “programmatico”, ovvero uno scenario che prende in considerazione il programma economico del governo). E ora possiamo spiegare questo presunto “triplo” prendendo 2,4 (il dato corretto) e dividendolo per 3: 2.4/3=0.8.
I mercati potrebbero avere dimenticato questo dato. Io no, perché lo scorso maggio ho riferito sul DEF al Senato della Repubblica Italiana: 0.8 era il rapporto deficit/PIL nel “tendenziale” proposto dal precedente governo.
Il resoconto di Reuters è quindi inesatto sotto almeno altri due aspetti. Primo, perché sarebbe inutile confrontare un dato “tendenziale” (non aggiornato, tra l’altro) con uno “programmatico”. In altre parole, nessuno sa cosa avrebbe fatto il Partito Democratico a settembre se fosse stato ancora in carica. Abbiamo abbastanza elementi per sospettare che avrebbe aumentato il suo dato “programmatico” di settembre rispetto al suo “tendenziale” di maggio, come in molti altri casi, ma questa è una questione discutibile. Non può essere fatto nessun confronto sensato tra il nostro 2,4 e il loro 0,8. Il secondo motivo per cui il resoconto di Reuters è errato è che l’attuale governo ad aprile non era in carica: quindi è in ogni caso sbagliato sostenere che sta “facendo marcia indietro”. Il governo italiano non ha fatto marcia indietro: è cambiato. Sospetto che qualcuno a Reuters possa essere dispiaciuto per questo, e me ne rammarico, ma non è colpa mia: è la democrazia.
Per farla breve: non c’è stata nessuna triplicazione del deficit, non c’è stata nessuna marcia indietro. C’è invece un grave problema di qualità dell’informazione. L’informazione, ancora più del denaro, è la materia prima più preziosa per chi lavora nei mercati. Spero che queste persone siano consapevoli del problema, e c’è qualche segnale che effettivamente lo sono.
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