Il "chicken game", ovvero “gioco del pollo” (o del coniglio) è, nella teoria dei giochi, un contesto così esemplificabile: due auto si dirigono a tutta velocità l'una contro l'altra; entrambi gli automobilisti contano sul fatto che sarà l'altro a spaventarsi, cedere e sterzare per primo, diventando il “pollo” - ovvero il codardo – della situazione. Se ciascuno dei due tira dritto, però, lo scontro sarà inevitabile, così come il disastro per entrambi.
Ed è proprio questo, secondo Ambrose Evans-Pritchard, giornalista del Telegraph e uno dei più attenti commentatori della politica economica italiana ed europea, il pericoloso gioco che Juncker sta consapevolmente conducendo nei confronti del Governo italiano, per mettere sotto stress il sistema bancario. E funziona.
Le autorità dell'UE, spiega il giornalista, contano sui mercati: all'aumentare dei tassi, sperano, la paura per la tenuta del sistema bancario spingerà l'opinione pubblica italiana verso più miti consigli.
Il gioco però è rischioso, secondo Pritchard. Se si va troppo oltre, infatti, l'Ue rischia di scatenare essa stessa una crisi di credito che travolgerebbe il sistema bancario italiano e la caduta in una spirale di recessione che si autoalimenta, provocando esattamente ciò che vuole evitare.
Secondo Evans-Pritchard i margini del gioco sono stretti, la tattica è rischiosa, perché l'economia italiana negli ultimi mesi ha rallentato. E sgombra il campo da tecnicismi e ipocrisie: non sono certo i punti percentuali di deficit previsti nel Def italiano che sono in questione, afferma. È invece una questione tutta politica. “Nell'Ue c'è qualcuno che punta a mettere in ginocchio l'Italia”, come ha detto Matteo Salvini, citato da Evans-Pritchard nell'articolo.
“Quando Jean-Claude Juncker questa settimana si è scagliato contro i ribelli della Lega - Movimento Cinque Stelle agitando lo spettro di una 'nuova Grecia', ha volutamente gettato benzina sul fuoco. Era una strategia calcolata […] Ciò che i mercati dei bond temono in questo momento è un'escalation della battaglia tra l'alleanza Lega – Cinque Stelle e Bruxelles, che - se mal gestita – comporta il rischio di un'uscita italiana dall'euro e la rottura dell'unione monetaria.”
Le conseguenze, come spiega Evans-Pritchard, sono quelle note: “Il rischio di denominazione, diverso dal normale rischio di insolvenza. Che si può isolare e misurare confrontando l'andamento dei prezzi di diverse annate di credit default swap con contratti legali diversi. La componente è in forte rialzo.”
Secondo Evans-Pritchard, “Bruxelles potrebbe avere ragione nel calcolare che Roma cederà e che gli eterni 'poteri forti' dell'establishment italiano piegheranno i ribelli o li compreranno.”
Ma avverte anche che per ora non è successo: e cita le recenti affermazioni di Di Maio sul fatto che chi spera in un'inversione di rotta si illude.
Evans-Pritchard – pur definendo illusorie le promesse di Di Maio sul fatto che la maggior crescita ripianerà il deficit - mette anche in fila una serie di punti di forza italiani, abitualmente taciuti dalla nostra stampa mainstream e quindi poco noti all'opinione pubblica: che l'Italia in rapporto al bilancio UE è un contribuente netto; il nostro avanzo nelle partite correnti, ovvero nella differenza tra esportazioni e importazioni, di 2,8 punti percentuali del PIL; le dimensioni del nostro settore manifatturiero, maggiori di quello della Francia o della Gran Bretagna. Inoltre sottolinea come con un avanzo di bilancio primario come il nostro - a differenza della Francia, che peraltro ha ripetutamente violato il Patto di stabilità - potremmo passare tecnicamente alla lira senza temere una crisi di sostenibilità del debito.
Quanto al nostro debito pubblico, Evans Pritchard ricorda che è di 2.300 miliardi di euro, cui aggiunge un ulteriore debito di 500 miliardi di dollari alla Banca centrale europea attraverso il sistema di pagamenti Target2 (che si tratti di un reale debito anche in questo caso è questione notoriamente controversa), ma sottolinea che può essere convertito unilateralmente in lire secondo le regole della Lex Monetae.
Inoltre Evans -Pritchard nota che al minimo cenno che l'Italia fosse in procinto di lasciare l'euro - e o convertire i debiti in lire o fare default – si scatenerebbe immediatamente il contagio in Portogallo, Spagna e Grecia. I creditori tedeschi rischierebbero un taglio del loro credito da un trilione di euro. Per evitarlo, la Germania e gli altri Paesi del Nord dovrebbero accettare quello che finora hanno ostinatamente rifiutato: il grande balzo in avanti verso l'unione fiscale, sostenuta da una banca centrale con pieni poteri di prestatore di ultima istanza. Ma Evans-Pritchard non sembra molto ottimista sul realizzarsi di questa ipotesi.
In caso di dissoluzione dell'Eurozona – messa a rischio anche dalla fine degli acquisti di obbligazioni da parte della BCE, a fine anno, che lascerà gli stati del Sud Europa esposti alle forze del mercato – Evans-Pritchard fa notare che si potrebbe parlare di “distruzione reciproca assicurata”, ma sottolinea che
“l'Italia avrebbe almeno qualche effetto di compensazione: un vantaggio competitivo dovuto alla tanto necessaria svalutazione (il tasso di cambio reale è del 20% troppo alto) e una ripartenza dopo il taglio parziale del debito. È difficile invece vedere quale potrebbe essere il lato buono della medaglia per Germania, Olanda o Francia. Quindi chi ha davvero il coltello dalla parte del manico? - continua - L'Italia non assomiglia alla Grecia, dove il gruppo dirigente pro-Syriza voleva strenuamente rimanere nell'euro. La Lega e i Cinque Stelle affondano le loro radici nell'euroscetticismo. Il loro piano di riserva per una valuta parallela – i "minibot" - è inserito nel contratto di governo dell'alleanza. Se gli spread delle obbligazioni salgono a livelli che soffocano il sistema bancario, il governo può in qualsiasi momento emettere carta sostitutiva come una liquidità alternativa a fini fiscali e contrattuali, sovvertendo l'unione monetaria dall'interno.”
Evans-Pritchard cita diversi elementi a sostegno della posizione italiana sull'euro. Tra questi, la ormai celebre recente dichiarazione di Claudio Borghi a Radio Uno, quando disse (ripetendolo peraltro per l’ennesima volta) che sua convinzione è che tornare alla propria moneta per l’Italia sarebbe meglio, anche se non è nel programma di governo e richiede il consenso dei cittadini. Secondo Evans-Pritchard l'Ue sta cadendo in una trappola, ovvero sta spingendo la situazione talmente al limite che finirà col creare proprio il consenso necessario per l'uscita dall'euro. Nell’articolo sono citati inoltre i documenti sul “piano B” di Paolo Savona.
E conclude così Evans - Pritchard:
“Le agenzie di rating sono pronte a muoversi. Potrebbero perdonare l'allentamento fiscale se i soldi fossero spesi per investimenti che aumentassero la velocità di crescita economica dell'Italia, ma non per invertire la riforma pensionistica e per un reddito di base universale […] Il piano di abbandonare il consolidamento fiscale per i prossimi tre anni lascia il paese ancora più vulnerabile a un cambio di rotta del ciclo economico e dei tassi di interesse. [...] L'aumento dei tassi erode il capitale delle banche italiane, che possiedono un quarto del debito pubblico negoziato e fanno affidamento sui mercati dei capitali all'ingrosso per il 21% del loro finanziamento. […] Siamo tornati al nostro vecchio amico della crisi della zona euro, il circolo vizioso. Titoli di debito pubblico e banche possono ancora abbattersi a vicenda in un effetto a spirale. Questo è il difetto fondamentale di un'unione monetaria senza un prestatore automatico d'emergenza. Difetto che l'Ue non ha mai sanato. Juncker potrebbe riuscire a terrorizzare l'Italia fino a indurla alla sottomissione nelle prossime settimane. Ma potrebbe invece appiccare l'incendio che brucerà la sua casa europea.”
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