Charles Gave, sul blog francese dell'Institut des Libertés, parla dei guai finanziari della Turchia, che si trova di fronte all'improbabile sfida di dover rinnovare una quota di debito estero pari al 30 percento del proprio PIL entro un anno. Molte grandi banche europee sono esposte verso la Turchia, e potrebbero subire pesanti perdite. In questo contesto, la necessità dei governi di ricapitalizzare alcune delle proprie banche potrebbe cozzare con le "regole europee". L'Italia, con un forte surplus sia nei conti con l'estero sia nel bilancio primario (e con un governo spregiudicato), avrebbe i migliori incentivi a uscire dall'euro, dato che nella situazione attuale non avrebbe la necessità di finanziarsi sui mercati internazionali. L'articolo è di fine maggio, ma ancora attuale.
di Charles Gave, 28 maggio 2018
Qualche mese fa spiegavo ai lettori dell’Institut des Libertés che il prossimo paese a saltare sarebbe stata la Turchia – il paese del buon Erdogan, ben noto difensore dei diritti umani, posto che si parli di Palestina e non di Siria.
Adesso ci siamo.
Qualche cifra: circa 180 miliardi di dollari di debito estero della Turchia giungeranno a scadenza nel corso dei prossimi 12 mesi. A questo importo dobbiamo aggiungere circa 50 miliardi di deficit delle partite correnti, che dovranno a loro volta essere finanziati. La somma totale è pari a circa il 30 percento del PIL turco, mentre le riserve valutarie interne ed esterne ammontano a poco meno del 20 percento del PIL.
Oops…
Questo sembra indicare che c’è un problema di “liquidità” a breve, brevissimo termine.
E improvvisamente la lira turca comincia ad accartocciarsi su se stessa, e questo aggrava il problema, perché il debito è denominato in dollari o in euro, i tassi d’interesse a breve termine sono ai massimi, e a mio avviso il FMI è sul punto di prenotare dei biglietti (di prima classe, ovviamente, perché queste persone viaggiano esclusivamente in prima classe) per fare visita al caro Receip nel suo gran palazzo alle porte di Ankara.
In un certo senso è tutta routine.
Può essere.
Ma le cose cominciano a diventare davvero interessanti quando in tutta questa equazione si inseriscono le banche europee.
Secondo le statistiche ufficiali (che ancora sottovalutano la realtà) la Turchia è indebitata verso le banche per 450 miliardi di dollari… principalmente si tratta di banche europee, e indubbiamente che tra queste ci saranno i soliti sospetti come Deutsche Bank, Crédit Agricole, ING, Unicredit e Socgen.
E con un debito del genere ciò che si profila all'orizzonte non è solo un problema di liquidità, ma anche un problema di solvibilità.
Liquidità + Solvibilità = grossi guai in vista. E ci saranno elezioni anticipate a giugno in Turchia, destinate a consolidare il potere già assoluto del signor Erdogan.
Sembra dunque probabile che le banche non riavranno indietro che una piccola parte del denaro che avevano prestato alla Sublime Porta [metafora per indicare il governo dell’Impero Ottomano, NdT], e che nessuno sappia esattamente quando questi ipotetici rimborsi saranno effettuati.
Le suddette banche saranno costrette a subire perdite sulle loro esposizioni verso la Turchia fino al 50 percento del valore, ovvero circa 225 miliardi di dollari. Si tratterebbe di un duro colpo alla già precaria solvibilità delle nostre care (oh, certo!) istituzioni finanziarie, perché tali esposizioni saranno detratte dai loro propri fondi, che per alcune sono già quasi in negativo.
In effetti, come già tutti dovrebbero sapere, i crediti in sofferenza di queste stesse banche sono di circa 1000 miliardi di euro, una cifra già mostruosa.
Nel caso di un fallimento della Turchia si passerebbe ad almeno 1200 o 1300 miliardi di euro.
Poiché una tale somma sarebbe più grande del capitale delle banche stesse, ciò renderebbe sempre più difficile nascondere il fatto che una gran parte di essere è praticamente già fallita.
E quando i depositari se ne accorgeranno, è probabile che andranno a fare un salto in banca a prelevare tutti i loro risparmi. Avremmo dunque una “corsa agli sportelli” come nel diciannovesimo secolo…
Inoltre mi chiedo se queste banche europee, non contente di concedere prestiti alla Turchia anziché alle piccole e medie imprese francesi o italiane, non si siano avventurate anche a prestare fondi in… dollari statunitensi. Niente di più facile: la filiale americana della banca emette carta commerciale sul mercato di New York, poniamo all'uno percento, e la ripropone alle istituzioni turche al due percento. Ma se l’istituzione turca fallisce, allora la banca si troverà a corto della cifra in dollari che ha prestato. E allora la banca dovrà iniziare a coprire le proprie posizioni convulsivamente, generando un aumento del valore del dollaro, che non fa che fiaccare ancor di più la povera Turchia.
E di colpo il valore dei titoli bancari europei crollano con un tonfo, e questo rende del tutto impossibile qualsiasi aumento di capitale. Non vedo chi potrebbe sottoscrivere un aumento di capitale quando la gran parte di queste banche si trova tecnicamente in bancarotta, con un ammontare di fondi propri inferiore alla somma dei crediti in sofferenza. In effetti, perché dovrei pagare oggi per sottoscrivere un aumento del capitale o comprare una banca in Europa coi tempi che corrono?
E quindi non è affatto impossibile che le nostre élite finanziarie siano obbligate a fare un saltino a Bruxelles per chiedere nuovi aiuti vari ed eventuali in termini di ricapitalizzazioni, vantaggi fiscali, autorizzazioni alla fusione con un concorrente, sotto la semplice condizione di trasferire qualche migliaio di piccoli impiegati o altro del genere.
E tutte le persone del vecchio continente si renderanno conto da sole che i cosiddetti sforzi fatti da loro e solo da loro per “salvare” le banche dopo i disastri del 2008-2009 e del 2011-2012 non saranno serviti assolutamente a nulla.
Ed è qui che rischia di intervenire il nuovo governo italiano, il terzo personaggio di questo antico dramma, la cui condizione passa da interessante ad appassionante.
I due partiti arrivati oggi al potere in Italia hanno fatto una campagna elettorale usando un messaggio semplice e di buon gusto, che riassumo liberamente così:
“Le élite europee sono incompetenti e corrotte, il progetto monetario comune (l’euro) è un’indicibile idiozia, ed è prioritario cambiare le prime e abbandonare il secondo. Di fatto e di diritto, le decisioni importanti in materia di moneta, di credito e banche, devono essere tolte a Bruxelles e riportate a livello nazionale”.
Ecco qui qualcosa di cui sono ben sicuro e di cui la maggior parte dei lettori dell’Institut des Libertés è convinta.
Immaginiamo ora che una grande banca italiana sia pesantemente esposta verso la Turchia.
Immaginiamo che questa banca italiana si trovi in difficoltà e chieda al governo italiano di essere salvata. Questo è formalmente vietato da quei geni che ci governano da Bruxelles.
Sarebbe una vera provocazione per il nuovo governo italiano, che in nessun caso potrebbe lasciar crollare una delle sue banche senza innescare una vera depressione in Italia.
Ecco la situazione dell’Italia oggi:
- Un avanzo dei conti con l’estero pari al 3,5 percento del PIL
- Un avanzo primario di bilancio (vale a dire prima di dover pagare gli interessi sul debito) pari al 2 percento del suo PIL
- Un debito la cui durata è aumentata significativamente dopo il 2012
- Un debito che è per la maggior parte detenuto da italiani
Vale a dire, in caso di uscita dall'euro i nostri cugini latini non avrebbero assolutamente bisogno di finanziarsi sui mercati internazionali.
E questo è ben lungi dall'essere il caso della Francia…
L’Italia non è mai stata in una posizione così favorevole per uscire dall'euro e dall'Unione Europea.
Senza dubbio la Gran Bretagna sarebbe ben lieta di iniziare immediatamente dei negoziati con il nuovo governo italiano per un trattato commerciale.
Ho sempre detto e scritto che sarà l’Italia a suonare la campana dell’uscita dall'euro.
Potremmo essere vicini a quel punto.
Il momento di comprare massicciamente in Europa si sta avvicinando. Ma per ora tenete la vostra polvere all'asciutto, bene all'asciutto, e tenetela dovunque ma ben lontana dall'euro.
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