Dobbiamo leggere un sito chiamato “The Globalist” per vedere affermata una banale verità economica che il nostro presidente dell’INPS ribalta impunemente. Gli attuali flussi migratori non sono un aiuto, ma un futuro peso per le casse degli stati europei. Il caso più clamoroso è quello tedesco, dove a dispetto di un rapporto debito/PIL che appare in rapida diminuzione, le politiche di Angela Merkel hanno avallato un sistema pensionistico insostenibile e una massa di immigrati che, anziché “pagare le pensioni” ai tedeschi, ambiscono a usufruire dei loro generosi sussidi sociali.
di Daniel Stelter, 3 Ottobre 2018
Fin dalla sua fondazione nel 1949, la Repubblica Federale Tedesca è sempre stata nota per la sana gestione di bilancio, specialmente per quel che riguarda la finanza pubblica.
La cosa non vale più. Un’occhiata più approfondita alle finanze del governo tedesco rivela che non è vero che il governo sta riducendo il proprio debito. Il rapporto debito/PIL ufficiale può anche migliorare, ma, se calcolato correttamente, il livello del debito sta in realtà aumentando.
Il governo tedesco utilizza una contabilità fiscale. Questo significa che guarda solamente alle spese e alle entrate di un dato anno, e la differenza risultante porta a un deficit o a un surplus di bilancio.
La imprese usano un metodo diverso – a ragione. Considerano anche le passività future, come il pagamento delle pensioni. Ogni impegno di futuri pagamenti aggiuntivi deve essere contabilizzata nei bilanci e porta a maggiori passività future.
Paragoni dal mondo reale
Nel mondo reale, la stessa cosa vale per le promesse del governo, come i futuri esborsi per la sanità e le pensioni. Ogni volta che il governo cambia la legge provocando un aumento degli impegni di pagamento futuri, come abbassare l’età pensionabile e/o promettere pensioni più alte, incrementa le passività future e di conseguenza il livello generale di debito del governo.
Questo non avviene nel mondo surreale della politica. La ragione è semplice: se la Germania usasse metodi contabili appropriati, tutti capirebbero immediatamente che le promesse fatte incrementano il livello di debito pubblico significativamente.
A dispetto della sua immagine di affidabilità e prudenza, durante il regno di Angela Merkel il livello del debito della Repubblica federale è aumentato del 12% del PIL nel solo 2016, a causa dell’aumento dell’importo delle pensioni e della diminuzione dell’età pensionabile.
Le conseguenze non sono un mistero. In un rapporto, il ministro delle finanze tedesco sottolinea questi oneri e calcola che, per evitare un aumento futuro delle tasse, già oggi sarebbe necessario accantonare una cifra tra l’1,2% e il 3,8% del PIL ogni anno. Significa una cifra tra i 36 e i 115 miliardi di euro.
Doppiamente Stupidi
Il governo tedesco sta perseguendo una politica veramente strana. Da una parte, non investe nel paese, compromettendo in questo modo la sua futura capacità di generare reddito e ricchezza e indirizzando i risparmi tedeschi all’estero, provocando degli insostenibili avanzi commerciali. Dall’altra parte, aumenta le sue passività nascoste, che diventeranno un peso insostenibile in futuro.
L’attuale governo, che consiste in una grande coalizione (ristretta) della CDU/CSU della Merkel e dei Social Democratici (SPD), continua a muoversi nella stessa direzione a tutta velocità. Gli investimenti verranno ulteriormente ridotti mentre i livelli delle pensioni verranno garantiti per un periodo ancora più lungo. Nel 2045, questa sola decisione si stima che porterà a spese aggiuntive per 100 miliardi di euro all’anno.
Il livello totale di passività senza copertura è stimato di un ordine di grandezza pari a 3500 miliardi di euro. Di questi, almeno 1000 miliardi sono il risultato delle politiche messe in atto dai governi di Angela Merkel negli ultimi 12 anni.
La fallimentare politica dell’immigrazione
Una delle possibili soluzioni al dilemma che si trova ad affrontare la Germania – alte spese per pensioni e stato sociale in una società che invecchia e diminuisce di numero rapidamente – sarebbe quella di attrarre immigrati. Anche se c’è un ampio consenso politico su questo obiettivo, quello che molti dimenticano è che l’immigrazione porta un beneficio netto per la società solo se gli immigrati sono produttivi tanto quanto la popolazione esistente. La partecipazione al lavoro e il reddito medio devono essere allo stesso livello.
E qui casca l’asino. Già prima della crisi migratoria del 2015, le politiche di immigrazione tedesche in atto fin dal 1960 non hanno raggiunto questo obiettivo. Abbiamo ormai decenni di statistiche economiche credibili che indicano come la maggior parte degli immigrati da paesi islamici – che rappresentano una parte molto ampia della popolazione immigrata in Germania – hanno una probabilità decisamente più alta di essere poveri e di ricevere sussidi sociali.
La partecipazione alla forza lavoro e il reddito medio sono quindi significativamente più bassi rispetto alla popolazione originaria. In futuro, non si prevede alcun miglioramento. Piuttosto il contrario. Una delle ragioni principali della recente ondata di immigrazione risiede nel fatto che molti immigrati sono attratti dai livelli generosi dello stato sociale tedesco.
I migranti meglio qualificati e istruiti preferiscono decisamente gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia. Trovano che queste destinazioni anglofone siano più attraenti non solo perché non presentano problemi di lingua, ma anche a causa dei loro livelli molto più bassi di tassazione e contributi sociali.
Pertanto, invece di operare brillantemente nel campo dell’immigrazione – assicurandosi il finanziamento dello stato sociale per i cittadini originari tedeschi – il tipo di immigrazione che la Germania sta attualmente abbracciando porta in realtà a un più alto onere finanziario e a ulteriori aumenti delle passività nascoste del governo tedesco.
Gli idealisti si girano dall’altra parte
Nessuno degli idealisti così appassionati di immigrazione incontrollata si degna di comprendere o di preoccuparsi di questa realtà economica. Curiosamente, non si accorgono nemmeno dell’incoerenza tra il loro chiaro grido di dolore per la povertà degli anziani e le politiche migratorie che favoriscono.
Ogniqualvolta si tratta di politiche migratorie, i fatti rimangono fatti. L’onda di immigrazione incontrollata dovuta alle politiche di “frontiere aperte” di Angela Merkel ha aggravato il problema. Gli immigrati provenienti da paesi islamici hanno una partecipazione alla forza lavoro più bassa e in media hanno redditi significativamente più bassi degli altri gruppi di immigrati e della popolazione originaria tedesca.
Il solo costo futuro risultante dall’ondata migratoria del 2015 è stimato nell’ordine di grandezza di 900 miliardi di euro. Se i figli di questi immigrati non si dovessero integrare nel mercato del lavoro – il che, date le esperienze precedenti, è molto probabile – il costo totale può facilmente raggiungere 1500 miliardi di euro, secondo gli studi attuariali del Professor Raffelhüschen dell’università di Friburgo
La lista è lunga
Paragonati a queste cifre, gli altri oneri finanziari creati dai governi di Angela Merkel – per quanto siano notevoli – quasi svaniscono. La famosa, ma fallita, “Rivoluzione Energetica” tedesca, il progetto di uscire dal nucleare e imbarcarsi in un salto incontrollato e male organizzato verso l’energia rinnovabile, costerà ai consumatori tedeschi almeno 500 miliardi di euro. I tedeschi devono già confrontarsi con prezzi energetici tra i più alti d’Europa, il doppio di quelli della Francia.
L’incapacità di risolvere le vere radici della crisi dell’eurozona – che ho illustrato diverse volte su The Globalist (qui e qui) – comporterà inoltre ulteriori oneri per la Germania. È corretto assumere che la riluttanza di Angela Merkel ad affrontare gli eccessivi oneri del debito e la divergenza delle competitività costerà alla Germania – in quale forma ancora è da vedere – almeno 1000 miliardi di euro nei prossimi anni.
Il disastro economico
Cercare di dare un valore complessivo ai danni economici prodotti da Angela Merkel e dai suoi governi negli ultimi 12 anni porta a un calcolo inquietante. Il costo totale delle decisioni politiche prese sotto il suo comando si colloca tra i 3700 e i 4700 miliardi di euro.
Ecco perché parlare della Germania come di un “paese ricco” è una buffonata. I politici tedeschi nell’Età della Merkel si sono concentrati nello spendere le ricchezze accumulate in precedenza, invece di seguire una strada prudente, ossia investire per assicurare futuri redditi e servizi sociali.
Una volta che questa consapevolezza si dovesse diffondere, possiamo solo aspettarci una significativa turbolenza politica. A nessuno piace risvegliarsi dal sogno di essere un paese ricco. In qualche modo la gente sta cominciando a riconoscere tutto quello che è andato storto negli ultimi anni, come possiamo vedere dai sondaggi.
Partita con più del 40% dei voti a livello nazionale, la CDU-CSU di Angela Merkel al momento è data al 28%. Nel frattempo, i suoi partner al governo, i Social Democratici, sono saldamente indirizzati sulla strada dell’irrilevanza politica, accreditati di un 17% dei consensi a livello nazionale.
E intanto Alternativa per la Germania (AfD) – con il suo mix di politiche anti-immigrazione e redistribuzione socialista – sta guadagnando un consenso diffuso. Sfortunatamente, questo non renderà le cose più semplici.
Conclusione
La Germania è un paese povero, e presto ce ne accorgeremo. Le prospettive non sono piacevoli e sono il disastroso risultato delle politiche di Angela Merkel.
Nessun commento:
Posta un commento