25/09/13

Krugman: Ma dove sono gli economisti pro-austerity?

Paul Krugman sul New York Times osserva come i policy makers e la scienza economica siano ormai due mondi paralleli che non si incontrano: i primi vanno avanti imperterriti, anche se la loro scienza si è dissolta - contributo di affezionato lettore :)



di Paul Krugman
traduzione di Andrea Giannini
Ho preso parte a una discussione sulla direzione del dibattito in materia di politica economica – che va nel senso opposto alla direzione dell'attuale politica economica – nel quale è stata sollevata un'interessante questione: quali sono gli economisti di spicco che perorano la causa dell'austerità fiscale? E' difficile rispondere, perché in questo frangente è dura trovare anche un solo grande economista che sposi quest'idea.


Per inciso, quando dico “di spicco” o “grande” non sto dando un giudizio personale. Posso pensare che [censura] non sia in effetti così brillante, e che non meriti la reputazione che ha; mentre posso pensare, all'opposto, che [censura] sia un economista molto migliore di tanti altri che godono di una maggior reputazione in campo professionale: ma non è questo il punto. La questione qui è quali economisti di buona reputazione e con un buon citation index [numero di citazioni ricevute, ndt] portano avanti l'idea di austerità.

E la risposta è: difficile trovarne uno. Alberto Alesina,  una volta guru della cosiddetta “austerità espansiva”, difende ancora le sue ricerche precedenti; ma non gioca più un ruolo di primo piano nel dibattito politico corrente. Reinhart e Rogoff, la cui famosa “soglia del 90 per cento” [nel rapporto debito pubblico/PIL, ndt] era considerata vangelo, provano a difendere la loro reputazione professionale e andare avanti per la loro strada, ma non si uniscono al coro di quanti continuano a chiedere l'austerità. Chi rimane?

Certo, si possono sempre trovare degli economisti che sostengono la politica del rigore nei think-tank di destra o in qualche organizzazione internazionale; ma – ripeto – qui mi interessano economisti indipendenti dalla solida reputazione, che sia giustificata o meno. E non mi viene in mente nessuno. Il fronte dell'austerity si è semplicemente dissolto.

Eppure, a quanto pare, questo non fa differenza. Paul Ryan, George Osborne, Olli Rehn o Wolfgang Schäuble hanno forse  minimamente variato il loro ritornello? No: sono troppo occupati a giustificare le loro idee aggrappandosi ad un singolo trimestre di crescita. E per quelli che amano pensare che i  dibattiti economici seri abbiano un valore, è un'esperienza mortificante.

5 commenti:

  1. Come ho avuto modo di commentare anche altrove, quanto sopra è il segnale + evidente della nave che affonda.
    Spero davvero che sia il segnale di svolta, i topi che lasciano la nave, un attimo prima di percepire come reale il rischio di affogare

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    1. Sì ma mentre i topastri, dopo essersi fatti una bella crociera a spese nostre, se ne scappano, noi affondiamo con la nave.

      E son convinto che se interrogati in merito all'effetto pratico delle loro ricette risponderanno come al tempo l'amato topastro/furbastro nostrano: ' ma noi non sapevamo' (era il braccio destro del brigante ma lui non sapeva)

      Quelli erano al timone ma diranno: ma noi non immaginavamo (le conseguenze).

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  2. Si consolasse Krugman: Alesina, con Giavazzi, è ancora sulla breccia. Preconizzano la crescita con diminuzione delle tasse finanziata da 50 miliardi di tagli alla spesa pubblica (un gigantesco crowding-out...wishful thinking) e lodano il modello dei policy makers irlandesi.
    La vecchia guardia (Osborne, Ryan e il "duo") non si arrenderà mai
    http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_12/insuperabile-tabu-italiano-alesina-giavazzi_9dd4fa3a-eab1-11e2-aab6-99ce3905fffc.shtml

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    1. Ahimé, vedo. Difende ancora le sue tesi, ma ha perduto il ruolo di primo piano che aveva, questo si può dire?

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    2. Assolutamente si, soprattutto perche', come fa intuire l'articolo, la maggior parte degli economisti preme per le politiche monetarie contro l'asuterity e pro-spesa pubblica (in alcuni casi).
      Il problema secondo me e' un altro, ed e' accennato alla fine del pensiero di Krugman: e' gente come Olli Rehn a prendere decisioni in ambito economico, ma evidentemente non e' supportata da alcun economista, evidentemente e' supportata da personaggi facenti parte di holding finanziarie e grossi fondi d'investimento.
      In soldoni, non sono gli economisti come ovvio che sia a dettare le "regole del mercato", ma sono direttamente gli speculatori finanziari a farlo, e qui mi ricollego al primo commento all'articolo: questa e' la prova che la nave sta realmente affondando.

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