di Raul Ilargi Meijer, 17 marzo 2017
(traduzione a cura di @Malk_klaM)
Le elezioni olandesi di mercoledì scorso ci hanno fornito moltissimi discorsi Orwelliani. Il partito di destra del primo ministro Mark Rutte (il VVD), in realtà “Il Partito degli Affari”, o per meglio dire “il partito di chi cerca una rendita”, ha perso qualcosa come il 20% dei seggi che aveva ottenuto nelle precedenti elezioni generali nel novembre 2012, passando da 41 a 33 seggi, ed è stato dichiarato il grande vincitore. Al contrario, il PVV, il partito di estrema destra di Geert Wilders, ha ottenuto il 25% in più dei seggi, passando da 16 a 20, ed è il grande sconfitto. [...]
L’unica ragione per cui il VVD di Rutte ha finito per essere il partito più grande ha a che fare con Wilders. Le preoccupazioni per queste elezioni avevano tutto a che vedere con i sondaggi. Wilders è tutto il suo partito e ha un solo talento. Se dovesse mai lasciare, il suo partito si dissolverebbe. E il suo unico “messaggio” è che l'Islam è una cosa brutta e dovrebbe sparire prima dall'Olanda e poi dall'Europa. Non ha altri veri punti nel suo programma politico. D'accordo, c'è anche Bruxelles. Non gli piace nemmeno quella.
Forse è per questo che ha cercato di evitare i dibattiti pre-elettorali. Il problema è che questi dibattiti attirano molti telespettatori, e molta pubblicità gratis in TV. A dirla tutta, poiché per molti aspetti Wilders è il vero nemico di se stesso, non sorprende molto che il sostegno a suo favore sia crollato, se volessimo prendere i sondaggisti olandesi più seriamente delle loro controparti americane e britanniche. [...]
Sono degli illusi tutti quelli che nell'esperienza olandese pensano di poter vedere un segno che nelle elezioni di aprile e maggio siano diminuite le probabilità per Marine Le Pen di diventare presidente. A giudicare dalle reazioni nei mercati finanziari, gli illusi sembrano essere molti. Ma la Le Pen è una figura molto meno marginale rispetto a Wilders, e di certo non evita i dibattiti. E’ vero che il suo Front National si regge su di lei, ma la Le Pen ha un programma politico molto più chiaro di Wilders.
E inoltre non ha un avversario politico come Rutte, che in patria è diventato una presenza formidabile, come sarebbe chiunque riuscisse a restare primo ministro per molti anni senza essere messo da parte. Non lo è quello che dovrebbe essere l’avversario principale della Le Pen; Hollande è del tutto fuori gioco, e non osa nemmeno ricandidarsi. Il suo partito socialista è diventato una barzelletta. Il secondo avversario più forte dovrebbe essere Francois Fillon, ma è quasi del tutto sparito da quando è formalmente indagato.
Quindi resta solo Emmanuel Macron, un indipendente senza partito e senza programma. In Francia si può venire eletti anche in queste condizioni, ma poi si finisce per avere le mani legate perché serve un Parlamento per votare le leggi.
..le sfumature del sistema politico francese hanno creato a Macron qualche piccolo problema. Il presidente trae il suo potere dal supporto di una maggioranza nella camera bassa del Parlamento, l'Assemblea Nazionale. Macron è stato ministro nei governi socialisti, ma ha lasciato nel 2016 per formare un suo movimento politico. Ora non ha nemmeno un partito, meno che mai una maggioranza. Sebbene la Costituzione della quinta repubblica francese, creata da Charles De Gaulle nel 1958, abbia allargato i poteri presidenziali, non ha permesso al presidente di governare il Paese.
Sono pochi i poteri presidenziali che non necessitano dell'autorizzazione del primo ministro. Il presidente può nominare un primo ministro, sciogliere l'Assemblea Nazionale, autorizzare un referendum e diventare un “dittatore temporaneo” in circostanze eccezionali, quando la nazione è in pericolo. Inoltre può nominare tre giudici al Consiglio Costituzionale e rinviare qualsiasi legge a questo organo. Sebbene siano tutti compiti importanti, questo non significa governare una nazione, in qualunque modo la si voglia vedere. Il presidente non può suggerire leggi, farle transitare in Parlamento e poi renderle esecutive senza il primo ministro.
Il ruolo del presidente si può definire al meglio come quello di “arbitro”. I poteri presidenziali gli danno la capacità di sovrintendere a certe operazioni e ad agire quando c'è un impedimento al normale funzionamento delle istituzioni. Quindi un presidente può intervenire se sopraggiunge una situazione grave o per sbloccare uno stallo istituzionale tra primo ministro e Parlamento, per esempio annunciando un referendum su una questione in discussione o sciogliendo l'Assemblea Nazionale.
Stando così le cose, perché tutti vedono il presidente come una figura chiave? In poche parole, è perché la Costituzione non è mai stata applicata del tutto. Qui sta la diabolica bellezza della politica francese. Una nazione che sin dalla rivoluzione del 1789 è conosciuta per l'incapacità di raccogliere delle forti maggioranze in Parlamento è stata in grado, dal 1962, di fornire delle maggioranze solide.
Forse quelli che credono che sia probabile che quanto accaduto in Olanda succeda anche in Francia sono influenzati dall'idea che entrambe le nazioni fanno parte della UE. Ma si tratta di nazioni e culture molto diverse, che hanno sistemi politici molto diversi. E la Le Pen non è Wilders. Non dice più assurdità, ha ripulito la sua immagine pubblica sbarazzandosi del padre, e tiene lontano dai riflettori gli altri estremisti che rimangono nel partito.
In Francia c’è ancora molta diffidenza sulla sua figura, ma ci sono anche molte persone che sono d'accordo con lei, con le cose che dice. Probabilmente la dichiarazione più interessante che ha fatto di recente è che si dimetterebbe se dovesse perdere il referendum sull'uscita della Francia dalla UE, referendum che intende indire se dovesse essere eletta presidente. Questo dovrebbe tenere sul chi vive Bruxelles. Marine fa le cose che dice. E potrebbe iniziare a piacere a molti francesi per questo. In un panorama politico in cui gli avversari continuano a darsi la zappa sui piedi.
Un'altra cosa sulla Le Pen è che il suo programma politico contiene alcuni punti che potrebbero essere considerati di sinistra: la settimana lavorativa di 35 ore, il pensionamento a 60 anni, una diminuzione del costo dell'energia. Il fatto è che vuole riservare queste cose ai francesi. Gli stranieri, specialmente i musulmani, non sono invitati. E poi è decisamente contraria al neo-liberalismo e alla globalizzazione:
Ne hanno fatto una ideologia. Un globalismo economico che respinge tutti i limiti, tutte le regolamentazioni della globalizzazione, e che come conseguenza indebolisce le difese immunitarie degli Stati Nazionali, spossessandoli dei loro elementi costitutivi: i confini, la valuta nazionale, l'autorità delle sue leggi e la gestione dell'economia, portando così alla nascita e alla crescita di un altro globalismo: il fondamentalismo islamico.
La popolarità della Le Pen non viene da un razzismo innato e predominante in Francia, anche se di certo almeno in parte esiste. Deriva invece dall'incredibile fallimento delle politiche francesi sull’immigrazione degli ultimi decenni. Nei sobborghi delle principali città si è permessa la formazione di ghetti nei quali le persone che vengono dalle ex-colonie francesi, specialmente dall'Africa, si sentono in trappola, senza possibilità di uscita. I francesi tendono a sentirsi superiori a tutti gli altri, e il sistema politico ha permesso che la situazione sfuggisse completamente di mano.
Ora la Francia, e l'Europa in generale, deve gestire questo pasticcio. Fino ad adesso la principale reazione europea è stata quella di trasformare la Grecia in un campo di prigionia per una nuova ondata di rifugiati e migranti. Naturalmente questo può solo peggiorare le cose. E non risolve nessuno dei problemi esistenti. E questo rende inevitabile l'ascesa di Marine Le Pen.
E anche l'ascesa di Wilders: il suo è diventato il secondo partito in Olanda, perché ha guadagnato il 33% di seggi in più rispetto al 2012, passando da 15 a 20. Questa crescita del 33%, paragonato alla caduta del 20% di Rutte, fa passare Wilders per lo sconfitto, agli occhi di molti, “rincuorati” osservatori.
I vincitori sono gli sconfitti, e come è chiaro dalle politiche sociali della Le Pen per i francesi, nei governi europei di coalizione che comprendono partiti laburisti e di destra, e nella direzione presa dal partito Democratico negli USA, la sinistra è evidentemente la stessa cosa della destra.
Orwell vince sempre. Il prossimo problema è questo: la vera sinistra non è più rappresentata da nessuno.
Veramente un programma Macron ce l'ha, e pure piuttosto dettagliato anche se non quanto quello del FN. Chi vuole può giudicare qui: http://www.en-marche.fr/emmanuel-macron/le-programme
RispondiEliminaPunti cruciali: bilancio unico eurozona con ministro economia eurozona, costruzione di una "Europa della difesa" insieme alla Germania con adesione degli altri paesi su base volontaria, meccanismo di controllo degli investimenti stranieri in UE per difendere le industrie strategiche, estensione dell'erasmus agli apprendisti (200.000 partenze francesi l'anno), condoni vari, prefetti che organizzano i servizi pubblici adattandoli alle esigenze locali, riduzione dei parlamentari, LIMITAZIONE della durata in termini di mesi dell'attività LEGISLATIVA del Parlamento per aumentare il tempo in cui questo svolgerà controllo dell'azione del governo [!], sistema universale per il calcolo delle pensioni (con la conseguenza che si può immaginare per il pubblico), riduzione del costo del lavoro tagliando ovviamente i contributi, orario di lavoro e organizzazione del lavoro da trattarsi a livello esclusivamente locale, con accordo a maggioranza o referendum d'impresa [una minaccia di delocalizzazione e il referendum è deciso], straordinario senza contributi [per creare posti di lavoro...], aumento di effettivi delle forze dell'ordine e di posti nelle prigioni, più qualche sussidio qua e là.
Obiettivo principale: ridurre il deficit perché lo stato è pesantemente indebitato, facendo 60 miliardi di economia e responsabilizzando i ministri competenti. Si tratta di creare uno stato "agile" con l'individuazione di un piccolo numero di spese prioritarie (istruzione, difesa, sicurezza e giustizia - notare l'assenza assoluta della Sanità) selezionando così i tagli delle tasse che andranno realizzati secondo un programma di evoluzione della fiscalità di durata quinquennale.
Se non è un programma che parla forte e chiaro questo...
P.S.: oggi c'è stato il comizio a Parigi, immagino sarà presto su you tube.
il programma di Macron, che lui steso definisce progetto, non programma, è fumoso e irrealizzabile, et sarà abbandonato il giorno dopo le elezioni, come quello di Hollande, di cui è il degno successore.
RispondiEliminaVivo in Francia, non credo che Le Pen riuscirà a vincere il secondo turno, ma non credo che i sondaggi riflettano la realtà dell'opinione: una cosa è sicura, Macron è il candidato del partito socialista, della "gauche caviar", il suo pubblico è quello che ha ancora fiducia nei media mainstream, pochi pochi.
Ma la questione non è se il programma sia o meno realizzabile, bensì se vi sia o meno, dato che ZH afferma il contrario. C'è, è fortemente liberista e filoUE nella sua parte più chiara e lampante, e per la parte che riguarda le richieste UE sarà sicuramente realizzato o quanto meno perseguito, a danno dei lavoratori dipendenti, come il banchiere ha già mostrato di saper fare quando era ministro; per la parte di contentino ai poveri, sostanzialmente su base di sussidi con tagli a fantomatici sprechi, che è quella effettivamente più fumosa, si andrà probabilmente nella direzione di un RdC come tutta la UE dovrebbe fare secondo i piani di Bruxelles come dettati dagli interessi economici di coloro che ne sono rappresentati. La strategia e le mosse da adottare sono infatti pianificate per tutti i paesi UE sostanzialmente in modo uguale, solo differisce la scaletta temporale con la quale vengono messe in calendario. Chi ne conosce almeno due non ha difficoltà ad accorgersene.
RispondiEliminaComunque la cosa interessante da notare è che le sezioni in cui il programma si articola sono abbastanza esemplate su quello del FN che è uscito sicuramente prima. Non ho ancora letto i programmi di tutti i candidati, ma se fossero strutturati allo stesso modo e successivi a quello di MLP vorrebbe dire che il FN ha in qualche modo imposto struttura e linguaggio del discorso, il che, aldilà del risultato finale, non è comunque roba da poco.
Più che un programma politico sembra una richiesta di lavoro inviata alla UE e a segmenti dell'elettorato francese.
RispondiEliminaPer la precisione: ho in mano il programma di Macron, un fascicolo di 29 pagine patinate e illustrate, con la sua foto in coperta. Si definisce "programme" che NON vuol dire "progetto". Esattamente: "Emmanuel Macron président. "Retrouver notre esprit de conquête pour bâtir une France nouvelle". Programme En marche! [nome del suo gruppo] Election présidentielle 23 avril et 4 mai 2017" in copertina. A p. 5 di nuovo un riquadro intitolato: "Comment ce programme a-t-il été construit?" La parola "programme" ricorre due volte in 25 righe per definire le proposte fatte e il percorso che ha portato alla loro redazione. La stessa cosa si legge sul link che ho postato e sulla pagina web che quel link apre. E altri esempi si potrebbero trovare.
RispondiEliminaOra, non per fare del nominalismo, ma di pressapochismo fideista eurista ci stanno ammazzando. Cerchiamo di essere un po' più precisi di questi cialtroni e soprattutto verifichiamo le fonti fino in fondo quando ci sono, specie se come in questo caso sono ufficiali, invece di riportare dei sentito dire, ANCHE e soprattutto quando vengono da quella che sembra essere la parte che ci sta simpatica.
Se 'sto coso viene distribuito in giro prima delle elezioni dai suoi sostenitori, è quello che dichiara di essere. Quello è adesso un programma ufficiale di un candidato, qualsiasi cosa egli abbia detto prima, e di conseguenza un programma c'è. A meno che non dichiari domani che sono stati gli hacker russi...