Su Voxeu Charles Wyplosz (professore di economia internazionale a Ginevra) risponde a Giavazzi: è il momento dell'Italia, che ha già oltrepassato il punto di non ritorno. E anche se la tentazione di negare la china che ci si para davanti è forte, i politici farebbero meglio ad ammetterlo, per ridurre i costi economici e sociali della crisi. (Dobbiamo ancora trovare questi politici ...)
di Charles Wyplosz, 15
Agosto, 2012
Alcuni sostengono
che l'Italia e la Spagna rischiano di perdere l'accesso al mercato
sui loro titoli di stato, nonostante il calo dei rendimenti. Un recente articolo su Vox di Francesco Giavazzi ha suggerito che
l'Italia potrebbe e dovrebbe evitare un salvataggio. Questo articolo
sostiene invece che, nonostante tutte le sue mirabili risorse umane ed
economiche, l'Italia è già entrata in un "cattivo equilibrio" da cui è
molto improbabile che riesca a uscire.
Il recente articolo di Francesco Giavazzi è sia deprimente che assolutamente déjà vu.
- Nei primi mesi del 2010, quando la situazione in Grecia ha iniziato a deteriorarsi e alcune teste d'uovo hanno espresso l'opinione che un programma del FMI era inevitabile - i Greci hanno risposto "noi non siamo l'America Latina";
- Sei mesi più tardi, gli Irlandesi hanno dichiarato che non erano Greci;
- Poi i Portoghese hanno insistito che non erano Irlandesi;
- Solo pochi mesi fa, gli Spagnoli hanno sostenuto di non essere Portoghesi.
Come hanno ricordato
Reinhart e Rogoff (2009), ogni paese che affronta una crisi nega
sempre di essere carne da macello per le condizioni del FMI. In
effetti, si capisce che il punto di non ritorno è stato raggiunto
proprio nell'istante in cui i politici - o influenti
commentatori - spiegano che il loro paese è diverso.
Anche se, tuttavia, hanno ragione. E' vero che i fondamentali dell'Italia sono chiaramente diversi dai fondamentali della Spagna, che sono diversi da quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo. Ciò che questi paesi hanno in comune è che hanno perso l'accesso al mercato, almeno a tassi di interesse 'normali'.
Il meccanismo economico sottostante è quello delle profezie auto-avveranti del mercato, secondo la teoria degli equilibri multipli. (vedi qui una spiegazione degli equilibri multipli, ndt) A torto o a ragione, una
volta che i mercati concludono che la situazione di un paese è senza
speranza:
- I differenziali di interesse iniziano ad aumentare;
- Il servizio del debito diventa esplosivo; e
- La situazione alla fine diventa disperata.
Nel 2009, la
Grecia non era ancora dentro la crisi. Né la Corea nel 1997, né il Messico
nel 1986, né il Cile nel 1982. In tutti questi casi, i fondamentali
non erano del tutto solidi, ma non erano nemmeno completamente
disastrosi. In ciascun caso, una volta che la crisi si è
manifestata, gli osservatori, che non erano riusciti a prevedere che
cosa sarebbe accaduto, hanno preso ad elencare a muso duro una
serie di allarmanti errori politici che giustificavano pienamente la
crisi e il duro trattamento imposto al paese, ormai delinquente.
Quello che sappiamo
molto bene, almeno a partire dagli studi di Obstfeld (1986) e Krugman
(1986), è che una crisi può (ma non deve necessariamente)
verificarsi quando un paese soffre di una vulnerabilità. Sappiamo
anche che, una volta che una crisi si auto-alimenta, tende a
diffondersi in modo contagioso. La ricerca deve ancora trovare un caso
in cui un paese che si muoveva in un “cattivo equilibrio” sia
stato in grado di ritornare a un “buon equilibrio”.
L'Italia è
entrata nel “cattivo equilibrio”
All'inizio di quest'anno l'Italia si è spostata in un “cattivo equilibrio”. Questo avrebbe potuto essere evitato se non ci fossero state crisi in altri paesi dell'Eurozona. Come la Corea dopo le crisi Tailandese e Indonesiana, l'Italia è colpevole per associazione. Come questi paesi, ha una vulnerabilità, e quindi è suscettibile di incorrere in problemi (Wyplosz, 2010).
La vulnerabilità
dell'Italia è il suo debito pubblico (si intende che la crisi è una crisi di bilancia dei pagamenti, innescata dagli squilibri persistenti provocati dall'euro e dai flussi di capitali, ma in tutto questo il punto debole e attaccabile dai mercati del nostro paese e anche degli altri periferici è il debito pubblico, perché emesso in valuta straniera, anche se non è quello all'origine della crisi, ndt). Gli Italiani sono orgogliosi
di constatare che i loro governi sono stati in grado di eseguire
avanzi primari di bilancio fin dai primi anni '90. Il problema è che
questo è stato appena sufficiente a stabilizzare il debito
pubblico, che oscilla intorno al 110% del PIL dal primi anni '90.
I grandi volumi di debito sono paralizzanti, Reinhart e Rogoff (2009) sostengono che arrestano la crescita (altri autori, vedi Panizza e Presbitero, sostengono che non è l'alto debito pubblico in sè a penalizzare la crescita, quanto le politiche recessive messe in atto per ridurlo, ndt). In effetti, l'economia in Italia è rimasta stagnante per più di un decennio.
- Già da prima della crisi, l'Italia era sulla buona strada per emulare i due decenni a crescita zero del Giappone;
- Ora che la zona euro è in fiamme, ci sono molte ragioni per concludere che questo scenario terribile non è più l'esito pessimista – è quello ottimistico
Mentre la recessione
si diffonde, il gettito fiscale scende e il debito comincia a
crescere, almeno in proporzione al PIL. Il giro di austerità
fiscale di Mario Monti ha accelerato il processo.
Austerità Autolesionista
Come in tutti gli
altri paesi dell'Eurozona già in crisi, o sulla via di entrare nella
mischia – la Francia ora è il candidato ideale - questa politica
aveva lo scopo di rassicurare i mercati. Invece ha avuto l'effetto
esattamente opposto. I mercati hanno da tempo concluso che i debiti
non si ridurranno fino a quando non si tornerà a crescere. E più
i governi stringono, più è probabile che cadano nel “cattivo
equilibrio”. Le limitate riforme strutturali di Monti possono
fornire una spinta limitata, ma ci vorranno anni per materializzarsi (le riforme strutturali hanno lo scopo di svalutare i salari per far ripartire l'economia tramite le esportazioni, ma il percorso è inutilmente lungo e doloroso, perché comunque deprimerebbe in maniera pesante la domanda interna, ndt).
Nel frattempo, il debito crescerà.
La recessione sta
aprendo un'altra vulnerabilità. Inesorabilmente, deteriora la
capacità dei debitori di pagare. Il volume dei crediti in sofferenza
è destinato ad aumentare costantemente. Prima o poi, le banche fino
a quel momento sane avranno bisogno di una ricapitalizzazione del
governo, e il debito pubblico aumenterà. Coloro che detengono questo
debito hanno tutte le ragioni di essere preoccupati. E' così che
l'Italia sta perdendo l'accesso al mercato.
È vero, l'Italia non è un paese povero. I cittadini e le imprese hanno una notevole ricchezza. Non potrebbero essere tassati in caso di emergenza? Sappiamo dalle crisi dell'America Latina che, in tempi di crisi, i titolari di ricchezza sono pronti a spostare le loro attività per evitare il fisco. Anche il governo Italiano è ricco, ha in mano imprese redditizie di proprietà statale e terreni e fabbricati preziosi. Ma sappiamo che vendere nel bel mezzo di una crisi assume la forma di svendite di emergenza economicamente controproducenti (Krugman, 1998). Benché noi europei non siamo latinoamericani - per quel che significa - i principi dell'economia non conoscono confini geografici o culturali.
Il
tremendo inevitabile
Alla fine di tutto questo, la conclusione è evidente, semplicemente perché questo terribile processo è ormai ben noto. A dispetto di tutte le sue mirabili risorse umane ed economiche, l'Italia si è spostata in un "cattivo equilibrio" da cui è molto improbabile che riesca ad uscire.
- Vero, l'indignazione è perfettamente giustificata quando sta per verificarsi uno spreco di enormi proporzioni.
- È vero, a pochi mesi dalle elezioni politiche, la tempistica è particolarmente frustrante.
La tentazione di negare e aspettare un altro po' è irresistibile. Ma l'attesa aumenta solo il costo economico, sociale e politico della risoluzione finale della crisi.
Conclusione
Le nostre migliori
menti non dovrebbero cadere in questa trappola. Invece, dovremmo
tutti concentrarci su come non ripetere più gli errori del passato
lontano e più recente. In particolare, la Troika dovrebbe immaginare
condizioni radicalmente diverse e la BCE dovrebbe accelerare la
determinazione annunciata di recente di fare "tutto il
possibile per preservare l'euro" agendo - in effetti - in
qualità di prestatore di ultima istanza dei governi e delle banche.
(Wyplosz sembra ancora ritenere che l'abbandono dell'austerità con un ruolo attivo della BCE potrebbero salvare l'euro, ma dice chiaramente che senza queste politiche - che appaiono molto improbabili in realtà - la crisi è destinata a peggiorare, ndt)
In caso contrario, la crisi non finirà qui. La Francia non è ancora lì, ma non è poi così lontana. E quando accadrà? Mi dispiace per i miei amici tedeschi, ma l'albero affonderà con la nave.
Riferimenti
Krugman, Paul (1996) “Are Currency Crises Self-Fulfilling?”,
NBER Macroeconomics Annual: 345-506.
Krugman, Paul (1998) “Fire-sale FDI", prepared for NBER
Conference on Capital Flows to Emerging Markets, MIT.
Obstfeld, Maurice (1986) “Rational and Self-Fulfilling Balance
of Payments Crises”, American Economic Review 76(1):
72-81.
Reinhart, Carmen and Kenneth Rogoff (2009), This Time is
Different, Princeton University Press.
Wyplosz, Charles (2010) "And
Now? A Dark Scenario", VoxEU.
Compoletamente d'accordo!
RispondiEliminaMentre la recessione si diffonde, il gettito fiscale scende e il debito comincia a crescere, almeno in proporzione al PIL. Il giro di austerità fiscale di Mario Monti ha accelerato il processo.
RispondiEliminaParole sante.
Qualunque persona di buon senso lo sapeva in anticipo.
Il professore e la sua compagnia di comici credo non l'abbia capita ancora adesso.
Esistono solo due possibilità:
- o sono stupidi;
- o sono complici di qualcuno ed in tal caso sono da considerarsi dei traditori del Paese Italia.
RispondiEliminaMolti sono stupidi (i gregari)
I capi sono complici