L'Economist ha immaginato un piano B, elaborato dal punto di vista della Germania e sottoposto alla Merkel dal suo staff, che prevede sia un'uscita della sola Grecia che una possibile rottura allargata dell'eurozona, dove noi però staremmo dentro ... Eppure, è proprio la presenza dell'Italia - che non può stare né dentro né fuori, a quanto pare - che rende il piano troppo incerto ... e alla fine secondo l'Economist Angela preferisce andare avanti così, in perfetto stile Teutonico.
Angela
Merkel, Cancelliere Tedesco - e anche, a tutti gli effetti, boss
dell'area dell'euro - ha sempre insistito sul fatto che vuole
mantenere la zona euro nella sua forma attuale. Ma, mentre la crisi
dell'euro si intensifica e aumentano i costi potenziali per la
Germania, sarebbe imprudente non prendere in considerazione un piano
B. Redatto nella massima segretezza da un funzionario di fiducia e
inviato al cancelliere per suo uso esclusivo, ecco cosa potrebbe dire
il memorandum su un piano di emergenza:
A: Angela Merkel
Da: ???
OGGETTO: Piano B
Da: ???
OGGETTO: Piano B
L'IMPASSE
Da quando è
iniziata la crisi dell'euro, il Cancelliere ha continuato a sostenere
che difenderà la moneta unica, basandosi sulla convinzione,
condivisa in Germania dal mondo degli affari e dalla classe politica,
che la sua sopravvivenza rappresenti un nostro interesse nazionale. A
questo scopo la Germania ha destinato un grande ammontare di denaro
pubblico, sia come contributo ai vari salvataggi che come rischio
assunto dalla Bundesbank per la sua quota nella BCE. Allo
stesso tempo Lei ha cercato di ridurre al minimo il conto per i
contribuenti tedeschi insistendo sul fatto che gli stati beneficiari
dei salvataggi debbano attuare programmi di severa austerità e,
più in generale, resistendo alle richieste di condivisione del
debito condizionandole a un maggior controllo centralizzato dei
bilanci nazionali.
Ma,
senza mezzi termini, il piano non funziona. La Grecia è disastrata.
Irlanda e Portogallo stanno facendo qualche progresso (è
incoraggiante che nel mese di luglio l'Irlanda sia stata in grado di
raccogliere un po' di soldi dai mercati), ma hanno ancora una lunga
strada da percorrere e possono facilmente andare fuori rotta. Peggio
ancora, sembra che la Spagna potrebbe avere la necessità di un
salvataggio vero e proprio, invece del salvataggio parziale delle sue
banche che Lei sperava sarebbe stato sufficiente. E la malattia
spagnola sta infettando l'Italia, compromettendo tutto il buon lavoro
che Mario Monti ha fatto da quando gli italiani hanno messo giudizio
sbarazzandosi di Silvio Berlusconi, come lei aveva sollecitato
dietro le quinte. Nel frattempo François Hollande non sta facendo
abbastanza per la Francia e sta giocando il solito gioco francese di
chiedere alla Germania di fare di più, mentre resiste ai suoi
tentativi di centralizzare il controllo a livello europeo. Mario
Draghi, presidente della BCE, per il momento ha calmato le acque, ma
il suo piano potrebbe facilmente andare a monte.
La situazione è pericolosamente instabile. Se la fuga
di capitali dalle economie periferiche accelera il passo, potrebbe
scatenare una corsa agli sportelli dell'intero sistema bancario.
Questo metterebbe in crisi la BCE e quindi, indirettamente, la
Bundesbank e la Germania, per un valore di migliaia di miliardi di
depositi. Le politiche nazionali sono già impopolari in diversi
paesi, in particolare in Grecia, avvelenando la nostra immagine
nell'Europa meridionale, dove il nostro aiuto è sempre più visto
come una nuova forma di protettorato tedesco. La situazione si sta
deteriorando anche in Germania, dove la sua capacità di azione è
limitata dalla reazione contro i salvataggi e contro lo stesso euro.
La reazione in Finlandia e nei Paesi Bassi è semmai ancora più
violenta.
Da qui la necessità di prendere in considerazione una strategia alternativa. L'obiettivo di questo piano di emergenza non è la completa disgregazione dei 17 paesi dell'area dell'euro. Questo sarebbe contro l'interesse nazionale tedesco, e distruggerebbe il rispetto che abbiamo faticosamente ottenuto dopo la seconda guerra mondiale promuovendo l'integrazione europea. E danneggerebbe inutilmente la nostra economia riportandoci al rischio di cambio negli scambi con paesi come l'Austria e i Paesi Bassi, che si sono adattati perfettamente all'euro. Il Piano B cerca di salvare l'euro con un intervento chirurgico, asportando Stati che non possono reggere, invece di aggrapparsi alla vana speranza che possano riprendersi all'interno della zona euro.
Vi proponiamo due opzioni. In primo luogo, quella a cui
potreste trovarvi costretta in ogni caso: un'uscita dalla Grecia
derivante dalla grave inadempienza nei suoi impegni nell'ambito dei
vari accordi di salvataggio. Abbiamo considerato come un dato di
fatto che i parlamentari del Bundestag non approveranno un solo euro
in più di salvataggi di Atene. Se questo costringerà i Greci ad
uscire, così sia.
In
secondo luogo, consideriamo anche un'uscita allargata ad altri paesi
che non hanno superato la prova dell'euro. Pensiamo che dovrebbe
includere tutti gli stati che sono già stati salvati, o chiedono
salvataggi, perché quei paesi condividono con la Grecia una perdita
fondamentale di competitività e di vulnerabilità alla fuga dei
capitali stranieri. Ciò significa che restando dentro l'euro non
possono avere una ripresa entro un periodo di tempo ragionevole.
Nel valutare le due opzioni che abbiamo fatto
riferimento soprattutto ad un'analisi costi-benefici basata su
precedenti storici attinenti e sul quadro giuridico (siamo ben
consapevoli della Sua preoccupazione che la Germania debba sempre
essere vista come rispettosa della legge). Abbiamo anche dato un
rapido sguardo ad alcune delle questioni pratiche coinvolte in
un'uscita. Naturalmente, abbiamo preso in considerazione i vincoli
politici con cui Lei si confronta, sia all'interno che tra gli altri
leader europei. La prudenza è la Sua parola d'ordine, quindi abbiamo
messo in evidenza i possibili rischi derivanti dall'adottare il piano
B.
IN
PRIMO LUOGO, E' POSSIBLE UN'USCITA?
Si
comincia con la domanda più fondamentale di tutte: è possibile che
uno o più paesi lascino l'euro (o siano costretti ad uscire), sia
giuridicamente che praticamente? In linea di principio, dal punto di
vista giuridico la risposta è no, perché quando i paesi hanno
aderito all'euro la conversione delle loro valute precedenti doveva
essere "irrevocabile": un Hotel California da cui non si
può mai partire. In effetti, un parere legale pubblicato dalla BCE
nel corso del 2009 ha sostenuto che, poiché i trattati europei non
contemplano la possibilità che un paese lasci l'euro, un'uscita
richiederebbe loro di lasciare anche l'Unione europea (UE). Ciò
esacerberebbe il danno economico perché lo Stato perderebbe in
partenza sia l'accesso al mercato unico che il sostegno dei fondi
regionali.
Ma
pensiamo che questo argomento dell'impossibilità giuridica sia
sopravvalutato. Le leggi europee sono in continua evoluzione a causa
della facilità con cui nuovi accordi possono sostituire quelli
vecchi. Il trattato di Maastricht del 1992 vietava i salvataggi, ma
Lei stessa ha autorizzato due accordi che li consentono: il fondo di
salvataggio temporaneo e il meccanismo europeo di stabilità
permanente, la cui legalità la nostra Corte costituzionale sta
valutando al momento. Allo stesso modo, riteniamo che sia possibile
trovare il modo di aggirare la presunta regola che un paese in
uscita dall'euro dovrebbe lasciare anche l'UE.
Che dire sugli ostacoli pratici ad un'uscita? Ve ne sono due principali. In primo luogo, ci vorrebbero diversi mesi per progettare, stampare e distribuire una valuta completamente nuova, il che lascerebbe il paese in uscita privo di nuovo contante. In secondo luogo, la notizia di un paese che esce o che viene espulso quasi certamente trapelerebbe, portando a fortissime corse agli sportelli delle banche che travolgerebbero anche la capacità di contrasto della BCE. Questo porterebbe ad un crollo totale (e caotico) invece che ad un'uscita controllata.
Crediamo
che sia possibile affrontare entrambe queste difficoltà pratiche.
Sì, ci sono voluti sei mesi per lanciare una nuova moneta quando,
per esempio, l'unione monetaria ceco-slovacca si sciolse nel 1993. E
sì, hanno impresso dei timbri sui biglietti esistenti per
distinguerli tra cechi e slovacchi, cosa che però potrebbe non
funzionare per un paese come la Grecia, che si basa così
pesantemente sugli euro spesi dai turisti. Ma le economie moderne
sono molto meno basate sul denaro contante di una volta. Pensiamo
che un paese possa andare avanti per qualche mese con un maggiore uso
dei pagamenti elettronici (che potrebbero anche scovare meglio
l'economia sommersa) e utilizzare le banconote e monete esistenti per
le operazioni di piccole dimensioni, come proposto da Roger Bootle,
capo della società di consulenza Capital Economics, che ha
recentemente vinto un concorso bandito da Lord Wolfson, un uomo
d'affari britannico, su come uno o più paesi potrebbero lasciare
l'euro.
La
preoccupazione in merito alle corse agli sportelli sono più
giustificate, ma pensiamo che anche queste possano essere superate.
Il modo più ovvio sarebbe quello di mantenere segreta la decisione
dell'uscita fino al fine settimana in cui verrà attuata. E'
difficile, perché si avrebbe bisogno di convincere gli altri leader
europei in una riunione del consiglio, e la notizia sarebbe destinata
a trapelare. Ma se la notizia venisse fuori, allora lo stato in
procinto di abbandonare l'euro potrebbe imporre immediatamente una
lunga chiusura delle banche e mettere in atto dei controlli di
capitale (in genere illegali secondo il diritto europeo, ma esiste
una scappatoia per un massimo di sei mesi in circostanze
eccezionali). Questo dovrebbe risolvere il problema
UN'USCITA
SOLO DELLA GRECIA
Supponendo che gli ostacoli giuridici e pratici all'uscita da parte di qualsiasi Stato possano essere superati, allora la prima opzione è un'uscita della Grecia, che a prima vista sembra meno rischiosa di una rottura più grande. Una difficoltà immediata è che i greci non vogliono uscire, così dovrebbero essere espulsi. Ci sono due modi in cui possono essere estromessi: in primo luogo, tagliando il flusso dei fondi di salvataggio, che significa che il governo greco dovrebbe far fronte ai propri deficit mediante l'emissione di cambiali che inizierebbero a circolare come moneta di fatto parallela, scontata rispetto all'euro; in secondo luogo, tagliando fuori le banche greche dal rifinanziamento della BCE e dal suo sistema di pagamenti. Il primo approccio potrebbe richiedere un po' di tempo, ma potrebbe creare un tale caos monetario che un taglio netto alla fine sembrerebbe preferibile. Il secondo costringerebbe le banche al fallimento senza più accesso alla liquidità della BCE.
Cosa accadrebbe allora? Anche se la Grecia scivolasse lentamente verso l'uscita, invece che uscir fuori d'un tratto, a un certo punto il governo dovrebbe completare il processo con l'introduzione della nuova dracma durante un fine settimana, quando i mercati sono chiusi. Tutte le attività, i debiti e i contratti scritti in base al diritto nazionale, compresi depositi e prestiti bancari, sarebbero ridenominati da euro a dracme col cambio di uno a uno. Fondamentalmente, nel momento della riapertura dei mercati, la dracma svaluterebbe, probabilmente di oltre il 50%.
Tale svalutazione, se non provoca uno sbandamento verso l'iperinflazione, potrebbe sollevare la Grecia dalla sua miseria attuale di recessione perpetua, permettendole di recuperare la competitività perduta in un colpo solo, invece di riaggiustare al ribasso i costi interni per diversi anni. Questo dovrebbe dare rapidamente un forte impulso all'economia tramite le esportazioni nette. Ma che cosa significherebbe per la Germania?
In
primo luogo, Lei può contare sul consenso popolare - e non solo in
Germania – e anche degli altri leader europei, i cui elettori sono
altrettanto stufi nei confronti dei Greci “inetti”. Secondo e
molto importante, espellere la Grecia metterebbe fine ai costi dei
salvataggi e impedirebbe che diventassero un salasso permanente per i
contribuenti tedeschi. Terzo e non meno importante, la decisione
darebbe forza alla condizionalità, dando al resto dell'Europa la
severa lezione che i termini dei salvataggi non possono essere
calpestati impunemente.
A fronte di questi vantaggi ci saranno costi. Dal punto di vista strategico, c'è il pericolo di un inasprimento della politica greca ancora maggiore e che il paese possa diventare un problema permanente nel Mediterraneo orientale, anche se fuori dall'euro. Per sventare questa possibilità sarà essenziale dimostrare buona volontà, mantenendo la Grecia nell'Unione europea. Così, di fatto, ci sarà bisogno di un terzo salvataggio (solo che lo chiameremo un pacchetto di aiuti) per pagare ad esempio i farmaci essenziali per i pazienti. Pensiamo che questo possa essere limitato a, per esempio, € 50 miliardi, di cui la Germania sborserà un terzo, pari a circa € 17 miliardi.
Ma
questo sarà solo l'inizio. Questo significherà anche metter fine
alla finzione che i nostri prestiti alla Grecia possano essere
rimborsati per intero. La Germania, insieme agli altri paesi
creditori europei, si troverà ad affrontare delle pesanti perdite
(vedi tabella 1) derivanti dalla nostra esposizione verso la Grecia.
In primo luogo, vi è il denaro già versato: quasi € 130 miliardi.
In secondo luogo, la BCE possiede ancora titoli di stato greci per
un valore di circa € 40 miliardi. In terzo luogo, la Banca di
Grecia deve alla BCE circa € 100 miliardi dei cosiddetti debiti
Target2, derivanti dal sistema dei pagamenti Target2 attraverso il
quale le banche locali affrontavano la fuga dai depositi dalla
Grecia prendendo a prestito dalla banca centrale. Questo ammonta ad
una esposizione di oltre € 270 miliardi,
pari al 3% del PIL dell'area euro.
(Noi non includiamo l'esposizione indiretta che tutti noi abbiamo
attraverso le quote del Fondo Monetario Internazionale, che ha
prestato alla Grecia circa € 20 miliardi di euro, in quanto il FMI
di solito ottiene indietro il suo denaro).
Una
parte di questi € 270 miliardi possono essere recuperati, ma
sarebbe irresponsabile contarci. La svalutazione aumenterebbe – in
termini di dracma - l'indebitamento in euro della Grecia. Questo
costringerebbe il governo greco, ove possibile, a ridenominare le sue
passività in dracme, infliggendo pesanti perdite ai creditori, e
potrebbe seguire a questo anche un'ulteriore svalutazione. La
prudenza suggerisce che dovremmo presumere che non ci sarà alcun
risarcimento e che la Germania dovrà subire un terzo delle perdite,
più di quella che è formalmente la sua parte (circa un quarto), nel
presupposto che gli altri Stati oggetto di salvataggi non saranno in
grado di pagare nulla. Questo costerebbe alla Germania € 90
miliardi, portando il conto (compreso il pacchetto di aiuti) a quasi
€ 110 miliardi. Oltre a questo i contribuenti potrebbero dover
sborsare € 10 miliardi per sostenere le banche tedesche che
dovranno svalutare i loro crediti nei confronti della Grecia.
Supponendo che lo stato si assuma la metà delle perdite che ne
derivano, questo porterebbe il conto totale tedesco a circa € 120
miliardi, pari al 4,5% del PIL.
IL
TUTTO PER TUTTO
Se fosse veramente così, sarebbe pur sempre un affare rispetto al probabile valore attuale dei trasferimenti dalla Germania alla Grecia nel corso dei prossimi anni e forse decenni. Ma vi è il rischio consistente che un Grexit potrebbe trasformarsi in una calamità, in quanto i mercati reagirebbero male all'ammissione che l'adesione all'euro non sia più considerata irreversibile. Nella peggiore delle ipotesi ci potrebbe essere un crollo del mercato paragonabile a quello che ha avuto luogo dopo il fallimento di Lehman Brothers alla fine del 2008, che potrebbe a sua volta innescare una recessione di una scala simile alla disperata recessione del 2008-09. Nella situazione di panico, Lei si troverebbe sottoposta a una forte pressione (Barack Obama si metterebbe immediatamente in contatto) per concedere la mutualizzazione del debito senza ottenere la contropartita del controllo fiscale a livello europeo che è stato richiesto. Dopo aver resistito per così tanto tempo alle richieste di scrivere un assegno in bianco, è proprio questo che potrebbe finire col dover fare.
Dato
il rischio che la Germania potrebbe dover pagare un pesante prezzo
per una uscita greca, questo vuol dire che il Piano B è in realtà
un fiasco? Non necessariamente. Un'altra conclusione potrebbe essere
che lo scenario apparentemente più sicuro di una uscita della sola
Grecia sia, invece, l'opzione più rischiosa. Se la Germania è
costretta a fare grandi concessioni per affrontare l'uscita di uno
Stato, potrebbe avere più senso fare queste concessioni in
combinato disposto con un intervento più radicale che metta
veramente fine alla crisi dell'euro. In totale, cinque dei 17 Stati
membri sono stati salvati o hanno chiesto un bail-out – a
testimonianza del fatto che non sono stati in grado di far fronte al
rigore della moneta unica. Gli altri quattro: prima l'Irlanda, poi il
Portogallo, e ora la Spagna e Cipro, sono in bilico in zona
retrocessione. Espellere anche questi paesi potrebbe essere la
migliore soluzione per loro, per l'euro e per la Germania, in quanto
renderebbe la restante area dell'euro più praticabile.
La situazione delle altre quattro economie riflette tanto il debito privato (soprattutto a Cipro, in Irlanda e in Spagna), quanto il debito pubblico (in Grecia e, in misura minore, in Portogallo). Ma la debolezza fondamentale che tutti ora condividono con la Grecia è che essi devono all'estero molto più di quanto possiedono all'estero. In ciascuno dei cinque paesi, le passività estere superano le attività estere detenute all'interno per una misura compresa tra l'80% e il 100% del PIL nel 2011, mettendole in una situazione simile all'interno della zona euro (vedi tabella 2). L'Italia, al contrario, ha un basso valore di passività estere nette, pari solo al 21% del PIL (inferiore al 27% degli Stati Uniti).
I
livelli di debito estero sono molto più alti nei cinque paesi
dell'eurozona che nelle economie emergenti che in passato sono cadute
vittima di "arresti improvvisi (nel flusso dei capitali)",
in cui gli investitori esteri e le banche hanno bloccato i prestiti e
cercato di tirare fuori i loro soldi. Non c'è da meravigliarsi che i
mercati abbiano perso la fiducia in loro. Ma anche se i prestiti dei
salvataggi possono proteggere i governi, la perdita di fiducia
continua a minare le economie periferiche, man mano che i depositi
esteri vengono ritirati e gli investitori stranieri si rifiutano di
comprare il loro debito. Il finanziamento della banca centrale sta
colmando il gap, ma questo rende le banche dipendenti dalla BCE in
modo preoccupante, e le induce a contrarre i prestiti a imprese e
famiglie. Questo deprime l'economia ancora più duramente e rende più
difficile mantenere le finanze pubbliche in ordine.
Oltre ad essere gravate da livelli insostenibili di debito estero, tutte le cinque economie condividono la miseria di cercar di riguadagnare la competitività perduta attraverso la svalutazione interna, in cui sono i costi interni a scendere, anno dopo anno. Con l'eccezione dell'Irlanda, che ha ottenuto un'interessante riduzione dei suoi costi unitari del lavoro (sebbene dopo un grande aumento), si potrebbe certo selezionare un gruppo di paesi meno in grado di fare con successo una svalutazione interna. I mercati del lavoro in Europa meridionale sono noti per la protezione degli insider (lavoratori a tempo indeterminato) a scapito degli outsider (lavoratori a tempo determinato o disoccupati). Questa rigidità significa che le imprese riducono il costo del lavoro attraverso il blocco delle assunzioni e licenziando i dipendenti temporanei, piuttosto che riducendo i livelli di salario.
Alcuni progressi sono stati compiuti, ma, come in una maratona, è la seconda metà della gara che è la più difficile. La disoccupazione è già salita a livelli pericolosamente alti: circa il 15% della forza lavoro in Irlanda e Portogallo e il 25% della forza lavoro in Spagna. L'Irlanda ha registrato un piccolo avanzo delle partite correnti e i deficit in generale sono scesi (anche se restano molto elevati a Cipro e in Grecia), ma sarebbero molto peggiori se le economie periferiche non fossero così depresse, fatto che ha ridotto la domanda di importazioni.
Da questo se ne può trarre che se la Grecia deve uscire, non dovrebbe uscire da sola. Come la Grecia, gli altri quattro paesi oggetto di salvataggi otterrebbero un rapido miglioramento della competitività dalla svalutazione della moneta, a condizione che siano perseguite delle politiche tali da assicurare che non venga tutto sprecato in un'inflazione galoppante. E se la politica può prevalere sulla legge per la Grecia, allora lo stesso dovrebbe valere per tutti e cinque i paesi, permettendo loro di rimanere nell'UE e mantenere l'accesso al mercato unico.
Una
tale mossa sarebbe ovviamente uno shock tremendo, e per proteggere
Italia e Francia insieme sarebbe essenziale fare ampie concessioni
che spostino la restante area dell'euro verso la mutualizzazione del
debito e la creazione di un'unione bancaria. Ma questo
rappresenterebbe una battuta d'arresto per la Germania minore della
prima, perché in linea di massima in un'unione monetaria più vitale
ci dovrebbe essere meno bisogno di ripartire gli oneri. Infatti, il
beneficio potenziale più importante di questo più ampio break-up è
che potrebbe portare la crisi dell'euro a una soluzione decisiva,
ripristinando la fiducia in un'area valutaria più piccola, ma più
robusta.
Inoltre,
impedendo che i salvataggi diventino un flusso permanente di
trasferimenti, si porrebbe un freno a dei costi potenzialmente molto
più elevati,. Questo è quello che è successo in Germania dopo la
riunificazione e sta ancora accadendo. Una recente ricerca da parte
del FMI mostra che il flusso di denaro verso gli stati tedeschi più
poveri ha creato una forma di dipendenza dai sussidi. La grande paura
dell'opinione pubblica tedesca è che accada lo stesso, in una
dimensione più grande, in tutta l'area dell'euro. Ad esempio,
un'unione di trasferimento nell'attuale zona della moneta unica su
modello canadese renderebbe più omogenee le entrate dei governi.
Trasferimenti di denaro tali che i governi più poveri (tra cui
Grecia e Spagna) abbiano un livello di entrate simile a quello di un
paese di medio livello, potrebbero comportare dei trasferimenti
annuali per € 250 miliardi, di cui € 80 miliardi dovrebbero
venire dalla Germania, circa il 3% del suo PIL.
Nel breve termine, tuttavia, il costo di cinque paesi uscita sarebbe chiaramente molto più pesante di quello di un Grexit. Anche se gli altri quattro stati in partenza si trovano in una condizione meno disperata della Grecia, anche loro avrebbero bisogno di qualche aiuto per spianarsi la strada, diciamo altri € 100 miliardi, di cui la quota della Germania sarebbe di € 33 miliardi. L'ulteriore esposizione dei prestiti ufficiali sarebbe sopportabile, perché gli altri quattro salvataggi sono stati di entità molto inferiore a quello della Grecia. Nel complesso i governi dell'area dell'euro hanno assunto impegni che si avvicinano a € 200 miliardi, lo stesso che per la Grecia, ma gli esborsi effettivi sono stati meno della metà. L'esposizione più grande risiede nel sistema euro. La BCE è stimata in possesso di altri € 80 miliardi di bonds irlandesi, portoghesi e spagnoli, acquistati nel corso degli ultimi due anni per calmare i mercati. Inoltre, ha crediti nei confronti degli altri quattro paesi attraverso il sistema Target2 di circa € 600 miliardi.
Questo porterebbe il costo di un'uscita di tutti e cinque i paesi a 1.150 miliardi di €, di cui la quota della Germania sarebbe di 385 miliardi, ovvero il 15% del suo PIL. La spesa aggiuntiva dei salvataggi bancari porterebbe il costo a € 496 miliardi, al 19% del PIL, portando il debito del governo tedesco dall'81% del PIL nel 2011 al 100% e mettendo a repentaglio il rating a tripla A della Germania. Le imprese Tedesche non finanziarie e gli individui subirebbero inoltre un duro colpo sui loro crediti verso le cinque economie di oltre € 200 miliardi.
Il più grande rischio associato a questo scenario è che il movimento verso la mutualizzazione del debito e l'unione bancaria potrebbe ancora, dopo tutto, non essere sufficiente a stabilizzare la restante zona euro, portando a una totale rottura e innescando una recessione selvaggia, con conseguenze economiche enormi. I mercati si chiedono sempre "chi è il prossimo?" E la risposta è ovvia. Sulla base delle sue passività nette sull'estero, l'Italia potrebbe non dover lasciare l'euro, e il suo saldo primario (cioè, il saldo del bilancio pubblico al netto del pagamento degli interessi) è sotto controllo. Ma il peso del suo debito pubblico è al 120% del PIL, il secondo più alto (dopo la Grecia) nell'area dell'euro. Ed il paese è ancora impantanato nella recessione. Come la Grecia, l'Italia ha fatto fatica a vivere entro la moneta unica. La crescita è stata lenta negli ultimi dieci anni e i costi unitari del lavoro sono aumentati notevolmente. Il compito di ripristinare la competitività italiana sarebbe molto più difficile una volta che le cinque economie in uscita adottassero nuove valute, molto più economiche.
Più i mercati si innervosirebbero sull'Italia, più si preoccuperebbero anche per la Francia, dati i suoi forti legami commerciali e finanziari con l'Italia. Considerato tutto questo, sarebbe molto difficile per la Germania ottenere il sostegno del Consiglio europeo per il piano più drastico. Gli ostacoli politici per coordinare una soluzione che mantenga intatta la zona euro possono sembrare insuperabili, ma raggiungere un accordo per un progetto di espulsione di cinque paesi potrebbe essere ancora più preoccupante.
CONCLUSIONI
Tra
le due opzioni, il nostro giudizio è che il break-up più ampio ha
un maggior senso economico rispetto a un'uscita della sola Grecia. Ma
dobbiamo sottolineare che i rischi economici e finanziari connessi
sono molto più grandi, e la sua attuazione comporterebbe un
coordinamento di un ordine di difficoltà maggiore di un'uscita della
sola Grecia. Alla fine, uno svantaggio associato con entrambe le
opzioni, anche se dovessero funzionare, è che molti dei benefici si
avrebbero nel futuro (non dover effettuare trasferimenti ai paesi
europei periferici), mentre i costi sarebbero percepiti qui e ora -
e la colpa ricadrebbe su di Lei e sul Suo governo.
Una nota allegata al presente memorandum da un membro del suo staff indica che dopo averlo letto, la signora Merkel ha riflettuto a lungo su come rispondere. Lei ha una formazione scientifica, una vocazione politica e, più importante di tutto, è una persona prudente per temperamento. Dopo molte discussioni, la Merkel ha concluso che, nonostante i vantaggi del piano B rispetto alla sua strategia attuale, lei non è disposta a tollerare i rischi associati al piano - almeno per il momento. Ha ordinato di stracciare il memo, decidendo che, se l'area dell'euro dovrà rompersi, questo non avverrà per un suo ordine. Ma il membro dello staff incaricato di distruggere la nota ha pensato che potrebbe essere utile mantenere il piano B come riserva, per ogni evenienza. Salvandolo dalla distruzione, l'ha invece archiviato. Nessuno dovrà mai sapere che il governo tedesco è stato disposto a pensare l'impensabile. A meno che, naturalmente, il memorandum non trapeli ...
Cito :
RispondiElimina"La Germania, insieme agli altri paesi creditori europei, si troverà ad affrontare delle pesanti perdite (vedi tabella 1) derivanti dalla nostra esposizione verso la Grecia. In primo luogo, vi è il denaro già versato: quasi € 130 miliardi."
Se non ci fossero già solidi motivi per considerare assurda (salvo per una ben remunerata minoranza) tutta la vicenda euro, questo dovrebbe essere convincente.
Tenendo conto che nel 2010 il PIL greco era poco meno di € 250 miliardi.
(Parafrasando Bagnai : I salvataggi che non devono salvare alcunchè)
Insomma, da una rottura dell'eurozona il paese che ha più da preoccuparsi sembra essere proprio la Germania.
RispondiEliminaE guarda caso, a noi non ci pensano neanche ad estrometterci. Sarà che gli fa comodo non rivalutare troppo l'euro, e che devono bloccare la nostra concorrenza?
Sarà invece che un ipotetico asse economico-militare Berlino-Roma-Mosca sarebbe un concorrente imbattittibile da chiunque, Cina compresa?
EliminaE' sempre stato così da che mondo è mondo,chi deve essere più preoccupato,tra debitori e creditori sono e saranno sempre i creditori
EliminaSecondo me e' in atto una guerra tra dollaro ed euro per il commercio momdiale, la crisi dell'euro va vista in un contesto geopolitico.
RispondiEliminaLa crisi economica e' partita dagli USA, gli speculatori hanno trovato terreno fertile contro le economie deboli dell'euro perche lo statuto della BCE vieta di proteggere la moneta come la FED.
La rigidita' tedesca, mancanza di strategie e mancanza di leadership hanno contribuito al deterioramento delle economie PIIGS in maniera considerevole. La Germania era in crescita economica, e nella loro miopia pensando di essere immuni, hanno lasciato carta bianca ai mercati.
Adesso che la situazione e' peggiorata, sarebbe ingenuo pensare che i mercati lascino la preda, sarebbe pure ingenuo che gli USA accettino di buon grado l'euro come divisa concorrenziale al dollaro, l'Inghilterra pur essendo nell'EU non fa mistero di preferire un rapporto piu' con gli USA che con l'Europa, poi la BoE come azionista della BCE potrebbe creare problemi.
In un futuro non molto lontano si potrebbe arrivare alla resa dei conti, Germania inclusa. Enemy at the Gates?!
Il luogocomune dell'euro moneta mondiale di riferimento (o va scritto tutt'attaccato anche questo) non è così frequentato ultimamente. Ma l'ho scoperto piuttosto interessante qualche sera addietro.
RispondiEliminaMa se proprio debbono fare una guerra gli Stati Uniti la fanno con il remimbi(che vorrebbero rivalutato),mica con l'€.....
RispondiEliminaMi pare che gli USA finora abbiano spinto perché la BCE faccia quantitative easing come loro, non dimentichiamoci che un'esplosione dell'euro mette in crisi il sistema bancario e finanziario globalizzato, quindi anche USA, e che la crisi dell'euro non è una macchinazione ammericana, ma un'altra tappa del "questa volta è diverso" dell'instabilità finanziaria che ha caratterizzato gli ultimi decenni ...
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