21/07/13

Sapir: Sovranità e Nazione

Ricevo e pubblico volentieri un contributo da parte di un lettore e commentatore del blog, Arturo, che ha tradotto un articolo di Sapir di carattere filosofico politico sul concetto di nazione e di sovranità. 
Buona lettura

 

di Jacques Sapir - Aspettando il 14 luglio, a proposito di un articolo di Frédéric Lordon.


Frédéric Lordon ha appena pubblicato un articolo importante (1) - Ce que l'extrême droite ne nous prendra pas - in cui affronta la questione essenziale della sovranità ma anche quella altrettanto essenziale della Nazione. Vediamo subito quale sia il nocciolo di questo articolo e le domande a cui cerca di rispondere, nel contesto della crisi dell'Euro, ma anche, più genericamente, della crisi dell'idea europea generata dagli sforzi di coloro che si proclamano i più ferventi difensori dell'Unione Europea. Tali questioni sono già state affrontate nel libro a cura di Cédric Durand (2) e invito i lettori di questo blog a riferirsi al dibattito che ho avuto con lui in articoli precedenti. (3)



Sovranismo di destra, sovranismo di sinistra?

Prima di provare ad approfondire alcuni punti del testo con cui chiaramente concordo, e su cui ho preso posizione da più di dieci anni (4), conviene precisare una cosa. Frédéric Lordon scrive:
 
 “Poiché se questo ordine [il neo-liberalismo] in effetti si definisce come l'opera di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli, affinché possa dispiegarsi senza impacci la potenza dominante del capitale, ogni idea di porvi un limite non può avere altro senso che quello di una restaurazione di questa sovranità, senza mai poter escludere che tale restaurazione si dia come territorio – e, non se ne dispiaccia l'internazionalismo astratto, la sovranità presuppone la delimitazione di un territorio –  quello delle nazioni esistenti...senza escludere simmetricamente che essa si proponga anche di ampliarlo!. È un esordio che condivido pienamente, compreso il fatto che la sovranità implichi un territorio ma altresì la distinzione di ciò che è all'interno e ciò che è all'esterno. La frontiera è un elemento decisivo e addirittura costitutivo della democrazia, che questa frontiera sia territoriale o metaforica come nel caso dell'appartenenza a un'organizzazione. È ridicolo sentire gli stessi che rifiutano le frontiere attorno a un territorio difendere la distinzione membri/non membri quando il loro potere è in gioco. Sarebbe il colmo se ciascuno di noi potesse votare negli organismi di un partito politico, quale che esso sia, senza esserne membro! Con quest'esempio vediamo bene che l'esistenza della democrazia implica la chiusura dello spazio politico e che questa chiusura implica una “frontiera”. Dire questo non implica che non abbiamo niente in comune o che ci dobbiamo disinteressare di coloro che si trovano dall'altra parte del confine, che esso delimiti un'organizzazione o un paese. Ciò però consente di attribuire un senso alla distinzione membro/non membro, di conferirgli una pertinenza e quindi, per contrapposizione, di ritenere pericolose le idee che rifiutano questa distinzione.

Fréderic Lordon non dice niente di diverso quando aggiunge che coloro che contrappongono la Nazione all'Internazionalismo non si rendono conto della vacuità di tale contrapposizione, dal momento che propongono “un internazionalismo politicamente vuoto poiché non indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva, o, se le indica, non si accorge che sta semplicemente reinventando il principio (moderno) della nazione ma su una scala più ampia!”.

Fréderic Lordon distingue poi ciò che chiama un “sovranismo di destra” da un “sovranismo di sinistra”, contrapponendo “Nazione” e “Popolo”: “potrebbe essere utile iniziare mostrando in che cosa un sovranismo di sinistra si differenzia chiaramente da un sovranismo di destra: quest'ultimo si concepisce generalmente come sovranità “della nazione”, mentre il primo rivendica di attribuire la sovranità “al popolo”.

Mi pare che qui ci sia una confusione. La differenza fra destra e sinistra non deriva dalla sovranità, ma dalla maniera di concepire la Nazione. Da questo punto di vista, rifiuto l'idea che possa esserci un sovranismo “di destra” o “di sinistra”. C'è il sovranismo, condizione necessaria all'esistenza di un pensiero democratico, e ci sono le ideologie che rifiutano la sovranità e quindi, alla fine, la democrazia.

Quali visioni della Nazione?

Questo non vuol dire che non ci sia un pensiero di destra e un pensiero di sinistra, ma questa contrapposizione non passa per la questione della sovranità ma per quella della Nazione. Per un pensiero “di destra”, la Nazione “è” e di conseguenza ci si sofferma poco sulla sua origine. Si preferisce mettere l'accento sugli aspetti atemporali della sua esistenza e la questione del “corpo mistico” della Nazione non è considerata un'ubbia o un anacronismo. Riemergono rapidamente i miti cristiani: per la maggior parte dei pensatori di “destra” la Nazione rinvia, alla fine, al trittico “une foi, une loi, un Roi” [una fede, una legge, un Re]. I problemi cominciano, d'altra parte, con l'ingresso nell'età moderna, con l'emergere di un pluralismo religioso (la Riforma) che distrugge l'idea di un'unicità religiosa. Alcuni autori contemporanei, e fra di essi personalità così opposte come Carl Shmitt e von Hayek, fanno riferimento a “meta-valori” come origine della “legge”: tali valori strutturerebbero quindi lo spazio della Nazione. Il riferimento al cristianesimo è esplicito in Carl Shmitt. Non occorre essere grandi studiosi per scorgere una riproposizione della metafisica; qui però si pone un problema, cioè quello delle guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa nel Rinascimento. In effetti dalla fine del XVI secolo, grazie a un personaggio come Bodin, si sviluppa l'idea che la legge trae la sua legittimità dalla necessità di far coesistere interessi e credenze diversi nell'ambito di un medesimo spazio territoriale.
 
Non è un caso che Bodin sia certo l'autore dei famosi Sei Libri della Repubblica (5), ma anche del meno famoso, ma non meno importante, “Colloquium Heptaplomeres” (6) o “Colloquio dei sette”, che pone le basi dello Stato laico a partire dalla constatazione che in materia di religione è impossibile convincere con argomentazioni che fanno appello alla Ragione. Da quel momento, all'epoca delle guerre di religione in Francia, l'importante non è sapere se si è cattolici o ugonotti ma se si è francesi o alleati col re di Spagna. E' stato solo ponendo il problema in questi termini che si è potuto ricostruire uno spazio politico collettivo. Ma per questo occorreva capire chi era francese e chi non lo era. Il pensiero “di destra” non si è mai ripreso da questa rivoluzione che obbliga a pensare l'origine della legge e i compromessi sociali al di fuori da qualsiasi riferimento a una norma “divina” o semplicemente fondamentale. Da questo punto di vista, la Nazione e lo Stato post-Bodin sono incompatibili con tutti i fanatismi religiosi, tutte le letture letterali di una religione, che si tratti di cristiani, ebrei o musulmani (o altri...).

Per i pensatori “di sinistra” la Nazione è prima di tutto una costruzione sociale: una constatazione rassicurante con cui si crede di aver liquidato la questione metafisica. Niente è meno sicuro. A quella prima riflessione, che è profondamente vera, gli intellettuali aggiungono due aporie. Se sono marxisti, non concepiscono questa costruzione sociale che attraverso il prisma della “lotta di classe che porrà fine alla lotta fra le classi”: in breve, il ritorno hegeliano della contraddizione. Ma questa non è che una rappresentazione che conduce a sminuire l'importanza della Nazione come spazio abitato (e anche popolato) dalla democrazia. Dal momento che lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo metterà fine allo sfruttamento, che importanza ha questa “reliquia del passato” che sono la Nazione e lo Stato? D'altra parte, in una società senza conflitti lo Stato non è più necessario...Appena abbiamo creduto di esserci liberati della zavorra metafisica, eccola di nuovo. E Lenin, che scriveva Stato e rivoluzione qualche mese prima dell'ottobre del '17, dovette riconoscere, sotto la spinta della necessità, l'importanza dello Stato e l'esistenza di conflitti sociali legittimi anche nella società post-rivoluzionaria. Per alcuni marxisti (non tutti: lo so perfettamente), quell'atteggiamento si accompagna a una sottovalutazione fondamentale della democrazia stessa: quest'ultima diventa strumentale rispetto all'obiettivo della fine dello sfruttamento. Sappiamo a quali derive ciò abbia condotto.

Se invece sono marxiani e non marxisti (la differenza, per i non iniziati, è che un marxiano cerca di essere fedele al metodo di Marx, mentre un marxista a una tradizione interpretativa di Marx), non hanno prismi teologici ma considerano in generale il cambiamento sociale come legato ai tempi brevi, ciò che d'altra parte è piuttosto normale quando si vuole cambiare il mondo. Il problema è che la Nazione, e lo Stato-Nazione con essa, sono costruzioni sociali che dipendono dai tempi lunghi e si estendono su parecchi secoli. Della cultura politica che ne deriva, e che differisce notevolmente da una Nazione all'altra, siamo impregnati, consapevolmente o meno; questa cultura non è altro che il linguaggio in cui possiamo esprimere tanto i conflitti che le soluzioni. Da questo punto di vista, anche se le analisi sono molto diverse, tra una visione metafisica dello Stato e della Nazione, articolata intorno alla nozione di “corpo mistico”, e una concezione che invece li considera come prodotti di una costruzione sociale di lunghissima durata, non c'è una differenza radicale a questo livello di analisi. La differenza è piuttosto che, per coloro che intendono pensare la Nazione e lo Stato nell'ambito di una costruzione sociale di lunga durata, è indispensabile attenersi alla duplice ingiunzione di Jean Bodin, che poggia da un lato sul principio che non possiamo fondare la Nazione e lo Stato su basi religiose poiché la religione non ci unisce più ma ci divide; dall'altro sulle condizioni di funzionamento della Nazione e dello Stato che devono dominare conflitti fra interessi e convinzioni diversi in nome della “cosa pubblica”, la Res Publica.

L'opposizione non è dunque tra un sovranismo “di destra” e uno “di sinistra”: non c'è che un sovranismo. Ci sono però concezioni della Nazione che sono “di destra”, perché riconducono ad aporie religiose (e si parla qui tanto di religioni vere e proprie quanto di visioni teologiche) che non sono compatibili con un pieno sviluppo della democrazia. Ciò detto e precisato, condividiamo pienamente l'idea affermata da Frédéric Lordon che la sinistra, quella vera, avrebbe tutto l'interesse a riappropriarsi della Nazione come condizione necessaria all'esistenza della democrazia e della Res Publica. Beninteso, questa Nazione non è costituita su basi etniche ed è pronta ad accogliere in sé tutti coloro che vengono a farla vivere col loro lavoro ed energia, nel rispetto di leggi alla formazione delle quali contribuiscono.

(1) Lordon F., « Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas », articolo postato sul blog di Monde Diplomatique all'indirizzo: http://blog.mondediplo.net/2013-07-08-Ce-que-l-extreme-droite-ne-nous-prendra-pas 8 luglio 2013.

(2) Durand C., (sotto la direzione di), En finir avec l’Europe, La Fabrique éditions, Paris, 2013.

(3) Sapir J., « Europe : un livre, un sondage » articolo pubblicato su RussEurope il 16 maggio 2013, http://russeurope.hypotheses.org/1237 et Idem, « En finir avec l’Europe (seguito) », articolo pubblicato su RussEurope il 31 maggio 2013, http://russeurope.hypotheses.org/1306


(5) Bodin, J. Les Six Livres de la République, Librairie Générale Française, Le Livre de Poche, con una presentazione di Gérard Mairet, Paris, 1993, 607 p.

(6) Bodin, J., Colloquium Heptaplomeres, opera scritta nel 1587 ma rimasta per lungo tempo manoscritta, non è stata pubblicata che nel 1858 a Lipsia da Ludwig Noack

4 commenti:

  1. Meravigliosa coincidenza: Sapir ha espresso, con maggior capacità della mia, gli stessi concetti che contrapponevo all'internazionalismo eunuco di Revelli ospitato dal manifesto del 19 u.s..
    A tal proposito si veda il dibattito del 2009 su micromega fra il Revelli e Brancaccio riproposto recentemente da main-stream.
    Quanta strada dobbiamo recuperare!

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    1. Ho letto il dibattito a cui alludevi: imbarazzante il metodo di Revelli, che antepone il dato simbolico a quello materiale (quem vult perdere, deus amentat). In Francia la sinistra démondialiste è molto più avanti, ma anche lì hanno i loro "internazionalisti" con cui fare i conti: chi sa il francese potrà gustare questa polemica tra la sinistra liberoscambista, come la chiama Brancaccio, Lordon e Sapir, che non la mandano certo a dire (mai visto Sapir così furibondo). La strada, come dici, è lunga: proviamo a fare qualche passetto con l'aiuto di chi l'ha già percorsa.

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  2. Sapir ha ragione. Ma Sapir ragiona all'interno di un contesto generale, improntato soprattutto da, secondo me, su un impostazione "francesista". Mi spiego meglio. Ogni nazione si è sviluppata mediante una propria storia e da questa storia si è forgiata una propria cultura. La Francia è per definizione quello stato il cui senso per lo stato è riconosciuto da ogni fazione politica. Diverso qui è il discorso in Italia, poichè lo sviluppo dello stato unitario ha seguito vie non proprio "francesi", direi di più "piemontesi". Da ciò si potrebbe dire che il sovranismo non si differenzia in base al colore politico ma in base alla cultura e al senso di appartenenza che vi è nel suddetto territorio.

    LUIGI

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  3. "La sinistra, quella vera avrebbe tutto l'interesse di riappropriarsi della nazione"
    Infatti Marco Rizzo è l'unico rimasto di sinistra in questo mondo di ladroni.

    J.M

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