Ricevo e pubblico volentieri un contributo da parte di un lettore e commentatore del blog, Arturo, che ha tradotto un articolo di Sapir di carattere filosofico politico sul concetto di nazione e di sovranità.
Buona lettura
di Jacques Sapir - Aspettando il 14 luglio, a proposito di un articolo di Frédéric
Lordon.
Frédéric Lordon ha appena pubblicato
un articolo importante (1) - Ce que l'extrême
droite ne nous prendra pas - in cui affronta la questione essenziale
della sovranità ma anche quella altrettanto essenziale della
Nazione. Vediamo subito quale sia il nocciolo di questo articolo e le
domande a cui cerca di rispondere, nel contesto della crisi
dell'Euro, ma anche, più genericamente, della crisi dell'idea
europea generata dagli sforzi di coloro che si proclamano i più
ferventi difensori dell'Unione Europea. Tali questioni sono già
state affrontate nel libro a cura di Cédric
Durand (2) e invito i lettori di questo blog a riferirsi al dibattito
che ho avuto con lui in articoli precedenti. (3)
Sovranismo
di destra, sovranismo di sinistra?
Prima
di provare ad approfondire alcuni punti del testo con cui chiaramente
concordo, e su cui ho preso posizione da più di dieci anni (4),
conviene precisare una cosa. Frédéric Lordon scrive:
“Poiché se
questo ordine [il neo-liberalismo] in effetti si definisce come l'opera di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli,
affinché possa dispiegarsi senza impacci la potenza dominante del
capitale, ogni idea di porvi un limite non può avere altro senso che
quello di una restaurazione di questa sovranità, senza mai poter
escludere che tale restaurazione si dia come territorio – e, non se ne dispiaccia l'internazionalismo astratto,
la sovranità presuppone la delimitazione di un territorio –
quello delle nazioni esistenti...senza escludere simmetricamente che
essa si proponga anche di ampliarlo!”. È un esordio che condivido
pienamente, compreso il fatto che la sovranità implichi un
territorio ma altresì la distinzione di ciò che è all'interno e
ciò che è all'esterno. La frontiera è un elemento decisivo e
addirittura costitutivo della democrazia, che questa frontiera sia
territoriale o metaforica come nel caso dell'appartenenza a
un'organizzazione. È ridicolo sentire gli stessi che rifiutano le
frontiere attorno a un territorio difendere la distinzione membri/non
membri quando il loro potere è in gioco. Sarebbe il colmo se
ciascuno di noi potesse votare negli organismi di un partito
politico, quale che esso sia, senza esserne membro! Con quest'esempio
vediamo bene che l'esistenza della democrazia implica la chiusura
dello spazio politico e che questa chiusura implica una “frontiera”.
Dire questo non implica che non abbiamo niente in comune o che ci
dobbiamo disinteressare di coloro che si trovano dall'altra parte
del confine, che esso delimiti un'organizzazione o un paese. Ciò
però consente di attribuire un senso alla distinzione membro/non
membro, di conferirgli una pertinenza e quindi, per contrapposizione,
di ritenere pericolose le idee che rifiutano questa distinzione.
Fréderic
Lordon non dice niente di diverso quando aggiunge che coloro che contrappongono la Nazione all'Internazionalismo non si rendono conto della vacuità
di tale contrapposizione, dal momento che propongono “un
internazionalismo politicamente vuoto poiché non indica mai le
condizioni concrete della deliberazione collettiva, o, se le
indica, non si accorge che sta semplicemente reinventando il
principio (moderno) della nazione ma su una scala più ampia!”.
Fréderic
Lordon distingue poi ciò che chiama un “sovranismo di destra” da
un “sovranismo di sinistra”, contrapponendo “Nazione” e
“Popolo”: “potrebbe essere utile iniziare mostrando in che cosa
un sovranismo di sinistra si differenzia chiaramente da un sovranismo
di destra: quest'ultimo si concepisce generalmente come sovranità
“della nazione”, mentre il primo rivendica di attribuire la
sovranità “al popolo”.
Mi
pare che qui ci sia una confusione. La differenza fra destra e
sinistra non deriva dalla sovranità, ma dalla maniera di concepire la
Nazione. Da questo punto di vista, rifiuto l'idea che possa esserci
un sovranismo “di destra” o “di sinistra”. C'è il
sovranismo, condizione necessaria all'esistenza di un pensiero
democratico, e ci sono le ideologie che rifiutano la sovranità e quindi, alla
fine, la democrazia.
Quali
visioni della Nazione?
Questo
non vuol dire che non ci sia un pensiero di destra e un pensiero di
sinistra, ma questa contrapposizione non passa per la questione della
sovranità ma per quella della Nazione. Per un pensiero “di
destra”, la Nazione “è” e di conseguenza ci si sofferma poco
sulla sua origine. Si preferisce mettere l'accento sugli aspetti
atemporali della sua esistenza e la questione del “corpo mistico”
della Nazione non è considerata un'ubbia o un anacronismo.
Riemergono rapidamente i miti cristiani: per la maggior parte dei
pensatori di “destra” la Nazione rinvia, alla fine, al trittico
“une foi, une loi, un Roi” [una fede, una legge, un Re]. I
problemi cominciano, d'altra parte, con l'ingresso nell'età moderna,
con l'emergere di un pluralismo religioso (la Riforma) che distrugge
l'idea di un'unicità religiosa. Alcuni autori contemporanei, e fra
di essi personalità così opposte come Carl Shmitt e von Hayek,
fanno riferimento a “meta-valori” come origine della “legge”:
tali valori strutturerebbero quindi lo spazio della Nazione. Il
riferimento al cristianesimo è esplicito in Carl Shmitt. Non occorre
essere grandi studiosi per scorgere una riproposizione della
metafisica; qui però si pone un problema, cioè quello delle guerre
di religione che hanno insanguinato l'Europa nel Rinascimento. In
effetti dalla fine del XVI secolo, grazie a un personaggio come
Bodin, si sviluppa l'idea che la legge trae la sua legittimità dalla
necessità di far coesistere interessi e credenze diversi nell'ambito
di un medesimo spazio territoriale.
Non
è un caso che Bodin sia certo l'autore dei famosi Sei Libri della
Repubblica (5), ma anche del meno famoso, ma non meno importante,
“Colloquium Heptaplomeres” (6) o “Colloquio dei sette”, che
pone le basi dello Stato laico a partire dalla constatazione che in
materia di religione è impossibile convincere con argomentazioni che
fanno appello alla Ragione. Da quel momento, all'epoca delle guerre
di religione in Francia, l'importante non è sapere se si è
cattolici o ugonotti ma se si è francesi o alleati col re di Spagna.
E' stato solo ponendo il problema in questi termini che si è potuto
ricostruire uno spazio politico collettivo. Ma per questo occorreva
capire chi era francese e chi non lo era. Il pensiero “di destra”
non si è mai ripreso da questa rivoluzione che obbliga a pensare
l'origine della legge e i compromessi sociali al di fuori da
qualsiasi riferimento a una norma “divina” o semplicemente
fondamentale. Da questo punto di vista, la Nazione e lo Stato
post-Bodin sono incompatibili con tutti i fanatismi religiosi, tutte
le letture letterali di una religione, che si tratti di cristiani,
ebrei o musulmani (o altri...).
Per
i pensatori “di sinistra” la Nazione è prima di tutto una
costruzione sociale: una constatazione rassicurante con cui si crede
di aver liquidato la questione metafisica. Niente è meno sicuro. A
quella prima riflessione, che è profondamente vera, gli
intellettuali aggiungono due aporie. Se sono marxisti, non
concepiscono questa costruzione sociale che attraverso il prisma
della “lotta di classe che porrà fine alla lotta fra le classi”:
in breve, il ritorno hegeliano della contraddizione. Ma questa non è
che una rappresentazione che conduce a sminuire l'importanza della
Nazione come spazio abitato (e anche popolato) dalla democrazia. Dal
momento che lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo metterà fine allo
sfruttamento, che importanza ha questa “reliquia del passato” che
sono la Nazione e lo Stato? D'altra parte, in una società senza
conflitti lo Stato non è più necessario...Appena abbiamo creduto di
esserci liberati della zavorra metafisica, eccola di nuovo. E
Lenin, che scriveva Stato e rivoluzione qualche mese prima
dell'ottobre del '17, dovette riconoscere, sotto la spinta della
necessità, l'importanza dello Stato e l'esistenza di conflitti
sociali legittimi anche nella società post-rivoluzionaria. Per
alcuni marxisti (non tutti: lo so perfettamente), quell'atteggiamento
si accompagna a una sottovalutazione fondamentale della democrazia
stessa: quest'ultima diventa strumentale rispetto all'obiettivo della
fine dello sfruttamento. Sappiamo a quali derive ciò abbia condotto.
Se
invece sono marxiani e non marxisti (la differenza, per i non
iniziati, è che un marxiano cerca di essere fedele al metodo di
Marx, mentre un marxista a una tradizione interpretativa di Marx),
non hanno prismi teologici ma considerano in generale il cambiamento
sociale come legato ai tempi brevi, ciò che d'altra parte è
piuttosto normale quando si vuole cambiare il mondo. Il problema è
che la Nazione, e lo Stato-Nazione con essa, sono costruzioni sociali
che dipendono dai tempi lunghi e si estendono su parecchi secoli.
Della cultura politica che ne deriva, e che differisce notevolmente
da una Nazione all'altra, siamo impregnati, consapevolmente o meno; questa cultura non è altro che il linguaggio in cui possiamo
esprimere tanto i conflitti che le soluzioni. Da questo punto di
vista, anche se le analisi sono molto diverse, tra una visione
metafisica dello Stato e della Nazione, articolata intorno alla
nozione di “corpo mistico”, e una concezione che invece li
considera come prodotti di una costruzione sociale di lunghissima
durata, non c'è una differenza radicale a questo livello di analisi.
La differenza è piuttosto che, per coloro che intendono pensare la
Nazione e lo Stato nell'ambito di una costruzione sociale di lunga
durata, è indispensabile attenersi alla duplice ingiunzione di Jean
Bodin, che poggia da un lato sul principio che non possiamo fondare
la Nazione e lo Stato su basi religiose poiché la religione non ci
unisce più ma ci divide; dall'altro sulle condizioni di
funzionamento della Nazione e dello Stato che devono dominare
conflitti fra interessi e convinzioni diversi in nome della “cosa
pubblica”, la Res Publica.
L'opposizione
non è dunque tra un sovranismo “di destra” e uno “di
sinistra”: non c'è che un sovranismo. Ci sono però concezioni
della Nazione che sono “di destra”, perché riconducono ad aporie
religiose (e si parla qui tanto di religioni vere e proprie quanto di
visioni teologiche) che non sono compatibili con un pieno sviluppo
della democrazia. Ciò detto e precisato, condividiamo pienamente
l'idea affermata da Frédéric Lordon che la sinistra, quella vera,
avrebbe tutto l'interesse a riappropriarsi della Nazione come
condizione necessaria all'esistenza della democrazia e della Res
Publica. Beninteso, questa Nazione non è costituita su basi etniche
ed è pronta ad accogliere in sé tutti coloro che vengono a farla
vivere col loro lavoro ed energia, nel rispetto di leggi alla
formazione delle quali contribuiscono.
(1)
Lordon F., « Ce que l’extrême droite ne nous prendra
pas », articolo postato sul blog di Monde Diplomatique
all'indirizzo: http://blog.mondediplo.net/2013-07-08-Ce-que-l-extreme-droite-ne-nous-prendra-pas 8
luglio 2013.
(2) Durand C., (sotto la direzione
di), En finir avec l’Europe, La Fabrique éditions,
Paris, 2013.
(3) Sapir J., « Europe : un
livre, un sondage » articolo pubblicato su RussEurope il
16 maggio 2013, http://russeurope.hypotheses.org/1237 et
Idem, « En finir avec l’Europe (seguito) », articolo
pubblicato su RussEurope il 31 maggio
2013, http://russeurope.hypotheses.org/1306
(4)
Sapir J., Les
économistes contre la démocratie – Les économistes et la
politique économique entre pouvoir, mondialisation et démocratie,
Albin Michel, Paris, 2002
(5) Bodin, J. Les Six Livres de
la République, Librairie Générale Française, Le Livre de
Poche, con una presentazione di Gérard Mairet, Paris, 1993, 607 p.
(6) Bodin, J., Colloquium
Heptaplomeres, opera scritta nel 1587 ma rimasta per lungo tempo
manoscritta, non è stata pubblicata che nel 1858 a Lipsia da Ludwig
Noack
Meravigliosa coincidenza: Sapir ha espresso, con maggior capacità della mia, gli stessi concetti che contrapponevo all'internazionalismo eunuco di Revelli ospitato dal manifesto del 19 u.s..
RispondiEliminaA tal proposito si veda il dibattito del 2009 su micromega fra il Revelli e Brancaccio riproposto recentemente da main-stream.
Quanta strada dobbiamo recuperare!
Ho letto il dibattito a cui alludevi: imbarazzante il metodo di Revelli, che antepone il dato simbolico a quello materiale (quem vult perdere, deus amentat). In Francia la sinistra démondialiste è molto più avanti, ma anche lì hanno i loro "internazionalisti" con cui fare i conti: chi sa il francese potrà gustare questa polemica tra la sinistra liberoscambista, come la chiama Brancaccio, Lordon e Sapir, che non la mandano certo a dire (mai visto Sapir così furibondo). La strada, come dici, è lunga: proviamo a fare qualche passetto con l'aiuto di chi l'ha già percorsa.
EliminaSapir ha ragione. Ma Sapir ragiona all'interno di un contesto generale, improntato soprattutto da, secondo me, su un impostazione "francesista". Mi spiego meglio. Ogni nazione si è sviluppata mediante una propria storia e da questa storia si è forgiata una propria cultura. La Francia è per definizione quello stato il cui senso per lo stato è riconosciuto da ogni fazione politica. Diverso qui è il discorso in Italia, poichè lo sviluppo dello stato unitario ha seguito vie non proprio "francesi", direi di più "piemontesi". Da ciò si potrebbe dire che il sovranismo non si differenzia in base al colore politico ma in base alla cultura e al senso di appartenenza che vi è nel suddetto territorio.
RispondiEliminaLUIGI
"La sinistra, quella vera avrebbe tutto l'interesse di riappropriarsi della nazione"
RispondiEliminaInfatti Marco Rizzo è l'unico rimasto di sinistra in questo mondo di ladroni.
J.M