Paul Krugman sul New York Times osserva come i policy makers e la scienza economica siano ormai due mondi paralleli che non si incontrano: i primi vanno avanti imperterriti, anche se la loro scienza si è dissolta - contributo di affezionato lettore :)
di Paul
Krugman
traduzione di Andrea Giannini
Ho
preso parte a una discussione sulla direzione del dibattito in
materia di politica economica – che va nel senso opposto alla direzione
dell'attuale politica economica – nel quale è stata sollevata
un'interessante questione: quali
sono gli economisti di spicco che perorano la causa dell'austerità fiscale?
E' difficile rispondere, perché in questo frangente è dura trovare anche un solo grande economista che sposi quest'idea.
Per
inciso, quando dico “di spicco” o “grande” non sto dando un
giudizio personale. Posso pensare che [censura] non sia in effetti così
brillante, e che non meriti la reputazione che ha; mentre posso
pensare, all'opposto, che [censura] sia un economista molto migliore
di tanti altri che godono di una maggior reputazione in campo professionale: ma
non è questo il punto. La questione qui è quali
economisti di buona reputazione e con un buon citation index [numero di citazioni ricevute, ndt] portano avanti l'idea di austerità.
E
la risposta è: difficile
trovarne uno.
Alberto Alesina, una volta guru della cosiddetta “austerità
espansiva”, difende ancora le sue ricerche precedenti; ma non gioca
più un ruolo di primo piano nel dibattito politico corrente.
Reinhart e Rogoff, la cui famosa “soglia del 90 per cento” [nel
rapporto debito pubblico/PIL, ndt]
era considerata
vangelo, provano a difendere la loro reputazione professionale e andare avanti per la loro strada, ma non si uniscono al coro
di quanti continuano a chiedere l'austerità. Chi rimane?
Certo,
si possono sempre trovare degli economisti che sostengono la politica
del rigore nei think-tank
di destra o in qualche organizzazione internazionale; ma – ripeto –
qui mi interessano economisti
indipendenti dalla solida reputazione,
che
sia giustificata o meno.
E non mi viene in mente nessuno. Il
fronte dell'austerity
si
è semplicemente dissolto.
Eppure,
a quanto pare, questo
non fa differenza.
Paul Ryan, George Osborne, Olli Rehn o Wolfgang Schäuble hanno forse minimamente variato il loro ritornello? No: sono
troppo occupati a giustificare le loro idee aggrappandosi ad un
singolo trimestre di crescita. E per quelli che amano pensare che i
dibattiti economici seri abbiano un valore, è un'esperienza
mortificante.
Come ho avuto modo di commentare anche altrove, quanto sopra è il segnale + evidente della nave che affonda.
RispondiEliminaSpero davvero che sia il segnale di svolta, i topi che lasciano la nave, un attimo prima di percepire come reale il rischio di affogare
Sì ma mentre i topastri, dopo essersi fatti una bella crociera a spese nostre, se ne scappano, noi affondiamo con la nave.
EliminaE son convinto che se interrogati in merito all'effetto pratico delle loro ricette risponderanno come al tempo l'amato topastro/furbastro nostrano: ' ma noi non sapevamo' (era il braccio destro del brigante ma lui non sapeva)
Quelli erano al timone ma diranno: ma noi non immaginavamo (le conseguenze).
Si consolasse Krugman: Alesina, con Giavazzi, è ancora sulla breccia. Preconizzano la crescita con diminuzione delle tasse finanziata da 50 miliardi di tagli alla spesa pubblica (un gigantesco crowding-out...wishful thinking) e lodano il modello dei policy makers irlandesi.
RispondiEliminaLa vecchia guardia (Osborne, Ryan e il "duo") non si arrenderà mai
http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_12/insuperabile-tabu-italiano-alesina-giavazzi_9dd4fa3a-eab1-11e2-aab6-99ce3905fffc.shtml
Ahimé, vedo. Difende ancora le sue tesi, ma ha perduto il ruolo di primo piano che aveva, questo si può dire?
EliminaAssolutamente si, soprattutto perche', come fa intuire l'articolo, la maggior parte degli economisti preme per le politiche monetarie contro l'asuterity e pro-spesa pubblica (in alcuni casi).
EliminaIl problema secondo me e' un altro, ed e' accennato alla fine del pensiero di Krugman: e' gente come Olli Rehn a prendere decisioni in ambito economico, ma evidentemente non e' supportata da alcun economista, evidentemente e' supportata da personaggi facenti parte di holding finanziarie e grossi fondi d'investimento.
In soldoni, non sono gli economisti come ovvio che sia a dettare le "regole del mercato", ma sono direttamente gli speculatori finanziari a farlo, e qui mi ricollego al primo commento all'articolo: questa e' la prova che la nave sta realmente affondando.