15/05/14

Eichengreen: La Routine della Crisi Europea

Barry Eichengreen su Project Syndicate prende posizione contro coloro che pretendono che la crisi dell'eurozona sia finita e sottolinea la completa inadeguatezza dell’UE nel gestire la crisi, usando parole abbastanza dure se si pensa che provengono da un economista mainstream che non si può certo definire eterodosso o antagonista.


 
Segnalato e tradotto da @gr_grim, che ringraziamo
BERKELEY – Questo mese ricorre il quarto anniversario del salvataggio finanziario della Grecia del maggio 2010. Prima di allora, l’idea che un membro dell’eurozona avrebbe potuto chiedere un'assistenza di emergenza al Fondo Monetario Internazionale, alla Commissione Europea e alla Banca Centrale Europea, era semplicemente impensabile. Il salvataggio ha segnato così la discesa dell’Europa in una crisi conclamata.
Quattro anni dopo, i funzionari europei stanno assicurando a tutti che la crisi è finita. Il FMI ha alzato le sue previsioni di crescita per l’eurozona all'1,2%. Persino la Grecia è prevista in crescita di un modesto, ma non insignificante 0,6%.
Anche i mercati obbligazionari stanno segnalando che la crisi è finita. I rendimenti sui titoli di Stato irlandesi sono scesi sotto il 3%. Il mese scorso, il Portogallo è riuscito a emettere obbligazioni decennali al 3,57 %. Persino la Grecia è stata in grado di vendere le obbligazioni quinquennali a tassi inferiori al 5% .
È chiaro che i presunti esperti che avevano previsto l’imminente disintegrazione dell’eurozona sono stati smentiti. Ma è altrettanto probabile che chi ora dichiara che la crisi è finita sarà smentito a sua volta.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato dagli ultimi quattro anni, è che l’Unione Europea non ha la capacità di agire con decisione. Con 28 Stati membri, i processi decisionali sono tediosi e richiedono tempo. Gli interessi comuni sono difficili da definire, rendendo difficoltoso raggiungere accordi che suddividano i pesanti oneri (tra i vari Paesi N.d.T.). È considerato più urgente agire in alcuni settori piuttosto che in altri.
Inoltre, il paziente è tutt’altro che guarito. Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia hanno fatto notevoli progressi nel ridurre il proprio costo del lavoro per unità di prodotto ai livelli del 1999 in relazione alla Germania. Il problema è che i livelli del 1999 non sono sufficienti, dato che oggi i produttori hanno la Cina e gli altri mercati emergenti con cui competere. Nel frattempo, Italia e Francia hanno fatto progressi assai più contenuti nel migliorare la propria competitività internazionale.
Non risulta essere chiaro, inoltre, dove i Paesi in crisi riusciranno a incontrare la domanda di cui hanno bisogno. Con la riduzione della domanda interna, si sono affidati alle esportazioni. Ma ora che la crescita dei mercati emergenti è rallentata, i loro mercati di esportazione si stanno indebolendo. Le esportazioni spagnole, che erano su un trend positivo fino a poco tempo fa, hanno smesso di crescere. E la Spagna potrebbe rivelarsi il proverbiale canarino nella miniera di carbone.
La BCE, da parte sua, continua a fare troppo poco per sostenere la domanda. Dal 2011 è rimasta sotto tono. Anche se a giugno iniziasse finalmente con il Quantitative Easing, la BCE potrebbe solo fare piccoli passi in quella direzione (utilizzare il QE con estrema parsimonia N.d.T), dato che il Presidente Mario Draghi ed il suo team rimangono riluttanti ad attuare il tipo di misure radicali che potrebbero scioccare i loro referenti politici.
Sul fronte del bilancio, i nuovi primi ministri francese ed italiano (Manuel Valls e Matteo Renzi, rispettivamente) hanno proposto un taglio delle tasse per i lavoratori a basso reddito e per i loro datori di lavoro. Questo è senz’altro un passo positivo per affrontare la situazione di coloro che hanno sofferto di più per la crisi di disoccupazione. Ma Valls e Renzi hanno anche in programma di tagliare la spesa pubblica per impedire al proprio deficit di bilancio di peggiorare, il che significa che il loro intervento non riuscirà ad incrementare la domanda.
 
Nel frattempo, la crisi bancaria in Europa rimane irrisolta. I prestiti per finanziare gli investimenti fissi sono in continuo calo. Sorprendentemente, l’ultimo stress test dell’European Banking Authority per le banche dell’eurozona non contempla nel suo scenario peggiore la possibilità che ci sia una deflazione. L’implicazione è chiara: il deficit di capitale delle banche verrà sottovalutato e l’ammontare di nuovo capitale che gli verrà richiesto di raccogliere sarà inadeguato. Se l’obiettivo è ripristinare la fiducia e rimettere in moto il sistema bancario a pieno regime, non è questo il modo di realizzarlo.
E tutti sanno che la tanto decantata unione bancaria europea è profondamente fallata. Crea un unico supervisore, ma solo per le banche più grosse. Armonizza la copertura assicurativa dei depositi, ma non fornisce un unico fondo di assicurazione per i depositi. Il meccanismo di risoluzione per le “bad bank” è incomprensibile e inapplicabile. Il fondo di risoluzione associato avrà un capitale proprio pari a solo 55 miliardi di euro (76,6 miliardi di dollari), mentre le passività delle banche europee sono dell’ordine dei mille miliardi di euro.
Infine, c’è anche il fastidioso problemino del debito pubblico, che rimane ancora al 90% del PIL dell’eurozona. I funzionari europei si prefiggono di ridurlo gradualmente al loro obiettivo del 60% in una ventina d’anni. Avete capito bene. Tornate a controllare come andranno le cose nel 2034.
Tutto questo è il prodromo per una prognosi infausta. Ma è così che l’Europa progredisce. La sua unione può essere imperfetta, ma almeno esiste, e col tempo i suoi difetti possono essere rimossi. Gli stress test potranno essere imperfetti, ma almeno sono meglio dei due precedenti tentativi fatti dall’Europa. L’azione della BCE di quest’estate potrebbe deludere, ma almeno i funzionari che si occupano della politica monetaria in Europa faranno qualcosa.
L’eurozona non collasserà quest’anno, ma i suoi problemi sono tutt’altro che finiti. L’Europa non reagirà con determinazione per combattere la sua crisi. La risolutezza non è il modo di agire dell’UE.



Barry Eichengreen insegna Economics and Political Science all'Università Berkeley, California, ed ha servito come consulente economico del FMI. Il suo libro più recente è Exorbitant Privilege: The Rise and Fall of the Dollar and the Future of the International Monetary System.

5 commenti:

  1. "...Valls e Renzi hanno anche in programma di tagliare la spesa pubblica per impedire al proprio deficit di bilancio di peggiorare, il che significa che il loro intervento non riuscirà ad incrementare la domanda." Bisognerebbe spiegarlo a Renzi.

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    1. domanda? che sarebbe? noi Europei questa parola "domanda" non ce l'abbiamo sul dizionario europeo.

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  2. Mah...articolo banale ed impreciso, nonché geneticamente eurista, tanto che nulla dice che la crisi della domanda interna dei Paesi come l'Italia nasce dalla crisi delle esportazioni causate dalla orrida sopravvalutazione dell'euro per economie come Italia, Slovenia, Spagna, ecc.
    La crisi italiana è una crisi di domanda: gli italiani non c'hanno più un centesimo nelle saccocce ! E perché non hanno un centgesimo ? Perché i prodotti italiani sono troppo costosi per l'export, a cauade dell'euro !

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    1. a dire il vero i lavoratori italiani non hanno più un euro in tasca grazie alle riforme che hanno precarizzato il lavoro e ai contratti di lavoro che non vengono rinnovati da decenni.

      il calo delle esportazioni causa euro forte è più causa dei pochi soldi dei piccoli-medi imprenditori.

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    2. non solo ma anche a causa dell'incremento assurdo delle tasse. Non e' questione di export che e' rimasto alto, e' questione che hanno ammazzato la domanda interna e questo per riequilibrare la bilancia commerciale (cio' significa che avevamo da ripagare i paesi creditori). Per questo chiedere a Monti, Letta ed a Renzy a' menzogna.

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