Barry Eichengreen su Project Syndicate prende posizione contro coloro che pretendono che la crisi dell'eurozona sia finita e sottolinea la completa inadeguatezza
dell’UE nel gestire la crisi, usando parole
abbastanza dure se si pensa che provengono da un economista mainstream che non
si può certo definire eterodosso o antagonista.
Segnalato e tradotto da @gr_grim, che ringraziamo
BERKELEY
– Questo mese ricorre il quarto anniversario del salvataggio
finanziario della Grecia del maggio 2010. Prima di allora, l’idea
che un membro dell’eurozona avrebbe potuto chiedere un'assistenza di emergenza
al Fondo Monetario Internazionale, alla Commissione Europea e
alla Banca Centrale Europea, era semplicemente impensabile. Il salvataggio ha
segnato così la discesa dell’Europa in una crisi
conclamata.
Quattro
anni dopo, i funzionari europei stanno assicurando a tutti che la
crisi è finita. Il FMI ha alzato le sue previsioni
di crescita per l’eurozona all'1,2%. Persino la Grecia è
prevista in crescita di un modesto, ma non insignificante 0,6%.
Anche
i mercati
obbligazionari stanno segnalando che la crisi è finita. I
rendimenti sui titoli di Stato irlandesi sono scesi sotto il 3%. Il
mese scorso, il Portogallo è
riuscito a emettere obbligazioni decennali al 3,57 %. Persino la
Grecia è stata in grado di vendere le obbligazioni quinquennali a
tassi inferiori al 5% .
È
chiaro che i presunti esperti che avevano previsto l’imminente
disintegrazione dell’eurozona sono stati smentiti. Ma è
altrettanto probabile che chi ora dichiara che la crisi è finita
sarà smentito a sua volta.
Se
c’è una cosa che abbiamo imparato dagli ultimi quattro anni, è
che l’Unione Europea non ha la capacità di agire con decisione.
Con 28 Stati membri, i processi decisionali sono tediosi e richiedono
tempo. Gli interessi comuni sono difficili da definire, rendendo
difficoltoso raggiungere accordi che suddividano i pesanti oneri (tra
i vari Paesi N.d.T.). È considerato più urgente agire in alcuni
settori piuttosto che in altri.
Inoltre,
il paziente è tutt’altro che guarito. Irlanda, Portogallo, Spagna
e Grecia hanno fatto notevoli progressi nel ridurre il proprio costo
del lavoro per unità di prodotto ai livelli del 1999 in
relazione alla Germania. Il problema è che i livelli del 1999 non
sono sufficienti, dato che oggi i produttori hanno la Cina e gli
altri mercati emergenti con cui competere. Nel frattempo, Italia e
Francia hanno fatto progressi assai più contenuti nel migliorare la
propria competitività internazionale.
Non
risulta essere chiaro, inoltre, dove i Paesi in crisi riusciranno a incontrare la domanda di cui hanno bisogno. Con la
riduzione della domanda interna, si sono affidati alle esportazioni.
Ma ora che la crescita dei mercati emergenti è rallentata, i loro
mercati di esportazione si stanno indebolendo. Le esportazioni
spagnole, che erano su un trend positivo fino a poco tempo fa, hanno
smesso di crescere. E la Spagna potrebbe rivelarsi il proverbiale
canarino nella miniera di carbone.
La
BCE, da parte sua, continua a fare troppo poco per sostenere la
domanda. Dal 2011 è rimasta sotto tono. Anche se a giugno
iniziasse finalmente con il Quantitative Easing, la BCE potrebbe solo
fare piccoli passi in quella direzione (utilizzare il QE con estrema
parsimonia N.d.T), dato che il Presidente Mario Draghi ed il suo team
rimangono riluttanti ad attuare il tipo di misure radicali che
potrebbero scioccare i loro referenti politici.
Sul
fronte del bilancio, i nuovi primi ministri francese ed italiano
(Manuel Valls e Matteo Renzi, rispettivamente) hanno proposto un
taglio delle tasse per i lavoratori a basso reddito e per i loro
datori di lavoro. Questo è senz’altro un passo positivo per
affrontare la situazione di coloro che hanno sofferto di più per la crisi di disoccupazione. Ma Valls e Renzi hanno anche in programma di
tagliare la spesa pubblica per impedire al proprio deficit di
bilancio di peggiorare, il che significa che il loro intervento non
riuscirà ad incrementare la domanda.
Nel
frattempo, la crisi bancaria in Europa rimane irrisolta. I prestiti
per finanziare gli investimenti fissi sono in continuo calo.
Sorprendentemente, l’ultimo stress
test dell’European Banking Authority per le banche
dell’eurozona non contempla nel suo scenario peggiore la possibilità che ci sia una
deflazione. L’implicazione è chiara: il
deficit di capitale delle banche verrà sottovalutato e l’ammontare
di nuovo capitale che gli verrà richiesto di raccogliere sarà
inadeguato. Se l’obiettivo è ripristinare la fiducia e rimettere
in moto il sistema bancario a pieno regime, non è questo il modo di
realizzarlo.
E
tutti sanno che la tanto decantata unione
bancaria europea è profondamente fallata. Crea un unico
supervisore, ma solo per le banche più grosse. Armonizza la
copertura assicurativa dei depositi, ma non fornisce un unico fondo
di assicurazione per i depositi. Il meccanismo di risoluzione per le
“bad bank” è incomprensibile e inapplicabile. Il fondo di
risoluzione associato avrà un capitale proprio pari a solo 55
miliardi di euro (76,6 miliardi di dollari), mentre le passività
delle banche europee sono dell’ordine dei mille miliardi di euro.
Infine,
c’è anche il fastidioso problemino del debito pubblico, che rimane
ancora al 90%
del PIL dell’eurozona. I funzionari europei si prefiggono di
ridurlo gradualmente al loro obiettivo del 60% in una ventina d’anni.
Avete capito bene. Tornate a controllare come andranno le cose
nel 2034.
Tutto
questo è il prodromo per una prognosi infausta. Ma è così che
l’Europa progredisce. La sua unione può essere imperfetta, ma
almeno esiste, e col tempo i suoi difetti possono essere rimossi. Gli
stress test potranno essere imperfetti, ma almeno sono meglio dei due
precedenti tentativi fatti dall’Europa. L’azione della BCE di
quest’estate potrebbe deludere, ma almeno i funzionari che si
occupano della politica monetaria in Europa faranno qualcosa.
L’eurozona
non collasserà quest’anno, ma i suoi problemi sono tutt’altro
che finiti. L’Europa non reagirà con determinazione per combattere
la sua crisi. La risolutezza non è il modo di agire dell’UE.
Barry Eichengreen insegna Economics
and Political Science all'Università Berkeley, California, ed ha servito come consulente economico del FMI. Il suo libro più recente è Exorbitant Privilege: The Rise and Fall of the Dollar and the Future of the International Monetary System.
"...Valls e Renzi hanno anche in programma di tagliare la spesa pubblica per impedire al proprio deficit di bilancio di peggiorare, il che significa che il loro intervento non riuscirà ad incrementare la domanda." Bisognerebbe spiegarlo a Renzi.
RispondiEliminadomanda? che sarebbe? noi Europei questa parola "domanda" non ce l'abbiamo sul dizionario europeo.
EliminaMah...articolo banale ed impreciso, nonché geneticamente eurista, tanto che nulla dice che la crisi della domanda interna dei Paesi come l'Italia nasce dalla crisi delle esportazioni causate dalla orrida sopravvalutazione dell'euro per economie come Italia, Slovenia, Spagna, ecc.
RispondiEliminaLa crisi italiana è una crisi di domanda: gli italiani non c'hanno più un centesimo nelle saccocce ! E perché non hanno un centgesimo ? Perché i prodotti italiani sono troppo costosi per l'export, a cauade dell'euro !
a dire il vero i lavoratori italiani non hanno più un euro in tasca grazie alle riforme che hanno precarizzato il lavoro e ai contratti di lavoro che non vengono rinnovati da decenni.
Eliminail calo delle esportazioni causa euro forte è più causa dei pochi soldi dei piccoli-medi imprenditori.
non solo ma anche a causa dell'incremento assurdo delle tasse. Non e' questione di export che e' rimasto alto, e' questione che hanno ammazzato la domanda interna e questo per riequilibrare la bilancia commerciale (cio' significa che avevamo da ripagare i paesi creditori). Per questo chiedere a Monti, Letta ed a Renzy a' menzogna.
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