Riportiamo qui il contributo di Thomas Palley al dibattito su "Il Capitale del Ventunesimo Secolo" dell'economista francese Piketty, una voluminosa analisi sulle crescenti disuguaglianze che secondo l'autore tenderanno a consolidarsi. Piketty propone la soluzione della tassazione progressiva sui ricchi, ma non mette in discussione il contesto politico e istituzionale che favorisce l'aumento delle disuguaglianze. Per Palley l'opera appare rivoluzionaria, ma può avere un effetto alquanto gattopardesco.
di Thomas Palley - Il
Capitale nel Ventunesimo
Secolo
di Thomas Piketty è un tomo di 685
pagine che caratterizza definitivamente il modello empirico della
disuguaglianza di reddito e di
ricchezza nelle economie capitaliste nel corso degli ultimi 250 anni,
e soprattutto negli ultimi cento anni.
Documenta anche l'ascesa grottesca della disuguaglianza nel corso
degli ultimi 40 anni, e si conclude con un invito a
reintrodurre delle aliquote di imposta
progressive
sul reddito e una tassa sul patrimonio
complessivo.
Il suo
libro ha toccato
un nervo scoperto ed
è diventato
un evento. Avendo
inferto un duro
colpo contro la disuguaglianza, Piketty è
diventato anche un polemista accidentale. Ecco perché il suo libro
ha il potenziale per innescare involontariamente un
dibattito sul cosiddetto capitalismo del
"libero mercato". La grande
domanda è: quel che lui auspica,
succederà?
Per mettere nella giusta prospettiva il suo status di “fenomeno”, consideriamo quanto segue. Il libro (al momento della stesura di questo articolo) è il numero uno della lista dei best seller di Amazon.com, prima di autori del calibro di Lynn Vincent con Heaven is for Real: A Little Boy’s Astounding Story of His Trip to Heaven and Back; di George Martin con A Game of Thrones 5-book boxed set; di Erlend Blake con Never Work Again: Work less, Earn More and Live Your Freedom; e di Dale Carnegie con How to Win Friends & Influence People.
Il Sunday
Times, solitamente
sobrio e misurato,
ha pubblicato un
lungo articolo accompagnato da una barra
laterale in cui
il libro di Piketty appare a fianco
de La
ricchezza delle nazioni di Adam Smith
(1776 ); del Saggio sul
Principio di
Popolazione
di Thomas Malthus (1798); dei
Principi di Politica Economica di John Stuart Mill (1848); del Capitale
di Karl Marx (1867); e de
La Teoria generale dell'occupazione,
dell'interesse e della moneta di John
Maynard Keynes (1936). Penso che parlare
di “fenomeno” sia giusto e
non esagerato.
Il libro di Piketty si compone di quattro parti. La prima fornisce un quadro teorico, le due successive forniscono la documentazione empirica, e la quarta propone un quadro di politica economica per invertire l'aumento delle disuguaglianze degli ultimi 40 anni. Secondo le opinioni di tutti gli esperti, il lavoro empirico è superbo sia come campo di ricerca che come dettaglio dell'analisi ed è considerato precursore di una nuova scuola economica che esplora i "grandi" insiemi di dati. Nel caso di Piketty i grandi dati sono le dichiarazioni dei redditi delle persone.
La tempistica del libro è quasi perfetta col nuovo interesse politico suscitato dalla disuguaglianza, ma i suoi risultati empirici non sono rivoluzionari e in realtà l'aumento delle disuguaglianze nel reddito e nella ricchezza è documentato da anni, anche se in modo meno completo. A partire dal 1988 con la prima edizione di The State of Working America, Larry Mishel e il suo co-autore del Economic Policy Institute di Washington DC, hanno documentato semestralmente il problema della stagnazione dei salari e l'aumento della disuguaglianza del reddito negli Stati Uniti - e anche loro hanno utilizzato i grandi dati del Current Population Survey. Jamie Galbraith ha sostanzialmente confermato il quadro nel suo libro del 1998 Created Unequal: The Crisis in America Pay. Inoltre, anche lui ha utilizzato dati piuttosto grandi, sulla distribuzione dei salari nel settore manifatturiero, e successivamente ha esteso la sua ricerca all'economia internazionale.
Un
altro economista che ha documentato l'aumento della
disuguaglianza del reddito
e della ricchezza negli
Stati Uniti è Edward Wolff, nel suo libro
del 2002, scritto
insieme ad altri autori: Top
Heavy: The Increasing Inequality of Wealth in America and What Can Be
Done About It, e il suo libro del 2008
Poverty and Income Distribution.
Per quanto riguarda i modelli globali, Branko Milanovic ha dato
un contributo preminente con il suo
articolo del 2002 True World Income Distribution, 1988 and 1993:
First Calculations Based on Household Surveys Alone e il
suo libro del
2005 Worlds Apart: Measuring
International and Global Inequality.
Altri contributi
famosi sono
quelli di
Anthony Atkinson e François Bourguignon. E, naturalmente, anche
Piketty ha contribuito con il suo articolo magistrale del 2003,
co-autore Emmanuel Saez, sulla disuguaglianza del reddito negli
USA dal 1913 al
1998. Infatti, il suo libro è in parte una
estensione della metodologia sviluppata in
quell'opera.
Dato tutto questo, è interessante chiedersi perché Piketty abbia sfondato laddove altri hanno fallito. A mio avviso, c'è una ragione politica. Mishel, Galbraith, e Wolff sono economisti progressisti di sinistra. Anche se i loro libri non sono trattazioni teoriche o politiche complessive del problema, la loro logica teorica implicita enfatizza il potere economico e politico. Tale logica è esplicitamente sviluppata nel mio libro del 1998 Plenty of Nothing: The Downsizing of the American Dream and the Case for Structural Keynesianism.
Il punto
importante è che l'economia
mainstream ha difficoltà a riconoscere i lavori
che provengono da tali fonti, perché
riconoscerli equivale a legittimarli.
Il che crea la
strana situazione in economia per
cui niente viene
pensato o conosciuto fino a quando non è
la persona giusta a
dirlo. Questo modello si applica alle
disparità di reddito, alla
macroeconomia della deflazione
del debito, all'economia
dei controlli dei
capitali internazionali, e alla teoria
dell'inflazione della curva
di Phillips, per
citare alcuni esempi.
Queste osservazioni portano ad un secondo problema per cui, dopo che si è placato il polverone iniziale, il libro di Piketty può finire per essere l'economia del Gattopardo, che cambia tutto senza cambiare niente [..], in quanto nella prima parte del suo libro Piketty fornisce una spiegazione neoclassica tradizionale del peggioramento delle disuguaglianze. Questo crea una opportunità gattopardesca in cui la disuguaglianza è riportata nell'alveo della teoria economica tradizionale, che rimane invariata.
Utilizzando
un quadro convenzionale della produttività
marginale, Piketty fornisce una spiegazione della crescente
disuguaglianza basata
sull'aumento
del divario tra il prodotto marginale del
capitale, che determina il tasso di profitto (r), e il tasso di
crescita (g). Poiché la proprietà del capitale è così
concentrata, un tasso di profitto più elevato o
un tasso di crescita più lento
aumentano le
disuguaglianze,
perché i redditi
dei ricchi crescono più rapidamente dell'economia globale.
Il
carattere convenzionale del pensiero teorico di Piketty si
manifesta particolarmente nelle sue
prescrizioni di politica economica.
Il suo quadro neoclassico della
crescita lo porta a concentrarsi sulla tassazione come rimedio. C'è
poca attenzione ai problemi delle istituzioni economiche
e delle strutture del potere economico,
perché questi non sono parte del quadro neoclassico. Questo spiega
sostanzialmente l'atteggiamento
diffidente degli economisti
progressisti nei confronti
del libro. Inoltre, anche se tecnicamente fattibili,
le prescrizioni fiscali di Piketty sono politicamente ingenue,
dato il crescente
controllo del capitale sul
processo politico.
Il
successo fenomenale di Piketty solleva
dilemmi laceranti per gli economisti
progressisti. Il suo libro ha sollevato il profilo politico della
disuguaglianza; sembra mirabilmente modesto; egli esprime con
insistenza idee liberali sane
sugli effetti
tossici del medio
evo della disuguaglianza sulla democrazia;
ed egli raccomanda la tassazione della ricchezza. Qualsiasi
critica può apparire come rozza.
Gli stessi dilemmi
riguardano
economisti come Paul Krugman, che è brillantemente affidabile nella
sua critica dei repubblicani, meno affidabile nella sua critica dei
Democratici, e inaffidabile nella sua critica della teoria economica
dominante. A
criticare si
rischia di
tagliare le
fonti del sostegno alleato.
Tuttavia,
queste cose devono essere dette. Valori condivisi e analisi condivise
sono diversi. Valori condivisi possono creare accordi a breve termine
che oscurano i
conflitti a lungo termine inerenti le differenze di ragionamento. Le
idee contano
e l'incapacità di articolare le idee con
veridicità può avere conseguenze
disastrose. Gli economisti
accademici hanno l'obbligo di indicare chiaramente le questioni
teoriche. Il libro di Piketty è un trattato accademico con
implicazioni di politica pubblica, il
che significa che è giusto sottolineare le sue tendenze neoclassiche
e i pericoli
Gattopardeschi.
Il libro ha già avuto un enorme impatto politico positivo. A mio parere, dire la verità sui suoi limiti non ne diminuirà l'impatto. Gli economisti neoclassici hanno sempre parlato del capitale. Il soggetto proibito è il capitalismo. Piketty ha stuzzicato l'appetito del pubblico con il suo discorso sul capitale. Una critica amichevole può far sì che si rifletta pubblicamente sul capitalismo e su ciò che è necessario perché il capitalismo possa realizzare una prosperità condivisa.
Comunque qua si trova una buona rassegna dei commenti al best seller di Piketty, che ...sarà, ma sembra cadere a pennello per la patrimoniale che si aggira per l'Europa...
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