Nella seconda parte della Absolute Return Letter di Marzo 2011 lo sguardo si sposta alle materie prime, all'inflazione, al QE, e alle prospettive future, in maniera certo non convenzionale...
Niels C. Jensen
Ora, cambiamo marcia e spostiamo la nostra attenzione sul Medio Oriente. Gli eventi recenti sono stati descritti nei media internazionali come un mix di guerra di religione e di rivendicazioni di libertà politica. In realtà non si tratta di nessuna di queste cose. E' il risultato del rapido aumento dei prezzi alimentari combinato con un'elevata disoccupazione giovanile in tutta la regione. Tuttavia, per ora, gli sviluppi sono abbastanza seri da far salire i prezzi dell'energia a livelli capaci di fare un danno significativo alla ripresa economica nascente.
Molti commentatori, soprattutto quelli che su internet amano esprimere opinioni estreme di qualità più o meno dubbia, sono stati subito portati a dichiarare che il recente aumento dei prezzi delle materie prime è in funzione della politica dello 'stampare denaro' applicata dalle banche centrali di tutto l'emisfero occidentale a seguito della crisi finanziaria del 2008-09. Il fatto è che la Fed e altre banche centrali possono "stampare" migliaia di miliardi di dollari, euro o sterline senza aver alcun effetto sull'inflazione presente o futura. Ciò che conta davvero è quello che le banche commerciali, i cui bilanci sono gonfiati dal QE, fanno con il denaro, e la prova schiacciante è che complessivamente l'attività di credito è diminuita abbastanza drammaticamente dopo la crisi (vedi grafico 2). Da qui, l'idea che il QE è da biasimare come causa del picco dell'inflazione è una sciocchezza pura e semplice.
Chart 2: Loan Growth, Pre and Post Lehman Collapse
Source: Barclays Capital, various central bank websites
In realtà, basta guardare al collegamento tra il dollaro e le valute asiatiche per trovare una spiegazione dell'attuale boom dei prezzi delle materie prime. Con la maggior parte delle valute asiatiche agganciate al dollaro USA, i bassi tassi di interesse americani hanno portato a bassi tassi d'interesse asiatici (altrimenti non potrebbero mantenere il cambio col dollaro USA); in effetti troppo bassi per il tipo di crescita di cui questi paesi godono attualmente. E' quindi giusto dire che stiamo pagando il prezzo della nostra stupidità. Se avessimo messo i piedi per terra anni fa e avessimo fermato la manipolazione dei tassi di cambio in Asia, il boom economico in Asia sarebbe stato più modesto, e l'aumento dei prezzi delle materie prime probabilmente sarebbe stato meno drammatico, ma è tutta acqua passata.
Guardando avanti, e come ho spesso sottolineato, i prezzi delle materie prime stanno avendo un impatto molto maggiore sulle economie emergenti rispetto alle economie più consolidate (e per questo motivo abbiamo sottopesato i mercati emergenti nella nostra asset allocation globale, negli ultimi mesi). All'interno dell'area OCSE, a meno che i sindacati riescano a riguadagnare la posizione di forza di cui godevano nel 1970, ci sono poche possibilità di una spirale inflazionistica indotta dai salari come quella che abbiamo vissuto alla fine del 1970 e all'inizio del 1980. L'inflazione indotta dai prezzi delle materie prime non è così pericolosa, ma è effettivamente una tassa sul consumo, e alla fine si esaurirà, come l'economia si raffredda.
Ciò non significa che non dobbiamo prendere questo tipo di inflazione sul serio, e non implica certo che l'inflazione non può salire ulteriormente nel breve-medio termine. Come discusso nella Absolute Return Letter del mese scorso, la Cina sta affrontando una grave spinta inflazionistica, e quasi certamente alla fine importeremo un po' di inflazione. Albert Edwards ed i suoi colleghi della SocGen hanno scritto un pezzo interessante circa tre settimane fa, dove si sottolineava il forte legame tra l'inflazione dei prezzi al consumo cinesi e americani - con un ritardo di circa 20 mesi (vedi tabella 3).
Chart 3: From Chinese CPI to US Goods Prices
Source: Societe Generale Cross Asset Research |
Ora, nonostante quello che dicono i ribassisti a oltranza, l'inflazione al consumo in aumento da quasi zero al 2% è in realtà una buona notizia. Negli ultimi 2-3 anni abbiamo vissuto in un contesto un po' insolito, caratterizzato da contemporanee tendenze in direzioni opposte, sia deflazionistiche che inflazionistiche, e, per la cronaca, ci aspettiamo che continuerà così per molti anni ancora. Tuttavia, almeno per ora, si sta formando il consenso sul fatto che le tendenze inflazionistiche alla fine prevarranno, e il mercato obbligazionario è quindi probabile che reagirà in modo eccessivo alle cattive notizie sul fronte dell'inflazione, o qualcosa del genere secondo Albert Edwards. Siamo d'accordo con questa logica.
Nonostante tutti il chiasso che proviene dal lato dei bears, in realtà, i rendimenti obbligazionari hanno ancora un andamento decrescente (vedi tabella 4) e rimangono sotto i livelli di un anno fa, sia nel Regno Unito, che negli Stati Uniti e in Germania (vedi grafico 5 a -5c). Certo, sono più elevati rispetto ai livelli registrati sei mesi fa, ma se l'anno scorso in questo periodo vi avessi detto che l'economia globale vi avrebbe sorpreso con una crescita superiore a quella prevista nel 2010, gli Stati Uniti e le economie europee sarebbero state in crescita, i prezzi in generale e quelli dell'energia sarebbero stati particolarmente vivaci, avreste scommesso che i rendimenti obbligazionari sarebbero stati più bassi un anno dopo? No, non lo avreste fatto.
Chart 4: US 10-Year Bond Yields Still In a Down Trend
Source: Societe Generale Cross Asset Research |
Chart 5a: UK Yield Curve (0-50 Years) |
Chart 5b: US Yield Curve (0-30 Years)
Conclusioni. what does Che Cosa significa tutto questo? La risposta onesta è che non lo so! L'Irlanda potrebbe andare avanti ancora per anni prima di dichiarare il default sul debito e lasciare l'euro, ma potrebbe anche prendere il toro per le corna, chiamare il bluff della UE e negoziare molto meglio i termini del debito. Molto dipenderà dalla capacità di contrattazione della squadra che il nuovo governo manderà a Bruxelles per negoziare con l'UE alla fine del mese. E i bonds dei paesi periferici potrebbero essere il miglior investimento al mondo nel corso dei prossimi dodici mesi, o il peggiore, a seconda di come andranno a finire tali negoziati. Nel frattempo, la situazione in Nord Africa potrebbe deteriorarsi molto con l'Arabia Saudita: domanda da 64.000 dollari! Se il movimento di protesata si diffonde in Arabia Saudita, può accadere di tutto, tra cui i prezzi del petrolio a 200 dollari. Potremmo andare a finire con non uno, ma dieci o dodici 'Iran' - oppure i regimi in Nord Africa e nel Medio Oriente potrebbero accelerare i loro programmi di riforma, e potrebbero aprirsi nuovi mercati per le imprese dell'Europa e del Nord America, come le riforme nell'Europa orientale 20 anni fa hanno creato opportunità del tutto nuove. Io proprio non lo so. Quello che so, però, è che molto dipende da come i nostri governi e le nostre autorità di politica monetaria reagiranno a tutto questo. Per quanto riguarda le prospettive di inflazione, spero proprio che Ben Bernanke si ricordi della conclusione di un articolo di ricerca scritto proprio da lui nel 1997 , e non reagisca in modo eccessivo al picco dei prezzi del petrolio: "I nostri dati suggeriscono che una parte importante degli effetti degli shock del prezzo del petrolio sull'economia non dipendono non dalla variazione dei prezzi del petrolio di per sé, ma dal conseguente inasprimento della politica monetaria". “Systematic Monetary Policy and the Effects of Oil Price Shocks”, Ben Bernanke et. al., 1997 Parlando di possibili reazioni eccessive, vi consiglio di dare un altro sguardo al grafico 5c, che rappresenta la curva dei rendimenti tedeschi. La cosa fondamentale da notare è il fatto che, a differenza del Regno Unito e degli Stati Uniti, i rendimenti a breve e medio termine (quelli con una scadenza inferiore ai 10 anni) sono effettivamente saliti in Germania nel corso degli ultimi dodici mesi, portando ad un modesto appiattimento della curva dei rendimenti rispetto a un anno fa. Il mercato sostanzialmente è dell'opinione che la BCE sarà la prima grande banca centrale ad attuare una stretta significativa della politica monetaria. Dato che molti paesi periferici in Europa sono allo stato vitale minimo, una tale mossa probabilmente passerà alla storia come uno degli errori più grandi di politica monetaria di tutti i tempi. Attenzione! Sullo stesso tema, la rubrica Lex del FT di questa mattina ha sottolineato che la curva dei rendimenti si è appiattita negli Stati Uniti di circa 20 punti base, a partire dall'inizio di Gennaio. Ancora un segno che i mercati hanno iniziato a prepararsi ala fine dei 'soldi facili'. Per tutti questi motivi, è meglio non correre dei rischi col portafoglio obbligazionario. Non perché siamo diventati falchi dell'inflazione, perché non lo siamo, ma perché non possiamo rimanre tranquilli con tutte queste incognite. Ci sono troppi risultati possibili, non solo a Dublino e Tripoli, ma a Lisbona, Atene, Madrid, Tunisi, Il Cairo, Amman, Manama, Muscat, Sanaa e Riyadh, per citarne solo alcuni. Prima parte |
Nessun commento:
Posta un commento