Ricevo e con grande gioia e soddisfazione pubblico questo post di 48 a lungo atteso sulla Corrruzzzione, che entrando profondamente nel merito disvela lo strano apparente paradosso per cui dietro la propaganda anti-spesa pubblica spesso si nascondono proprio quelli che gli affari a spese del pubblico li stanno organizzando assai bene....
1. ANTEFATTO METAFORICO
Il dottor Petiot fu a lungo stimato
per le sue conoscenze scientifiche, addirittura lodato per la sua
utilità alla comunità come medico, che, dicevano, faceva “avanzare”
la scienza medica.
Ma se si fosse analizzata in
dettaglio la sua vita precedente, senza pregiudizi e distorsioni,
determinate da un “certo tipo di consenso” pubblico (divenne
persino sindaco del suo paese), con tutte le abbondanti “tracce”
di una crudeltà inumana (o “troppo umana”), sostenuta
dall’incrollabile fede nelle sue ragioni, gli stessi benpensanti
che lo avevano lodato sarebbero stati
terrorizzati…http://www.occhirossi.it/biografie/MarcelPetiot.htm
Leggendo, e facendo i dovuti
collegamenti, capirete il “nesso” (“nexus”, per coloro che
ricordano i “modelli” dei replicanti in Blade Runner).
Ovviamente la storia si manifesta
prima in tragedia e poi si ripete come “farsa”. Ovviamente…
2. MACROECONOMIA E IL LUOGOCOMUNISMO
AZIENDALISTA
L’essenza di
ciò che consente di “prosperare” all’azione dei doctor Petiot
del nostro tempo, è un’idea alterata e manipolativa dell’economia
politica, della macroeconomia applicata all’esistenza dello Stato
come soggetto “insopprimibile” delle dinamiche socio-economiche.
Per sminuirne la funzione si fa passare l’idea che lo Stato, cioè
noi in quanto cittadini-elettori, dovrebbe comportarsi
come una buona massaia (quella sì che sa far quadrare i
conti…peccato che gli stessi che ne esaltano le doti, facciano di
tutto per non farglieli quadrare e piuttosto….”girare”…non i
conti)
La
macroeconomia,
infatti, non è la scienza dell'economia "familiare" o
“aziendale”. Chi lo sostiene nega, maliziosamente (i “seguaci”,
magari per ignoranza), l'essenza del suo presupposto caratterizzante:
il fenomeno organizzativo, pre-economico (cioè sociale “generale”
e non “aziendale”), costituito dalla presenza di un ente politico
comunitario – lo Stato- che garantisce un bene come l'ordinata
convivenza civile, promuovendo il benessere (almeno nelle
enunciazioni indefettibili delle carte costituzionali democratiche).
Questo “ente” non solo non può essere assoggettato alle leggi
“micro” per definizione (cioè per sua funzione e finalità), ma
la sua azione deve (sempre e comunque) influire sul “caotico”
combinarsi seriale delle leggi microeconomiche, che, essendo
tendenziali, incorporano la deviazione effettuale dagli equilibri
teorici e il loro periodico travolgimento.
Una volta che
lo Stato sia concepito come una “società per azioni”, non c’è
limite alle distorsioni dell’interesse generale che ciò determina.
La prima è che gli Stati sono visti come maxi-imprese in contesa
economica tra loro nella logica della “competitività”. Con la
compromissione non solo del “fogno” della pace e prosperità
universali, ma dello stesso benessere dei rispettivi cittadini. E non
lo dico io, lo dice Krugman “Per
fare una dura ma non completamente ingiustificata analogia, un
governo sposato all'ideologia della competitività è altrettanto
improbabile faccia una buona politica economica quanto un governo
impegnato nel creazionismo possa fare una buona politica della
scienza, anche in aree che non hanno relazione diretta con la teoria
dell'evoluzione”
Quindi
la macroeconomia si trova inevitabilmente a lavorare su presupposti
inevitabili di "non esattezza" (non voglio esplicitamente
coinvolgere la "indeterminazione"), dovendo osservare
fenomeni umani collettivi, organizzati su valori storicamente
mutevoli. E' dunque una scienza sociale a carattere (precondizione
implicita necessaria) “assiologico” e come tale non univoca per
sua stessa ipotesi metodologica (non può prescindere da giudizi di
valore, storicamente determinati, data la necessaria restrizione
delle variabili considerate rispetto alla complessità). Non di meno
tale scienza sociale è "aperta", cioè assume
l'arricchimento di dati e analisi come fattore costante di evoluzione
e dialettica rafforzativa delle ipotesi (che come sappiamo è quasi
impossibile sperimentare).
Ora le analisi
e le “soluzioni” che discendono dall’UE risultano
inevitabilmente
tutte immerse nella politica preconfezionata dalla ideologia UEM,
radicalmente concepita come corollario della competitività tra Stati
(v. sempre Krugman, sopra citato).
Ciò sarebbe,
in coerenza con quanto abbiamo premesso, perfettamente naturale e
legittimo, se non fosse per il trascurabile “dettaglio” che i
suoi
“razionali” sono accuratamente nascosti, dato che si tratta di
un'ideologia (Bundesbank’s version del Washington consensus” e
Von Hayek come profeta…del darwinismo “sociale”), non soltanto
criticata proprio dalla schiacciante maggioranza degli economisti
“seri” (premi Nobel e con pubblicistica universalmente
accettata), quanto
contraria alle Carte costituzionali dei paesi interessati.
Cioè ogni
Stato democratico ha già compiuto le sue scelte “assiologiche”
ma, senza alcuna armonizzazione tentata o risolta, su queste piomba
con tutto il suo peso l’assiologia “occultata” del disegno
europeo, su tutte la UEM,
che risulta sterilizzare o “annullare” la dinamica realizzazione
dei rispettivi valori democratici costituzionalizzati.
Questo è
stato descritto “anche”
dai costituzionalisti, con vari accenti, ignorati altrettanto quanto
il parere degli economisti più autorevoli, cfr., come esempio
eloquente, “Il costituzionalismo asimmetrico dell’Unione”, a
cura di Antonio Cantaro, Torino, 2010 (notare l’anno, così
tragicamente prossimo alla crisi, irreversibile, oggi conclamata e
ieri prevista in dettaglio).
3. CONSENSO
MEDIATICO E POLITICHE DEI GOVERNI TECNICO-EMERGENZIALI.
Ma che
economisti e giuristi specialisti siano stati inascoltati, e lo
rimangano contro ogni evidenza, è, in buona sostanza, un problema
mediatico (chi legge i libri di economisti e costituzionalisti non
“cooptati” nel circo mediatico? Oggi, guarda caso, ne stiamo
constatando i “corollari” in modo molto attuale…).
Nel versante
mediatico, così cruciale per la formazione della pubblica opinione e
del “consenso” anche elettorale, si trova probabilmente il più
alto grado di responsabilità per l’attuale situazione.
Non a caso,
un incondizionato entusiasmo mediatico, scisso dai fatti che si
verificano con manifesta “tragicità” davanti agli occhi di
tutti, sorreggono i “governi dei tecnici” (in mezza
europa…debitrice e, perciò, PIGS). E
questo dovrebbe condurci a fare utili deduzioni sulla natura dei
potenti di turno, sul tratto unificante di questo potere.
Nella
situazione attuale, registriamo un fenomeno di tale entusiasmo
convergente e assolutizzato verso l'azione del governo (“l’Agenda
Monti”…tra un po’ ci si giurerà sopra come sul Vangelo) che,
dati i soggetti da cui promana (i giornalisti "sempre-proni"
e gli “esperti ufficiali”, officianti il rito della ripetizione
degli slogan di “diversione” dalla verità, quale indicata dalla
scienza imparziale e libera nei fini), sta ad indicare che
attualmente il potere, nella veste governativa, si manifesta al suo
stato mistificatorio "quasi puro" (cosa che non si poteva
dire rispetto all'era di B. ed alla sua imperfezione, che costringeva
gli stessi soggetti mediatici-espertologi, a preoccuparsi delle sue
plateali contraddizioni, spesso, al tempo, per giustificarle,
lacerando continuamente la legittimazione che il disegno UEM
ricercava).
E quale
risulta il tratto essenziale di questo potere ora
"manifesto"?
L'Europa, la mistica del "ce lo chiede l'Europa", il dogma che tutto quanto sia già "stabilito" in quella sede si connoti automaticamente in un valore operativo incontestabile, tale che intere nazioni e moltitudini di esseri umani, teoricamente dotati di possibilità critiche e di cultura evolvibile, ne "debbano" essere plasmati senza possibilità di mediazione.
L'ordine
costituito (abbiamo
visto, nebulosamente, e senza alcuna solida chiarezza condivisa) a
livello europeo, svolge quindi la funzione assiomatica tipica dei
principi rivelati delle religioni monoteiste. Una nuova teologia si
esercita in paralogismi per trovare corollari logici che appaiano
persuasivi per la Ragione, senza mai mettere in contestazione i
presupposti del "nuovo ordine".
Una macchina
di condizionamento infernale sta così chiudendo ogni possibile
discorso costruttivo sulla realtà in divenire: in nome dell'Europa
si
preclude la riflessione sugli scopi stessi dell'organizzazione
politica umana, sul ruolo evolutivo delle Costituzioni, sulla
pervasività di un'economia sovrastata da una finanza regolata da
algoritmi che incorporano soltanto il profitto nel breve termine.
La dimensione antropologica del benessere e della comunicazione tra
individui e popoli viene considerata tutta già definitivamente
risolta nel quadro para-etico di questa mistica, che tende ormai al
trascendente.
Ora, dati gli svariati fattori moltiplicatori dell'incidenza sul PIL dell’austerity “che promuove la vera crescita” (come “vera fede” era quella che portava a scannare gli eretici e a fare le crociate contro di essi, come accadde per i “catari”), cioè di maggiori tasse e minore spesa pubblica, risulta eloquente la vicenda dei “fiscal multiplier” corretti dal FMI e tutt’ora ignorati da Commissione e governi di “commissariamento condizionale”.
Questi
elementi, sommati a fattori di contesto legati in termini di
“compresenza significativa”, come il credit
crunch
e la simultanea austerità dei paesi UE (la cui domanda in parte si
riflette sulla nostra offerta in esportazione intra-area, e noi siamo
sempre, per quanto non piaccia agli autodetrattori, il secondo
esportatore dell'area), si scontrano ormai col fatto, puntualmente
ignorato dai media (o con un risalto “trascurabile”), che lo
stesso FMI HA CALCOLATO LA RECESSIONE CUI ANDREMO INCONTRO NEL PROSSIMO TRIENNIO, SENZA CORREGGERE LE POLITICHE "MONTI-BCCE-BUNDESBANK", NELL'8%.
Il resto sono chiacchiere e distintivo dell'associazione anime belle (?)-che-pensano-che-l'euro-sia-una-grande-idea-evviva-lagermania-che-la-merkel-è-tanto-brava-e-ci-salverà-dalla-corruzione…
4.
L’ANNIVERSARIO
DI TANGENTOPOLI E “IL TRADIMENTO DELLA POLITICA”
La firma di
Maastricht e il culmine di “Tangentopoli”
si verificarono simultaneamente, esattamente come oggi si ha
l’impressione che sia stato “scoperto” il verminaio della
corruzione e dei “costi della politica”, e, come abbiamo capito
nei circuiti extramediatici della rete, non è un caso.
Il fenomeno
Tangentopoli, così come oggi la levata di scudi
“casta-corruzione-debitopubblicobrutto”, sono stati definiti come
"tradimento della politica" , che sarebbe cioè venuta meno
al suo presunto onere di “auto correggersi”, (idea ridicola e un
po’ paradossale che ignora i veri “rapporti di forza”).
Ammettiamo che
una legge perfetta contro la corruzione sia fatta: scomparirebbe per
questo il "tradimento della politica"?
No,
perché, come vedremo in dettaglio più oltre, la corruzione della
mazzetta e della malversazione è solo la forma più rozza di
consolidamento degli "affari" contrari all'interesse
pubblico che alterano la funzione (costituzionale) degli organi di
governo democratico.
Con un ordinamento legislativo orientato, nella sua crescente globalità, a consentire questi "affari", si potrebbe avere paradossalmente assenza di corruzione in senso penalistico (o corruzione dei soli rubagalline) e massima ingiustizia e assetto predatorio dell'oligarchia rispetto al popolo (teoricamente) sovrano (e l'euro è, in sé, l'esempio più tragico di ciò).
I migliori affari ormai vengono pianificati nelle istituzioni UE (BCE in testa, con le sue "lettere" su mercato del lavoro e privatizzazioni della ricchezza pubblica, tese a rassicurare, o meglio, “orientare” gli investitori finanziari alla ricerca di una garanzia per il loro crescente credito) e oggi, paventare la sola "restaurazione" berlusconiana finisce per affrontare un problema "minore".
Con un ordinamento legislativo orientato, nella sua crescente globalità, a consentire questi "affari", si potrebbe avere paradossalmente assenza di corruzione in senso penalistico (o corruzione dei soli rubagalline) e massima ingiustizia e assetto predatorio dell'oligarchia rispetto al popolo (teoricamente) sovrano (e l'euro è, in sé, l'esempio più tragico di ciò).
I migliori affari ormai vengono pianificati nelle istituzioni UE (BCE in testa, con le sue "lettere" su mercato del lavoro e privatizzazioni della ricchezza pubblica, tese a rassicurare, o meglio, “orientare” gli investitori finanziari alla ricerca di una garanzia per il loro crescente credito) e oggi, paventare la sola "restaurazione" berlusconiana finisce per affrontare un problema "minore".
Cioè del come
esistano ancora le "cricche" di mezze figure,
(rispetto ai veri players
che ricoprono il ruolo di “incumbent”
dell’indirizzo politico continentale), che sgomitano illecitamente,
come sostanziali emissari della politica (bipartisan), per sedersi al
tavolo degli affari con i potenti, che comunque, e sempre più
incontrastati, non hanno bisogno di commettere illeciti per ottenere
l'ampliamento delle loro rendite a scapito della generalità, ma
"ottengono" leggi e regole, grazie allo strutturale
asservimento delle istituzioni, ormai svuotate da organismi
sovranazionali e non democraticamente rappresentativi...
Sulla tomba
della Costituzione
scriveremmo "Ce lo chiede l'Europa"..
5.
EUROPA, CORRUZIONE, SPESA PUBBLICA E PRIVATIZZAZIONI.
Sia come sia,
ma la narrazione (direbbe Vendola) dell'euro si accompagna fin
dall'esordio inscindibilmente all'idea che lo Stato, l'ente pubblico,
la cura dell'interesse generale mediante forme pubblicistiche, siano
un male in sè, perchè sarebbero inefficienti e portatori di
corruzione (e, ripetono, lo “capirebbe qualsiasi brava massaia, la
stessa che, pensate un pò, sarebbe la più colpita dall’inflazione
in caso di uscita dall’euro). Cioè non sarebbero stati finora
gestiti come un’azienza (rectius
una “impresa”, ma tant’è), ovvero come una “famiglia”. Ciò
che abbiamo visto al par.1 essere la bufala più amata dal partito
unico-mediatico dell’euro…
Questa premessa indimostrata,
asseverata, già venti anni
fa, dall'ondata emozionale degli anni di tangentopoli -e
dall'ignoranza perseguita nell'identificare correttamente le cause
della dilatazione, via interessi passivi, del debito pubblico
italiano-, ha portato a
un assetto di questo tipo (Ndr:
buona parte di questa elencazione la ritrovate nel libro “Il
tramonto dell’euro” di Alberto Bagnai, di cui il virgolettato
riflette una diretta citazione):
a) si è deciso di introdurre
la società di capitali come forma prevalente di gestione dei servizi
pubblici, specie locali
(ma non solo, e non solo servizi).
b) si è introdotta l'idea che ciò
avrebbe evitato (non si sa perchè) ulteriore corruzione,
specialmente se si fosse sviluppato il partenariato pubblico-privato:
il privato porterebbe, sempre, non si sa bene perchè, un'esperienza
“vincente” che avrebbe fatto abbassare i costi e le tariffe;
c) per agevolare la "efficienza",
dando la colpa della
corruzione (che in sè
non è detto che sia legata alla inefficienza, in termini di rapidità
decisionale, anzi) alla
burocrazia, si sono
aboliti i controlli
preventivi di legittimità
sugli atti principali che comportano una spesa (svolti dalla Corte
dei conti, nonchè dai co.re.co e dagli organi statali che la
esercitavano sugli atti regionali). Così, costituzione di queste
società, capitalizzazioni, scelte dei soci e metodi relativi,
decisioni di spesa, tipo bandi di gara e susseguenti procedure, sono
stati sottratti a controllo preventivo, proprio
quando irrompeva la super-regolazione di derivazione UE in materia
(regolazione a ondate, sempre più stratificata), cioè quando più
forte si poneva l'esigenza di verificare il rispetto delle più
complesse regole;
d) tale disciplina
europea, anche se in
crescente finalizzazione "apparente" alla logica
concorrenziale, in realtà, ponendo una serie inestricabile e sempre
più complicata di parametri, requisiti, standard, certificazioni
legittimanti, forme associative tra imprese, si risolve in generale
nel privilegiare le
imprese più "grandi" e quelle che già godevano di
rapporti pre-instaurati con la pubblica amministrazione (imprese
spesso coincidenti tra loro);
e) si è privatizzato
il sistema bancario,
rigorosamente in nome dell'Europa e dello Stato-cattivo, ma al
tempo stesso si è creata una componente fondamentale e spesso
decisiva di controllo
azionario-bancario
mediante il sistema delle fondazioni,
“influenzate”
a loro volta, in intrecci solidali tra le fondazioni stesse,
dagli enti pubblici
territoriali mediante i
soggetti amministratori da questi nominati; ciò, in aggiunta, senza
alcun controllo sulle relative nomine,
non solo preventivo, come s'è visto abolito, ma anche sul rispetto
di labili parametri legali
di individuazione dei "nominati" da parte della politica;
f) si è proceduto (tradendo le
roboanti affermazioni iniziali post-tangentopoli) a rendere
fortemente dipendenti dalla politica i dirigenti pubblici in
posizione decidente della spesa pubblica,
e ciò con incidenza, principalmente, a livello locale, per le spesa
conseguente a scelte di pianificazione
territoriale e di politica industriale,
area decisionale che, a sua volta, conduce a costituzione di società,
a scelta dei soci, ed all'aggiudicazione di un sistema di appalti
proiettati su fronti crescenti di attività in precedenza pubbliche
(dalla gestione delle ex aziende pubbliche di servizi, alla
"esternalizzazione" di segmenti di attività
amministrativa, affidata a "privati" come diretti erogatori
di servizi “interni” alla p.a.: informatizzazione, contabilità e
gestione del personale, servizi di pulizia ecc.);
g) si è, contemporaneamente,
provveduto a amplificare,
prima a livello legislativo, poi costituzionale, la sfera operativa e
funzionale di regioni e enti locali,
trasferendo ad essi il potere di spesa e di assunzione del personale
relativo (il tutto sempre nella simultanea abolizione dei controlli
preventivi di legittimità sugli atti corrispondenti).
Shakerate il tutto e otterrete, come
corollario dell'Europa,
cioè della combinazione
della “sussidiarietà” e della libertà del mercato
- mai ben identificato, stante anche le falle della disciplina
antitrust-, un gigantesco
spazio di trattativa, libera da effettivi ostacoli nelle regole
univoche e stabili del diritto pubblico, tra privati e politica
(non propriamente con l’amministrazione pubblica, dato
l'asservimento che evidentemente consegue da tale disegno, della
prima alla seconda), per poter disporre dei beni, dei servizi e della
relativa provvista finanziaria pubblica.
“Il meccanismo è perfetto. Si
vuole creare una società per gestire lo studio delle problematiche
tecniche di certe opere pubbliche, a livello regionale o di grande
comune; si trova il dirigente (politicamente scelto a ampissima
discrezionalità) che ne approva lo schema tecnico, la giunta che lo
delibera, i capitali forniti dalla banca vicina alla fondazione a sua
volta "vicina" alla maggioranza che delibera...e
induce nei tecnici pubblici dipendenti le scelte a valle, et voilà...
Avrò capitali, controlli
limitatissimi (al massimo a posteriori e in termini di efficienza, ma
sprovvisti di vera sanzione ostativa del disegno), libertà di
aggiustare – spesso con trattative private determinate da urgenze
divenute insindacabili, ovvero con bandi su misura- la scelta
dei soci privati, dei destinatari degli appalti (dato che la società
tenderà a calibrare studi di fattibilità e bandi sulle
caratteristiche, politicamente e inevitabilmente "volute",
del soggetto creato ad hoc tra imprese amiche e prestanomi dei
politici).
I politici saranno soci (azionisti),
medianti prestanomi o colleghi di secondo piano, o "tecnici"
di area (senza selezione che non sia la vicinanza politica) dello
stesso ente che forma la società. Soci espressione di grandi imprese
diverranno anch'essi parte della compagine e sosterranno quella parte
politica: se l'andamento della società è in deficit, gli stessi
soci potranno liquidare a condizioni vantaggiose le loro
partecipazioni, lasciando ai bilanci, incontrollati nelle forme
pubbliche ormai abolite, di aggiustare valori e stime degli assets e
delle prospettive di redditività.
I debiti contratti per capitalizzare
e i deficit saranno ripianati, indirettamente o direttamente,
prima o poi, dal centro (lo Stato), -sotto la pressione del
ricatto sul "paventato collasso" dei servizi per anziani e
infanzia-, da amministratori
centrali parte della stessa cricca politica che controlla le
nomine nella società, o a cui viene dato il potere di
farne per partecipare alla spartizione,
garantendosi comunque anche la continuità
del credito effettuato
dagli amici banchieri in cordata con le fondazioni bancarie
(controllate dalla stessa politica locale e centrale).
Il meccanismo ha applicazioni
multiple e variate. L'abilità sta proprio nella convergenza
delle leggi verso questo obiettivo di sistema.
La corruzione diviene un fatto conforme alle regole: solo gli
sprovveduti e gli arroganti incorrono negli strali della
magistratura.
I più abili giungono a controllare,
tramite profitti da aggiudicazione di appalti e di servizi pubblici
locali, vere e proprie holding. Solo la Corte dei conti ogni anno
lamenta l'andazzo fallimentare per i soldi pubblici (strutture e
finanziamenti immessi nel circuito, ripianamenti delle perdite) e per
l'aumento delle tariffe. Intanto, decine di migliaia di consiglieri
di amministrazione, direttori generali e figure varie costituiscono
una classe paraprivata di gestori e fruitori di emolumenti e
potere decisionale che si esprime in pilotaggi di appalti e
assunzioni senza concorso nelle strutture di nuova creazione.
La rendita da monopolio "locale" e i patti di liquidazione, soddisfano gruppi privati "partner", e li legano sempre più alla complicità con le parti politiche autrici del disegno.
La rendita da monopolio "locale" e i patti di liquidazione, soddisfano gruppi privati "partner", e li legano sempre più alla complicità con le parti politiche autrici del disegno.
La commistione di forme private e
pubbliche, la demenziale complicazione delle regole di scelta
europee, consente una facciata impenetrabile di "regolarità"
al tutto e le vecchie mazzette vanno in pensione, trasformandosi in
decisioni di scambio di favori: il figlio del tizio-dirigente o
assessore (in consonanza tra loro) viene assunto di qua, o fa
carriera (magari universitaria ) di là, dato che magari un tizio
ulteriore, che controlla le decisioni di carriera, è stato nominato
nel cda della società stessa in quota "x".
Le holdings,
al riparo dalla concorrenza sostanziale, e sotto l'egida della
"aggiustata" concorrenza europea, prosperano e si
rafforzano; le imprese
tagliate fuori vanno sempre più in difficoltà, rimanendo in
crescente difficoltà creditizia sia per...l'Europa (euro) sia perchè
non facenti parte del cerchio magico...delle linee di credito erogate
dalle banche (con dentro le fondazioni). Le applicazioni, una volta
consolidate le posizioni, sono infinite; soggetti di questo tipo,
anche se le gare vengono rese formalmente più rigorose, hanno un
vantaggio schiacciante in termini di requisiti di qualificazione e di
standards
di legittimazione professionale e finanziaria richiesti dai
successivi bandi.”
Insomma, se da una parte politica si
chiude un occhio su tutto questo, evitando di smontarlo e anzi
votandolo quando si presenta in parlamento, dall'altra, si
contraccambia lasciando all'altra parte, che so', una situazione di
monopolio nel settore dell'informazione televisiva e non.
…“E il cerchio si chiude con
l'Italia modernizzata dalle forme europee, tanto che ora si vogliono
aggiungere altri elementi di riduzione di questo stato-cattivo e di
incremento di questa bella efficienza dei privati, scelti come
beneficiari (e magari salvatori della patria) con inappuntabili
sistemi europei... e ci mancherebbe!”
6. CONTROLLI E INVESTIMENTI DI
SISTEMA. ALCUNI RIMEDI (FORSE) PRATICABILI
Vediamo quanto finora analizzato in
termini di possibili soluzioni su vari aspetti applicativi. Che tutti
ricercano negli enunciati formali e nessuno pare voler concretamente
attuare. A un certo punto, persino su LaVoce.it arriva un'ammissione
della erroneità della scelta, dapprima compiuta nel 1997 (d.lgs.
n.127 ) poi ratificata nel Tit.V Cost del 2001, di abrogare i
controlli preventivi di legittimità.
Si trattò, come si è visto, di un
sostanziale "via libera" alla spesa senza verifica
preventiva del rispetto delle leggi che la limitavano, per
consentire, prima ancora che "libero" appalto a
“libera cricca” politica, il presupposto essenziale della
creazione del sistema
societario partecipato degli enti locali e delle regioni,
sistema peraltro adottato anche
dai ministeri, che hanno
costituito una “congerie” di società
per svolgere compiti promozionali e gestionali, prima effettuati a
minor costo dalle strutture ordinarie,
che però rimanevano prive della libertà di assunzione e di nomina
discrezionalissima e politica dei vertici, quelli stessi chiamati poi
a bandire e assegnare appalti, fuori bilancio dell'ente creatore.
Fenomeno, va ribadito, non solo apportatore di perdite e
ricapitalizzazioni a carico pubblico ma anche di diffusi accordi
corruttivi e clientelari (gli stessi organismi, infatti, hanno potuto
effettuare, fino a tempi recentissimi, assunzioni senza concorso e
senza controlli).
Dati i vincoli costituzionali il
ripristino di questo minimo argine (specialmente nella fase di bando)
è alquanto problematico: si
potrebbe cominciare con la “neutralizzazione” della nomina dei
vertici politici di queste società-stazioni appaltanti,
sottoponendola a stringenti criteri di qualificazione tecnica e di
incompatibilità-conflitto di interessi,
spostando la verifica del tutto sulle corti dei conti regionali.
Stesso discorso per la
verificabilità dei presupposti
di economicità-convenienza della stessa creazione di società e
partecipazioni pubbliche
(dalla cui revisione si potrebbero ricavare risparmi molto superiori
di quelli incentrati sugli acquisti in economia delle amministrazioni
tradizionali, già abbondantemente spremute da 20 anni di manovre e
tagli lineari).
Poi magari, (visto che per il
pareggio di bilancio in Costituzione lo si è fatto senza problemi)
mettere mano al Titolo V.
Cost., ripristinando
organi di controllo decentrato a vocazione tecnica: ovviamente, a
livello organizzativo, si tratterebbe di investire in nuova spesa
pubblica, ma si tratterebbe di soldi ben spesi, con un buon
moltiplicatore, anche per i risparmi ottenibili.
Però a tutti questi rimedi-
cui fa sempre da sfondo il recupero
della separazione tra banche commerciali e banche di investimento-
c’è da crederci molto
poco, finchè
esisteranno giornali a opposizioni focalizzati sui costi “diretti”
della politica (certo,
esagerati, inaccettabili, ma di scarso peso rispetto al volume di
soldi pubblici affluenti a questo sistema), cioè finchè la
“casta” sarà, in
modo semplificato e rumoroso, identificata
nei costi delle cariche elettive e degli apparati serventi degli
organi politici medesimi,
esaurendosi in essa e lasciando inalterato, salvo episodiche
“cosmesi”, il “grosso” del corpaccione descritto più sopra.
Diamo qualche cifra.
Un calcolo approssimativo divulgato
dalla stampa ci dice di circa 7500 società a partecipazione
pubblica, promosse in varie forme dai
soli comuni, province e loro associazioni e consorzi, a cui occorre
aggiungere le società regionali, non censite nei costi che di
seguito illustriamo. Per
tutti questi soggetti si giunge a un “monte” di nomine stimato in
circa 50.000, solo per le società partecipate dal livello
territoriale minore (quantificazione solo in parte mitigata dalla
previsione, in teorico corso di attuazione, della riduzione dei
consigli di amministrazione ad un unico amministratore prevista dal
d.l.n.78 del 2010 per le entità a totale partecipazione pubblica,
che non investe le mere “partecipate”, nonchè figure come i
direttori generali e altre cariche dirigenziali operative).
Insomma, tra
società statali, regionali e comunali, decine e decine di migliaia
di amministratori, delegati e componenti dei relativi consigli,
direttori generali e dirigenti vari
fruiscono di trattamenti economici sostanzialmente allineati con
quelli attribuiti agli “executives”
del settore privato assommandosi, senza controlli sulla selettività
e sull’assenza di conflitti di interessi (principalmente rispetto
alle società private operanti nei settori variamente influenzati
dall’azione delle società pubbliche), al costo della dirigenza
pubblica degli enti territoriali, (già di per sé, sia detto per
inciso, sovradimensionata, progressivamente ripoliticizzata e
attributaria di trattamenti economici incrementati a livelli senza
precedenza nella storia unitaria d’Italia).
Uno studio della UIL,
(che peraltro fa un po’ di confusione tra costi della politica e
costi, invero alquanto limitati, di organi previsti dalla
Costituzione e rientranti nel potere giurisdizionale), condotto in
base a dati del Ministero dell’interno, stima in 2,5
miliardi di euro solo i costi per i compensi, le spese di
rappresentanza e di funzionamento dei consigli di amministrazione,
degli organi collegiali societari, nel solo settore delle
“partecipate” dagli enti locali
(non è chiaro se ciò includa i maggiori corrispondenti costi delle
società analoghe di livello “regionale”: pare di no).
Tale “settore” assorbe inoltre
una considerevole quota
dei 3 miliardi di spese
per “consulenze”
e collaborazioni professionali, a vario titolo, utilizzate da tali
società nonché un’analoga
quota dei 4,4 miliardi di spese per “auto blu”.
Ciò senza contare le spese
di personale, assunto,
fino alla recente riforma del 2010, senza
una predeterminazione delle piante organiche “di diritto” e senza
concorso: basti pensare
che, in base ai dati OCSE
2007, il 5,4% della popolazione italiana “lavora” per il pubblico
in senso proprio (Stato, regioni, ee.ll, enti di diritto pubblico:
3.200.000 unità), dato peraltro riferibile a rilievi effettuati
prima dei “blocchi” del turn
over ripristinati negli
ultimi 3 anni. In questi termini si tratta di un “valore” che
non colloca l’Italia in dissonanza rispetto ai maggio paesi
dell’area euro (Germania 5,47%, Spagna 5,3%, Francia 7,9%).
Tuttavia il dato italiano non
tiene conto di oltre 700.000 dipendenti del settore delle
“partecipate” di Stato e degli enti territoriali,
che porta il numero complessivo a circa 4 milioni (facendo
saltare la formale “virtuosità” della comparazione,
nonché il dato contabile nazionale del costo del pubblico impiego,
di circa 140 miliardi, in quanto riferito al solo personale a “datore
di lavoro” formalmente pubblico).
Insomma, invece del “salvatore
unico della patria” Bondi, (quello Parmalat, per capirsi) che, a
quanto sembra, deve ancora "capire" la materia, e di una
logica emergenziale di “tagli”, bisognerebbe
ricreare, (attraverso
assunzioni
e vere riqualificazioni
basate su regole certe ed esplicite, contenute in atti normativi
chiari e non neutralizzati dalla clausola “a costo zero”), un
“ruolo” di controllori, esperti e qualificati,
ovviamente capaci di modulare i loro riscontri anche in funzione
delle caratteristiche del territorio e che vadano a ricostituire gli
organi di controllo preventivo ai vari livelli. Va poi considerata la
funzione finora parzialmente svolta da CONSIP, cioè da un organismo
statale centralizzato che, bandendo gare “cornice” possa
“fissare” dei prezzi
di riferimento, - con
risparmi di scala e prezzi “ottimali”, entro limiti di
flessibilità ragionevoli e da regolare con norme apposite-, non
superabili: tuttavia, non solo questo sistema non copre tutte le
possibili categorie di acquisti, ma neppure i lavori pubblici, il che
non è poco. Ovviamente occorrerebbe investire nella creazione di
una rete telematica generale che consenta di identificare con
immediatezza i prezzi di tutti gli acquisti e contratti "passivi"
facenti capo a tutti i livelli di “centro di spesa” pubblico,
includendo anche le locazioni di immobili, con indicatori
adeguatamente modulabili.
Tutto questo, però, non ha nulla a
che fare col taglio “lineare”, finora effettuato dai vari
“governi della crisi” (euro), cioè con la riduzione tout-court
della spesa complessiva, dato che le risorse
rese disponibili dai risparmi così ottenibili, dovrebbero essere
reimmesse nel circuito della spesa pubblica, in modo da non
indurre\aggravare la recessione e migliorare qualità e volume dei
servizi. (Su questi temi
diamo atto della puntuale e razionale analisi compiuta da Gustavo
Piga).
7. SPESA PUBBLICA, CONSULENZE E
EUROPA
C’è poi l’attuale caccia
alle streghe rispetto alle “consulenze”, assurte, per vari fatti
di attualità “scandalosa”, al disonore della cronaca,
alimentando l’indistinto vociare dei “livorosi”. Il problema
dell'integrazione di expertise mancanti nella p.a.
mediante consulenze è ancora più complesso, nelle sue cause, del
semplice fatto che finisce talvolta per dissimulare favori e accordi
corruttivi. Ancora una volta dobbiamo chiamare in causa l'UE:
- allorchè Maastricht impone la sua maggior "integrazione" normativa - e già, a capirlo bene, non era certo un favore, specialmente per un sistema basato sulle PMI-, con l'accelerazione del processo di recepimento di direttive strutturali (specie in tema di ss.pp., standards di gestione e tariffari e tutele tecnico-ambientali), tutte le amministrazioni pubbliche, non solo quella italiana, avrebbero dovuto munirsi di "piani di investimento" per dare risposta adeguata alla crescente complessità dei compiti (non più governati dalla discrezionalità amministrativa pura, opportunità-ragionevolezza, ma quasi esclusivamente da discrezionalità tecnica su parametri non sempre univoci e comunque immediatamente comprensibili (grazie Europa). Ma guai a parlare di “piani di investimento” , aggiuntivo, nell’era del “saldo primario” pubblico! La spesa pubblica è tutta e sempre “brutta” e “improduttiva”…
- allorchè Maastricht impone la sua maggior "integrazione" normativa - e già, a capirlo bene, non era certo un favore, specialmente per un sistema basato sulle PMI-, con l'accelerazione del processo di recepimento di direttive strutturali (specie in tema di ss.pp., standards di gestione e tariffari e tutele tecnico-ambientali), tutte le amministrazioni pubbliche, non solo quella italiana, avrebbero dovuto munirsi di "piani di investimento" per dare risposta adeguata alla crescente complessità dei compiti (non più governati dalla discrezionalità amministrativa pura, opportunità-ragionevolezza, ma quasi esclusivamente da discrezionalità tecnica su parametri non sempre univoci e comunque immediatamente comprensibili (grazie Europa). Ma guai a parlare di “piani di investimento” , aggiuntivo, nell’era del “saldo primario” pubblico! La spesa pubblica è tutta e sempre “brutta” e “improduttiva”…
Sta di fatto che da allora questa
"complicatezza" (si veda, ancora una volta, la legislazione
in tema di appalti, che tra l'altro siamo tra i più solerti a
recepire in termini di apertura del mercato degli operatori
europei…più solerti degli altri "grandi paesi" membri)
contraddistingue oltre l'80%
della neo-normativa nazionale, appunto derivante da fonti UE.
Mentre accadeva questo
“complicarsi” di compiti e normativa (essenzialmente tecnica)
da applicare, al tempo stesso, iniziarono
a applicarsi i tagli al personale e agli organici
che, per motivi politico-clientelari, invece di riversarsi sui
livelli funzionali più bassi (quelli dove l'assunzione "elettorale"
era più facile e produttiva di consenso), portarono al "blocco"
progressivo dell'acquisizione di expertise
nelle carriere direttive
(rese sempre più inappetibili retributivamente, mentre invece di
provvedeva, alla fine degli anni ’90, a promuovere in una dirigenza
riformata a livelli stipendiali elevatissimi, i cooptati politici che
dessero garanzie di fedeltà ai vertici elettorali).
Si noti che, contemporaneamente, i
livelli corrispondenti a quelli direttivi, i
“quadri”, sono stati massicciamente addensati di dipendenti
appartenenti, per titolo di studio e qualifica di accesso, alle
professionalità più basse, e ciò mediante lo strumento della
“riqualificazione” mediante “corso-concorso” (non
selettivo ma praticamente a ruolo “aperto”) riservato agli
impiegati dei livelli inferiori. Il
che ha peraltro anche vanificato buona parte del risparmio che
avrebbe potuto realizzarsi mediante i blocchi del turn
over, dato che lo
stesso numero di dipendenti finiva per costare di più (senza
rispondere alle esigenze funzionali e tecniche dell’amministrazione)
Il corto circuito tra crescente
"tecnicizzazione" dei compiti e impoverimento
"professionale" dei ruoli per esigenze (schizofreniche) di
bilancio, hanno così portato al dilatarsi delle consulenze
e, ancora una volta, all’allargamento
dell’area dell’affare politico “in nome dell’Europa”
(che non poteva tollerare investimenti pubblici, meno che mai sul
personale, facendo passare la vulgata goebbelsiana che fosse tutto
superlfuo e parassitario).
Il risultato è che il sistema è in
sè distorsivo e costoso, a doppio titolo: i consulenti - ma
identicamente gli analoghi "amministratori" delle crescenti
società pubbliche- non solo sono scelti a ampia discrezionalità
politica, ma sovente, specie a livello locale, rispondono alle
logiche dei gruppi di interesse privati che si sono accordati coi
vertici politici. Cioè, portano, quando
pure sono tecnici e non solo faccendieri, una expertise
tendenzialmente e pregiudizialmente al servizio degli assetti
pre-concordati tra gruppi imprenditoriali e politici eletti in carica
(e nominanti).
Quindi, il fenomeno è la
dimostrazione che la spesa
pubblica (assunzioni
congegnate sui reali fabbisogni della collettività) se compressa
meccanicamente -con limiti derivanti dall' UE secondo logiche poco
trasparenti-, si riespande
a valle a favore non solo delle tasche dei privati, ma anche a
scapito della corretta gestione,
al punto che non solo il sistema di "esternalizzazione", in
generale, alla fine ha costi diretti maggiori dei presunti risparmi
da tagli, ma porta pure ad assetti - di pianificazione,
autorizzazione, affidamenti, creazione di strutture fuori bilancio
ecc.- ulteriormente gravanti sulla spesa pubblica a favore di
"alcuni" privati.
8. CONCLUSIONI…PROVVISORIE
Qua, per ora, mi fermerei, (anche se
tante e tante cose “appassionanti” sarebbero da aggiungere,
nevvero), auspicando di aver fatto comprendere come i meccanismi
individuati da Goofynomics, in termini macro e per categorie
descrittive di rara efficacia (i “luogo comunisti”,
“spesapubblicacastadebitopubblicobrutto”, i “livorosi”)
giungono poi, a livello mesoeconomico, a fornire le spiegazioni più
attendibili ed efficaci dei fenomeni che più si prestano alla facile
propaganda “anti-Stato”.
La quale, oggi, ma anche ieri, e da troppo tempo, costituisce
il baluardo più solido dietro cui si attestano proprio quelli che
gli affari, a spese del “bene pubblico”, li sanno fare molto
bene…E intendono
proseguire a farlo, nascosti come la follia del doctor Petiot…
E il caso denunciato all'ultimo TFF da Loach è un caso emblematico...
RispondiEliminaCi ho fatto caso anche io. E infatti Ken Loach è uno veramente vicino alla gente comune, al mondo del lavoro.
EliminaEhi, Ken, if you can listen (or read), join our blogs and come over here and promote our struggle. It would help so much. Italians are not all like those festival organizers and managing officers: Carmen is not. And many others will add up...