Paul Krugman sdogana la Shock Economy di Naomi Klein e tutto quel che dentro di noi già sappiamo - anche perché lo dicono apertamente: la crisi, per alcuni, è una bella opportunità
"Penso
che gli "austerians" siano preoccupati che delle politiche
macro anti-recessione consentirebbero a un paese di "cavarsela"
nella crisi senza migliorare le sue istituzioni. In altre parole,
temono che uno stimolo di successo potrebbe sprecare le
possibilità offerte da una buona crisi.
Se la
gente pensa realmente che il pericolo di uno stimolo non è che
potrebbe fallire, ma che potrebbe avere successo, allora dovrebbe
dirlo chiaramente. Solo così, credo, potremmo avere un dibattito pubblico
ottimale sui costi e benefici."
Come
egli osserva, il giorno dopo aver scritto questo post, Steven
Pearlstein del Washington Post ha fatto esattamente questa
argomentazione a sostegno dell'austerità.
Ciò
che Smith non ha osservato, in modo alquanto sorprendente, è che la
sua tesi è molto vicino alla Shock
Doctrine di
Naomi Klein, la quale sostiene che le élite sistematicamente
sfruttano i disastri per far passare politiche neoliberiste, anche se
tali politiche sono sostanzialmente irrilevanti sulle cause dei
disastri. Devo ammettere che al tempo della sua pubblicazione non ero
tanto ben disposto verso il libro di Klein, probabilmente perché
fuori dal campo della professionalità e cose simili - ma la sua
tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo, in
particolare in Europa.
E la
storia va ancora più indietro. Due anni e mezzo fa
Mike
Konczal ci
ha ricordato un classico saggio del 1943 (!) di Michal Kalecki, il
quale suggeriva che gli interessi del business odiano la teoria
economia keynesiana perché temono che potrebbe funzionare - e questo comporterebbe che i politici non dovrebbero più umiliarsi davanti
agli uomini d'affari in nome del fatto di preservare la fiducia. E'
un argomento abbastanza vicino alla tesi che l'austerità è
necessaria perché lo stimolo potrebbe togliere l'incentivo alle
riforme strutturali che, avete indovinato, offrono alle aziende la
fiducia di cui hanno bisogno prima di degnarsi di produrre la
ripresa.
E
come previsto, nella mia casella di posta questa mattina vedo un
pezzo che più o meno deplora i primi segni di successo
dell'Abenomics: Abenomics
sta funzionando - ma sarebbe meglio se non funzionasse.
Perché se funziona, come facciamo a chiedere le riforme strutturali?
Quindi
un modo di vedere la via dell'austerità è l'implementazione di una
sorta di giuramento di Ippocrate al contrario: "In primo luogo,
non far nulla per limitare il danno". Perché la gente deve
soffrire se le riforme neoliberiste devono prosperare.
«Devo ammettere che al tempo della sua pubblicazione non ero tanto ben disposto verso il libro di Klein, probabilmente perché fuori dal campo della professionalità e cose simili - ma la sua tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo, in particolare in Europa.»
RispondiEliminaDevo ammettere di essere andato a leggere il testo originale (chiedo umilmente venia di ciò).
Neo keynesiano (può essere tutto e il suo contrario : ho capito un'altra volta come)
Chiedi venia e sarai perdonato ;)
Eliminapotenza del neokeynesismo
Il testo di Klein effettivamente è illuminante per capire l'inganno sottostante al liberismo. Teoria spacciata per moderna e in grado di favorire sviluppo e prosperità e invece utile solo alle elite dominanti. Quando l'ho letto, l'anno scorso, mi ha dato lo stimolo per iniziare il percorso di conoscenza dell'economia e dei perché della crisi attuale. E' veramente la chiave per capire come siamo arrivati qui.
RispondiEliminaSono molto d'accordo, è un testo che può essere compreso tranquillamente da chi non ha studiato l'economia (cioè quasi tutti) e rende il quadro della situazione chiaro...in maniera agghiacciante!
EliminaQui c'è la mia traduzione dell'articolo di Kalecki del 1943, "Aspetti politici del pieno impiego", e il link alla pubblicazione originale: http://gondrano.blogspot.it/2012/09/aspetti-politici-del-pieno-impiego.html. :)
RispondiEliminaGrazie Giorgio, quello fornito da Kalecki è veramente un pezzo importante del puzzle, che risponde alla domanda che spesso ci si pone: ma perché? forse che la crisi non svantaggia anche la business class?
EliminaAnche qui c'è un bel pezzo di Philip Pilkington che interviene nel dibattito sul FT a proposito del futuro del capitalismo, in cui ne fa un bel sunto.
"Questa teoria economica si sviluppa sulla base di un fenomeno cognitivo-teorico, di “rimozione” di un presupposto fondamentale della teoria kenesiana che si accinge a criticare. La rimozione, cioè, riguarda l’esistenza stessa del fenomeno dei “fallimento del mercato”: nelle sue argomentazioni viene negata le rilevanza dei monopoli e degli oligopoli.
RispondiEliminaQuesta natura contrappositiva a Keynes, parziale e in definitiva asistematica, sottintende, in pratica, una premessa ideologica non apertamente dichiarata: la rimozione dall’analisi del “fallimento del mercato”, non è indice di una limitazione colposa dell’indagine, ma l’intenzionale proposizione di un modello che programmaticamente preveda la sopportazione dei costi delle ricorrente crisi sul fattore lavoro, cui viene fatto esclusivo carico della correzione inflazionistica su cui si impernia la stessa finalizzazione del sistema politico-economico.
Questo tratto ideologico è comune, come vedremo, anche alla nuova macroeconomia classica, che sviluppa questa idea centrale – negatoria dello stesso fenomeno dello scontro tra capitale e lavoro- in una completezza ideologica che culmina, appunto nella dottrina della banca centrale indipendente."
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/la-dottrina-delle-banche-centrali.html
Ovviamente la sintesi di KALECKY è quanto di meglio si possa trovare per esprimere questa verità che, una allucinante manipolazione mediatica perpetrata da decenni (e che raggiunge in Italia la sua massima intensità planetaria), è divenuta "indicibile"...
ottimo contributo!
RispondiEliminaBuon pomeriggio Carmen,
RispondiEliminaRitengo, personalmente, che l'unica arma rimasta alle persone di "buona volontà" sia la speranza. La speranza non solo che il buon Dio ce la mandi buona ma, al contempo, la speranza che la voglia e la determinazione non ci abbandonino durante il tragitto.
Portare avanti delle istanze, delle idee, delle concezioni della realtà che sembrano del tutto in antitesi con il pensiero dominante (spesso confuso, disperso od ancor peggio preda dell'opportunismo) è un impresa appunto "divina" da un lato ed "eroicamente ercolina" dall'altro.
Spesso si condividono, negli spazi lasciati liberi da internet, nei Blog (in questo come in altri di riconosciuto spessore culturale ed etico) come in quei siti d'informazione "professionalmente" accurata od in quelle piccole "oasi" (qui Quarantotto mi "guarderà" sicuramente storto) tratte dai social network(ing)... molti spunti interessanti e si cerca di fare il cosi detto "numero"... ma la realtà fuori è assai complessa e quel numero al confronto è assai esiguo.
Non smettere di sollecitare il prossimo può e deve essere sicuramente un metodo da non abbandonare anche se la strada rimarrà comunque lunga e la luce in fondo al tunnel, appunto, una mera speranza!
Un saluto,
Elmoamf
Ciao Massimo,
Eliminaok, stringiamo i denti fino ad arrivare alla massa critica, parrebbe che non siamo troppo lontano..poi sarà tutto in discesa!
Grazie Carmen per il link, ho molto apprezzato.
EliminaAncora un saluto,
Elmoamf
Complimenti allasempre preziosa e (troppo) modesta Carmen per il suo contributo. Una chicca Abenomics sta funzionando....
RispondiEliminaStanziale
Aih! L'amore del vero rende l'uomo modesto, ma troppa modestia è orgoglio mascherato...
RispondiEliminaHo letto Shock economy nel 2007, prima che la crisi esplodesse. Da allora è stata una delle mie chiavi di lettura di ciò che stava accadendo.
RispondiEliminaLa convinzione che le crisi (economiche, belliche o naturali) sono un'utile opportunità, comporta un passo logico successivo: se sono tali, tanto vale provocarle ogni volta che è possibile.
Credo che questo passo sia stato fatto da tempo.
perdonate se taglio corto a causa l'ora improba, ma per condensare il mio pensiero: "l'intero impianto teorico del liberismo, dei suoi figli e figliastri sotto vari nomi, così come i sottoinsieme del suo pensiero tipo la teoria delle aspetative razionali" sono una supercazzola, dal punto di vista scientifico in senso stretto (questo è ovvio perché l'economia non è una scienza), anche volendo ridurre sensibilimente la portata dell'affermazione sono una supercazzola anche dal punto di vista strettamente fenomenologico.
RispondiEliminaIl liberismo è nei fatti una teoria politica.
Vorrei inoltre fare osservare che sia dal punto di vista politico ed economico, il sistema che garantisce maggiore stabilità in termini di grandezze che lo descrivono è la dittatura. Come questa la si persegue è ininfluente; a mio modesto parere nei fatti il liberismo come dottrina politica persegue in ogni sua forma una dittatura sostanziale, basta sostituire le parole utilizzate con il significato che tutti sperimentano quotidianamente da 30 anni a questa parte.
Perdonate se sono stato stringato ma il sonno ha preso il sopravvento.
Un saluto ed un ringraziamento per il nobile tentativo che questo blog persegue quotidianamente.
@ salvatore iaconis19/mag/2013 01:32:00
RispondiEliminaScrivi : "(questo è ovvio perché l'economia non è una scienza)"
Si può dare per dimostrato a tale livello di generalizzazione?
Per certe affermazioni di PK nell'articolo argomento del post ["I have to admit that I was predisposed to dislike Klein’s book when it came out, probably out of professional turf-defending and whatever — but her thesis really helps explain a lot about what’s going on in Europe in particular."].
Nel caso Reinhardt-Rogoff; che hanno potuto per anni raccontare la loro versione senza fornire (sebbene fossero stati esplicitamente richiesti) i dati da loro utilizzati per confezionare la tesi esposta (anche se poi ci sono gli studenti che hanno miglior fortuna...)
E, certamente, in moltissimi altri casi.
Questo però significa solo che tanti economisti fanno (talvolta?) un altro mestiere.
A me risulta che ci sono studiosi seri i quali accludono i dati che utilizzano per i loro lavori (fossero pure di divulgazione). Cosicché ognuno può controllare direttamente.
E questo è senz'altro metodo scientifico.
Hai fatto benissimo a tradurre questo post, brava!
RispondiEliminaIn effetti si tratta di un'ammissione per certi versi storica, anche se indubbiamente scontata: il libro della Klein poteva suscitare qualche perplessità solo in chi non lo aveva mai letto...
@ Neri & Salvatore Jaconis.
RispondiEliminaBisogna capire cosa si intende per scienza.
Secondo me l'economia è una scienza sociale, ossia una pseudo scienza, come lo è qualunque disciplina che studia gli esseri umani nel loro interagire. Detto in altro modo, non è una scienza esatta.
Esistono, è vero, economisti che fanno il loro mestiere cercando di essere più rigorosi di altri, ma la componente ideologica ha sempre un ruolo fondamentale nell'elaborazione delle diverse teorie. Lo dimostra il fatto che gli stessi dati, presi da identica fonte, possono venire letti in un modo o nell'altro a seconda degli occhiali usati da chi li legge.
E' bene rammentarlo, perché ponendosi come scienza il tentativo dell'economia è quello di far passare ogni volta il sistema economico del momento come principio naturale (oggi il libero mercato, le multinazionali, la finanza globale), quindi ineluttabile; quando si tratta in realtà di istituzioni o meccanismi sociali che dipendono dal momento storico e non dalla natura. E in quanto modificabili o addirittura sovvertibili.
In linea di massima tendo perciò a essere più d'accordo con Salvatore.
Quadriamo il cerchio: non è una scienza esatta, ma nell'analizzare i fenomeni utilizza il metodo scientifico, col che ci offre una rappresentazione della realtà capace di approssimarsi al vero confermando o smentendo ipotesi di lavoro...o sballio?
EliminaVa sottolineato però che l'economia come tale non esiste ma ci sono varie scuole, con approcci molto diversi fra di loro. Io direi che l'economia neoclassica non è una scienza, perché si basa su assunzioni dimostrabilmente false (es.: la pendenza negativa della curva di domanda) o cade in fallacie logiche macroscopiche (es.: la fallacia compositiva). Questa almeno è la tesi che Steve Keen sostiene, a me pare in modo abbastanza persuasivo, nel suo libro Debunking Economy. Altre scuole, per esempio i postkeynesiani (che l'autore definisce "the most coherent alternative school of economic thought today") o gli sraffiani, hanno un rapporto più sereno con la logica e la realtà.
RispondiElimina"Quadriamo il cerchio: non è una scienza esatta, ma nell'analizzare i fenomeni utilizza il metodo scientifico, col che ci offre una rappresentazione della realtà capace di approssimarsi al vero confermando o smentendo ipotesi di lavoro...o sballio? "
RispondiEliminaVero, e' una scienza sociale che analizza e studia fenomeni sociali e politici che dipendono notevolmente dal quadro di valori adottati e dalle scelte politiche e di potere.
Appositamente e' stata mistificata e trasformata in ideologia (tutto lo sciocchezzario neoclassico, antiscientifico e antirazionale) per impedire che si capisca e renderla automaticamnte funzionale agli interessi di pochissimi.
L' approccio scientifico non significa l'abuso matematico, dato che la matematica applicata in contesti nei quali non e' utile si trasforma in spazzatura e ideologismo.
Eccellente e assai utile lo scritto di Michal Kalecki.
Enrico