La seconda parte dell'articolo dei tre economisti europei pubblicato da Bloomberg
considera come si potrebbe avviare un percorso di smantellamento e individua la Francia come paese cruciale per l'exit strategy.
Traduzione di Alex
di Brigitte Granville, Hans-Olaf Henkel
and Stefan Kawalec
- La Francia ha contribuito in
modo decisivo alla costruzione non solo
del sistema dell'euro, ma dell'intero progetto europeo. Di conseguenza ciò ha fatto sì che i leader
francesi agissero nel senso di preservare l'euro a tutti i costi. Costi, che
come abbiamo spiegato nella Parte 1 di questo articolo, sono diventati
alquanto insopportabili. Si rende quindi
necessaria una nuova strategia, e nel definirla
il ruolo guida della Francia risulterà
ancora una volta fondamentale.
Nell’Eurozona la Francia si
trova al limite tra i paesi in deficit
e paesi in Surplus. Possiede un vasto e
costoso sistema di welfare, con dei servizi pubblici di alta qualità, spesso
definiti come il modello francese,
sistema che si basa su di un consenso
profondo e sentito da parte dei cittadini. Ma a differenza dei paesi
scandinavi, che pure sono orientati ad un sistema di costoso welfare, quello francese è stato finanziato
non da un alto livello di tassazione sul reddito e sulla spesa, ma da onerose
tasse sull’occupazione (in particolare attraverso i contributi previdenziali
dei datori di lavoro), sui capitali, e
con un pesante indebitamento pubblico.
Il debito pubblico nel 2012 è salito a
circa il 90 per cento, da circa il 64 per cento che era nel 2007. Questo insistere sulla tassazione del lavoro si spiega in
quanto costituisce il percorso di minor
resistenza politica. Così facendo si dà l'illusione che
lo stato sociale venga finanziato dalle
imprese e non dai cittadini. L'idea che la tassazione delle aziende sia un
modo indolore per finanziare il welfare e i
servizi pubblici ha prodotto una
cronica elevata disoccupazione, una
crescita debole, ha eroso la
competitività e condotto il tenore di
vita, nel migliore dei casi, alla
stagnazione.
La Ile-de-France [N.d.t. la regione
francese con capoluogo Parigi], ha il più alto costo medio del
lavoro in Europa. Il problema è
aggravato dall’eccesso di regolamentazione – sia sul lavoro che
sul mercato dei beni e dei servizi. Il
controllo su trasporti, servizi professionali e rivenditori è molto più pesante
in Francia che in molti altri paesi ricchi.
Con il risultato di avere maggiori costi e prezzi più alti.
Questi oneri soffocano l'imprenditorialità. L’offensiva fiscale del
presidente Francois Hollande nei confronti degli alti redditi, dividendi,
plusvalenze e ricchezza non aiuta. La fiducia negli affari sta rapidamente crollando. Negli ultimi dieci
anni, la quota di esportazioni della Francia è diminuita. Il paese si trova in
deficit delle partite correnti.
L'economia francese ha bisogno
di uno "shock dal lato dell'offerta". In questo consisteva la raccomandazione
contenuta in una relazione dell’anno scorso
di Louis Gallois - un leader industriale
di sinistra. Al posto di
effettuare importanti e permanenti tagli ai contributi al welfare da
parte delle imprese sollecitati da Gallois, il governo ha annunciato un
complicato sistema di crediti d'imposta temporanei, subordinati al riutilizzo dei rimborsi a fini
di investimento e nuove assunzioni di lavoratori. Questo approccio non è in grado
di correggere le annose e gravi
distorsioni del sistema fiscale. In ogni caso, la complessità della proposta
implica che le aziende non trarranno alcun beneficio fino al 2014-15.
Nel mese di gennaio, i datori
di lavoro e sindacati hanno firmato un accordo che alleggerisce la
regolamentazione del lavoro e offre alle imprese maggiore flessibilità nel
ridurre l'orario di lavoro ed i salari in cambio della conservazione dei posti
di lavoro.
Questo è già qualcosa, ma la maggior
parte delle ulteriori nuove misure per stimolare la competitività si riducono a
nuove forme di dirigismo. Per contro, invece, la Francia avrebbe bisogno di fondamentali riforme strutturali [N.d.t. Ahia! Ho
sentito una fitta al fegato…]
- di una minore spesa pubblica [N.d.t. …bbbrrutttta], e di uno spostamento della
tassazione dal fronte lavoro al fronte dei consumi.
Ma c'è un problema - ed è un
grande problema. L'effetto immediato di un tale programma sarebbe di indebolire la domanda interna e rallentare la crescita
economica. Occorrerebbe quindi attivare anche degli “Stimoli
alla domanda”.
Il governo potrebbe far
ciò da un lato allentando nel breve termine la politica di
bilancio e dall’altro stimolando la
domanda estera attraverso la svalutazione della moneta.
Ma nell’attuale sistema Euro ciò non è possibile: infatti, da un lato le
regole sul deficit vincolano la politica fiscale, e dell’altro la Francia non ha più una moneta
propria da svalutare. Dal momento che altre strade non ve ne sono, finirà che sarà il sistema euro stesso a
dover cedere il passo.
L’Uscita della Germania
Per la Francia e per il
sistema dell'euro nel suo insieme, la strategia migliore sarebbe quella di smantellare l'Unione monetaria
dall'alto - tramite l'uscita della Germania e degli altri paesi più
competitivi. La conseguente
rivalutazione della nuova moneta tedesca migliorerebbe le bilance commerciali dei paesi in disavanzo.
In alcuni casi, si renderebbero comunque necessarie operazioni di cancellazione del debito, ma l’entità dell’impatto ed i costi per i
creditori sarebbero contenuti, in quanto lo smantellamento della moneta unica
stimolerebbe la crescita dei paesi in
deficit. I paesi in surplus dovrebbero
ricapitalizzare le loro banche per fare fronte alle perdite subite a causa di
eventuali cancellazioni del debito, in
modo tale che uscire dal sistema non significherebbe abbandonare i paesi in crisi. La differenza sarebbe che, dopo lo scioglimento, la loro assistenza
potrebbe contribuire a rimettere i paesi in deficit sulla via del risanamento,
mentre i salvataggi attuali portano solo in
un vicolo cieco.
La Banca
centrale europea dovrebbe adoperarsi nel mantenere la credibilità e la fiducia nel
corso dello smantellamento controllato dell'euro. La BCE, almeno per qualche tempo, potrebbe essere
mantenuta in qualità di banca centrale responsabile della politica monetaria in
tutti i 17 paesi membri, anche dopo il ritorno di alcuni paesi alle valute nazionali.
Ciò faciliterebbe un forte coordinamento delle politiche tra gli ex membri, facendo
passare l’idea che più che una
frantumazione, si tratterebbe di una
trasformazione effettuata ordinatamente e
sotto il controllo della istituzione europea più rispettata e credibile.
Molti osservatori ammettono che l'euro è stato un errore, ma parimenti non
credono vi sia la possibilità di recedere. Essi ritengono che la dissoluzione
dell'unione monetaria porterebbe al caos economico, prima in Europa e poi in
tutto il mondo. I leader europei hanno inoltre paura che il tornare sui propri passi
darebbe anche un colpo mortale alla
grande causa dell'integrazione europea e potrebbe essere l'inizio della fine
della UE e del mercato unico. Sono
questi i timori che spingono a perseverare in quella che consideriamo una disastrosa strategia di difesa
dell’Euro a tutti i costi.
Sebbene una dissoluzione controllata del sistema euro dovuta
all’uscita dei paesi più competitivi sia il
modo più efficace per aiutare i paesi in deficit, essa si configura
sostanzialmente come una decisione unilaterale,
dei Forti di abbandonare i
Deboli. La passata Storia europea rende difficile per i leader della Germania avviare un simile percorso.
Salvaguardare la Francia
Nell’intraprendere eventuali
iniziative in tal senso, i paesi in deficit, alle prese con la recessione e le
divisioni politiche interne, nel tentativo
di ottenere migliori condizioni di assistenza dal resto dell'UE, potrebbero
avere paura di peggiorare la loro posizione negoziale. Le Istituzioni europee, come
la Commissione europea e la BCE, non possono patrocinare la soluzione che
proponiamo.
Viceversa se la proposta
venisse avanzata dalla leadership francese, la cosa
potrebbe funzionare - e potrebbe essere anche l'unica cosa da fare. Per più di 50 anni la Francia ha svolto un
ruolo di primo piano nell'integrazione europea. Si può dire che l’Euro sia per
molti aspetti un prodotto Francese.
Nel 1990, il presidente Francois Mitterrand si guadagnò il sostegno alla moneta unica da parte del
cancelliere Helmut Kohl in cambio della accettazione Francese alla
riunificazione Tedesca. Convincere la Germania ad abbandonare il marco, la cui
forza aveva di fatto dato alla Bundesbank il controllo della politica monetaria
in tutta l'Europa, è stato un notevole successo francese - o almeno così
pensavano i Francesi.
L'euro era visto come la pietra angolare dell'edificio di integrazione europea.
La crisi finanziaria e le sue conseguenze hanno viceversa dimostrato che l'euro
ha in sè il potenziale di distruggere l'intero progetto. Esso impedisce le
riforme necessarie per ristabilire la competitività internazionale della Francia,
competitività attualmente in
dissolvimento. Mantenere l'attuale sistema euro a tutti i costi,
finirà per paralizzare l'economia
francese, annullarne la coesione
sociale, e indebolirne la posizione in Europa e nel mondo.
In qualità di padre fondatore dell'Europa, solo la Francia ha l’autorevolezza
necessaria per poter sostenere con successo una strategia di smantellamento del
sistema dell'euro per il bene stesso dell'Unione europea. L'alternativa è il fallimento economico, divisioni
più profonde e amari rancori tra le nazioni d'Europa, mettendo così a rischio
le più preziose conquiste dell'integrazione europea. In un modo o nell’altro,
l'Europa si dividerà.
Resta solo da capire se verrà spazzata via completamente
o solo in parte. Smantellare l'euro
nel modo che noi proponiamo è di vitale
importanza al fine di garantire la sopravvivenza dell'idea europea.
Prima parte: Salviamo l'Europa: Sciogliamo l'Euro
------------------------------------------------------------------------------------
Brigitte Granville insegna Economia
Internazionale e Politica economica alla School of Business and
Management della Queen Mary University di Londra.
Hans-Olaf Henkel è professore di international management alla
University of Mannheim ed ex presidente della Federation of German
Industries. Stefan Kawalec è chief executive officer di Capital
Strategy ed ex vice vice ministro delle finanze in Polonia.
I tre auori sono firmatari del Manifesto di solidarietà europea
I tre auori sono firmatari del Manifesto di solidarietà europea
Grande Alex ! Grazie per la traduzione, io provvederò a diffonderla via Twitter
RispondiElimina;-)
ci sono molte inesattezze, incongruenze o visioni di parte in questo pezzo. fino al quasi comico "i leader tedeschi non possono proporre un'uscita perchè non vogliono passare come dei forti che abbandonano i deboli".
RispondiEliminac'è troppo politically correct per i miei gusti.
ma capisco che per i soloni europei che ci governano pure queste parole possono essere rivoluzionarie.
per cui avanti verso la causa che, almeno nel suo primo step, dovrebbe essere comune al 99% degli europei: la dissoluzione ordinata dell'euro.
al resto penseremo dopo.
@Luca
RispondiEliminaIo però non l'ho letta così come la leggi tu! Figurati se a dei teorici dell'Anschluss gli frega qualche cosa di abbandonare i deboli. Li abbandonano se e solo se gli conviene e comunque non certo mitigando le conseguenze, se non per loro stessi.
Questi, quasi fossero dei Pëtr Petròviè Lùžin, HANNO BISOGNO della loro Nobile ma povera (ed è ESSENZIALE che resti povera) Dùneèka/Italia! (Hint:Delitto e Castigo).
Sono altri gli aspetti di questoi articolo che, per quello che ho inteso, lasciano perplesso di questa proposta (Per esempio, i Francesi guidano lo smantellamento? Ma i Francesi chi? Hollande? Certo come no, aspetta e spera...)
Alberto Bagnai chiarisce molto bene come suo solito, il punto di forza del discorso di GH&K: cioè il fatto che anche per questi autori l'ostacolo che è NECESSARIO rimuovere è la moneta unica. (Attenzione: trattasi di Condizione negativa della verità cioé NECESSARIO MA NON SUFFICIENTE. Prego astenersi quelli del "Eh ma allora dici che Basterebbe uscire dall'Euro...")
Trovi tutto sul suo blog, che peraltro tu già frequenti, nei commenti al "manifesto", naturalmente quello che lui ha firmato a Gennaio "di Solidarietà Europea" assieme, tra gli altri, a GH&K; quindi non il "manifesto" inteso come il "Manuale delle giovani marmotte- daily edition" del Giancarlo Cuggiani (che peraltro aveva sottobraccio l'Unità...Hint: Articolo31)
concordo con te, ma infatti ho detto che segnalavo solo l'inesattezza più evidente ai miei occhi mica l'unica.
Eliminacome capisco che sia il momento di federarsi con le forze che hanno a cuore un esito differente per l'eurodisastro di quello che si profila all'orizzonte.
anche se mi sarà permesso storcere il naso quando, dopo esser stato bersaglio come italiano di insulti e denigrazioni spesso gratuite (anche e soprattutto da parte dei miei connazionali), mi tocca leggere certe cose come le "politiche di gestione delle finanze più prudenziali del nord europa" del Manifesto...
ma del resto non siamo in cerca di soddisfazione personale: siamo in guerra.
e in guerra si lotta per l'obiettivo comune prima di tutto. e finalmente ne abbiamo uno.
"L'economia francese ha bisogno di uno "shock dal lato dell'offerta". In questo consisteva la raccomandazione contenuta in una relazione dell’anno scorso di Louis Gallois - un leader industriale di sinistra."
RispondiEliminaDalle nostre parti, magari del Lingotto, si sarebbe chiamato "leader industriale progressista" che, pur non volendo dire un beneamato, direi fa molto più figo...
Circa l'analisi dei problemi dell'economia francese (e fin lì) e le ricette per renderla "più competitiva" ho notato una sconvolgente analogia tra l'articolo dei due firmatari l'appello ESM e i documenti della Commissione Europea prodotti nell'ambito del Semestre Europeo, in particolare la Procedura preventiva/correttiva degli squilibri macroeconomici (MIP, si veda In-depth review del 10 aprile 2013). Io non sono un tecnico e non mi esprimo nel merito, ma visto che nell'esame approfondito per l'Italia noto proprio trasudare la pura ideologia del pensiero unico (così strenuamente combattuta dal prof Bagnai - ora comunque capisco il suo riferimento alla tendenza supply-side del Manifesto), se tanto mi dà tanto... bè, mi concederete di avere paura!
Naturalmente la differenza più evidente (e ci mancherebbe!) sta nello stimolare "la domanda estera attraverso la svalutazione della moneta" piuttosto che nella svalutazione dei salari... e non è poco, è moltissimo, ma pare di leggere tra le righe "signori, sarebbe una misura straordinaria, poi occhio che si ricomincia col business as usual".
(imho, ma sicuramente sbaglio)