Dal Financial Times un commento sul "sentiment" dei mercati europei, che si stanno infine risvegliando alla realtà di una ripresa economica inesistente, sulla quale anche un quantitative easing di Draghi potrebbe fare ben poco.
di
Jonathan Davis
“L'Europa,
dannazione!",
come avrebbe
detto Sir Alex Ferguson, l'ex manager del Manchester United, se
avesse deciso di scambiare il febbrile
mondo del calcio con l'altrettanto frenetico
mondo del mercati finanziari, entrambi mossi
dal denaro. Gli
ultimi deludenti
dati sulla crescita e sugli
utili hanno sottolineato quanto sia ancora
fragile l'economia europea. Essa ha,
inevitabilmente, costretto a un
ripensamento tutti quegli investitori che stavano
entusiasticamente puntando
al rialzo sull'azionario
e al ribasso sulle
obbligazioni, sin dalla
crisi esistenziale dell'euro nel 2012.
Non è
solo la crisi latente in Ucraina che ha causato il
nervosismo. Secondo Bank of America Merrill
Lynch, le aspettative sugli utili in Europa per il 2014 sono scese
dal 12 per cento di
inizio anno a poco più del 6 per cento di
ora. E
possono ancora scendere.
L'ottimismo sugli
utili di inizio anno è senza tempo, come le stagioni, ma non si può negare il
deterioramento delle prospettive economiche implicito negli
ultimi miserevoli
dati. Le sanzioni
dell'Ucraina sono un fattore, ma non la causa principale di questa
tendenza.
In un
contesto di bassa volatilità del mercato, l'ampiezza della battuta d'arresto del
mercato in Europa è impressionante. Anche il Dax è sceso di oltre
il 7 per cento, dai massimi
ai minimi.
Con la Germania che nel secondo trimestre registra
una contrazione del prodotto interno lordo, il
rendimento dei Bund
tedeschi a 10 anni è sceso per la prima volta sotto l'1 per cento.
In questo
contesto, le aspettative del mercato sul fatto che la Banca Centrale
Europea verrà
in soccorso (e dovrebbe farlo) con
un programma di quantitative easing,
sembrano un
autocompiacimento abbastanza prematuro.
Una qualche forma di QE da parte della BCE arriverà a tempo debito,
ma sarà sufficiente per tirare l'Europa fuori dall'incubo
della deflazione
da debito che
sembra essere assolutamente prevedibile?
Ci sono buone ragioni per nutrire
dei dubbi.
La più
ovvia è che la libertà di manovra della
BCE è molto più limitata di quella delle
altre banche centrali. Anche in tempi
buoni, ci vogliono mesi per costruire un consenso
tra gli Stati membri più
importanti, e la questione del
QE rimane altamente controversa, sia per
quanto riguarda
la saggezza di questa scelta, sia
per quel che riguarda la sua
legalità. Dando
per scontato che
gli acquisti di titoli di Stato sul mercato
primario sono esclusi, rimane una questione aperta se ci siano
sufficienti asset che
la BCE possa legalmente
acquistare per
ottenere il necessario
impatto sul mercato.
In
secondo luogo, è evidente che la BCE deve,
e vuole,
togliere di mezzo
gli stress test
delle banche europee prima di andare molto in
là con le misure
di politica monetaria annunciate il mese scorso. Per essere
credibile, la pubblicazione dei risultati nel mese di ottobre deve
essere seguita da un periodo di supervisione
del mercato e da dimostrabili
miglioramenti nei bilanci. Un programma di
QE potrebbe creare conflitti di interesse con la sua funzione di
vigilanza bancaria. Questo
rende praticamente certo che, in assenza di una nuova crisi dei
mercati, la BCE
inevitabilmente si troverà
"in ritardo"
nell'attuazione
di un programma di QE.
Ancora più importante è che gli eventuali passi della BCE in questa direzione inevitabilmente spingeranno di fatto l'Europa verso una maggiore integrazione economica e di bilancio, in un momento in cui le dinamiche politiche stanno chiaramente spingendo nella direzione opposta. I leader politici non hanno nessun desiderio (e nemmeno il mandato) di modificare la Costituzione tedesca o in alternativa negoziare una modifica dei trattati per rimuovere gli ostacoli ad un grande e decisivo intervento da parte della BCE.
Infine, c'è il problema che un programma di acquisto di asset non potrebbe fare molto di più che guadagnare un po' di tempo. Qualsiasi cosa la storia dei programmi di QE abbia dimostrato, è evidente che essi non fanno nulla, di per sé, per generare crescita economica. Solo le riforme strutturali e delle idonee misure di bilancio possono farlo e, su questo punto, i progressi in eurozona rimangono dolorosamente lenti.
E' vero
che la performance del mercato europeo sin
dal 2012 ha seguito un modello guidato
dal mercato. Il rally che ha salutato
l'intervento a metà del 2012 del
“whatever it takes” del presidente
della Bce Mario Draghi è stato seguito un anno dopo da un
prevedibile aumento dei flussi
di capitali verso l'azionario europeo e le obbligazioni
dei periferici,
guidati dalla auto-convinzione
diffusa che la
crisi fosse stata
risolta. Ora il
mercato è in fase di stallo, in quanto gli
investitori si risvegliano
alla realtà che
quella ripresa dei
fondamentali economici e societari, data per scontata, in
realtà non riesce a materializzarsi.
Dietro queste giravolte del mercato è in agguato un problema ben più grave. Angela Merkel, il cancelliere tedesco, due anni fa ha detto, al culmine della crisi, che "se l'euro fallisce, fallisce anche l'Europa". Ha orchestrato la politica del fare il minimo necessario per mantenere in vita la moneta unica (e per estensione il sogno europeo di un'integrazione politica ed economica), nonostante tutti gli ostacoli politici. George Soros, il miliardario di hedge fund, ha una visione profondamente diversa. Il pericolo ora, egli sostiene, è che "disfarsi dell'euro" può essere necessario per salvare la stessa UE.
Mentre i
titoli azionari europei sono scesi
del 4 per cento dal loro picco
più alto nell'ultimo movimento del mercato, l'indice MSCI della
zona euro è sceso del 10 per cento nello
stesso periodo. Anche se ipervenduto nel breve termine, il recente
cambiamento del sentiment
dei mercati finanziari europei è un richiamo
al fatto che la
ripresa economica dell'Europa resta intimamente legata
al destino della sua moneta unica. Quell'ambizioso
progetto è ben lungi dall'essere risolto,
proprio come la maggior parte di noi già sospettava due anni fa.
Certo...certo....:
RispondiElimina"solo le riforme strutturali" (e sappiamo bene a cosa alludono queste canaglie del FT) "possono"..........
Come no.... Come non fidarsi di questo branco di scribacchini/lacchè di una classe dirigente ultra-fallimentare?
Se fallisce l'euro, dice Soros, va in malora anche la Ue (cioe', si ritorna a 30 anni fa, con Soros evidentemente dispiaciuto per la eventuale perdita di clienti per le sue speculazioni)...ma speriamo !
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