Dalla rivista online Foreign Affairs, un interessante studio sul "Quantitative Easing per il Popolo", di cui si è già parlato, in cui la politica monetaria si mette al servizio della politica di bilancio, per rilanciare con forza l'economia reale. (senza dimenticare che nell'eurozona il mantenimento della moneta unica impedisce di combattere davvero l'austerità)
Qui la seconda parte
Qui la seconda parte
di Mark Blyth and Eric Lonergan
Perchè le banche centrali dovrebbero dare i soldi direttamente ai cittadini.
Nei decenni
seguenti la II guerra mondiale, l’economia giapponese crebbe così
rapidamente e per così tanto tempo che gli esperti dissero che il
fenomeno era a dir poco miracoloso. Durante l’ultimo grande boom
del paese, tra il 1986 e il 1991, la sua economia crebbe di quasi
1000 miliardi di dollari. Ma poi, in un modo che oggi suona molto
familiare, scoppiò la bolla degli asset giapponesi, e i suoi mercati
sprofondarono. Il debito pubblico esplose, e la crescita annua
rallentò a meno dell’1%. Nel 1998, l'economia si stava contraendo.
Nel dicembre di
quell’anno, un professore di economia di Princeton di nome Ben
Bernanke sosteneva che i banchieri centrali avrebbero ancora potuto
risollevare il paese. Il Giappone essenzialmente stava soffrendo per
mancanza di domanda: i tassi di interesse erano già bassi, ma i
consumatori non acquistavano, le imprese non chiedevano prestiti e
gli investitori non facevano scommesse. Era una profezia auto-avverante: il pessimismo sullo stato dell'economia stava
impedendo la ripresa. Bernanke sosteneva che la banca del Giappone
doveva agire in modo più aggressivo e le suggeriva di considerare un
approccio non convenzionale: dare contanti direttamente alle famiglie
giapponesi. I consumatori avrebbero potuto spendere le inattese
entrate trainando il paese fuori dalla recessione, facendo aumentare
la domanda e i prezzi.
Come chiarì lo
stesso Bernanke, il concetto non era nuovo: negli anni '30, l'economista
britannico John Maynard Keynes aveva proposto di seppellire bottiglie
di banconote nelle vecchie miniere di carbone; una volta
dissotterrate (come l'oro), il denaro avrebbe creato nuova ricchezza
e avrebbe spinto la spesa. Anche l’economista conservatore Milton
Friedman si rese conto dell’appetibilità dei trasferimenti
diretti di denaro, che paragonava a far cadere soldi da un
elicottero. Il Giappone tuttavia non ci provò mai, e l'economia del
paese non si riprese mai del tutto. Tra il 1993 e il 2003, i tassi di
crescita annuali del Giappone furono in media meno dell’1%.
Oggi, la maggior
parte degli economisti concordano che, come il Giappone negli anni
novanta, l'economia globale è affetta da una spesa insufficiente, un
problema che deriva da un più generale fallimento di governance. Le
banche centrali, tra cui la Federal Reserve, hanno intrapreso
un'azione aggressiva, abbassando costantemente i tassi di interesse,
al punto che oggi oscillano intorno allo zero. Esse inoltre hanno
pompato migliaia di miliardi di dollari di nuovi capitali nel sistema
finanziario. Però tali politiche hanno solo alimentato un dannoso
ciclo di boom e crisi, deformando gli incentivi e distorcendo i
prezzi degli asset, e ora la crescita economica ristagna mentre
la disuguaglianza peggiora. È perciò arrivato il momento, per i
politici degli Stati Uniti - così come per le loro controparti negli
altri paesi sviluppati – di considerare qualcosa di simile ai "soldi caduti dall’elicottero" di Friedman. Nel breve termine,
tali trasferimenti di denaro potrebbero far ripartire l'economia. Nel
lungo termine, potrebbero ridurre la dipendenza della crescita dal
sistema bancario e invertire la tendenza alla crescente disuguaglianza.
I trasferimenti non causerebbero inflazione e pochi dubitano
che funzionerebbero. L'unica vera domanda è: perché nessun governo
ci ha provato?
Invece di cercare
di trascinare verso il basso quelli che stanno bene, i governi
dovrebbero spingere in alto quelli che stanno male.
SOLDI FACILI
In teoria, i
governi possono aumentare la spesa in due modi: attraverso politiche
"fiscali o di bilancio" (quali l'abbassamento delle tasse o l’aumento della spesa
pubblica) o attraverso politiche monetarie (ad esempio riducendo i
tassi di interesse o aumentando la base monetaria). Ma negli ultimi
decenni, i politici di molti paesi hanno usato quasi esclusivamente
quest'ultimo modo. Il cambiamento di politica si è verificato per
una serie di motivi. In particolare negli Stati Uniti, le dispute
riguardo la politica fiscale sono divenute inconciliabili, visto che
a sinistra e a destra si sono combattute aspre battaglie su aumento della spesa pubblica o taglio delle aliquote fiscali.
In genere, i tagli di tasse e i pacchetti di stimolo tendono ad incontrare ostacoli politici maggiori rispetto alle manovre di
politica monetaria. I presidenti e primi ministri hanno bisogno del
consenso dei loro legislatori per l’approvazione del bilancio; ciò
richiede tempo, e le conseguenti agevolazioni fiscali e gli
investimenti governativi spesso beneficiano pochi potenti, anzichè
l'economia nel suo complesso. Molte banche centrali, invece, sono
indipendenti dalla politica e possono tagliare i tassi di interesse
con una semplice conferenza stampa. Inoltre, semplicemente non c’è
un ampio consenso su quale sia il migliore uso di tasse e spese
pubbliche per stimolare l’economia in maniera efficace.
La costante
crescita dagli anni ottanta fino ai primi anni di questo secolo,
sembrava confermare questa enfasi sulla politica monetaria.
L'approccio ha presentato grossi inconvenienti, tuttavia. A
differenza della politica fiscale, che agisce direttamente sulla
spesa, la politica monetaria opera in maniera indiretta. I bassi
tassi di interesse riducono il costo dell'indebitamento e fanno salire
i prezzi delle azioni, delle obbligazioni e delle case. Ma stimolare
l'economia in questo modo è costoso e inefficiente e può creare
pericolose bolle - nel settore immobiliare, per esempio - e
incoraggiare imprese e famiglie ad assumere livelli pericolosi di
debito.
Questo è
esattamente quel che è successo durante il mandato di Greenspan come
Presidente della Fed, dal 1997 al 2006: Washington si è affidata
troppo pesantemente alla politica monetaria per aumentare la spesa. I
critici incolpano spesso Greenspan per aver piantato i semi della
crisi finanziaria del 2008, mantenendo i tassi di interesse troppo
bassi durante i primi anni di questo secolo. Ma l'approccio di
Greenspan è stato semplicemente una reazione alla riluttanza del
Congresso ad utilizzare i suoi strumenti di bilancio. Inoltre, Greenspan
è stato del tutto onesto su ciò che stava facendo. In un
intervento al Congresso nel 2002, ha spiegato come la politica della
Fed stava influenzando gli americani:
"Particolarmente
importante nel sostenere la spesa sono i livelli molto bassi di
interessi sui mutui, che incoraggiano le famiglie ad acquistare case,
rifinanziano il debito e abbassano gli oneri del servizio del debito,
e distraggono capitale dalle case per finanziare le
spese. Gli interessi sui mutui a tasso fisso rimangono a livelli
storicamente bassi e dovrebbero quindi continuare ragionevolmente ad
alimentare una forte domanda di abitazioni e, attraverso la distrazione
di capitale, a sostenere anche i consumi."
Naturalmente, il
modello di Greenspan si è schiantato in maniera spettacolare quando
il mercato immobiliare è imploso nel 2008. Ma, nonostante questo,
nulla è veramente cambiato da allora. Gli Stati Uniti hanno a mala
pena tenuto insieme il proprio settore finanziario e hanno ripreso le
stesse politiche che hanno creato 30 anni di bolle finanziarie.
Consideriamo quello che Bernanke, che ha lasciato l’università
per diventare il successore di Greenspan, ha fatto con la sua
politica di "quantitative easing", attraverso la quale la
Fed ha aumentato l'offerta di denaro acquistando miliardi di dollari
di titoli garantiti da ipoteca e titoli di stato. Bernanke mirava a
spingere il prezzo delle azioni e delle obbligazionari nello stesso
modo in cui Greenspan aveva fatto crescere i valori delle case. Il loro
obiettivo era in definitiva lo stesso: aumentare la spesa dei
consumatori.
Gli effetti
complessivi delle politiche di Bernanke sono stati simili a quelli di
Greenspan. I prezzi più alti degli asset hanno incoraggiato una
modesta ripresa dei consumi, con grande rischio per il sistema
finanziario e ad un costo enorme per i contribuenti. Ma altri governi
hanno seguito l’esempio di Bernanke. La Banca Centrale del
Giappone, per esempio, ha cercato di utilizzare la propria politica
di Quantitative Easing per sollevare la sua borsa. Finora, tuttavia,
gli sforzi di Tokyo non sono riusciti a contrastare i bassi consumi
cronici del paese. Nell’eurozona, la Banca Centrale Europea ha
tentato di aumentare gli incentivi alla spesa rendendo i suoi tassi
di interesse negativi, “tassando” le banche commerciali dello
0,1% sui depositi di denaro. Ma non ci sono evidenze che questa
politica abbia rilanciato la spesa.
La Cina sta già
lottando per far fronte alle conseguenze di simili politiche,
adottate a seguito della crisi finanziaria del 2008. Per mantenere a
galla l'economia del paese, Pechino ha tagliato aggressivamente i
tassi di interesse e ha dato alle banche semaforo verde per concedere un
numero senza precedenti di prestiti. I risultati sono stati un
drammatico aumento nei prezzi degli asset e un nuovo indebitamento
sostanziale degli individui e delle società finanziarie, che ha
portato ad una pericolosa instabilità. I politici cinesi stanno ora
cercando di sostenere la spesa globale riducendo i debiti e
stabilizzando i prezzi. Come altri governi, Pechino sembra a corto di
idee su come farlo. Non vuole mantenere una politica monetaria troppo
allentata. Ma non ha ancora trovato un diverso modo di procedere.
Nel frattempo,
l'economia globale potrebbe già essere entrata in una bolla
obbligazionaria e presto potrebbe assistere a una bolla azionaria. I
mercati immobiliari di tutto il mondo, da Tel Aviv a Toronto, sono
surriscaldati. Molti nel settore privato non vogliono più contrarre
ulteriori prestiti; credono di essere già troppo indebitati. Questa
è una notizia molto brutta per i banchieri centrali: quando le
famiglie e le imprese si rifiutano di aumentare rapidamente il loro
indebitamento, la politica monetaria non può fare molto per
aumentare la loro spesa. Negli ultimi 15 anni, le principali banche
centrali del mondo hanno ampliato i loro bilanci di circa 6.000
miliardi di dollari, principalmente attraverso il Quantitative Easing
e altre cosiddette “operazioni di liquidità”. Ma in gran parte
del mondo sviluppato, l'inflazione si è appena mossa.
In una certa
misura, la bassa inflazione riflette la forte concorrenza di
un'economia sempre più globalizzata. Ma si verifica anche quando le
persone e le imprese sono troppo titubanti a spendere i loro soldi,
cosa che mantiene alta la disoccupazione e bassa la crescita dei
salari. Nell’eurozona, di recente l'inflazione è scesa pericolosamente vicino allo zero. E alcuni paesi, come Portogallo e
Spagna, potrebbero già essere in deflazione. Nella migliore delle
ipotesi, le attuali politiche non funzionano; nel peggiore dei casi,
esse porteranno una ulteriore instabilità e una prolungata
stagnazione.
FATE PIOVERE
I governi devono
fare di meglio. Piuttosto che cercare di stimolare la spesa del
settore privato attraverso acquisti di asset o variazioni dei tassi
di interesse, le banche centrali, come la Fed, dovrebbero dare i
contanti direttamente ai consumatori. In pratica, questa politica
potrebbe tradursi nel dare alle banche centrali la possibilità di dare
alle famiglie dei contribuenti dei loro paesi una certa quantità di
denaro. Il governo potrebbe distribuire contanti a tutte le famiglie
o, meglio ancora, puntare all’80 per cento meno ricco delle
famiglie in termini di reddito. Puntare a coloro che guadagnano di
meno avrebbe due vantaggi primari. Per prima cosa, le famiglie a
basso reddito sono più inclini a consumare, così fornirebbero una
spinta maggiore alla spesa. Inoltre, tale politica compenserebbe le
crescenti disuguaglianze di reddito.
Tale approccio
rappresenterebbe la prima innovazione significativa nella politica
monetaria sin dalla nascita delle banche centrali, ma non sarebbe un
cambiamento radicale dello status quo. La maggior parte dei cittadini
si aspettano già che le loro banche centrali manipolino i tassi di
interesse. E le modifiche dei tassi sono redistributive, come i
trasferimenti di denaro contante. Quando i tassi di interesse
scendono, ad esempio, coloro che prendono in prestito a prezzo
variabile finiscono avvantaggiati, mentre coloro che risparmiano -
quindi dipendono di più dagli interessi attivi – ci rimettono.
La maggior parte
degli economisti concorda sul fatto che i trasferimenti di denaro da una banca
centrale dovrebbero stimolare la domanda. Ma i politici tuttavia
continuano a ignorare questo concetto. In un discorso del 2012,
Mervyn King, allora governatore della Banca d'Inghilterra, ha
sostenuto che i trasferimenti sono tecnicamente una politica fiscale,
che non rientra nelle competenze dei banchieri centrali, un punto
di vista che la sua controparte giapponese, Haruhiko Kuroda, ha
ribadito lo scorso marzo. Tali argomenti, tuttavia, sono meramente
semantici. Le distinzioni tra politiche monetarie e fiscali dipendono
da ciò che i governi chiedono di fare alle loro banche centrali. In
altre parole, i trasferimenti di denaro diventerebbero uno strumento
di politica monetaria non appena le banche iniziassero ad usarli.
Altri critici
avvertono che questi “soldi dall’elicottero” potrebbero causare
inflazione. I trasferimenti, tuttavia, sarebbero uno strumento
flessibile. I banchieri centrali potrebbero abbassarli non appena lo
ritenessero necessario e alzare i tassi di interesse per compensare
eventuali effetti inflazionistici, sebbene probabilmente non
sarebbero costretti a fare quest'ultima cosa: negli ultimi anni, i
tassi di inflazione bassi si sono dimostrati straordinariamente
resilienti, anche a seguito di diversi giri di Quantitative Easing.
Tre tendenze ne spiegano il motivo. Anzitutto, l’innovazione
tecnologica ha spinto al ribasso i prezzi al consumo e la
globalizzazione ha impedito ai salari di crescere. In secondo luogo,
il ricorrente panico finanziario degli ultimi decenni ha incoraggiato
molte economie a basso reddito ad aumentare il risparmio - sotto
forma di riserve di valuta - come una sorta di assicurazione. Ciò
significa che essi hanno speso molto meno di quello che avrebbero
potuto, togliendo alle loro economie investimenti in settori quali le
infrastrutture e la difesa, che darebbero occupazione e
aumenterebbero i prezzi. Infine, in tutto il mondo sviluppato, una
maggiore aspettativa di vita ha portato alcuni privati cittadini a
concentrarsi sul risparmio per il lungo termine (si pensi al
Giappone). Di conseguenza, gli adulti di mezza età e gli anziani
hanno iniziato a spendere meno in beni e servizi. Queste radici
strutturali della bassa inflazione attuale si rafforzeranno nei prossimi
anni, mentre la concorrenza globale si intensificherà, persisteranno
timori di crisi finanziarie e le popolazioni in Europa e negli Stati
Uniti continueranno a invecchiare. Semmai, i politici dovrebbero
essere più preoccupati per la deflazione, che sta già mettendo nei guai l'eurozona.
Non
c'è bisogno, quindi, che
le banche centrali abbandonino
la loro
tradizionale attenzione sulla
domanda e sull'obiettivo dell'inflazione.
I trasferimenti
di cassa offrono maggiori
possibilità di raggiungere quegli obiettivi di quanto non facciano i
movimenti dei
tassi di interesse ed il
quantitative easing, e ad un costo molto più basso. Dato
che sono più efficienti, la
politica dell'elicottero
richiederebbe
alle banche di stampare molto meno denaro. Depositando i fondi
direttamente in
milioni di conti corenti individuali
- stimolando immediatamente la spesa - i banchieri centrali non
avrebbero bisogno di stampare una quantità
di denaro equivalente al 20 per cento del PIL.
L'impatto complessivo
dei trasferimenti dipenderebbe dal cosiddetto moltiplicatore
fiscale, che misura di quanto aumenta il PIL per ogni $ 100
trasferiti. Negli Stati Uniti, gli sconti fiscali previsti dalla
legge di stimolo economico del 2008, pari a circa l'uno per cento del
PIL, possono servire come una utile guida: si stima che abbiano avuto
un moltiplicatore di circa 1,3. Ciò significa che un immissione di
denaro pari al due per cento del PIL probabilmente farebbe crescere
l'economia di circa il 2,6 per cento. Trasferimenti su quella scala -
meno del cinque per cento del PIL - sarebbero probabilmente sufficienti
a generare crescita economica.
Tradotto da Malachia Paperoga
Seconda parte
"L'unica vera domanda è: perché nessun governo ci ha provato?
RispondiEliminaInvece di cercare di trascinare verso il basso quelli che stanno bene, i governi dovrebbero spingere in alto quelli che stanno male"
essì nel mondo delle favole andrebbe così.
Caro Luca, non si tratta di un qualcosa di molto diverso da quel che succedeva nell'età d'oro dello stato sociale europeo. Anche se, certo, con gli occhi di oggi può sembrare il mondo delle favole...
EliminaVero!
EliminaBravissima Carmen.
Quello che ha scritto Luca (che ha centrato il punto nodale di questo articolo: "la domanda vera è: perché nessun governo ci ha pensato"*), ovvero le "sue" conclusioni sono fondamentali da capire...per capire.
Capire che le "sue" considerazioni ("si, nel mondo delle favole") NON sono sue, ma sono suggeritegli. Diciamo che è un frame, ecco.
E oggi hai selezionato davvero un articolo che definirei "FONDAMENTALE". Tanto è semplice e chiaro quanto VERO quello che c'è scritto.
* a proposito di frame e di risposte che nessuno si da:
Avete presente il sussidiario delle elementari? Io avendolo usato circa 1/4 di secolo fa circa, mi ricordo poco. Ma tra quelle poche cose c'è quella foto di quel signore baffuto con una carriola di banconote. Sarà un caso?
mi sa che il mio commento non è stato compreso.
Elimina"nel mondo delle favole" non significa come lo intendono i liberisti-paraculisti che NON CE LO POSSIAMO PERMETTERE.
ma che NON E' E DI SOLITO NON E' MAI STATO INTERESSE DI CHI GOVERNA far progredire le condizioni dei subalterni. almeno non come indirizzo preminente.
quindi nessun frame.
che siano i famosi 80 euro di renziana memoria?
RispondiEliminaMa certo!
EliminaIl concetto è quello, ED E' GIUSTO.
Prova ne è il fatto che i nostri "simpatici" amici giornalisti e editorialisti sono già tutti li a scrivere che quel provvedimento è fallito (e in parte è vero, ma non per gli 80 euro in se, presentati univocamente come "regalo" per "corrompere" gli elettori...concetto molto liberista e molto poco democratico, non a caso)
Concordo.
EliminaI famosi 80 euro sarebbero anche stati un provvedimento condivisibile, in regime di cambi fluttuanti e ben separati dalle elezioni (ed esagerando magari in busta paga non avrebbe dovuto venir fuori che te li ha dati Renzi o chicchessia ...).
Quindi se ho ben capito la soluzione é la stessa suggerita dal Zibordi:
RispondiEliminaBasta stampare più moneta e distribuirla ai cittadini meno abbienti che spenderanno, spenderanno e spenderanno e la crisi economica finirà.
Diciamo che fa parte della soluzione. Credo sia ormai chiaro - perché l'abbiamo richiamato tante volte - che l'austerità è inevitabile se si vuole mantenere la moneta unica, perché serve a equilibrare gli scambi esteri, questo è il suo vero scopo, aldilà del tanto sbandierato problema del debito pubblico.
RispondiEliminaMa anche al di fuori dall'euro, stampare - o più correttamente - aumentare la base monetaria non è percorribile senza cautele, nel senso che bisogna sempre tenere conto della bilancia dei pagamenti e del rischio di eccedere nelle importazioni. Ricordate l'obiezione di Cesaratto alla MMT?