Da L'AntiDiplomatico una bella intervista a Quarantotto, il giudice blogger studioso della Costituzione e della sua convivenza impossibile con i Trattati europei. Nella seconda parte che qui pubblichiamo Luciano spiega i dettagli tecnici per un'uscita dall'euro giuridicamente corretta, ma il vero problema è il gap culturale della classe politica e dei media.
di Alessandro Bianchi
Luciano Barra Caracciolo è Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Rappresentante italiano presso la rete UE degli organi di autogoverno del potere giudiziario, curatore del blog Orizzonte 48 ed Autore di "Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei"
Luciano Barra Caracciolo è Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Rappresentante italiano presso la rete UE degli organi di autogoverno del potere giudiziario, curatore del blog Orizzonte 48 ed Autore di "Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei"
- Nel suo libro arriva ad affermare come la convivenza tra i
Trattati europei e la Costituzione italiana sia impossibile. Come e chi
potrebbe sanare questa frattura?
Basterebbe riproporre il significato vero della Costituzione come originariamente concepita. Non
a caso io nel mio libro riporto brani tratti dalle sedute della
“Costituente”, i relativi dibattiti, cioè la fonte diretta e
l'interpretazione autentica di quelle che erano le intenzioni dei
Costituenti. Il problema, se ragioniamo sul dover essere, cioè sulla
restaurazione di un minimo di legalità costituzionale, è un altro: ma i partiti lo vogliono fare? Si pongono questi problemi?
Se inizieranno a farlo, il corretto intendimento della Costituzione è
di per sé uno strumento potentissimo. Nel libro propongo due cose: in
primo luogo dimostro come la Corte costituzionale attraverso la
lezione della Costituente potrebbe dichiarare costituzionalmente
illegittimo il vincolo dei trattati, cioè la stessa ratifica.
In secondo luogo, propongo una road map che non ha nulla di eversivo, ma
è una ricalibratura dei pubblici poteri, cioè delle istituzioni
democratiche sulle prescrizioni della Costituzione. Sia la liberazione
dal vincolo esterno che la ricorrezione dei suoi effetti sulle istituzioni democratiche passa
per lo strumento della legalità suprema, la Costituzione, e nulla è più
illegale di quello che genera uno stato di sospensione sine die di
questa, vale a dire i trattati europei. Basterebbe ripristinare la
legalità costituzionale ed automaticamente avremo la via d'uscita
progressiva da questo stato di cose.
- Si discute molto sulla questione giuridica del recesso dall'Unione Monetaria. Come potrebbe farlo tecnicamente l'Italia?
In una prima fase avevo ipotizzato che si potesse ritornare ad un'idea sobria dei trattati, qualificandoli come fonti pattizie e quindi applicando la Convenzione di Vienna.
Questa, nei suoi principi generali, è considerata una raccolta
ricognitiva di diritto consuetudinario ed in alcune sue parti
espressione di ius cogens - vale a dire superiore per rango a qualunque
altra norma pattizia o generale - e tra quest'ultimi principi
internazionali inderogabili (da un qualsiasi trattato) rientra
sicuramente il principio dell'impossibilità del vincolo predatorio
negoziale, vale a dire del vincolo irreversibile e senza limiti di
tempo alla partecipazione ad un trattato, a prescindere dal manifestarsi
di suoi effetti manifestamente contrari alla convenienza di una parte e
favorevoli soltanto all’altra (rebus sic stantibus). Su questo sfondo
avevo inizialmente ipotizzato una prima via d'uscita possibile.
Ma, sempre con una visione attenta allo jus gentium, si può tranquillamente interpretare le stesse clausole dei trattati - in particolare mi concentro sugli articoli 139 e 140 del TFUE - formulando la teoria del contrarius actus.
Dato che la procedura di ammissione all’euro configura l’ammissione
medesima come atto ampliativo, la disciplina contenuta in tali norme
richiede la manifestazione di consenso dello Stato considerato in ogni
fase procedurale. Questo consenso, quindi, è un elemento costitutivo
indispensabile dell’ammissione e potrà essere ritirato in qualsiasi
momento in applicazione del principio della insopprimibile libertà del
consenso nel diritto internazionale. Per comprendere meglio, basta fare
l'esempio degli atti ampliativi del diritto pubblico interno come una licenza a vendere alcolici, che non prefigura un obbligo alla vendita e può essere sempre restituita.
Questo è un principio generale pacifico, risalente al diritto
internazionale generale, nonché ai principi di buona fede e correttezza
nell’esecuzione dei trattati, interpretati secondo i principi giuridici
generali delle nazioni civili. Non esiste quindi un vincolo
irreversibile e non è configurato come tale dalle norme se lette in
buona fede, intesa come vincolo normativo di jus cogens. E, di
conseguenza, la strategia che suggerisco è quella di un recesso secco,
senza alcun tipo di giustificazione. Le norme che implicano un beneficio, nello stesso modo prevedono la possibilità di restituzione del “titolo” di quel beneficio.
- Questo recesso influenzerebbe in qualche modo la partecipazione dell'Italia all'Unione Europea?
Basandosi sugli art. 139 e 140, è perfettamente logico e naturale che
lo stato che decida di rinunciare al beneficio della partecipazione
nell'euro rimanga nella stessa condizione degli altri paesi “con deroga”, come ad esempio il Regno Unito o la Svezia. Permangono
cioè all'interno dell'Unione europea per tutte le norme specifiche che
non riguardano la partecipazione ed adesione all'unione monetaria. Lo
Stato “uscente” recupererebbe una condizione prevista dai Trattati, già
tipizzata dai Trattati e che soprattutto non è transitoria: questo
perchè non c'è un obbligo correlato ad un termine legale per l’adesione
all'Unione monetaria, né l'Unione europea vede come suo elemento
costitutivo della sua soggettività politica la partecipazione
generalizzata all'unione monetaria. E questo è dimostrato dalla lettura
degli art. 3 par. 3 del Tue in cui si descrive lo schema programmatico
socio-economico dell'Ue, insieme al par.4, da cui emerge con chiarezza
che l'Ue è un soggetto già nella sua pienezza nel momento in cui programma di istituire l’unione monetaria. Dalla
loro corretta interpretazione si comprende come il programma
economico-monetario non sia costitutivo della sua soggettività di
diritto internazionale.
- Che cosa accadrebbe però a tutti quei trattati intergovernativi
come il Mes ed il Fiscal Compact? Resterebbero comunque in vigore?
Per tutti quei trattati si tratta di un problema di diritto positivo abbastanza agevole da risolvere:
l'operatività di queste fonti europee (alquanto atipiche e controverse)
riguarda solo gli Stati in atto partecipanti all'Unione monetaria.
Dunque, l'adesione a questi vari trattati resterebbe, ma produrrebbe effetti realmente vincolanti solo in quanto persistesse lo status di aderente all'Unione Monetaria.
Se non c'è più questo status, il paese resta parte di questo trattato,
ma esso non rileverà in termini di obblighi “perfetti” e di sanzioni
attualmente applicabili. Un paese “con deroga” non è obbligato in modo
effettivo. Ci sono, del resto, delle clausole specifiche a dimostrarlo:
l'art.14 del Fiscal Compact, ad esempio, prescrive come l’insieme delle
norme essenziali si applicano ai paesi membri “con deroga” dal momento
in cui iniziano effettivamente a far parte dell'Unione Monetaria.
Sul piano politico, però, queste alchimie finanziarie costruite per salvare l'euro si dissolverebbero nel momento in cui un paese importante come l’Italia dovesse decidere di uscire dall'euro, innescandone la dissoluzione.
- Ragionando sull'ipotesi di Eurexit dell'Italia. Quali sono le priorità che il paese dovrebbe tenere in considerazione?
Secondo me vanno distinte quelle che sono misure emergenziali che servono nell'immediato dalle misure strutturali di lungo periodo. Le prime sono state ben illustrate da un concorso di studi sulle
conseguenze dell'Eurexit citato anche da Alberto Bagnai nel Tramonto
dell'euro. Riguardano in particolare la segretezza della decisione dell'uscita -
che non deve essere anticipata ai mercati, soprattutto in un contesto
di Banca centrale indipendente pura, recepita dal diritto interno in
applicazione del trattato, che ha il divieto assoluto di intervenire a
sostegno dello Stato - poi la chiusura delle banche per un certo
periodo di tempo, e altre misure di “primo impatto".
Quindi si arriva alla sostanza del problema: la sostenibilità del sistema nel lungo periodo. E qui non si può che ritornare al modello costituzionale, riaffermando
come la sua compressione “lo vuole l'Europa” deve cessare con la fine
dell'euro. Facciamo solo un esempio: l'uscita ci lascia assoggettati
all'art. 126 del TFUE sull'indebitamento eccessivo, ma, per il paese
fuoriuscito, avente lo status “con deroga”, non è prevista la fase
sanzionatoria. Il Regno Unito convive allegramente con super deficit da
quando è fallita la crisi dal fallimento Lehman Brothers dal 2008.
E poi ci sono le misure strutturali, ma quelle dipendono dal tipo di società che si vuole plasmare.
Fare deficit per politiche di “Banking Welfare” (come in UK e Irlanda) è
un conto. Altra cosa è fare deficit per rilanciare un settore
industriale e, come suo complemento logico, bancario pubblico, che
consentano di affrontare una politica industriale indispensabile,
colmando il gap di know how e di tecnologia perso a seguito dell'output
gap, e della deindustralizzazione, derivati dai vincoli fiscali e
monetari europei e dal mercantilismo asimmetrico della Germania.
Tutto questo lo indico nella road map del libro ed osservo che sempre
più persone condividono quest'approccio. Il problema è un altro:
l'Italia ha le risorse culturali diffuse, cioè dal senso comune del
cittadino fino alla classe dirigente attuale, per uscire dalla crisi? La
risposta temo sia, al momento, no. E questo a causa di una
classe politica che, nella sua ostentata ignoranza, pare compattamente
convinta che l'Italia, senza il vincolo esterno, sarebbe cresciuta di
meno. E ciò con i media schierati tutt’ora a ribadire la
favola che il paese viveva una situazione di inflazione e disoccupazione
drammatica prima di entrare nell'euro. Il tutto contraddetto
platealmente dai dati, soprattutto se risaliamo alla fase anteriore al
divorzio tra la Bankitalia e Tesoro ed all'ingresso nello Sme, che sono
stati la prova generale del sistema.
Giuridicamente si possono trovare le soluzioni ma il problema e' che oramai la politica conta come il due di picche. A livello planetario e non solo italico. Prova ne sia il fatto che le sinistre globali hanno venduto l'anima al capitalismo piu' sfrenato che semplicemente se ne frega dei popoli e del concetto di scelta e quindi di democrazia. Ci sono due variabili dal mio punto di vista che azzereranno questa assurda concezione del progresso. Una sono le risorse che diversamente dall'imbecillita' non sono in espansione infinita. L'altra variabile che e' invalicabile x ogni essere vivente e' la natura. Fregarsene per decenni o secoli comportera' un conto da pagare che sara' molto ma molto peggio del risanamento dei debiti. Pubblici e privati. Per concludere poi faccio una considerazione professionale. Il capitalismo e' contabilmente parlando una assurdita' bestiale perche' si regge esclusivamente sulla creazione di un debito. Follia pura. Ma il gregge pascola pensando all'erba sempre verde in eterno.
RispondiEliminae cosi parlano i cretini che leggono latouche SENZA capirlo,ma fermandosi solo alla parola decrescita,TI FACCIO una domanda,sai che trovare una cura per le malattie questo porta crescita,mi spieghi cosa cavolo c'entrano le risorse limitate (lo sai che ai tempi di marco polo il petrolio veniva considerato meno utile della sabbia?),se fosse per te staremmo ancora nelle caverne,te lo dico seriamente,la devi finire di pensare solo alla tua pancia e non capire che questo non e' un gioco
EliminaOgnuno la pensa come vuole, ci mancherebbe. Poi quando la natura ti avra' dato un calcio nel culo forse capirai il senso del mio discorso. Forse. Lascia stare le caverne che io la tecnologia la uso da 34 anni 8 ore al giorno. Non per questo amo appartenere a un pianeta di telerincoglioniti. Ma forse capire non e' da tutti.........
Eliminacerto ma per quel che riguarda la sua vita,perche' vedi se decresci da 1 milione di euro a 500.000 e' un conto,decrescere da 20.000 a 0 e' un altro e significa crepare,perche' alla fine i decrescisti vogliono questo ma per gli altri.Molto democratici
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