Da Project Syndicate le riflessioni del Nobel Joseph Stiglitz sul libro di Piketty e l'evoluzione del capitalismo negli ultimi decenni: la vera questione del ventunesimo secolo non è il capitale, ma la democrazia.
NEW YORK – Negli Stati Uniti e in altre economie avanzate l’accoglienza del recente libro di Thomas Piketty Capital in the Twenty-First Century, attesta
le crescenti preoccupazioni per l’inasprirsi delle disuguaglianze. Il
suo libro conferma ulteriormente le prove già schiaccianti
sull’impennata del reddito e della ricchezza dell’élite.
Il
libro di Piketty, tuttavia, dà una prospettiva diversa sui 30 anni e
più che sono seguiti alla Grande Depressione e alla Seconda guerra
mondiale, considerando questo periodo come un’anomalia storica, forse
causata dalla insolita coesione sociale stimolata da eventi
catastrofici come questi. In quell’epoca di rapida crescita economica, la prosperità
era ampiamente condivisa, tutte le classi sociali miglioravano la loro condizione, ma coloro che si trovavano in fondo
alla scala sociale ne beneficiavano in percentuale maggiore.
Piketty
ha anche proposto una rilettura delle “riforme” vendute negli anni '80
da Ronald Reagan e Margaret Thatcher come fattori di crescita da cui
tutti avrebbero tratto beneficio. Le loro riforme sono state seguite da
un rallentamento della crescita e da un incremento dell’instabilità
globale, e laddove c’è stata crescita, a beneficiarne sono stati perlopiù
i superricchi.
Ma
l’opera di Piketty solleva questioni importanti sulla teoria
economica e sul futuro del capitalismo. Egli documenta i grandi aumenti del
rapporto ricchezza/output. Seconda la teoria standard, tali incrementi
sarebbero associati a un calo del rendimento del capitale e a un aumento
dei salari. Ma oggi il rendimento del capitale non sembra essere
diminuito, mentre invece lo sono i salari. (Negli Stati Uniti, ad esempio,
i salari medi sono scesi del 7% negli ultimi quattro decenni.)
La
spiegazione più ovvia è che l’aumento della ricchezza misurata non
corrisponde a un aumento del capitale produttivo – e i dati sembrano
coincidere con questa interpretazione. Gran parte dell’aumento della
ricchezza è derivata da un incremento del valore degli immobili. Prima
della crisi finanziaria del 2008 si era manifestata in molti Paesi una
bolla immobiliare; ad oggi, potrebbe persino non esserci stata una
completa “correzione”. L’aumento del valore può rappresentare anche una
competizione tra ricchi per i beni “posizionali” – una casa sulla
spiaggia o un appartamento nella quinta strada a New York.
Talvolta
un aumento della ricchezza finanziaria corrisponde a poco più che
uno spostamento dalla ricchezza “non misurata” alla ricchezza misurata – spostamenti
che possono in realtà riflettere un deterioramento nelle
performance economiche generali. Se aumenta il potere dei monopoli, o
se le società (come le banche) sviluppano migliori metodi di
sfruttamento dei comuni consumatori, questo scenario si tradurrà in un
aumento dei profitti e, se capitalizzati, in un incremento della
ricchezza finanziaria.
Ma
quando ciò accade, il benessere sociale e l’efficienza economica si
contraggono, anche quando aumenta la ricchezza misurata in modo
ufficiale. È che non prendiamo in considerazione la corrispondente
flessione del valore del capitale umano – la ricchezza dei lavoratori.
Inoltre,
se le banche riescono a utilizzare la loro influenza politica per
socializzare le perdite e continuare a conservare i profitti guadagnati
disonestamente, la ricchezza misurata del settore finanziario
aumenta. Non misuriamo la corrispondente diminuzione della ricchezza dei
contribuenti. E allo stesso modo, se le società convincono il governo a
pagare più del dovuto i loro prodotti (come è successo con le maggiori
aziende farmaceutiche), oppure hanno accesso alle risorse pubbliche a
prezzi inferiori al valore di mercato (come nel caso delle società
minerarie), alla fine riportano un rialzo della ricchezza finanziaria,
sebbene la ricchezza dei comuni cittadini non registri
alcun incremento.
Quanto abbiamo osservato – stagnazione dei salari e aumento della disuguaglianza,
anche a fronte di un incremento della ricchezza – non riflette il
funzionamento di una normale economia di mercato, ma di ciò che
chiamiamo “ersatz capitalism” o “capitalismo surrogato”. Il problema non
è tanto come i mercati dovrebbero o debbano funzionare, bensì
il nostro sistema politico, che non è riuscito a garantire la
concorrenza dei mercati e ha creato regole che provocano distorsioni di mercato in cui le società e i ricchi possono sfruttare (e
sfortunatamente sfruttano) chiunque altro.
I mercati, ovviamente, non possono brancolare nel buio. Devono esserci
le regole del gioco, che vengono stabilite attraverso processi
politici. Elevati livelli di disuguaglianza economica in Paesi come gli Usa
e, sempre più, in quelli che hanno seguito il loro modello economico,
portano a una disuguaglianza politica. In un sistema di questo tipo,
anche le opportunità per il progresso economico diventano inique,
rinforzando bassi livelli di mobilità sociale.
Le
previsioni di Piketty in merito ai livelli di disuguaglianza ancora
elevati non riflettono inesorabili leggi economiche. Semplici
cambiamenti – come un aumento della tassazione sui capital gains e sulle
successioni, aumenti di spesa per estendere l’accesso all’istruzione, una
rigorosa applicazione delle leggi anti-trust, riforme di governance
aziendale che circoscrivano i compensi dei dirigenti, e regolamenti
finanziari che tengano a freno l’abilità delle banche di sfruttare il
resto della società – ridurrebbero la disuguaglianza e aumenterebbero
notevolmente le pari opportunità.
Se usiamo correttamente le regole del gioco, potremmo persino essere in grado di rilanciare la crescita economica rapida e condivisa che
ha caratterizzato le società del ceto medio nella metà del XX secolo.
La questione principale che dobbiamo affrontare oggi nel XXI secolo non è
il capitale. È la democrazia.
(Traduzione di Simona Polverino)
ecco che Stiglitz ci ricorda come guardare al PIL come indice della crescita sia un esercizio assolutamente parziale.
RispondiEliminaInfatti se il settore finanziario cresce anche il PIL cresce. e infatti praticamente tutta la crescita ottenuta dagli USA negli ultimi anni è dovuta a quello. mentre l'economia reale prosegue il declino. mentre le classi medie sono sempre più impoverite.
non c'è crescita "positiva" in occidente. ad oggi. niente. nessun paese. al limite i più fortunati stagnano. perchè è IMPOSSIBILE avere crescita dell'economia reale seguendo le dottrine economiche e le linee politiche che vanno di moda in occidente oggi.
l'unico modo, nel mondo globalizzato così governato, per far crescere l'economia reale in occidente era rimasto il mercantilismo tedesco. esempio unico di paese occidentale che non si è deindustrializzato negli ultimi 30 anni. il punto è che tale strategia si basa sul vampirizzare i vicini che stanno finendo il sangue....e dunque anch'essa non può oggi più dare alcun aiuto.
per chi non volesse studiarsi la macroeconomia basta l'evidenza.
certo, perchè quando la ricchezza si polarizza così, i #flyovercountry influenzano completamente la politica in un circuito vizioso, portando inevitabilmente verso il modello #Elysium. Vedi questo "sguaiato" articolo: http://www.portafoglioreale.it/page.aspx?p=337 e http://www.portafoglioreale.it/page.aspx?p=357
RispondiEliminaPer una volta non sono d'accordo con Stiglitz. Primo: qui si parla di patrimonio, non di reddito. E il patrimonio è l'integrale del reddito risparmiato. Dunque, una volta che il dentifricio è uscito dal tubetto, non c'è modo di farlo rientrare per la stessa via. Occorre dunque tassare il patrimonio allo scopo di ridurlo e di redistribuirlo, inutile tassare il reddito, perché ormai i buoi sono scappati. E infatti Picketty parla di patrimoniali, e non a caso. Certo, facile a dirsi, assai difficile a farsi, non solo per le opposizioni degli interessi costituiti (vedi oltre), ma anche perché le patrimoniali è facile risultino inique.
RispondiEliminaE' peraltro vero che la questione principale è la democrazia, ma non è disconnessa da quella del capitale. L'enorme accumulazione avvenuta, enorme al punto tale che non vi sono nell'orbe terraqueo sufficienti possibilità di investimento proficuo, magari non è "ricchezza" in senso austriaco, ma lo è nel senso del potere, e Stiglitz lo sa bene, essendo statunitense, quanto gli interessi costituiti (i "vested interests" di Veblen) possano alterare fino a vanificare il corso della democrazia.
Altro dissenso: Stiglitz sembra confidare nella regolazione. Certo, meglio la regolazione che un pugno in un occhio. Ma che questa sia in grado da sola di risolvere questo genere di problemini, beh, francamente mi sembra un'ingenuità. Fatta la legge, trovato l'inganno ...
Il reddito di oggi è il patrimonio di domani. Appunto.
EliminaNo.
Secondo me il riequilibrio deve passare da un riequilibrio dei redditi.
L' idea di spostare la tassazione dai redditi ai patrimoni e ai consumi è uno dei mantra neo-liberisti, rammento. Quante volte avete sentito dire: "bisogna spostare la tassazione dalle persone alle cose"?
Daltronde gli Stati liberali ottecenteschi (il loro modello) erano esattamente delle "democrazie" censitarie. La tassazione E I DIRITTI POLITICI derivavano proprio dal censo (oltre che dal livello di istruzione e dal sesso) non dal reddito.
Ma infatti, io ho inteso che quando parla di problema della democrazia Stiglitz intenda proprio il fatto che le istituzioni pubbliche sono state "catturate" dai gruppi di interesse più potenti (a cui i media reggono il sacco attraverso quel meccanismo dello spin così bene evidenziato dal nostro Marcello Foa). Il problema insomma è proprio la degenerazione della democrazia.
RispondiEliminaDelle regole che reintroducano la separazione tra banche d'affari e banche ordinarie, poi, non sarebbero poca cosa, così come anche il ritorno a un sano matrimonio tra banca centrale e tesoro dello stato, con delle conseguenti e adeguate politiche fiscali, alla flessibilità del cambio... questi sarebbero i cambiamenti necessari di cui ha parlato più volte Stiglitz...a parte che sul ritorno alle monete nazionali nell'eurozona non si mostra così entusiasta e continua ad auspicare, inascoltatissimo, il miraggio dell'unione fiscale...
Posto il link originario che compare sulla sinistra del blog, articolo scovato da Blondet http://translate.googleusercontent.com/translate_c?depth=1&hl=it&prev=/search%3Fq%3Dles%2Bcrises.fr%2Bl%2527allemagne%2Btient%2Ble%2Bcontinent%26client%3Dfirefox-a%26hs%3DFjy%26rls%3Dorg.mozilla:it:official%26channel%3Dsb&rurl=translate.google.it&sl=fr&u=http://www.les-crises.fr/todd-3-l-allemagne-tient-le-continent-europeen/&usg=ALkJrhjnPL227GG240ARiL74KYc5cPXqvA
RispondiEliminanella mappa, l'italia e' uno degli stati controllati direttamente dalla germania...