22/08/11

L'Euro Diviso in Due - Prima parte

Da EconoMonitor un approfondito studio di Edward  Hugh sulla crisi dell'euro e sugli scenari futuri. Nella prima parte si rappresenta in maniera inequivocabile la gravità della situazione



di Edward Hugh
15 agosto 2011

Guardando indietro agli ultimi 18 mesi di crisi del debito europeo, Lorenzo Bini Smaghi, membro del consiglio esecutivo della Banca centrale europea, ha recentemente evocato la famosa battuta di Winston Churchill, "Si può sempre contare sul fatto che gli americani faranno la cosa giusta - dopo aver provato tutto il resto".

Anche gli europei, ha rassicurato il pubblico, alla fine riusciranno a far bene.
Purtroppo tutti gli andirivieni, il procrastinare, le negazioni e le mezze misure che abbiamo visto da quando la crisi greca è scoppiata per la prima volta hanno un costo, e questo costo può essere visto nella crescente mancanza di fiducia nei mercati che una soluzione duratura ai problemi di fondo della moneta comune sarà finalmente trovata. In aggiunta ai problemi, anche gli americani sembrano avere difficoltà a trovare la cosa giusta da fare questa volta, o almeno a farla al momento giusto, come hanno sottolineato le turbolenze del mercato dopo il downgrade di S &P.


E' probabilmente troppo presto per dire se ciò che decideranno i leaders europei alla fine sarà la "cosa giusta", ma almeno adesso sembra esserci una consapevolezza generale che si avvicina un momento cruciale, e cambiamenti fondamentali alla struttura istituzionale del continente sono ora sul tavolo. Tra le opzioni che ora vengono apertamente sostenute e discusse vi è una misura impensabile un anno fa - terminare l'esperimento durato 13 anni di un'Europa con una moneta unica. Ma anche se questa ultima possibilità - l'opzione cosiddetta nucleare - dovesse avverarsi, come sempre ci sarebbe un modo giusto e un modo sbagliato di procedere.

In pochi adesso dubitano della gravità della situazione
L'ultimo round sulla crisi del debito sovrano europeo è stato, senza ombra di dubbio, il più grave e il più potenzialmente destabilizzante per il sistema finanziario globale di quelli visti fino ad oggi. La pressione sugli spread obbligazionari nei mercati del debito dei paesi della periferia tormentata dell'Europa è diventata così estrema che la Banca centrale europea (BCE) è stata costretta a fare un cambiamento radicale e inaspettato, intervenendo in modo "shock and awe" sui mercati obbligazionari spagnoli e italiani. Durante la prima settimana dopo il cambiamento di politica la banca ha acquistato titoli per un valore di 22 miliardi di euro. Per dare un senso a questo numero, si consideri che l'intero programma di acquisto di obbligazioni fino ad oggi per Grecia, Irlanda e Portogallo è costato solo circa 74 miliardi di euro, e questo in più di un anno di intervento.

Con i precedenti interventi in Irlanda, Portogallo e Grecia, la banca centrale è diventata l'"acquirente di ultima istanza" dei titoli periferici d'Europa, ma questo non può che essere una misura provvisoria, poiché il volume di titoli che dovranno essere acquistati su base continuativa semplicemente per fermare l'aumento dei rendimenti dei titoli spagnoli e italiani è così massiccio che farebbe andare la banca ben oltre i limiti del suo statuto originario. Metterebbe anche la banca centrale nella necessità di una ricapitalizzazione sostanziale se ad un certo punto il debito italiano e spagnolo dovessero essere ristrutturati.

E come se tutto questo non bastasse, anche paesi centrali come la Francia ora si ritrovano trascinati nella mischia, mentre il rischio che il contagio si diffonda verso Est è oggi tutt'altro che trascurabile. Lo spread francese, il maggior rendimento che gli investitori richiedono per acquistare debito francese a 10 anni piuttosto che bund tedeschi, è salito a 87 punti base, anche se entrambi i paesi sono classificati AAA dalle società di rating. Secondo i dati di Bloomberg, è quasi il triplo media di 33 del 2010. I Credit-default swap sulla Francia ora sono negoziati a circa 175 punti base, più del doppio del tasso per assicurare i titoli tedeschi.

In aggiunta la pressione sia negli Stati Uniti che in Europa sulla questione del debito ha portato le altre valute come il franco svizzero e lo yen (oltre all'oro) a livelli molto alti, cosa che nel caso del franco ha un impatto diretto sulle famiglie e le imprese dell'Est europeo dove l'indebitamento in CHF è stata prevalente. Questo apprezzamento del franco ha già prodotto preoccupanti ripercussioni sui mercati finanziari ungheresi, sollevando lo spettro del contagio ad Est.

La gravità della situazione è stata evidenziata quando il Presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso ha spiegato ai giornalisti in attesa al culmine della più recente crisi che le attuali "tensioni sui mercati obbligazionari riflettono una crescente preoccupazione tra gli investitori sulla capacità sistemica dell'area dell'euro di rispondere alla crisi in evoluzione."

Per essere chiari, la questione in oggetto non è più quella del meccanismo di ristrutturazione del debito greco, o la misura del coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito, o nemmeno della misura dell'incremento del Fondo di Stabilità finanziaria (l'EFSF, il meccanismo di salvataggio). La crisi attuale è una crisi esistenziale, che, se non verrà risolta rapidamente diventerà una questione di vita o di morte per la moneta unica. In un presagio di quello che potrebbe accadere, nel momento stesso in cui il board della BCE ha raggiunto un accordo sull'ultimo programma di acquisti di obbligazioni già a Berlino si esprimeva la preoccupazione che l'importo di un salvataggio generalizzato potrebbe essere troppo grande anche per i paesi più ricchi del centro.

In tutta onestà, José Manuel Barroso non ha detto che l'euro era sull'orlo del collasso, ma che c'era stato un cambiamento profondo e significativo nella percezione della crisi da parte del mercato, e che questo cambiamento richiedeva una più nuova e fondamentale risposta da parte dei leaders europei e delle istituzioni. E' la capacità di questi leader a concordare anche a grandi linee una risposta sostenibile ed efficace, che è al centro di tutto il nervosismo del mercato, e in questo senso la recente decisione dell'agenzia di rating Standard and Poor di abbassare il rating degli Stati Uniti non ha fatto altro che complicare ulteriormente una situazione già complicata.

Allora, perché questo improvviso e drammatico cambiamento? Senza dubbio la parte del leone della spiegazione si trova nell'arrivo di un nuovo, e per molti inaspettato, elefante nel salotto del potere europeo. Con qualcosa come 1.900 miliardi di euro di debito, l'Italia è il terzo più grande emittente del pianeta di obbligazioni sovrane (dopo Giappone e Stati Uniti) e anche se il tasso relativamente alto di risparmio del settore privato italiano (famiglie e aziende) significa che gran parte del debito è in mani italiane, la profonda interconnessione del sistema finanziario europeo (che è un sottoprodotto dei mercati obbligazionari profondi e liquidi venuti alla luce a seguito della creazione della moneta comune) significa che una parte considerevole non lo è.

In un certo senso la crisi italiana ha preso alla sprovvista i partecipanti al mercato. Il motivo della relativa imprevedibilità della scala dei problemi in Italia è in parte un accidente storico e in parte un riflesso della necessità del mercato di focalizzarsi su un singolo aspetto, e in questo caso il focus era sul disavanzo e non sul debito. Per dirla semplicemente, troppo spesso il mercato potrebbe essere descritto come affetto da una sorta di sindrome da "pensiero unilaterale".

L'elevato profilo conferito alla questione greca ha fatto sì che in larga misura i problemi dell'Europa siano stati percepiti come deficit di bilancio, mentre le questioni più fondamentali come la mancanza di convergenza, gli squilibri dei conti con l'estero, il debito cumulato e la bassa crescita economica, rimanevano in secondo piano. Ora le cose sono cambiate. Come l'ex primo ministro britannico Gordon Brown ha detto recentemente: "Ora non saranno delle telefonate nel week-end a poter risolvere quella che è una crisi finanziaria, macroeconomica e di bilancio  insieme". Risolvere la crisi comporta "una radicale ristrutturazione sia delle banche europee che dell'euro, e quasi certamente ci sarà bisogno di un intervento da parte del G2O e del Fondo Monetario Internazionale".

Il Problema Storico dell'Euro

Percepito da molti come illecita e nata male, l'emissione della moneta unica è stata a lungo un argomento di intenso dibattito e polemiche, in particolare tra gli economisti delle due sponde dell'Atlantico, e tra i micro e i macroeconomisti. Semplicemente non c'è stato alcun consenso su quello che in realtà è il problema, e le critiche degli Stati Uniti sul modo in cui la crisi è stata gestita, in Europa sono spesso sentite come ingiuste e fuori luogo. Come ha detto il membro del comitato esecutivo della BCE Lorenzo Bini Smaghi nel discorso di luglio alla Fondazione Ellenica per la Politica Estera Europea, negli Stati Uniti, una crisi finanziaria significativa non rimette in discussione l'intero assetto politico e istituzionale, e lo stesso dollaro non è considerato a rischio. In Europa, al contrario, una crisi è spesso considerata dagli osservatori esterni come a rischio di disgregazione dell'euro, e della stessa Unione. "Gli accademici ed altri esperti discutono sul fatto se l'area dell'euro è vitale e come può essere salvata. Gli euroscettici riappaiono all'improvviso, rispolverando i loro commenti del tipo Io-l'avevo-detto".

Mentre il signor Bini Smaghi con questa affermazione mette senza dubbio il dito sul centro del problema, e certamente riflette il livello di frustrazione dei giocatori chiave nel processo decisionale europeo, l'analogia con i singoli stati dell'Unione semplicemente non riesce a cogliere il motivo profondo di gran parte delle preoccupazioni. Non è semplicemente una questione di euroscettici che improvvisamente riappaiono, ma è il fatto che l'unione monetaria ripetutamente mostra le linee di debolezza esattamente dove molti di quei macroeconomisti così rimproverati si aspettavano che sarebbero apparse. È per questo che il signor Brown ha senza dubbio ragione nel mettere a fuoco il fatto che al di là di una immediata crisi fiscale, quello che abbiamo in Europa è anche una crisi di gestione macroeconomica e di stabilità finanziaria. Come egli dice così eloquentemente, molti erano preoccupati per il fatto che la progettazione iniziale dell'Euro non conteneva "alcun meccanismo di prevenzione o risoluzione delle crisi e nessuna previsione di responsabilità per quando le cose sarebbero andate male".

Naturalmente Gordon Brown è ben lungi dall'essere la prima persona ad avere espresso tali opinioni. Il fatto che le economie dell'Europa centrale e quelle della periferia ben lungi dal diventare convergenti sono state effettivamente divergenti sotto l'occhio vigile della politica monetaria della BCE, è stato a lungo motivo di preoccupazione in ambito macroeconomico. In particolare, al cuore dei problemi attuali dell'Unione monetaria si trovano gli enormi squilibri che sono stati generati tra i "surplus" dei paesi del centro, e i disavanzi esteri della periferia. I leaders europei hanno a lungo evitato di affrontare il problema, e anzi si potrebbe dire che hanno profondamente negato il significato di questo problema. Riferendosi alle opinioni prevalenti tra i politici europei l'ex capo economista del FMI Simon Johnson si esprime così:
"Ricordo vividamente le discussioni con le autorità della zona euro nel 2007 - quando ero capo economista del FMI - in cui essi sostenevano che gli squilibri delle partite correnti all'interno della zona euro non avevano senso e non riguardavano l'attività del FMI. La loro argomentazione era che il F.M.I. non si interessava degli squilibri di pagamento tra i vari stati americani (tutti, ovviamente, con il dollaro), e così avrebbe anche dovuto astenersi dal discutere il fatto che alcuni paesi della zona euro, come Germania e Paesi Bassi, avessero grandi avanzi delle loro partite correnti, mentre Grecia, Spagna e altri avevano grandi deficit ".

La foglia di fico che le nazioni europee in qualche modo equivalevano agli stati degli Stati Uniti è stata mantenuta a lungo per giustificare l'idea che la valuta comune in generale funzionava bene, e che i problemi della gestione venivano grandemente esagerati. Con l'arrivo dell'elefante italiano sul palco centrale in un colpo solo questo argomento è diventato obsoleto, come la struttura istituzionale che c'è dietro, dal momento che ben pochi dei leaders principali in Europa sono davvero disposti ad accettare la responsabilità di dare garanzie durature al paese, semplicemente perché non è solo uno stato più in un'unione completamente integrata, ma una nazione sovrana con tutto ciò che questo implica.

Detto questo, non ci può essere alcun dubbio che i leaders dell'Europa hanno fatto passi da gigante nel tentativo di fare i conti con i vari problemi che si sono presentati, anche se le misure adottate finora continuano a mostrarsi tristemente insufficienti rispetto a quello che sarebbe eventualmente necessario. Mentre la crisi si è spostata dalle preoccupazioni iniziali sui metodi della contabilità greca, l'approccio frammentario adottato dai responsabili politici europei ha portato a costruire quello che oggi è una vera e propria linea di produzione di strumenti e dipartimenti per la risoluzione delle crisi, con ciascuno dei pazienti situati in diverse fasi del processo terapeutico. Nel caso greco il problema di fondo è ora riconosciuto come un problema di solvibilità e squadre di esperti sono al lavoro in una lotta apparentemente senza fine per cercare di decidere finalmente di che grado di ristrutturazione (e / o riprofilatura) il debito greco abbia bisogno. Nei casi irlandese e portoghese il compito rimane ancora al livello di monitoraggio dell'attuazione del programma, con l'attenzione rivolta a capire se sarà o meno necessario (in stile greco), un secondo pacchetto di salvataggio. Nel frattempo, in anticamera, gli spagnoli e gli italiani aspettano pazientemente il loro turno, mentre i medici e gli amministratori del sistema sanitario tengono un acceso dibattito sul fatto se ci sia abbastanza spazio disponibile nel reparto di emergenza, e se i pazienti hanno un'assicurazione sufficiente a coprire l'eventuale drastico intervento.






6 commenti:

  1. Ciao Carmen,
    Sono curioso di leggere la seconda parte, ma soprattutto vorrei capire, quali sarebbero le azioni alternative da intraprendere per tenere in vita la UE e l'euro, perchè non basta solo criticare, ma è anche necessario essere propositivi, con proposte concrete, equamente fattibili, e socialmente realizzabili.

    un saluto, Nicola

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  2. Edward Hugh nello scritto sopra riportato sortisce con un piccolo commento che la dice lunga:La foglia di fico che le nazioni europee in qualche modo equivalevano agli stati degli Stati Uniti è stata mantenuta a lungo per giustificare l'idea che la valuta comune in generale funzionava bene, e che i problemi della gestione venivano grandemente esagerati....
    Ma questa persona sa perchè è stato creato l'Euro e con questo tutte le pratiche sotterranee o meno, che stanno portando il vecchio continente alla deriva?
    Questo servo del potere, che non ha il coraggio di dire "tutti a casa" vi abbiamo rapinato abbastanza, alla prossima....
    Dire di riprenderci la nostra sovranità monetaria proprio non ci sentono, del resto sono pagati per questo.
    Saluti.
    Orazio

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  3. Il problema principale è che c'è un andamento strutturale in Europa, e riguarda gli avanzi commerciali dei paesi forti come la Germania, e i deficit commerciali dei paesi deboli, come i PIIGS. Perché questo è il cuore del problema? perché anche ammettendo che tutti i paesi riescano a risanare i propri deficit di bilancio, o addirittura riescano anche a ridurre lo stock di debito pubblico, il deficit ci metterà presto per ritornare a galla. Deficit commerciali portano a deficit di bilancio. Deficit commerciali distruggono qualsiasi tentativo di risanamento dei bilanci pubblici. Bisognerà adottare quindi politiche in grado di mantenere in pareggio la bilancia dei pagamenti. Proprio la Germania, con la sua politica di contenimento dei salari per basare tutta la sua economia sulle esportazioni, non ci è d'aiuto. Se non si risolve il problema del deficit commerciale l'Europa non andrà molto lontano.

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  4. Manrico Gelmetti22 ago 2011, 23:02:00

    arrivati a questo punto non capisco piu' dove siano i vantaggi della moneta unica. Potevano esserci all'inizio con la convergenza dei tassi, ma ora io vedo solo svantaggi per i paesi del sud europa. Unico problema, se usciamo, il debito denominato in euro diventa di fatto non onorabile, e quindi facciamo automaticamente default finendo emarginati dalla comunità internazionale. Pero' importeremmo molti SUV tedeschi in meno e raddoppieremmo il ns export di mozzarelle, formaggio e prosciutto, mica male no??

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  5. Diciamo che principalmente è stata proprio la convergenza dei tassi troppo rapida ad aver provocato bolle in Europa. E' stato un vero e proprio shock. Bisognerà quindi tornare un pò indietro su alcune regole, perché su molte cose il passo è stato troppo rapido. Ad esempio si potrebbe attuare un quantitative easing per risolvere il problema dei tassi, come spiegato in questo articolo http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002491.html
    Si dovrebbero inoltre togliere alcuni limiti della BCE, come ad esempio il divieto di finanziare deficit pubblici, e tante altre cose...insomma ci siamo auto-imposti troppe regole in tempi troppo rapidi.

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  6. Condivido che il problema di fondo sta nello squilibrio commerciale e nell'aver affrettatamente applicato politiche comuni ad economie diverse.
    E forse è proprio come dice Orazio, perché sembra incredibile che i politici europei non si rendessero conto dei rischi dell'unione monetaria che sin dall'inizio gli economisti avevano sottolineato!... Da qui a dare la colpa di questo al povero Edward Hugh che con le sue analisi ci disvela la realtà...;)

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