24/08/11

L'Euro Diviso in Due - Terza Parte

Da EconoMonitor un approfondito studio di Edward  Hugh sulla crisi dell'euro e sugli scenari futuri. Nella terza parte si affronta il tema della divisione dell'eurozona in Euro 1 ed Euro 2 

L'Euro a un Bivio
Così l'euro ora si trova a un bivio, e devono essere prese decisioni importanti. Preservare l'Eurozona - come è ora - potrebbe essere fattibile se fosse possibile trasformarla in una piena unione fiscale in cui la politica di bilancio fosse coordinata da una tesoreria centrale, nel modo in cui lo sono i programmi principali tra gli stati negli Stati Uniti. Ma un tale accordo è ora un'impossibilità politica, in quanto le economie europee del centro inevitabilmente rifiutano quella che verrebbe vista come un'unione di trasferimento permanente tra le regioni ad alta crescita ed i loro vicini più poveri.


Anche se l'attuale dibattito sulla creazione degli Eurobonds arrivasse a conclusione, questi da soli non risolverebbero il problema a questo punto, e, come molti osservatori stanno notando, potrebbero anche peggiorare le cose, indebolendo i ratings sovrani del centro. A più lungo termine potrebbero far parte di una soluzione più generale, ma in assenza di una correzione sui problemi di competitività immediati della periferia rischiano solo di tradursi in progetto di moneta unica ancor più politicamente instabile. Questo è il prezzo per aver procrastinato e negato così tanto. Come ha detto di recente il capo economista di Citibank Willem Buiter, i tentativi di trasformare i meccanismi di salvataggio in corso in una unione di trasferimento sono destinati al fallimento dal momento che "i donatori dell'area centrale dell'euro uscirebbero, e i beneficiari della periferia rifiuterebbero la necessaria resa di sovranità nazionale".

Così, con l'unione fiscale effettivamente fuori dal tavolo, ci sono fondamentalmente tre possibilità.

La prima è quella di rimanere più o meno dove siamo ora, mantenendo o anche espandendo il programma di acquisto di bonds da parte della BCE. Il fondo di stabilità potrebbe essere aumentato, ma più i numeri cominceranno ad essere specificati nel dettaglio, più i vari partiti saranno lontani dal raggiungere un accordo. Se si va avanti così la BCE è probabile che raggiunga un tetto massimo oltre il quale sarà più che riluttante a continuare ad acquistare, dal momento che la banca ritiene che la soluzione debba venire dai politici.
Ma poiché le esigenze combinate di rifinanziamento sovrano di Italia e Spagna tra ora e la fine del 2012 ammontano a un totale di qualcosa come 660 miliardi di €, raggiungere un accordo politico per ampliare il meccanismo di salvataggio di questa portata appare come un risultato piuttosto improbabile. Così ad un certo punto gli spreads sul mercato inizieranno ad ampliarsi, con l'inevitabile risultato che l'unione monetaria sarà spinta verso una fortissima crisi.

La seconda possibilità sarebbe quella di sciogliere l'unione del tutto, lasciando che tutti tornino alla propria valuta nazionale. Questo sarebbe un esito disastroso per tutti gli interessati, e per il sistema finanziario globale. Coordinare lo svolgimento delle passività incrociate tra paesi sarebbe un incubo visto il livello di incastro nei mercati delle obbligazioni societarie e sovrane, e la scomparsa improvvisa di una delle principali valute di riferimento globale causerebbe il caos nei mercati finanziari. Il dollaro molto probabilmente sarebbe spinto a livelli insostenibilmente alti nella corsa verso la sicurezza, e basta guardare a ciò che sta accadendo con l'oro, il franco svizzero e lo yen giapponese per avere un'idea di quello che accadrebbe.

Evidentemente questo tipo di svolgimento violento non potrebbe mai essere intrapreso volontariamente, ma questo non significa che si tratta di un'eventualità impossibile, se le soluzioni non si trovano e la forza della pressione del mercato continua e aumenta ancora.

Fortunatamente c'è una terza alternativa, anche se in un primo momento non appare più desiderabile rispetto alle altre due: la zona euro potrebbe essere divisa in due, creando due diverse valute euro. Naturalmente la composizione dei gruppi sarebbe una questione di trattativa, dal momento che alcuni paesi non appartengono facilmente a un gruppo o all'altro. Le grandi linee, tuttavia, sono abbastanza chiare. La Germania sarebbe il cuore di un gruppo, insieme a Finlandia, Olanda e Austria. Inoltre gli Estoni, anche loro potrebbero essere in corsa.

Spagna, Italia e Portogallo naturalmente formano il nucleo del secondo gruppo, con la Slovenia e la Slovacchia come possibili candidati. Alcuni paesi, come Irlanda e Grecia per esempio, potrebbero semplicemente scegliere di uscire.

L'incognita principale è cosa farebbe la Francia. Per molti versi appartiene al primo gruppo, ma i legami culturali con l'Europa meridionale e le ambizioni politiche sul Mediterraneo potrebbero far sì che il paese decida di condurre il secondo gruppo. Naturalmente se non si trattasse di un divorzio definitivo, ma di una separazione temporanea, la partecipazione francese con il Sud avrebbe anche un sacco di ragioni politiche. Il termine “asse franco-tedesco” guadagnerebbe un significato completamente nuovo.

Naturalmente la sfida tecnica sarebbe enorme, ma non sarebbe insormontabile. Il grande vantaggio di una tale mossa sarebbe che due dei maggiori problemi che affondano l'unione monetaria - la mancanza di competitività della periferia e la mancanza di consenso culturale tra i partecipanti - sarebbero risolti in un colpo solo.

Nessuno conosce i valori a cui le due nuove valute opereranno inizialmente, ma per fare un esperimento mentale supponiamo un Euro1 a circa US $ 1,80 (euro/USD è attualmente a circa 1,40), e un Euro2, a circa $ 1. Ovviamente, nel breve termine i vincitori di questa operazione sarebbero i membri di Euro2, che otterrebbero la svalutazione delle loro economie così tanto desiderata. Perché questo? In un momento in cui i paesi interessati sono carichi di debiti e la domanda interna è relativamente debole, la crescita delle esportazioni è l'unico modo per le loro economie di andare avanti, e il cambiamento farebbe scendere i costi di produzione e del lavoro, dando loro una spinta enorme in questa direzione.

E questo incoraggerebbe la crescita in altri modi. Prendete la Spagna ad esempio. Il paese ha in questo momento un grande patrimonio immobiliare in surplus, stimato a circa 1 milione di unità invendute di nuovi alloggi. Molti hanno criticato il settore bancario per non far scendere i prezzi abbastanza da consentire di ripulire il mercato, ma le banche sono comprensibilmente riluttanti a farlo a causa dell'impatto che questo avrebbe sui loro bilanci, e per l'effetto domino sui loro mutui attualmente in corso. La bellezza di questa soluzione è che nessun ulteriore calo di prezzo sarebbe necessario, dal momento che per gli acquirenti esteri il prezzo reale di tutte queste case improvvisamente diventerebbe molto più conveniente.

Il caso del turismo sarebbe in qualche modo simile, poiché non solo più turisti verrebbero in Spagna, ma resterebbero più a lungo e spenderebbero di più, e le borse della spesa non sarebbero certamente vuote sull'aereo per casa.

Il travagliato settore delle Casse di Risparmio Spagnole è stato alla disperata ricerca di investitori stranieri che lo aiutassero a ricapitalizzare, ma mentre molti hanno mostrato interesse, praticamente nessuno ha partecipato fino ad oggi. Dopo la svalutazione tutto questo cambierebbe in quanto ci sarebbe l'occasione di acquistare partecipazioni a prezzi interessanti, e senza doversi preoccupare di un brusco calo dei prezzi e, di conseguenza, di una perdita del capitale.

I 4,5 milioni di disoccupati Spagnoli a poco a poco tornerebbero al lavoro, dei nuovi investimenti potrebbero essere attratti da altri progetti produttivi nell'industria manifatturiera, nessuno metterebbe in dubbio la solvibilità dello Stato spagnolo, e il settore privato sarebbe in una posizione migliore per iniziare a ripagare i propri debiti, come l'economia cresce.

Ora, ovviamente, come tutti sappiamo, in economia come nella vita non ci sono pasti gratis, quindi ci deve essere un tranello da qualche parte, e, naturalmente, c'è. In realtà ci sono due grandi "trappole". In primo luogo quei paesi che si uniscono per formare l'Euro1 dovrebbero fare un grande sacrificio, dal momento che molti di essi dipendono dalle esportazioni per la sussistenza, ed i loro produttori improvvisamente e bruscamente si troveranno in svantaggio. In particolare, ne soffrirebbe la Germania.

Tuttavia, supponendo che ad un certo punto tutti si trovino d'accordo che le disposizioni attuali sono impraticabili, e che tornare alle singole valute nazionali sarebbe un disastro, allora il senso di responsabilità tedesco e l'impegno del paese per il progetto europeo potrebbe rendere sopportabile l'accettazione di una sorta di sacrificio (e specialmente se si trattasse di un sacrificio che offre soluzioni a più lungo termine). Fortunatamente, la recente esperienza storica tedesca ci fornisce due concetti che potrebbero aiutarci. Il primo di questi è la Treuhandanstalt, l'istituzione per le privatizzazioni (e bad bank), che è stata creata per gestire le attività tedesco-orientali tra il 1990-1994. Il secondo è il Lastenausgleich, o la condivisione degli oneri, e questo si riferisce al meccanismo che è stato utilizzato per condividere i risultati diseguali della seconda guerra mondiale tra i tedeschi che si sono trovati a vivere in Occidente: tra coloro che erano venuti dall'Est e avevano perso tutto, e quelli che venivano dall'Ovest e avevano conservato qualcosa.

L'esperienza della Treuhandanstalt è utile per aiutarci a riflettere su come gestire il set comune di attività/passività acquisite durante la fase iniziale dell'Euro. Pensate alle banche della Spagna e al loro patrimonio immobiliare. Questo ora sarebbe venduto in Euro2, ma molte delle passività che gli corrispondono sono dei passivi contratti con le istituzioni che si trovano in Euro1. Valutarle immediatamente al prezzo di mercato, e in Euro2, produrrebbe notevoli perdite nel settore finanziario Euro1. Alcune di queste perdite sono inevitabili e in qualche modo corrispondono al tipo di tagli di ristrutturazione che sono già previsti. Ma nel periodo iniziale (e per ragioni che diverranno chiare oltre) sarebbe opportuno non attribuire loro un valore di mercato, ma tenerle per un tempo determinato in un istituto comune del tipo Treuhandanstalt.


Come ho detto, alcune perdite sono ormai inevitabili, ed è qui che il secondo concetto della recente esperienza storica - Lastenausgleich, o ripartizione degli oneri - diventa importante. Nonostante le proteste in contrario di Lorenzo Bini Smaghi, l'esperienza dell'Euro fino ad oggi non è stata un successo per nessuno dei partecipanti, una volta considerate anche le perdite potenziali che sono ormai incombenti. Allo stesso tempo, la moneta unica è stata una esperienza comune, a cui tutti hanno preso parte, quindi non è irragionevole supporre che tutti devono condividere quando si tratta degli svantaggi. Il problema con le misure adottate fino ad oggi è che su entrambi i lati della barricata sono percepite come abusive. Coloro che stanno finanziando i salvataggi si sentono chiamati a pagare per gli "eccessi" dei destinatari, mentre coloro che ricevono hanno la sensazione che quello che stanno ricevendo non è un aiuto, ma dei prestiti che rendono più facile al settore finanziario dei paesi donatori evitare di dichiarare le perdite. Questa "impasse comunicativa" è uno dei motivi principali per cui l'approccio attuale non funziona.

Ciò che è necessario a questo punto è un appello allo spirito europeo dei paesi Euro1, in un modo che li aiuti a capire che alcuni costi sono inevitabili, ma che gli eventuali costi concordati saranno condivisi, e soprattutto che la soluzione è praticabile ed offre una sorta di costruttivo futuro positivo per tutti gli europei. Detto in altre parole, ciò che ci serve è un meccanismo che contenga in misura sufficiente sia il realismo che l'idealismo.

Il vantaggio che l'opzione dell'euro diviso ha rispetto a tutte le altre proposte sul tavolo in questo momento è che affronterebbe di petto il problema della crescita. I paesi alla periferia dell'Europa potrebbero tornare a crescere, e una volta che le economie coinvolte iniziano a crescere, piuttosto che contrarsi, la percentuale del debito contratto durante il periodo precedente che essi saranno in grado di ripagare aumenta in modo significativo. E' molto più difficile rimborsare i debiti per una famiglia disoccupata di quanto non lo sia per chi esercita un'attività redditizia.

Un'altra caratteristica interessante di questa proposta è che non dovrebbero essere prese decisioni "di principio" sulla struttura a lungo termine del sistema finanziario europeo. La BCE potrebbe essere mantenuta come una sorta di camera di compensazione per il disordine finanziario in corso, e le attuali banche centrali nazionali possono essere raggruppate in due distinte sotto-entità. Ciò lascerebbe aperta la possibilità di riconvergenza in un secondo momento, se ci fossero le condizioni che la renderebbero valida. Il primo tentativo di creare una unione monetaria non è riuscito, ma questo non significa che ogni possibilità di crearla in futuro dovrebbe essere abbandonata. Ne sono state tratte lezioni dure e costose, e quello che serve oggi è una discussione completa e aperta sulle ragioni del fallimento, proprio per evitare errori simili in futuro.

Che il movimento sia coordinato dalle istituzioni pan-europee presenta un altro vantaggio, ed ha a che fare con il grado di condizionalità che il processo deve avere. Svalutare la loro moneta significherebbe a breve termine, come ho suggerito, dare una grande spinta alla crescita nei paesi della periferia, ma questa spinta a breve termine potrebbe trasformarsi in un miglioramento della crescita tendenziale sostenibile a lungo termine se anche un sacco di altre cose venissero fatte. E' molto facile lodare il grande progresso fatto dall'Argentina spezzando l'ancoraggio al dollaro, ma si guardi a dov'è l'Argentina oggi. Questo trattamento "shock" ha un impatto duraturo (come ha fatto in Scandinavia nel 1990) solo se le misure per migliorare la qualità istituzionale (riforma del lavoro e dei prodotti, produttività e innovazione) sono implementate e mantenute. Anche in questo caso la collaborazione è necessaria in quanto, benché restituire alla periferia la "proprietà" sui suoi programmi di riforma sarebbe un altro vantaggio significativo della disposizione, il processo di riforma dovrebbe restare sotto gli auspici di un progetto europeo comune, che potrebbe porre le basi per una unione politica duratura consensuale, un'unione che sarebbe il presupposto indispensabile per qualsiasi tentativo futuro di ritornare verso una maggiore integrazione monetaria.

Effettivamente i leaders europei sono intrappolati in una sorta di trappola pavloviana. Non ci sono scelte facili, ma ci sono scelte buone e cattive. Rimanere dove sono li lascia in una sorta di zona elettro shock permanente dove la loro costante sensazione di fallimento serve solo a peggiorare ulteriormente la loro autostima personale e politica. Anche avanzare sembra doloroso, ma più che l'intensità della scossa è la sensazione di paura e di angoscia che domina. Non ci sono altre alternative che avanzare, poiché non è possibile rimanere dove si è. La semplice applicazione di misure amministrative per forzare la stabilità in un sistema finanziario che resiste con tutte le sue forze provoca solo un comportamento sempre più destabilizzante (leggi "speculazione") da parte degli agenti all'interno del sistema. La semplice azione amministrativa reprime e porta avanti l'instabilità (leggi "prende a calci il barattolo lungo la strada"), portando il sistema stesso a diventare sempre più inefficiente. In ogni malfunzionamento del sistema finanziario, come ha detto il famoso Hyman Minsky, "la stabilità è di per sé destabilizzante".

Forse è opportuno chiudere questo saggio dal punto di partenza, con una citazione di Lorenzo Bini Smaghi della Banca centrale europea: "Come JK Galbraith ha osservato: La politica consiste nello scegliere tra il disastroso e lo sgradevole. Voler vedere il disastro incombente prima di scegliere lo sgradevole è una strategia pericolosa ".

Prima parte dove si rappresenta la gravità della situazione


Seconda parte dove si foclizza l'attenzione sull'Italia

3 commenti:

  1. Beh Carmen,

    devo ricredermi, non sapevo di questa terza parte, in cui ci sono finalmente delle proposte concrete. Vanno molto bene esaminate, per capirne la concretezza e la fattibilità, però finalmente c'è qualcuno che propone altro rispetto a quanto fino ad ora sperimentato con pessimi risultati.
    Penso che sul discorso degli eurobond ha molte ragioni, però nel frattempo se non è ancora possibile introdurle, almeno che si renda strutturale la politica attuale della BCE, come compratore di ultima istanza dei bond governativi, come ha giustamente ribadito il lettore A. Gelmetti.

    saluti, Nicola.

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  2. Ok Nicola, per me questo articolo ha dalla sua parte una analisi chiara, che dà il giusto peso al problema di fondo dello squilibrio commerciale - ma manca di mettere l'accento su quello che richiami tu, l'importanza di una giusta politica monetaria. E parla di questa divisione in due che tante domande suscita...
    Saluti

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  3. Le sue proposte se non altro sono un qualcosa di realizzabile, non sciocchezze come gli eurobond e vanno nella direzione giusta: lo smantellamento della UE e dell'Euro! Però non credo che risolverebbero molto i problemi! L'Italia userebbe la svalutazione per rinviare ancora una volta le riforme pro-crescita che doveva fare 20 anni fà... E poi c'è un problema di governance enorme: chi decide la politica monetaria dell'Euro2? quali investitori si fiderebbero sapendo che non è una politica monetaria "tedesca" e alla prima crisi il debito sarebbe monetizzato? Alla fin fine non si scappa: senza quella stramaledette riforme non funziona niente, qualsiasi sovrastruttura finanziaria o monetaria si scelga! e prima si smette di parlare di struttura e si comincia a spiegare i veri problemi alla gente e meglio è! LucaS

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