Da Eurasia un articolo made in Italy che mostra come le privatizzazioni non servono a ridurre il debito, ma solo a redistribuire la ricchezza dal profitto e dai salari alla rendita
di Daniele Scalea
15 agosto 2011
Alla
vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il socialista francese Marcel
Deat si chiedeva se valesse la pena “morire per Danzica”. Parafrasando
le sue parole, oggi gl’Italiani dovrebbero domandarsi se valga la pena
“morire per il debito”. Perché la sorte che si profila per il nostro
paese è tutt’altro che rosea. A meno di prendere scelte coraggiose che
possono cambiare il corso della nostra storia…
Il
recente attacco speculativo allo Stato ed alle banche italiane ha
portato, per riprendere la formulazione ripetuta da molti commentatori,
ad un commissariamento del nostro paese da parte di potentati esteri. La Banca Centrale Europea (BCE), d’accordo con USA, Francia e Germania, ha cominciato ad acquistare titoli di debito pubblico italiano sul mercato, ma chiedendo in cambio pesanti contropartite.
La
“politica di risanamento” che la BCE pretende dall’Italia nasconde dei
palesi secondi fini, e non potrebbe essere altrimenti vista la regia –
neppure tanto occulta – di potenze estere nella vicenda. L’ormai famosa lettera di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi
a Berlusconi è rivelatrice in tal senso. Il duo rappresentante della
BCE avrebbe infatti indicato come misura prioritaria la privatizzazione
del patrimonio pubblico italiano.
Ora,
non esiste un singolo esempio storico in cui le privatizzazioni abbiano
portato ad una significativa riduzione del debito d’uno Stato. Il caso
italiano dei primi anni ’90 è significativo. Allora lo Stato procedette,
tra le altre cose, alla dismissione di una mega-corporazione
industriale-finanziaria, l’IRI: la settima maggiore società al mondo per
fatturato, che a lungo era stata la più grande azienda al di fuori
degli USA. Ebbene, l’erario incassò in totale 198.000 miliardi di lire, pari ad appena l’8% del debito pubblico (2.500.000 miliardi di lire). Se sollievo vi fu, fu di breve durata, perché oggi il debito pubblico italiano è di oltre 1.900 miliardi di euro, ossia quasi 3.700.000 miliardi di vecchie lire.
Mario
Draghi dovrebbe conoscere bene questo caso, dal momento che all’epoca
delle privatizzazioni degli anni ’90 era direttore generale del Tesoro e
partecipò alla tristemente nota riunione sul panfilo “Britannia” di Sua
Maestà la Regina d’Inghilterra. Dovrebbe ricordarsi anche di come le
privatizzazioni (che già erano cominciate negli anni ’80) abbiano
portato, alfine, al declino industriale dell’Italia. Infatti, cosa
rimane oggi di quell’Italia in cui la Olivetti produceva calcolatori elettronici (oggi noti come computer, proprio perché noi uscimmo anzitempo dal settore lasciandolo in mano agli anglosassoni) o in cui la Montedison
era all’avanguardia nella sperimentazione degli organismi geneticamente
modificati? Queste amare considerazioni potrebbero spingerci a farne
d’ancora più aspre circa la scelta del governo Berlusconi di barattare
con Sarkozy la Libia e la Parmalat pur d’avere il via libera francese alla nomina di Draghi a prossimo presidente della BCE: in tempi non sospetti notevamo che l’ex dirigente di Goldman Sachs appare più vicino alla finanza anglosassone che al sistema economico italiano.
Ma
se le privatizzazioni sono inefficaci, perché Trichet e Draghi, ma
anche le cosiddette “parti sociali” italiane (Confindustria e
sindacati), pongono l’enfasi su di esse? Probabilmente perché rimangono
oggi alcuni bocconi ghiotti, aziende solide ed in attivo come ENI, Finmeccanica e Poste Italiane.
Aziende che sono però strategiche per lo Stato italiano, perché
operative, rispettivamente, in settori come l’approvvigionamento
energetico, la produzione d’armamenti, la banca e le comunicazioni.
Al di là della preoccupante prospettiva di perdere il controllo d’industrie strategiche, lasciando in futuro settori vitali
dell’economia e della potenza italiana in mano altrui, la “politica di
risanamento” impone altri pesanti oneri e sacrifici alla società: la
finanziaria recentemente annunciata dal Governo ne è un chiaro esempio.
La
logica, ancora una volta, è quella di spostare la ricchezza dai
produttori agli speculatori, ossia dai cittadini lavoratori ed
imprenditori alle banche ed ai giocatori di borsa, dal profitto e dai
salari alla rendita. È la stessa logica insita nel quantitative easing
perseguito negli USA, ma risponde ad una tendenza di più lungo periodo,
quella della finanziarizzazione dell’economia occidentale, in cui per
l’appunto la rendita e la speculazione hanno preso il sopravvento
sull’economia reale e produttiva. Il professore Steve Keen, economista
australiano, ha parlato del «più grande trasferimento di ricchezza della storia». L’economista statunitense Dean Baker ha scritto di una «massiccia redistribuzione del reddito agli azionisti ed agli alti dirigenti delle banche». Gli economisti Hossein Askari e Noureddine Krichene hanno affermato che «il potere d’acquisto è sottratto a lavoratori, pensionati e correntisti e donato a debitori e speculatori».
Non
si tratta solo d’un problema di equità o iniquità, ma anche di
efficienza e pragmatica. Gli stessi padri del liberismo, gli economisti
politici classici dell’Inghilterra sette-ottocentesca, sottolineavano il
ruolo negativo giocato dalla rendita nella crescita economica.
Politiche che favoriscono la rendita sul profitto e sul salario, la
speculazione sulle attività produttive, sono del resto cominciate ben
prima della crisi del 2008, in parallelo con la finanziarizzazione (e
deindustrializzazione) dell’economia occidentale.
Misure di “risanamento” che, per salvare speculatori e rentier,
colpiscono i produttori, finiscono col dilapidare il capitale umano
della nazione. Pensiamo ai tagli al sociale: un cittadino meno istruito e
meno sano apporta minore beneficio alla nazione. Inoltre, il pericoloso
sommarsi di riduzione dei servizi ed aumento della pressione fiscale
genera malcontento, ed i recenti esempi dei paesi arabi,
dell’Inghilterra e della Francia dovrebbero far suonare un campanello
d’allarme. L’inasprirsi del conflitto sociale e l’esplodere di tumulti
raramente è una buona notizia per un paese, quasi mai lo è per la sua
economia.
Inoltre,
la diminuzione della spesa pubblica può incidere negativamente, oltre
che sui servizi, anche sugl’investimenti produttivi, come la costruzione
di nuove infrastrutture. Non si vuol qui negare l’opportunità di
ridurre la spesa pubblica, ma si contesta che, lungi dal puntare agli
sprechi, si opti per tagli salomonici, e che le ristrettezze di bilancio
siano dettate e commisurate agl’interessi da pagare ai rentier.
Il
rischio è che, se tra qualche decennio l’Italia avrà interamente pagato
il suo debito, l’avrà però fatto a costo dell’immobilismo e della
stagnazione, ritrovandosi così retrocessa nel “secondo mondo”, o
addirittura più indietro.
Alternative possibili ci sono, benché se ne parli di rado. Salvatore Cannavò è uno dei pochi giornalisti ad averne proposta una:
ricorrere alla tesi del “debito illegittimo” dell’economista francese
François Chesnais per disconoscere o rinegoziare una parte del debito,
come fatto dall’Ecuador nel 2007. Nel 2005 l’Argentina fece di più,
ristrutturando per intero il proprio debito: ossia rinegoziando
gl’importi e gl’interessi coi creditori, di fronte all’oggettiva
impossibilità di ripagarlo per intero. Si tratta di provvedimenti più
moderati del puro e semplice “default sovrano” (ossia la bancarotta e la cancellazione tout court del debito), ma non meno efficaci.
Ristrutturare
il debito non ha avuto che effetti benefici sui paesi che l’hanno
fatto. L’Ecuador nel 2008 fece segnare una crescita record del PIL per
il paese, pari al 6,5%, ed anche dopo il duro colpo della crisi mondiale
oggi cresce d’oltre il 3% l’anno. Dal 2006 ad oggi il PIL pro capite
del paese è cresciuto d’oltre il 70%, e la popolazione sotto la soglia
di povertà è diminuita di quasi il 15%. In Argentina la crescita del PIL
post-ristrutturazione si è assestata attorno al 9% e, dopo il
rallentamento in coincidenza con la crisi mondiale, è tornata al 7,5%.
Il reddito pro capite dal 2004 ad oggi è cresciuto di quasi un quinto.
Dal 2004 al 2010 la popolazione sotto la soglia di povertà è passata dal
44,3% al 13,9%.
A
titolo di raffronto, dal 2004 in Italia il reddito pro capite è
aumentato solo del 10%, il PIL è cresciuto, quando è cresciuto, di poco
più dell’1% all’anno. Nella Grecia catturata dalla spirale debitoria un
quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il reddito pro
capite è in calo dal 2007, il PIL è sceso del 2% nel 2009 e del 4,5%
nel 2010.
Alla
luce di questi dati, non resta che da domandarsi: chi vuole imitare
l’Italia? La Grecia e le sue ferali prestazioni economiche, oppure
l’Argentina che, sgravatasi dal peso del debito pubblico, sta crescendo a
ritmi “cinesi”?
* Daniele Scalea è segretario scientifico dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e redattore della rivista “Eurasia”. È autore de La sfida totale (Roma 2010) e co-autore (con Pietro Longo) di Capire le rivolte arabe. Alle origini del fenomeno rivoluzionario (Dublin-Roma 2011).
beh Carmen cosa dire?
RispondiEliminalo stato italiano ci ha ricavato dalle privatizzazioni 198 miliardi di Lire, pari a 102 milioni di €, che raffrontato ai 1900 miliardi di € di debito pubblico attuale, sono circa il 5,36% di tale debito. Ma dopo tali privatizzazioni, l'Italia non ha forse continuato ogni anno e con ogni governo a fare manovre economiche lacrime e sangue, con tagli, aumento pressione fiscale, austerità e via dicendo? Dal 1992 in poi c'è forse stato un solo anno, in cui non abbiamo fatto manovre di tal fatta? Non abbiamo forse fatto la riforma delle pensioni prima con Dini, e poi con Maroni? E la riforma del mercato del lavoro prima con Treu e poi con Maroni-Biagi? con conseguente legalizzazione del precariato di massa, non temporaneo ma pressochè perpetuo? e la riforma della scuola e università prima con Berlinguer e poi con Gelmini? E la riforma della Pubblica Amministrazione prima con Bassanini e poi Brunetta? E non sono state fatte in buona parte anche le liberalizzazioni, nelle telecomunicazioni, nell'energia, nei trasporti su mare, nei trasporti terrestri regionali, nella gestione dei rifiuti, e le cosiddette lenzuolate dell'allora ministro Pierluigi Bersani? E tutti questi colossali benefici per le spese pubbliche, e per i cittadini dove sono???? E la Telecom privatizzata che fine ha fatto??? Non era forse prima della sua privatizzazione (in realtà una vergognosa svendita), al primo posto in Europa, e nei primi 4 nel mondo? E invece adesso che è completamente privatizzata le sue azioni valgono una miseria!!!!! nonostante la decimazione impressionante di tutto il personale effettuata negli anni.
Ma si badi bene, che ci siano stati enormi sprechi e clientelismo di massa in passato, nel patrimonio pubblico, questo è verissimo, e non lo nego, ma come ricordava Carmen qualche tempo fa, neanche le privatizzazioni e le liberalizzazioni già attuate, ci hanno salvato, anzi alcuni studi della Corte dei Conti, hanno sbugiardato clamorosamente sia i presunti benefici per la spesa pubblica, sia i presunti benefici sulle tariffe per i cittadini.
Che presa per i fondelli!!!!
Ma comunque si prosegua pure con ulteriore svendita del patrimonio pubblico, con ulteriori abolizioni di regole, con ulteriori tagli, con ulteriori tasse, e con ulteriore massacro sociale, e vedremo poi se avremo un nuovo rinascimento e un nuovo progigioso sviluppo in Italia, in base a quanto ci impone il FMI, la Banca Mondiale, l'UE, la BCE, la WTO, e tutte le altre elite globaliste del mondo, visto che non sono bastate quelle già attuate per convincerci del tutto, solo così scopriremo senza attenuanti, la presunta miracolosità di tali ricette che tutti ci propugnano. A questo punto mi auguro le facciano, e mi auguro di campare abbastanza per vederne i "gloriosi effetti miracolosi".
Cme giustamente indicato, si chiama trasferimento delle risorse.... dal popolo ai banchieri.
RispondiEliminaSotto la supervisione foraggiata dai banchieri nei confronti dei politici di entrambi gli schieramenti che hanno applaudito a tale situazione.
Causa? - Perdita della sovranità monetaria, riserva frazionaria con addebiti da parte delle banche quando va male... ai governi per la ricapitalizzazione "ovvero nuovi e più cospicui debiti sulle nostre spalle".
Saluti.
ORazio
Ciao Orazio,
RispondiEliminaQuoto al 100% il tuo commento!!!!!!
un saluto affettuoso!
Nicola
Mi sembra che l'Ecuador e l'Argentina abbiano una poloazione piu' giovane e risorse che noi non abbiamo.
RispondiEliminaIgor
All'anomino delle ore 20:57, il fatto che abbiano risorse ed essere con una popolazione + giovane, aiuta sicuramente.
RispondiEliminaPerò non è questo il punto.
Saluti.
Orazio
Carmen non hai nulla da dire?
RispondiEliminaSaluti
Orazio
Arrivo! Arrivo! Scusatemi ho avuto un paio di giorni mooolto indaffarati! Del resto ho visto che avete commentato bene il post, che era stato suggerito da Nicola...le privatizzazioni sono INUTILI per uscire dal debito, bisogna valorizzare i beni comuni, altro che venderseli..!
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