21/11/13

Perché non infuria la protesta contro l'austerità ?

Su MainlyMacro ci si chiede perché in Gran Bretagna non ci sia un forte dibattito nell'opinione pubblica sull'austerità (ma la stessa domanda si pone  anche da noi e negli altri paesi periferici...): forse perché manca qualcuno che guidi il dibattito, e i media lo oscurano? 



Janan Ganesh ha pubblicato un articolo sul Financial Times di oggi che mi ha fatto talmente arrabbiare che non mi resta che scriverci su, anche se forse dovrei lasciar perdere. Il tema di questo articolo verte su quanta maturità abbiano dimostrato gli inglesi nell'accettare l'austerità. Per citare : "Per i paesi minacciati dalla simbiosi di sofferenza economica e turbolenze politiche, la Gran Bretagna ha delle lezioni da impartire. "


Certo io la vedo piuttosto diversamente. L'austerità è o un grande errore tecnico, o una truffa politica. Secondo delle stime molto prudenti del OBR, l'austerità è già costata circa il 5% del PIL del Regno Unito. Che è una quantità enorme di soldi sprecata: risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per produrre beni e redditi di cui tutti avrebbero potuto godere, ma che sono rimaste inutilizzate come conseguenza dell'azione del governo. Naturalmente questo costo non è stato ripartito equamente, e per alcuni è stato molto più alto.

Se questo fosse solo il mio punto di vista personale, o di una scontrosa minoranza, non ci sarebbe molto altro da dire. Ma invece è il punto di vista vista che si trova sui libri di testo di economia, e ho il sospetto che sia condiviso dalla maggioranza dei macroeconomisti. Quindi, dato questo, il fatto che questa politica sia stata accettata con poche proteste non è una cosa da lodare (se non per quelli che stanno nel business di manipolare l'opinione pubblica), ma è invece un grave problema. Si tratta di un enorme fallimento del buon governo e del nostro sistema democratico. In effetti si vedono mancanze simili anche altrove. L'austerità come politica non è stata seriamente contestata in Europa tra i partiti tradizionali, e perfino negli Stati Uniti, penso che sarebbe giusto dire che i punti di vista sia all'interno del Partito Democratico che da parte del Presidente sono stati contrastanti e confusi.

Quindi come può Ganesh vederla nella maniera completamente opposta: che gli inglesi hanno mostrato una "calma impressionante" nel prendere l'amara medicina senza quasi protestare, e che l'assenza di qualsiasi appassionato dibattito pubblico sull'austerità nel Regno Unito sia in qualche modo una virtù? Mi vengono in mente tre motivi, nessuno dei quali è molto lusinghiero.

1) Che il "dibattito elitario" che ha avuto luogo sull'austerità è secondo lui solo molto intellettualistico, e che il pubblico sa molto meglio come stanno veramente le cose. Io non sarei sorpreso se un politico del governo prendesse questa posizione, ma ci si aspetta che un giornalista che lavora presso il FT, e in precedenza presso l'Economist , dovrebbe essere meglio informato.

2) Che la sua ammirazione per George Osborne ha distorto la sua visione del mondo reale. Oppure, per dirla un po' più gentilmente, che se si passa il tempo a parlare con
delle persone che pensano che l'austerità sia inevitabile, si inizia a credere alla propaganda.

3) Che sta cercando di analizzare come i conservatori siano riusciti a farla franca sull'inganno di ottenere un ridimensionamento dello stato alimentando il panico sul debito, senza ovviamente ammetterlo.

Qualsiasi di questi sia il vero motivo, l'articolo sembra mancare due questioni evidenti. Potrebbe essere che la ragione per cui non c'è un acceso dibattito pubblico nel Regno Unito sull'austerità sia che non c'è nessuno a guidare questo dibattito? Quando la classe politica, di cui egli è membro, vede l'austerità come inevitabile, non c'è da meravigliarsi che l'opinione pubblica abbia anch'essa una visione simile (in particolare quando la questione è interpretata nei termini di un'economia familiare). Egli riconosce che il movimento sindacale è stato esplicito sull'austerità, ma non esamina perché questa voce sia rimasta in gran parte ignorata dai media britannici.

Non si fa poi assolutamente menzione del fatto che la rabbia popolare contro l'impatto dell'austerità potrebbe anche esserci, ma che, in assenza di qualsiasi dibattito pubblico sulla politica, essa si manifesta in altri modi. Egli scrive che "la Gran Bretagna rimane gloriosamente priva di un'estrema destra o di un'estrema sinistra", che ovviamente è un modo di ignorare l'UKIP. Ma anche se Ganesh può non trovare serio l'UKIP, Cameron lo prende certamente sul serio, e ha orientato la sua politica in materia di immigrazione in Europa avendo loro in mente. Forse vede l'attuale ossessione dei media (e del governo) sulle truffe nel welfare come scollegate dalla disoccupazione e dai tagli ai livelli di vita che l'austerità ha contribuito a realizzare. ( Per qualche analisi seria su questi temi, vedi Alan de Bromhead , Barry Eichengreen e Kevin O'Rourke qui)
Ma niente di tutto questo mi ha fatto veramente arrabbiare leggendo l'articolo. E' stato invece il suo accostamento con  una cosa che ho sentito circa 4 giorni fa. Un lettore del mio blog, un insegnante in pensione di economia di livello A e membro del LibDem , doveva tenere una conferenza sul tema dell'austerità. Un giornalista di un giornale locale era interessato, e ha trascorso un'ora a intervistarlo, e poi ha scritto un pezzo di 750 parole. L'articolo è stato modificato dal redattore, perché era controverso e critico nei confronti del governo. Forse anche l'editor ha mostrato quella "impressionante calma ", che tanto piace a Mr. Ganesh.

PRINCETON – Per i policy maker del settore economico in cerca di modelli di successo da emulare la scelta sembra essere piuttosto ampia oggigiorno. Con la Cina in testa, decine di paesi emergenti e in via di sviluppo hanno registrato tassi di crescita da record negli ultimi decenni, creando un precedente per altri che verranno. E mentre la performance delle economie avanzate è stata in media peggiore, vi sono eccezioni degne di nota, come la Germania e la Svezia. "Fate come noi", dicono spesso i leader di questi paesi, "e anche voi prospererete".
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BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro?version=italian#XozBK4gV0eOy9E1v.99
BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

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BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

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BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

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BERLINO – Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo. Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 % del PIL.
Tali dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un recente studio del DIW Berlin mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più bassi della zona euro.
Inoltre, i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”, con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico dell’Eurozona del programma OMT.
Tale opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro per evitare l’insolvenza.
La terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore efficienza.
Inoltre, la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro. Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
 È similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed una credibile unione fiscale.
Benché le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria, così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente elevati.
In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

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5 commenti:

  1. proviamo a sostituire al sostantivo "inglesi" il sostantivo "italiani" e poi cerchiamo le differenze? Ecco l'ennesima dimostrazione di come il capitale marci unito in parte nelle intenzioni ma compatto nei mezzi, e di ocme non esista una specificità italiana. Il popolo non è ignavo, è il metodo democratico che è stato completamente sovvertito con la menzogna reiterata ad oltranza, ed è questo che fa paura.

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  2. Infatti: la rabbia c'è, ma non si manifesta attraverso i consueti canali democratici e di opinione, che sono stati "catturati" ...e purtroppo si sa che la rabbia repressa e cieca quando esplode non guarda tanto per il sottile.

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  3. Toh, ha radiografato la fenomenologia del PUD€..senza l'euro.
    Segno, ineludibile, che la "grande società" di Hayek, aggiornata alla tecnocrazia a trazione mediatica, può assumere molte forme applicative del suo pensiero unico.
    Ma insomma, se non c'è rappresentanza politica ma capture virale dell'intero ceto dirigente istituzionale, e se c'è un totalitario controllo mediatico, non si riducono le stesse elezioni a rito svincolato dalla democrazia effettiva?

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    1. Esatto, caro Quarantotto, tutto torna....l'euro è una gabbia particolarmente ben congegnata, ma le forme attraverso le quali si manifesta questa "cattura" delle istituzioni pubbliche, questa "privatizzazione" dello stato, sono molteplici!

      E' un terreno da esplorare questa forza straordinaria della "moral suasion" indiretta nei confronti dei giornalisti, che non essendo sottoposti ad esplicita censura, tuttavia non ce la fanno a discostarsi (troppo) dal pensiero unico. Perché? forse per il timore di venire emarginati nel ghetto del populismo/demagogia/complottismo/nazionalismo/facilismo/incompetenza ecc ecc....un mix letale di opportunismo, superficiliatà e... e poi che altro?
      Con tutti i dovuti (pochi) e benemeriti distinguo che già conosciamo.

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  4. Se in Italia non si vedono le scene delle piazze greche, significa che il livello di vita consentito dalla politica di austerità è ancora buono, probabilmente non abbiamo ancora toccato il fondo e non è detto che lo toccheremo, anzi sicuramente alcune fasce sociali magari abbastanza esigue lo toccheranno altre no. Nel nostro paese esiste un movimento di apposizione al governo, i 5 stelle,ma non sfonda anzi alle elezioni in Basilicata si conferma con il 60% la coalizione di centrosinistra e l'astensionismo al 53%,questi aspetti denotano che una parte della popolazione se la cava e vota, una seconda parte ed una terza e forse tra poco anche l'ennesima non credono nella politica come mezzo di risoluzione dei problemi, forse hanno capito che il potere è come l'energia : si trasforma ma si conserva sempre, prima o dopo l'euro, con la destra o la sinistra, ed a volte la saggezza popolare, che spesso viene screditata o ritenuta indegna perchè appartenente ai ceti meno colti, si avvicina alle leggi della fisica e coglie la realtà, del resto ciò è accaduto molte volte nel corso dell'evoluzione umana che non si è svolta, come ingenuamente si pensa , soltanto a partire dalle elite ma attraverso la totalità dell'umanità, quindi bisogna avere più rispetto dei meno colti e non pensare che siano incapaci di comprendere il mondo che li circonda.

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