Su MainlyMacro ci si chiede perché in Gran Bretagna non ci sia un forte dibattito nell'opinione pubblica sull'austerità (ma la stessa domanda si pone anche da noi e negli altri paesi periferici...): forse perché manca qualcuno che guidi il dibattito, e i media lo oscurano?
Janan
Ganesh ha pubblicato un
articolo sul Financial Times di oggi che mi ha fatto talmente
arrabbiare che
non mi resta che scriverci su,
anche se forse dovrei lasciar perdere.
Il tema di questo articolo verte su quanta
maturità abbiano dimostrato
gli inglesi nell'accettare
l'austerità. Per citare : "Per i paesi minacciati dalla
simbiosi di sofferenza economica e turbolenze politiche, la Gran
Bretagna ha delle lezioni
da impartire. "
Certo io
la vedo piuttosto
diversamente.
L'austerità è o
un grande errore tecnico, o una truffa
politica. Secondo delle stime molto prudenti
del OBR, l'austerità è
già costata
circa il 5% del PIL del Regno Unito. Che è una quantità enorme di
soldi sprecata:
risorse che avrebbero potuto
essere utilizzate
per produrre beni e redditi
di cui tutti
avrebbero potuto
godere, ma che sono rimaste inutilizzate
come conseguenza dell'azione del governo.
Naturalmente questo costo non è stato ripartito equamente,
e per alcuni è stato molto più alto.
Se questo
fosse solo il mio
punto di vista personale, o di una scontrosa
minoranza, non ci
sarebbe molto altro da dire. Ma invece è
il punto di vista
vista che si trova sui
libri di testo di economia,
e ho il sospetto che sia condiviso dalla
maggioranza dei macroeconomisti. Quindi, dato questo, il fatto che
questa politica
sia stata
accettata con poche
proteste non è
una cosa da lodare
(se non per quelli che stanno nel
business di manipolare l'opinione pubblica),
ma è invece un grave problema. Si tratta di un enorme fallimento del
buon governo e del
nostro sistema democratico. In effetti si vedono
mancanze simili anche altrove.
L'austerità come politica non è stata seriamente contestata in
Europa tra i partiti tradizionali, e perfino negli Stati Uniti, penso
che sarebbe giusto dire che i punti di
vista sia all'interno del Partito Democratico che
da parte del
Presidente sono stati contrastanti e
confusi.
Quindi
come può Ganesh vederla nella maniera
completamente opposta: che gli inglesi hanno mostrato una "calma impressionante" nel prendere l'amara
medicina senza
quasi protestare, e che l'assenza di qualsiasi appassionato dibattito pubblico
sull'austerità
nel Regno Unito sia
in qualche modo una virtù? Mi vengono in mente tre motivi, nessuno
dei quali è molto lusinghiero.
1) Che il
"dibattito
elitario"
che ha avuto luogo sull'austerità
è secondo lui solo molto intellettualistico,
e che il pubblico sa molto
meglio come stanno veramente le cose.
Io non sarei
sorpreso se un politico del governo prendesse
questa posizione, ma ci si aspetta che un
giornalista che lavora presso il FT, e in precedenza presso
l'Economist , dovrebbe essere
meglio informato.
2) Che la sua ammirazione per George Osborne ha distorto la sua visione del mondo reale. Oppure, per dirla un po' più gentilmente, che se si passa il tempo a parlare con delle persone che pensano che l'austerità sia inevitabile, si inizia a credere alla propaganda.
2) Che la sua ammirazione per George Osborne ha distorto la sua visione del mondo reale. Oppure, per dirla un po' più gentilmente, che se si passa il tempo a parlare con delle persone che pensano che l'austerità sia inevitabile, si inizia a credere alla propaganda.
3) Che
sta cercando di analizzare come i conservatori siano
riusciti a farla
franca sull'inganno di ottenere
un ridimensionamento dello
stato alimentando il panico sul debito, senza ovviamente ammetterlo.
Qualsiasi di questi sia
il vero motivo, l'articolo sembra mancare
due questioni
evidenti. Potrebbe essere che la ragione per
cui non c'è un acceso
dibattito pubblico nel Regno Unito sull'austerità sia
che non c'è nessuno a guidare questo dibattito? Quando la classe
politica, di cui egli è membro, vede l'austerità come inevitabile,
non c'è da
meravigliarsi che l'opinione pubblica abbia
anch'essa una visione simile (in
particolare quando la questione è interpretata
nei termini di un'economia
familiare). Egli
riconosce che il movimento sindacale è stato esplicito
sull'austerità, ma non esamina perché
questa voce sia rimasta in
gran parte ignorata
dai media britannici.
Non si
fa poi assolutamente menzione del fatto che
la rabbia popolare contro l'impatto dell'austerità
potrebbe anche esserci,
ma che, in assenza di qualsiasi dibattito pubblico sulla politica,
essa si manifesta in altri modi. Egli scrive che "la Gran
Bretagna rimane gloriosamente priva di un'estrema
destra o di un'estrema
sinistra", che ovviamente è un modo
di ignorare l'UKIP. Ma anche se Ganesh può
non trovare serio l'UKIP,
Cameron lo prende certamente sul serio,
e ha orientato la
sua politica in materia di immigrazione in Europa avendo
loro in mente. Forse vede l'attuale ossessione dei
media (e del governo) sulle truffe nel
welfare come scollegate
dalla disoccupazione e dai
tagli ai livelli di vita che l'austerità ha contribuito a
realizzare. ( Per qualche analisi seria su questi temi, vedi Alan de
Bromhead , Barry Eichengreen e Kevin O'Rourke qui)
Ma niente
di tutto questo mi ha fatto veramente
arrabbiare leggendo
l'articolo. E'
stato invece il
suo accostamento con una cosa che ho sentito circa 4 giorni fa. Un
lettore del mio blog, un insegnante in pensione di economia di
livello A e
membro del LibDem
, doveva tenere
una conferenza
sul tema
dell'austerità. Un
giornalista di un giornale locale era
interessato, e ha trascorso un'ora a
intervistarlo,
e poi ha
scritto un pezzo di 750 parole. L'articolo
è stato modificato
dal redattore, perché era controverso e critico nei
confronti del governo. Forse anche
l'editor ha
mostrato quella "impressionante calma
", che tanto piace a Mr. Ganesh.
PRINCETON
– Per i policy maker del settore economico in cerca di modelli di
successo da emulare la scelta sembra essere piuttosto ampia oggigiorno.
Con la Cina in testa, decine di paesi emergenti e in via di sviluppo
hanno registrato tassi di crescita da record negli ultimi decenni,
creando un precedente per altri che verranno. E mentre la performance
delle economie avanzate è stata in media peggiore, vi sono eccezioni
degne di nota, come la Germania e la Svezia. "Fate come noi", dicono
spesso i leader di questi paesi, "e anche voi prospererete".
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/dani-rodrik-on-the-large-dangerous-external-imbalances-that-underpin-the-fastest-growing-economies--performance/italian#TwFuA4dBZxSCQ7pW.99
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/dani-rodrik-on-the-large-dangerous-external-imbalances-that-underpin-the-fastest-growing-economies--performance/italian#TwFuA4dBZxSCQ7pW.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro?version=italian#XozBK4gV0eOy9E1v.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
BERLINO
– Nei giorni scorsi, il rappresentante della Germania nel consiglio
direttivo della Banca Centrale Europea ha espresso un forte disaccordo
con la decisione della BCE del 7 novembre di tagliare il tasso di
interesse di riferimento. Ora la Commissione Europea ha aperto
un’inchiesta per verificare se l’enorme surplus di bilancio della
Germania stia causando danni economici all’Unione Europea e non solo.
Questa indagine, insieme alla critica del modello di crescita tedesco
basato sulle esportazioni, ha provocato indignazione in Germania. La
Germania sta diventando un capro espiatorio per i problemi dell’Europa, o
davvero non è in linea con l’Unione Europea e l’economia mondiale?
Il
popolo tedesco è stato a lungo tra quelli più europeisti, ma questa
disposizione si è gradualmente trasformata in avversione verso l’Europa e
la sua moneta comune, l’euro. È emerso un partito politico apertamente
anti- euro, ed esso, per quanto non ce l’abbia fatta ad entrare nel
Bundestag alle elezioni generali di settembre, ha terreno fertile sotto i
piedi. Cosa tragica, visto che la Germania dovrebbe guidare lo sviluppo
di una visione convincente per il futuro dell’Europa.
Tre
false illusioni sono responsabili della crescente avversione
dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea -
e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che
sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro.
Per
cominciare, i tedeschi sono convinti di aver resistito alla crisi
straordinariamente bene. Anche se, nel 2009, la crescita del PIL ha
rallentato bruscamente, ha avuto una rapida ripresa; l’economia tedesca è
ora l’8 % più grande di quanto non fosse allora. Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione
è sceso nel corso della crisi, raggiungendo il 5,2 %, il livello più
basso dalla riunificazione. Ma, lo scorso anno, l’impegno del governo
tedesco per il consolidamento fiscale ha consentito di realizzare un
avanzo di bilancio; entro il 2018, l’avanzo dovrebbe ammontare all’1.5 %
del PIL.
Tali
dati hanno alimentato la percezione che l’economia tedesca sia in piena
espansione, e che il suo futuro sarebbe ancora più luminoso se le
economie più deboli della zona euro non la stessero trascinando verso il
basso. Ma, vista da una prospettiva di più lungo termine, la
performance economica della Germania è in realtà piuttosto deludente. Un
recente studio del DIW Berlin
mostra che, dall’avvio dell’unione monetaria, nel 1999, la Germania ha
registrato un tasso di PIL e di crescita della produttività tra i più
bassi della zona euro.
Inoltre,
i salari reali sono aumentati appena; per più del 60% dei lavoratori
tedeschi, in effetti, sono diminuiti. I salari sono aumentati in modo
notevolmente maggiore altrove in Europa, nonostante la gravità della
crisi economica. Dato che la Germania ha anche uno dei tassi di
investimento più bassi della zona euro, nei prossimi anni, è probabile
che la crescita del suo PIL sia tra le più lente d’Europa rendendo
improbabili aumenti salariali significativi.
Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce
le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero
ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la “malata
d’Europa”, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee
hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono
riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è
bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.
La
seconda illusione, che mette i paraocchi a molti tedeschi, è il
ritenere che gli altri governi europei siano a caccia dei loro soldi. Di
conseguenza, la Germania è stata riluttante ad impegnarsi pienamente
nel dibattito circa un’unione bancaria europea, nella convinzione che
avrebbe esposto i contribuenti tedeschi a gravi rischi e costi
sconosciuti mediante una ristrutturazione bancaria e l’assicurazione dei
depositi. Per ragioni simili, i tedeschi sono stati critici riguardo
agli strumenti di politica monetaria della BCE, in particolare nei
confronti del Programma “per le transazioni monetarie a titolo definitivo”,
con gli oppositori che si appellano alla corte costituzionale tedesca
perché invalidi gli acquisti condizionali del debito pubblico
dell’Eurozona del programma OMT.
Tale
opposizione sembra irrazionale, dato che il solo annuncio da parte
della BCE del programma OMT ha calmato i mercati del debito sovrano e
ridotto gli oneri finanziari nei paesi periferici. Infatti, con la
semplice offerta di una misura di protezione credibile contro il rischio
di collasso della zona euro, il programma è diventato una delle misure
più efficaci introdotte da una banca centrale nella storia recente. La
spiegazione più ragionevole per la risposta della Germania è che molti
tedeschi nutrono una profonda diffidenza verso gli altri governi
europei, e quindi credono che non si possa fare affidamento su di loro
per evitare l’insolvenza.
La
terza illusione tedesca è che la crisi attuale è in definitiva una
crisi dell’euro. Sebbene si sia tentati di fare della moneta comune il
capro espiatorio, di fatto l’euro ha portato enormi benefici economici e
finanziari alla Germania, dovuti ad un incremento degli scambi, una più
elevata stabilità dei prezzi, una maggiore concorrenza e una migliore
efficienza.
Inoltre,
la crisi della zona euro non ha le caratteristiche di una crisi
valutaria. L’euro non è sopravvalutato o mal gestito, cosa che minerebbe
la competitività ed eroderebbe la fiducia nella stabilità a lungo
termine della valuta. Al contrario, la notevole capacità di recupero del
tasso di cambio in euro nei confronti di tutte le altre principali
valute dimostra la fede duratura nella vitalità e stabilità dell’euro.
Ciò che i mercati finanziari non credono più è che i governi facciano
quanto serve per salvare l’Europa dalla crisi.
È
similmente viziato l’argomento che la crisi nasca dal fatto che la zona
euro non è un’area valutaria ottimale. Nessuna economia è un’area
valutaria ottimale; ci sono differenze sostanziali tra gli stati
americani e anche tra i Länder tedeschi. La sfida principale alla
redditività a lungo termine dell’euro è la mancanza di volontà politica
di attuare politiche complementari, come ad esempio l’unione bancaria ed
una credibile unione fiscale.
Benché
le prospettive economiche siano migliorate, la zona euro non è fuori
pericolo. Una crisi profonda in qualsiasi paese membro rischia di
diventare contagiosa. Data la sua apertura commerciale e finanziaria,
così come la responsabilità di leadership che accompagna la sua forza
economica, la Germania potrebbe dover affrontare costi particolarmente
elevati.
In questo
contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta
costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono
di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa
funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il
ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza
dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania -
e una speranza reale per l’Europa.
Read more at http://www.project-syndicate.org/commentary/marcel-fratzscher-on-the-three-beliefs-turning-germany-against-the-euro/italian#ltFEvDg4iiyGml5O.99
proviamo a sostituire al sostantivo "inglesi" il sostantivo "italiani" e poi cerchiamo le differenze? Ecco l'ennesima dimostrazione di come il capitale marci unito in parte nelle intenzioni ma compatto nei mezzi, e di ocme non esista una specificità italiana. Il popolo non è ignavo, è il metodo democratico che è stato completamente sovvertito con la menzogna reiterata ad oltranza, ed è questo che fa paura.
RispondiEliminaInfatti: la rabbia c'è, ma non si manifesta attraverso i consueti canali democratici e di opinione, che sono stati "catturati" ...e purtroppo si sa che la rabbia repressa e cieca quando esplode non guarda tanto per il sottile.
RispondiEliminaToh, ha radiografato la fenomenologia del PUD€..senza l'euro.
RispondiEliminaSegno, ineludibile, che la "grande società" di Hayek, aggiornata alla tecnocrazia a trazione mediatica, può assumere molte forme applicative del suo pensiero unico.
Ma insomma, se non c'è rappresentanza politica ma capture virale dell'intero ceto dirigente istituzionale, e se c'è un totalitario controllo mediatico, non si riducono le stesse elezioni a rito svincolato dalla democrazia effettiva?
Esatto, caro Quarantotto, tutto torna....l'euro è una gabbia particolarmente ben congegnata, ma le forme attraverso le quali si manifesta questa "cattura" delle istituzioni pubbliche, questa "privatizzazione" dello stato, sono molteplici!
EliminaE' un terreno da esplorare questa forza straordinaria della "moral suasion" indiretta nei confronti dei giornalisti, che non essendo sottoposti ad esplicita censura, tuttavia non ce la fanno a discostarsi (troppo) dal pensiero unico. Perché? forse per il timore di venire emarginati nel ghetto del populismo/demagogia/complottismo/nazionalismo/facilismo/incompetenza ecc ecc....un mix letale di opportunismo, superficiliatà e... e poi che altro?
Con tutti i dovuti (pochi) e benemeriti distinguo che già conosciamo.
Se in Italia non si vedono le scene delle piazze greche, significa che il livello di vita consentito dalla politica di austerità è ancora buono, probabilmente non abbiamo ancora toccato il fondo e non è detto che lo toccheremo, anzi sicuramente alcune fasce sociali magari abbastanza esigue lo toccheranno altre no. Nel nostro paese esiste un movimento di apposizione al governo, i 5 stelle,ma non sfonda anzi alle elezioni in Basilicata si conferma con il 60% la coalizione di centrosinistra e l'astensionismo al 53%,questi aspetti denotano che una parte della popolazione se la cava e vota, una seconda parte ed una terza e forse tra poco anche l'ennesima non credono nella politica come mezzo di risoluzione dei problemi, forse hanno capito che il potere è come l'energia : si trasforma ma si conserva sempre, prima o dopo l'euro, con la destra o la sinistra, ed a volte la saggezza popolare, che spesso viene screditata o ritenuta indegna perchè appartenente ai ceti meno colti, si avvicina alle leggi della fisica e coglie la realtà, del resto ciò è accaduto molte volte nel corso dell'evoluzione umana che non si è svolta, come ingenuamente si pensa , soltanto a partire dalle elite ma attraverso la totalità dell'umanità, quindi bisogna avere più rispetto dei meno colti e non pensare che siano incapaci di comprendere il mondo che li circonda.
RispondiElimina