20/11/13

Sapir: Le ragioni della ricaduta

Jacques Sapir nel suo blog Russeurope spiega, come sempre dati alla mano, le ragioni per cui le aspettative di miglioramento dell'economia francese e degli altri paesi dell'Eurozona siano del tutto infondate, e sottolinea l'urgenza di una dissoluzione della moneta unica per evitare la incombente deindustrializzazione: è ormai una questione di vita o di  morte del paese...



L'ulteriore deterioramento della situazione economica - la Francia ha registrato un calo del PIL dello 0,1% nel terzo trimestre del 2013 - ha preso il governo francese in contropiede. Infatti, si attendeva un ulteriore miglioramento della situazione economica sulla base dei risultati registrati nel secondo trimestre. La ricaduta nel 3° trimestre suona la campana a morte per queste aspettative.


Vediamo infatti che l'economia francese non è uscita dalla stagnazione in cui si dibatte  da quasi due anni ormai. Da questo punto di vista, l'analisi dei fattori che contribuiscono alla crescita del PIL è estremamente illuminante. La crescita è trainata solo dal movimento delle scorte. Ma è chiaro che questo movimento, che compensa le forti contrazioni di fine 2011 e 2012, non può continuare nel quarto trimestre. I consumi delle famiglie rimangono fermi e questo per due ragioni: i redditi vengono abbattuti dall'aumento del prelievo fiscale  e lo saranno ancora di più con l'aumento dell'IVA all'inizio del 2014, e le preoccupazioni riguardo la politica del governo in materia di pensioni spingono le famiglie a non spendere i propri risparmi. Inoltre, ci sono due fattori che spingono il PIL verso il basso, il saldo della bilancia commerciale (che è parzialmente responsabile degli scarsi risultati del terzo trimestre) e gli investimenti.

Grafico 1
Fonte : INSEE : « Nel terzo trimestre del 2013 il PIL cala leggermente»
 
L'evoluzione del saldo della bilancia commerciale era prevedibile, poiché su di essa pesano diversi fattori. In primo luogo c'è il tasso di cambio dell'Euro contro il dollaro, che penalizza soprattutto l'economia francese, la quale intrattiene molti rapporti commerciali al di  fuori dell'area dell'Euro.

Siamo uno dei paesi meno integrati nell’eurozona. Ma dobbiamo vedere nel  deterioramento di questi risultati gli effetti delle politiche di svalutazione interna che alcuni dei nostri vicini, come la Spagna, il Portogallo e persino, in qualche misura, l'Italia, sono stati obbligati a intraprendere. La diminuzione del costo dei salari, ottenuta in maniera molto brutale con una politica dai risultati spaventosi in materia di occupazione (in Spagna e Portogallo) e di crescita (per l'insieme di tutti questi paesi), ha migliorato la loro competitività a nostro discapito. Questo sarebbe tollerabile se noi potessimo, a nostra volta, migliorare la nostra competitività rispetto alla Germania, le cui eccedenze commerciali destabilizzano l'economia europea, ma anche rispetto a quei paesi le cui valute sono indicizzate, più o meno direttamente, al dollaro. Se vogliamo impegnarci anche noi in un esercizio di svalutazione interna, come vuole l'opposizione (perché questa è in effetti la ricetta proposta dai signori Fillon, Copé e Le Maire dell'UMP) dobbiamo aspettarci un calo del PIL, a causa di un crollo dei consumi, e un'esplosione della disoccupazione, che potrebbe salire rapidamente al 16-18% della popolazione attiva. Il futuro sembra essere ridotto a questa alternativa: o un lento degrado con l'attuale politica socialista, o un molto prevedibile disastro con la politica proposta dall'opposizione.

È chiaro, tuttavia, che esiste un'alternativa: la dissoluzione dell'area dell'Euro. Riconsegnare ai paesi la loro sovranità monetaria e la possibilità di svalutare, consentirebbe istantaneamente un riallineamento della competitività francese, sia rispetto ai paesi che adottano il dollaro, sia rispetto alla Germania, e un aggiustamento dei paesi dell'Europa del sud rispetto alla Germania, ma anche in rapporto alla Francia. Se seguiamo i movimenti delle parità di cambio necessari per riequilibrare i saldi della bilancia commerciale, che implicano una svalutazione nell'Europa del sud maggiore che in Francia, ma per quest'ultima una svalutazione del 23%, vediamo che gli effetti sarebbero molto positivi per tutti questi paesi, Francia inclusa. La maggiore svalutazione della Spagna, dell'Italia e del Portogallo, sarebbe infatti più che compensata dalla svalutazione rispetto al dollaro e al 'nuovo' marco tedesco. Questi calcoli sono stati fatti nell'opuscolo Gli scenari di dissoluzione dell’eurozona, pubblicato dalla Fondazione Res Publica lo scorso settembre. Ricordiamo che essi includono l'effetto dell'aumento dei prezzi dell'energia e delle importazioni, ma anche i cosiddetti effetti "di secondo grado", ossia l’aumento delle importazioni indotte da un aumento delle esportazioni causate dal miglioramento significativo della nostra competitività. Infatti, la dissoluzione dell'eurozona appare come una politica vincente non solo per la Francia, ma anche per i paesi dell'Europa meridionale. In queste circostanze, non dobbiamo temere un effetto di svalutazione competitiva, perché l'impatto delle svalutazioni che sono state simulate è molto positivo per tutti questi paesi. 


Per la sola Francia, la crescita potrebbe aumentare del 20% nei tre o quattro anni successivi a questa dissoluzione dell'eurozona, mentre la creazione di posti di lavoro potrebbe essere tra 1 e 2,5 milioni. Al contrario, la continuazione della politica attuale si traduce in una costante erosione dell'occupazione. Non solo non abbiamo ancora raggiunto i livelli di occupazione precedenti la crisi nel 2007, ma possiamo constatare che l’occupazione nell'industria è in un declino molto allarmante fin dal 2002.

Grafico 2
Fonte : INSEE, indagine sull'occupazione.

Qui viene misurato l'impatto della deindustrializzazione provocata dall'Euro, impatto connesso sia con la perdita di competitività rispetto alla Germania (che ha intrapreso per prima una svalutazione interna, violando il contratto implicito su cui si basa l'Euro) sia con la perdita di competitività rispetto al dollaro collegata al significativo apprezzamento dell'Euro contro il dollaro iniziato nel 2003. In un certo senso, la dissoluzione della zona Euro permetterebbe di 'azzerare i contatori' sia in relazione alla Germania sia rispetto ai paesi dell'area del dollaro.

L'attuale politica ha, inoltre, un aspetto molto preoccupante: il declino degli investimenti produttivi (gli investimenti fissi lordi) che osserviamo dal 2000. Questo declino è particolarmente forte dal 2012 e tende a riportare il volume degli investimenti al livello che aveva nel 1997.
Grafico 3
 Formation Brute de Capital Fixe, indice 100 = 1997





Ora, questo significa che rispetto ad uno stock di capitale (perché l’investimento è un flusso) che è aumentato dal 1997, il rinnovo del capitale produttivo in Francia avviene ora sempre più lentamente. Questo si traduce in un rallentamento degli incrementi di produttività, ma anche in un minor grado di innovazione dell'economia dato che, perché le innovazioni si materializzino, esse richiedono un forte investimento produttivo. Questo processo, sopravvenuto dopo lo shock della crisi del 2008, e dopo i cali negli investimenti che si sono verificati durante la transizione all'Euro, compromette seriamente le prospettive di crescita futura per il nostro paese. La crescita sarà possibile nei prossimi anni, assumendo di invertire questo trend di investimento dal 2014, solo con un fortissimo aumento della competitività, aumento che si può avere solo con un forte deprezzamento della nostra moneta rispetto alla valuta della Germania e al dollaro, ossia con una dissoluzione dell'euro. Si può anche sostenere che l'inversione dell’attuale trend di investimento sarà possibile solo dopo un forte deprezzamento del tasso di cambio e una dissoluzione dell'area euro. Infatti, solo una forte crescita, quale quella che si può verificare nel caso di una dissoluzione dell'euro e del deprezzamento della nostra moneta, produrrà gli incentivi sufficienti agli imprenditori privati per investire massicciamente. Si noti che questo vale anche per l’innovazione e la ricerca applicata. Se il processo di deindustrializzazione del nostro paese va avanti, vedremo i centri di ricerca delocalizzarsi per seguire le fabbriche in cui si utilizzano i loro servizi. Infatti, non ci può essere ricerca applicata senza produzione.

La dissoluzione dell'eurozona, il ritorno alla nostra sovranità monetaria e un forte deprezzamento della nostra moneta sono necessari ormai da diversi anni. I lettori che mi seguono sanno che lo dico pubblicamente dal 2006 [1].  Queste cose sono ormai assolutamente imperative per la sopravvivenza dell'economia francese a breve termine. Il rischio di distruzione del nostro tessuto produttivo da qui a tre anni è diventato tale che dobbiamo agire o morire. Più aspetteremo, più il costo di una politica di ritorno alla crescita e all'occupazione sarà alto, più i fenomeni di dissociazione del nostro tessuto sociale a causa di un aumento importante della disoccupazione saranno gravi.

Da questo punto di vista è abbastanza grave vedere un autore con cui possiamo ritrovarci su molte idee e posizioni come Jacques Généraux, continuare il suo voltafaccia su questo argomento in un articolo recente [2]. In questo articolo le posizioni che lui difende  sull'euro  sono in primo luogo economicamente sbagliate. Sì, la crisi è dovuta all'euro. I due argomenti in 'difesa' dell'euro sono totalmente in cattiva fede: (i) “la deregolamentazione della finanza, che ha portato ad una profusione di titoli tossici e speculazione» e (ii) “l’impropria distribuzone della ricchezza per più di 30 anni: non abbiamo interrotto la compressione delle remunerazioni del reddito da lavoro, a beneficio degli alti redditi e delle rendite finanziarie (le quali nutrono la speculazione).” Questi argomenti sono anzitutto parziali. Si tace sull'accumulo eccessivo delle eccedenze commerciali della Germania e sul fatto che, con la moneta unica, abbiamo perso il modo principale e più efficace per ristabilire regolarmente la nostra competitività. Jacques Généreux non è disposto a vedere che quando i paesi hanno diversi tassi di inflazione strutturali, come è il caso dell’Europa, e cercano di coesistere in una moneta unica, ciò non può che condurre alle catastrofi economiche e sociali che egli stesso denuncia. Inoltre, questi stessi argomenti si ritorcono contro di lui, perché in realtà essi sono indotti dall'euro. Se le banche europee si sono imbottite di titoli tossici americani, è a causa della crescita più bassa dell'Europa (a causa dell'eurozona) rispetto agli Stati Uniti. A causa del gap di crescita, e oggi possiamo ben affermare che esso deriva direttamente dall'euro, le banche europee non avrebbero potuto mantenere la loro posizione competitiva sulla base esclusivamente di titoli europei. È l'Euro che, indirettamente, li ha spinti a comprare titoli tossici americani. Inoltre, dire che non c'è nessun collegamento causale tra la distribuzione della ricchezza nell’eurozona e l'euro, sia per quanto riguarda la distribuzione tra i paesi membri che la distribuzione all'interno dei singoli paesi a seguito delle politiche di "svalutazione interna" (a cominciare dalla Germania) è una menzogna che sconfina verso la sfacciata malafede.

Poi, Jacques Généreux continua a ripetere a pappagallo la vecchia antifona sulle svalutazioni competitive. Riprendiamo le sue parole: “Rischiamo allora di assistere a uscite in serie: la Grecia, poi il Portogallo, la Spagna, l’Italia e anche la Francia: essa non sarà in grado di far fronte né alla competitività tedesca né alla ritrovata competitività – tramite svalutazione - dei paesi del sud. Nell'area dell'euro sarebbe l’inizio del caos. E se tutto il mondo svaluta, dov'è il guadagno? Entriamo in una logica di guerra economica" [3]

Cosa succede in caso di svalutazione a cascata, in realtà? Il primo paese ad uscire avrebbe un leggero vantaggio, ma nel giro di due anni, tutti i paesi usciti dall’euro beneficerebbero di questa uscita. L'analisi dell’elasticità di prezzo dimostra che esistono livelli ottimali di deprezzamento delle monete. Sì, tutto il mondo dovrebbe svalutare (ad eccezione della Germania), ma queste svalutazioni si differenzieranno a causa dell'esistenza di questi livelli ottimali che si possono calcolare sia per la Francia che per l’Italia e la Spagna. Questo argomento non vale niente e serve solo a insistere pesantemente sui cosiddetti "svantaggi" di una dissoluzione dell'euro che, nel suo intimo, Jacques Généreux rifiuta. Sarebbe più onesto e più chiaro per tutti che egli assumesse in pieno la sua posizione. 

Questa posizione, tra l’altro, è politicamente disastrosa perché impedisce agli elettori del Fronte di Sinistra e anche a gran parte degli elettori socialisti di vedere la dimensione centrale che oggi occupa l'euro in quanto strumento delle politiche di austerità e di deflazione in Europa.

L'euro è uno strumento economico, perché impedisce l'attuazione di politiche economiche per la crescita e l'occupazione. È uno strumento politico perché serve a giustificare le politiche di austerità e l'”imitazione” suicida della Germania (come si parlava nel XVII secolo di una “imitazione di Gesù Cristo”). Esso è infine uno strumento simbolico perché giustifica, nel campo delle rappresentazioni, le cessioni della sovranità a Bruxelles, cessioni che sono strumenti istituzionali per imporre queste politiche di austerità e di deflazione.

Oggi è chiaro che la questione si concentra sull'Euro, e la posizione di Jacques Généreux (e con lui senza dubbio del Fronte di Sinistra), a prescindere dalle giuste spiegazioni fornite sugli effetti delle politiche di austerità, poiché trasmette quest’enorme confusione politica ed economica, finisce per disarmare le classi popolari e le prepara a capitolare completamente.
L'Euro è ormai irrecuperabile ed è un punto di chiusura essenziale della camicia di forza che stritola le economie del sud Europa. Più velocemente ce ne libereremo e meglio sarà, non solo per i francesi, ma anche per la maggioranza degli europei.
[1] « La crisi dell'euro: Errori e stalli dell'europeismo» in Prospettive repubblicane, n°2, Giugno 2006, pp. 69-84
[2] Rue89, Jacques Généreux : la priorità è salvare l'Europa, non l'euro, URL : http://www.rue89.com/2013/11/16/jacques-genereux-priorite-cest-sauver-leurope-leuro-247475?imprimer=1
[3] http://www.rue89.com/2013/11/16/jacques-genereux-priorite-cest-sauver-leurope-leuro-247475

7 commenti:

  1. Salve Carmen,

    La questione centrale, che a mio avviso spesso viene elusa, è l'ipocrisia o incorenza di fondo che mostrano le esternazioni politiche ed accademiche.
    Esternazioni che si traducono in decisioni queste sì coerenti con il modello di potere" e di "forza" che si vuole affermare.
    Il tarlo sottostante al pensiero umano è quello dell'egemonia: Uomo su Uomo, Stato su Stato, Popolo su Popolo, Cultura su Cultura.
    In tale diagnosi le presunte ricette per la "ripresa" cozzano come transatlantici sugli iceberg dell'evidenza fallimentare o meglio della decadenza strutturale del modello di società civile.
    Per intenderci, quel modello che nel volume "Euro e (o) democrazia costituzionale", Barra Caracciolo ha descritto con dovizia di particolari ed innumerevoli spunti di approfondimento e riflessione.
    Su cosa è una Costituzione, quali sono gli elementi fondanti e quali quelli necessari per alimentarla e mantenerla in vita. Quali i principi ispiratori ed originari. Le radici storiche che traggono la loro forza da secoli di lotte per l'affermazione dei diritti di "libertà" "solidarietà" ed "uguaglianza" dell'essere umano.
    Le analisi tutte tecnocratiche sulla crescità economica improntate sulla sfrenata competizione mancano infatti di rimarcare le inevitabili conseguenze che queste assumono sul tessuto sociale e sul terreno della lotta alla vita, ossia alla sopravvivenza. Le analisi parlano spesso di numeri dimenticando gli uomini. Sarà forse per questo che il concetto del lavoro sia stato degradato al rango più infimo di prodotto messo in vendita. Vittima degli stessi rapporti di forza tra detentori della ricchezza effettiva. Sarà per questo che la ns Costituzione, proprio allo scopo di evitare derive "autoritarie", mise al centro del suo impianto fondativo, repubblicano e democratico, il lavoro quale elemento cardine di sviluppo della dignità umana, in termini di soddisfazione individuale e di appartenenza comunitaria.
    La vocazione sociale dello Stato è stata pervertita. Piegata all'ispirazione del tutto egoistica e distruttrice, dal concetto di evoluzione darwiniana, dell'uomo dominatore. L'uomo evidentemente e convintamente autoproclamatosi superiore ai suoi pari, esprime in tal modo la sua concezione di realtà che nega, per la propria affermazione, tutte le altre possibili ed esistenti.
    Una riflessione seria, lucida e senza fronzoli o imbellettamenti... conditi da presunte catastrofi apocalittiche vaneggiate da chi in tutta probabilità a molto più da perdere che da guadagnare in un eventuale cambio di passo e di paradigma socio-economico che riporti al centro il lavoro e la società cui l'uomo appartiene... auspico si possa far strada tra tutti noi con la speranza di recuperare dalla ns storia quel che di buono siamo stati in grado di seminare... e non quello in modo deleterio ci è costato degrado e svilimento!

    Un saluto,
    Elmoamf

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  2. La controffensiva sui valori espressi nella nostra Costituzione è arrivata al suo apice, e si serve dello strumento principe della manipolazione mentale: i mantra veicolati dalla comunicazione di massa contro lo stato e la sua spesa pubblica, sostenuti e confermati da brandelli di verità raccattata nelle cronache giudiziarie e dalla deregolamentazione che apre comode autostrade alla corruzione legalizzata, sono penetrati nei cervelli delle vittime e mantengono subdolamente le posizioni.
    La detossificazione raggiunge fasce marginali, ma la fase che intercorre tra la l'inizio della distruzione e il deserto finale costituisce un terreno favorevole al risveglio... per un qualche tempo ancora, diamoci dentro. ...:)


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  3. Inflazione, il problema è che l' inflazione è troppo bassa e quindi rende costosi i debiti (anche e soprattutto quelli dei salariati) e rende molto rischiosi gli investimenti.
    Se tutti gli stati attuano una politica di svalutazione, non è vero che non succede niente, anzi succede molto, succede che vengono condonati tutti i debiti.
    L' inflazione è ciò che rende possibile ad un operaio di poter comprare casa non certo un aumento salariale legato alla produttività.

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  4. E c'è da aggiungere anche, come ben ricorda @LuigiPecchioli su Twitter, che secondo il prof. Pozzi l'Italia ha ancora un anno davanti a sè per evitare il deserto, non due o tre come la Francia...

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  5. deluso
    http://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/valuta-ombra/7c8310fe-520f-11e3-a289-85e6614cf366.shtml

    sul Corsera di oggi.

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