Jacques Sapir nel suo blog Russeurope spiega, come sempre dati alla mano, le ragioni per cui le aspettative di miglioramento dell'economia francese e degli altri paesi dell'Eurozona siano del tutto infondate, e sottolinea l'urgenza di una dissoluzione della moneta unica per evitare la incombente deindustrializzazione: è ormai una questione di vita o di morte del paese...
L'ulteriore deterioramento della
situazione economica - la Francia ha registrato un calo del PIL dello 0,1% nel
terzo trimestre del 2013 - ha preso il governo francese in contropiede.
Infatti, si attendeva un ulteriore miglioramento della situazione economica
sulla base dei risultati registrati nel secondo trimestre. La ricaduta nel 3°
trimestre suona la campana a morte per queste aspettative.
Vediamo infatti che l'economia francese
non è uscita dalla stagnazione in cui si dibatte da quasi due anni ormai. Da questo
punto di vista, l'analisi dei fattori che contribuiscono alla crescita del PIL
è estremamente illuminante. La crescita è trainata solo dal movimento delle scorte.
Ma è chiaro che questo movimento, che compensa le forti contrazioni di fine 2011
e 2012, non può continuare nel quarto trimestre. I consumi delle famiglie rimangono fermi e questo per due ragioni: i redditi vengono abbattuti dall'aumento del prelievo fiscale
e lo saranno ancora di più con l'aumento dell'IVA all'inizio del
2014, e le preoccupazioni riguardo la politica del governo in materia di
pensioni spingono le famiglie a non spendere i propri risparmi. Inoltre, ci sono
due fattori che spingono il PIL verso il basso, il saldo della bilancia commerciale (che è
parzialmente responsabile degli scarsi risultati del terzo trimestre) e gli
investimenti.
Grafico 1
Fonte : INSEE : « Nel
terzo trimestre del 2013 il PIL cala leggermente»
L'evoluzione del saldo della bilancia commerciale
era prevedibile, poiché su di essa pesano diversi fattori. In primo luogo
c'è il tasso di cambio dell'Euro contro il dollaro, che penalizza soprattutto
l'economia francese, la quale intrattiene molti rapporti commerciali al di fuori dell'area dell'Euro.
Siamo uno dei paesi meno integrati nell’eurozona.
Ma dobbiamo vedere nel deterioramento di questi risultati gli effetti delle politiche
di svalutazione
interna che alcuni dei nostri
vicini, come la Spagna, il Portogallo e persino, in qualche misura, l'Italia, sono stati obbligati a intraprendere. La
diminuzione del costo dei salari, ottenuta in maniera molto brutale con una
politica dai risultati spaventosi in materia di occupazione (in Spagna
e Portogallo) e di crescita (per l'insieme di tutti questi paesi), ha migliorato la loro
competitività a nostro discapito. Questo sarebbe tollerabile se noi potessimo,
a nostra volta, migliorare la nostra competitività rispetto alla Germania, le cui
eccedenze commerciali destabilizzano l'economia europea, ma anche rispetto a quei paesi le cui valute sono indicizzate, più o meno direttamente, al dollaro. Se
vogliamo impegnarci anche noi in un esercizio di svalutazione interna, come
vuole l'opposizione (perché questa è in effetti la ricetta proposta dai signori
Fillon, Copé e Le Maire dell'UMP) dobbiamo aspettarci un calo del PIL, a causa
di un crollo dei consumi, e un'esplosione della disoccupazione, che potrebbe
salire rapidamente al 16-18% della popolazione attiva. Il futuro sembra essere
ridotto a questa alternativa: o un lento degrado con l'attuale politica socialista, o un molto prevedibile disastro con la politica proposta
dall'opposizione.
È chiaro, tuttavia, che esiste
un'alternativa: la dissoluzione dell'area dell'Euro. Riconsegnare ai paesi la loro
sovranità monetaria e la possibilità di svalutare, consentirebbe istantaneamente
un riallineamento della competitività francese, sia rispetto ai paesi che
adottano il dollaro, sia rispetto alla Germania, e un aggiustamento dei paesi
dell'Europa del sud rispetto alla Germania, ma anche in rapporto alla Francia. Se
seguiamo i movimenti delle parità di cambio necessari per riequilibrare i saldi
della bilancia commerciale, che implicano una svalutazione nell'Europa del sud maggiore che in Francia, ma per quest'ultima una svalutazione del 23%,
vediamo che gli effetti sarebbero molto positivi per tutti questi paesi,
Francia inclusa. La maggiore svalutazione della Spagna, dell'Italia e del
Portogallo, sarebbe infatti più che compensata dalla svalutazione rispetto al
dollaro e al 'nuovo' marco tedesco. Questi calcoli sono stati fatti nell'opuscolo Gli scenari di dissoluzione
dell’eurozona,
pubblicato dalla Fondazione Res Publica lo scorso settembre. Ricordiamo che essi
includono l'effetto dell'aumento dei prezzi dell'energia e delle importazioni,
ma anche i cosiddetti effetti "di secondo grado", ossia l’aumento
delle importazioni indotte da un aumento delle esportazioni causate dal
miglioramento significativo della nostra competitività. Infatti, la
dissoluzione dell'eurozona appare come una politica vincente non solo per la
Francia, ma anche per i paesi dell'Europa meridionale. In queste circostanze,
non dobbiamo temere un effetto di svalutazione competitiva, perché l'impatto
delle svalutazioni che sono state simulate è molto positivo per tutti questi
paesi.
Per la sola Francia, la crescita potrebbe
aumentare del 20% nei tre o quattro anni successivi a questa dissoluzione
dell'eurozona, mentre la creazione di posti di lavoro potrebbe essere tra 1 e
2,5 milioni. Al contrario, la continuazione della politica attuale si traduce
in una costante erosione dell'occupazione. Non solo non abbiamo ancora
raggiunto i livelli di occupazione precedenti la crisi nel 2007, ma possiamo constatare che
l’occupazione nell'industria è in un declino molto allarmante fin dal 2002.
Grafico 2
Fonte : INSEE, indagine sull'occupazione.
Qui viene misurato l'impatto della
deindustrializzazione provocata dall'Euro, impatto connesso sia con la perdita
di competitività rispetto alla Germania (che ha intrapreso per prima una
svalutazione interna, violando il contratto implicito su cui si basa l'Euro) sia
con la perdita di competitività rispetto al dollaro collegata al significativo
apprezzamento dell'Euro contro il dollaro iniziato nel 2003. In un certo senso,
la dissoluzione della zona Euro permetterebbe di 'azzerare i contatori' sia in
relazione alla Germania sia rispetto ai paesi dell'area del dollaro.
L'attuale politica ha, inoltre, un
aspetto molto preoccupante: il declino degli investimenti produttivi (gli investimenti
fissi lordi) che osserviamo dal 2000. Questo declino è particolarmente forte
dal 2012 e tende a riportare il volume degli investimenti al livello che aveva
nel 1997.
Grafico 3
Formation Brute de Capital Fixe, indice 100 = 1997
Formation Brute de Capital Fixe, indice 100 = 1997
Ora, questo significa che rispetto ad
uno stock di capitale (perché l’investimento è un flusso) che è aumentato dal
1997, il rinnovo del capitale produttivo in
Francia avviene ora sempre più lentamente. Questo si traduce in un rallentamento degli incrementi di
produttività, ma anche in un minor grado di innovazione dell'economia dato che, perché le
innovazioni si materializzino, esse richiedono un forte investimento
produttivo. Questo processo, sopravvenuto dopo lo shock della crisi del 2008, e dopo
i cali negli investimenti che si sono verificati durante la transizione
all'Euro, compromette seriamente le prospettive di crescita futura per il
nostro paese. La crescita sarà possibile nei prossimi anni, assumendo di
invertire questo trend di investimento dal 2014, solo con un fortissimo aumento
della competitività, aumento che si può avere solo con un forte
deprezzamento della nostra moneta rispetto alla valuta della Germania e al
dollaro, ossia con una dissoluzione dell'euro. Si può anche sostenere
che l'inversione dell’attuale trend di investimento sarà possibile solo dopo
un forte deprezzamento del tasso di cambio e una dissoluzione dell'area euro.
Infatti, solo una forte crescita, quale quella che si può verificare nel caso di una dissoluzione
dell'euro e del deprezzamento della nostra moneta, produrrà gli incentivi
sufficienti agli imprenditori privati per investire massicciamente. Si noti che
questo vale anche per l’innovazione e la ricerca applicata. Se il processo di
deindustrializzazione del nostro paese va avanti, vedremo i centri di ricerca delocalizzarsi per seguire le fabbriche in cui si utilizzano i loro servizi. Infatti, non ci può essere ricerca
applicata senza produzione.
La dissoluzione dell'eurozona, il ritorno alla
nostra sovranità monetaria e un forte deprezzamento della nostra moneta sono
necessari ormai da diversi anni. I lettori che mi seguono sanno che lo dico
pubblicamente dal 2006 [1]. Queste cose sono ormai assolutamente imperative per la sopravvivenza dell'economia francese a breve termine. Il rischio di distruzione del nostro
tessuto produttivo da qui a tre anni è diventato tale che dobbiamo agire o morire.
Più aspetteremo, più il costo di una politica di ritorno alla crescita e
all'occupazione sarà alto, più i fenomeni di dissociazione del
nostro tessuto sociale a causa di un aumento importante della disoccupazione
saranno gravi.
Da questo punto di vista è abbastanza grave
vedere un autore con cui possiamo ritrovarci su molte idee e posizioni
come Jacques Généraux, continuare il suo voltafaccia su questo argomento in un articolo
recente [2]. In questo articolo le posizioni che lui difende sull'euro sono in primo luogo economicamente sbagliate. Sì, la crisi è dovuta all'euro. I due
argomenti in 'difesa' dell'euro sono totalmente in cattiva fede: (i) “la deregolamentazione della finanza, che ha
portato ad una profusione di titoli tossici e speculazione» e (ii) “l’impropria distribuzone della ricchezza per
più di 30 anni: non abbiamo interrotto la compressione delle remunerazioni del
reddito da lavoro, a beneficio degli alti redditi e delle rendite finanziarie (le quali
nutrono la speculazione).” Questi argomenti sono anzitutto parziali. Si tace sull'accumulo eccessivo delle eccedenze commerciali della Germania e sul
fatto che, con la moneta unica, abbiamo perso il modo principale e più efficace
per ristabilire regolarmente la nostra competitività. Jacques Généreux non è
disposto a vedere che quando i paesi hanno diversi tassi di inflazione
strutturali, come è il caso dell’Europa, e cercano di coesistere in una moneta unica, ciò non può che condurre alle catastrofi economiche e sociali che egli
stesso denuncia. Inoltre, questi stessi argomenti si ritorcono contro di lui,
perché in realtà essi sono indotti
dall'euro. Se le banche europee si sono imbottite di titoli tossici americani,
è a causa della crescita più bassa dell'Europa (a causa dell'eurozona) rispetto
agli Stati Uniti. A causa del gap di crescita, e oggi possiamo ben affermare
che esso deriva direttamente dall'euro,
le banche europee non avrebbero potuto mantenere la loro posizione competitiva
sulla base esclusivamente di titoli europei. È l'Euro che, indirettamente, li ha
spinti a comprare titoli tossici americani. Inoltre, dire che non c'è nessun
collegamento causale tra la distribuzione della ricchezza nell’eurozona e l'euro, sia
per quanto riguarda la distribuzione tra i paesi membri che la distribuzione all'interno
dei singoli paesi a seguito delle politiche di "svalutazione interna"
(a cominciare dalla Germania) è una menzogna che sconfina verso la sfacciata
malafede.
Poi, Jacques Généreux continua a ripetere
a pappagallo la vecchia antifona sulle svalutazioni competitive. Riprendiamo le sue parole: “Rischiamo allora di assistere
a uscite in serie: la Grecia, poi il Portogallo, la Spagna, l’Italia e anche la
Francia: essa non sarà in grado di far fronte né alla competitività tedesca né alla
ritrovata competitività – tramite svalutazione - dei paesi del sud. Nell'area
dell'euro sarebbe l’inizio del caos. E se tutto il mondo svaluta, dov'è il guadagno? Entriamo in una logica
di guerra economica" [3].
Cosa succede in caso di svalutazione a cascata,
in realtà? Il primo paese ad uscire avrebbe un leggero vantaggio, ma nel giro di
due anni, tutti i paesi usciti dall’euro beneficerebbero di questa uscita.
L'analisi dell’elasticità di prezzo dimostra che esistono livelli ottimali di
deprezzamento delle monete. Sì, tutto il mondo dovrebbe svalutare (ad eccezione
della Germania), ma queste svalutazioni si differenzieranno a causa
dell'esistenza di questi livelli ottimali che si possono calcolare sia per la
Francia che per l’Italia e la Spagna. Questo argomento non vale niente e serve solo a insistere pesantemente sui cosiddetti "svantaggi" di
una dissoluzione dell'euro che, nel suo intimo, Jacques Généreux rifiuta. Sarebbe
più onesto e più chiaro per tutti che egli assumesse in pieno la sua posizione.
Questa
posizione, tra l’altro, è politicamente disastrosa perché impedisce agli
elettori del Fronte di Sinistra e anche a gran parte degli elettori socialisti di
vedere la dimensione centrale che oggi occupa l'euro in quanto strumento delle
politiche di austerità e di deflazione in Europa.
L'euro è uno strumento economico, perché impedisce l'attuazione di politiche economiche
per la crescita e l'occupazione. È uno strumento politico perché serve a giustificare le politiche di austerità
e l'”imitazione” suicida della Germania (come si parlava nel XVII secolo di una “imitazione di Gesù Cristo”). Esso è infine uno strumento simbolico perché
giustifica, nel campo delle rappresentazioni, le cessioni della sovranità a
Bruxelles, cessioni che sono strumenti istituzionali per imporre queste
politiche di austerità e di deflazione.
Oggi è chiaro che la questione si
concentra sull'Euro, e la posizione di Jacques Généreux (e con lui senza dubbio
del Fronte di Sinistra), a prescindere dalle giuste spiegazioni fornite sugli effetti delle politiche di austerità, poiché
trasmette quest’enorme confusione politica ed economica, finisce per disarmare
le classi popolari e le prepara a capitolare completamente.
L'Euro è ormai irrecuperabile ed è un punto
di chiusura essenziale della camicia di forza che stritola le economie del sud Europa. Più
velocemente ce ne libereremo e meglio sarà, non solo per i francesi, ma anche per
la maggioranza degli europei.
[1] « La crisi dell'euro: Errori e stalli dell'europeismo» in Prospettive repubblicane,
n°2, Giugno 2006, pp. 69-84
[2] Rue89, Jacques Généreux : la priorità è salvare
l'Europa, non l'euro, URL : http://www.rue89.com/2013/11/16/jacques-genereux-priorite-cest-sauver-leurope-leuro-247475?imprimer=1
Salve Carmen,
RispondiEliminaLa questione centrale, che a mio avviso spesso viene elusa, è l'ipocrisia o incorenza di fondo che mostrano le esternazioni politiche ed accademiche.
Esternazioni che si traducono in decisioni queste sì coerenti con il modello di potere" e di "forza" che si vuole affermare.
Il tarlo sottostante al pensiero umano è quello dell'egemonia: Uomo su Uomo, Stato su Stato, Popolo su Popolo, Cultura su Cultura.
In tale diagnosi le presunte ricette per la "ripresa" cozzano come transatlantici sugli iceberg dell'evidenza fallimentare o meglio della decadenza strutturale del modello di società civile.
Per intenderci, quel modello che nel volume "Euro e (o) democrazia costituzionale", Barra Caracciolo ha descritto con dovizia di particolari ed innumerevoli spunti di approfondimento e riflessione.
Su cosa è una Costituzione, quali sono gli elementi fondanti e quali quelli necessari per alimentarla e mantenerla in vita. Quali i principi ispiratori ed originari. Le radici storiche che traggono la loro forza da secoli di lotte per l'affermazione dei diritti di "libertà" "solidarietà" ed "uguaglianza" dell'essere umano.
Le analisi tutte tecnocratiche sulla crescità economica improntate sulla sfrenata competizione mancano infatti di rimarcare le inevitabili conseguenze che queste assumono sul tessuto sociale e sul terreno della lotta alla vita, ossia alla sopravvivenza. Le analisi parlano spesso di numeri dimenticando gli uomini. Sarà forse per questo che il concetto del lavoro sia stato degradato al rango più infimo di prodotto messo in vendita. Vittima degli stessi rapporti di forza tra detentori della ricchezza effettiva. Sarà per questo che la ns Costituzione, proprio allo scopo di evitare derive "autoritarie", mise al centro del suo impianto fondativo, repubblicano e democratico, il lavoro quale elemento cardine di sviluppo della dignità umana, in termini di soddisfazione individuale e di appartenenza comunitaria.
La vocazione sociale dello Stato è stata pervertita. Piegata all'ispirazione del tutto egoistica e distruttrice, dal concetto di evoluzione darwiniana, dell'uomo dominatore. L'uomo evidentemente e convintamente autoproclamatosi superiore ai suoi pari, esprime in tal modo la sua concezione di realtà che nega, per la propria affermazione, tutte le altre possibili ed esistenti.
Una riflessione seria, lucida e senza fronzoli o imbellettamenti... conditi da presunte catastrofi apocalittiche vaneggiate da chi in tutta probabilità a molto più da perdere che da guadagnare in un eventuale cambio di passo e di paradigma socio-economico che riporti al centro il lavoro e la società cui l'uomo appartiene... auspico si possa far strada tra tutti noi con la speranza di recuperare dalla ns storia quel che di buono siamo stati in grado di seminare... e non quello in modo deleterio ci è costato degrado e svilimento!
Un saluto,
Elmoamf
Parole sante
RispondiEliminaLa controffensiva sui valori espressi nella nostra Costituzione è arrivata al suo apice, e si serve dello strumento principe della manipolazione mentale: i mantra veicolati dalla comunicazione di massa contro lo stato e la sua spesa pubblica, sostenuti e confermati da brandelli di verità raccattata nelle cronache giudiziarie e dalla deregolamentazione che apre comode autostrade alla corruzione legalizzata, sono penetrati nei cervelli delle vittime e mantengono subdolamente le posizioni.
RispondiEliminaLa detossificazione raggiunge fasce marginali, ma la fase che intercorre tra la l'inizio della distruzione e il deserto finale costituisce un terreno favorevole al risveglio... per un qualche tempo ancora, diamoci dentro. ...:)
parole sante anche queste
EliminaInflazione, il problema è che l' inflazione è troppo bassa e quindi rende costosi i debiti (anche e soprattutto quelli dei salariati) e rende molto rischiosi gli investimenti.
RispondiEliminaSe tutti gli stati attuano una politica di svalutazione, non è vero che non succede niente, anzi succede molto, succede che vengono condonati tutti i debiti.
L' inflazione è ciò che rende possibile ad un operaio di poter comprare casa non certo un aumento salariale legato alla produttività.
E c'è da aggiungere anche, come ben ricorda @LuigiPecchioli su Twitter, che secondo il prof. Pozzi l'Italia ha ancora un anno davanti a sè per evitare il deserto, non due o tre come la Francia...
RispondiEliminadeluso
RispondiEliminahttp://www.corriere.it/inchieste/reportime/economia/valuta-ombra/7c8310fe-520f-11e3-a289-85e6614cf366.shtml
sul Corsera di oggi.