02/05/14

Il Polemista Accidentale: Riflessioni sul "Capitale" di Thomas Piketty

Riportiamo qui il contributo di Thomas Palley al dibattito su "Il Capitale del Ventunesimo Secolo" dell'economista francese Piketty,  una voluminosa analisi sulle crescenti disuguaglianze che secondo l'autore tenderanno a consolidarsi.  Piketty propone la soluzione della tassazione progressiva sui ricchi, ma non mette in discussione il contesto politico e istituzionale che favorisce l'aumento delle disuguaglianze. Per Palley l'opera appare rivoluzionaria, ma può avere un effetto alquanto gattopardesco.


di Thomas Palley - Il Capitale nel Ventunesimo Secolo di Thomas Piketty è un tomo di 685 pagine che caratterizza definitivamente il modello empirico della disuguaglianza di reddito e di ricchezza nelle economie capitaliste nel corso degli ultimi 250 anni, e soprattutto negli ultimi cento anni. Documenta anche l'ascesa grottesca della disuguaglianza nel corso degli ultimi 40 anni, e si conclude con un invito a reintrodurre delle aliquote di imposta progressive sul reddito e una tassa sul patrimonio complessivo.


Il suo libro ha toccato un nervo scoperto ed è diventato un evento. Avendo inferto un duro colpo contro la disuguaglianza, Piketty è diventato anche un polemista accidentale. Ecco perché il suo libro ha il potenziale per innescare involontariamente un dibattito sul cosiddetto capitalismo del "libero mercato". La grande domanda è: quel che lui auspica, succederà?

Per
mettere nella giusta prospettiva il suo status di “fenomeno”, consideriamo quanto segue. Il libro (al momento della stesura di questo articolo) è il numero uno della lista dei best seller di Amazon.com, prima di autori del calibro di Lynn Vincent con Heaven is for Real: A Little Boy’s Astounding Story of His Trip to Heaven and Back; di George Martin con A Game of Thrones 5-book boxed set; di Erlend Blake con Never Work Again: Work less, Earn More and Live Your Freedom; e di Dale Carnegie con How to Win Friends & Influence People.

Il Sunday Times, solitamente sobrio e misurato, ha pubblicato un lungo articolo accompagnato da una barra laterale in cui il libro di Piketty appare a fianco de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith (1776 ); del Saggio sul Principio di Popolazione di Thomas Malthus (1798); dei Principi di Politica Economica di John Stuart Mill (1848); del Capitale di Karl Marx (1867); e de La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta di John Maynard Keynes (1936). Penso che parlare di “fenomeno” sia giusto e non esagerato.

Il libro di Piketty si compone di quattro
parti. La prima fornisce un quadro teorico, le due successive forniscono la documentazione empirica, e la quarta propone un quadro di politica economica per invertire l'aumento delle disuguaglianze degli ultimi 40 anni. Secondo le opinioni di tutti gli esperti, il lavoro empirico è superbo sia come campo di ricerca che come dettaglio dell'analisi ed è considerato precursore di una nuova scuola economica che esplora i "grandi" insiemi di dati. Nel caso di Piketty i grandi dati sono le dichiarazioni dei redditi delle persone.

La tempistica del libro è quasi perfetta col nuovo interesse politico suscitato dalla disuguaglianza, ma i suoi risultati empirici non sono rivoluzionari e in realtà l'aumento delle disuguaglianze nel reddito e nella ricchezza è documentato da anni, anche se in modo meno completo. A partire dal 1988 con la prima edizione di The State of Working America, Larry Mishel e il suo co-autore del Economic Policy Institute di Washington DC, hanno documentato semestralmente il problema della stagnazione dei salari e l'aumento della disuguaglianza del reddito negli Stati Uniti - e anche loro hanno utilizzato i grandi dati del Current Population Survey. Jamie Galbraith ha sostanzialmente confermato il quadro nel suo libro del 1998 Created Unequal: The Crisis in America Pay. Inoltre, anche lui ha utilizzato dati piuttosto grandi, sulla distribuzione dei salari nel settore manifatturiero, e successivamente ha esteso la sua ricerca all'economia internazionale.

Un altro economista che ha documentato l'aumento della disuguaglianza del reddito e della ricchezza negli Stati Uniti è Edward Wolff, nel suo libro del 2002, scritto insieme ad altri autori: Top Heavy: The Increasing Inequality of Wealth in America and What Can Be Done About It, e il suo libro del 2008 Poverty and Income Distribution. Per quanto riguarda i modelli globali, Branko Milanovic ha dato un contributo preminente con il suo articolo del 2002 True World Income Distribution, 1988 and 1993: First Calculations Based on Household Surveys Alone e il suo libro del 2005 Worlds Apart: Measuring International and Global Inequality. Altri contributi famosi sono quelli di Anthony Atkinson e François Bourguignon. E, naturalmente, anche Piketty ha contribuito con il suo articolo magistrale del 2003, co-autore Emmanuel Saez, sulla disuguaglianza del reddito negli USA dal 1913 al 1998. Infatti, il suo libro è in parte una estensione della metodologia sviluppata in quell'opera.

D
ato tutto questo, è interessante chiedersi perché Piketty abbia sfondato laddove altri hanno fallito. A mio avviso, c'è una ragione politica. Mishel, Galbraith, e Wolff sono economisti progressisti di sinistra. Anche se i loro libri non sono trattazioni teoriche o politiche complessive del problema, la loro logica teorica implicita enfatizza il potere economico e politico. Tale logica è esplicitamente sviluppata nel mio libro del 1998 Plenty of Nothing: The Downsizing of the American Dream and the Case for Structural Keynesianism.

Il punto importante è che l'economia mainstream ha difficoltà a riconoscere i lavori che provengono da tali fonti, perché riconoscerli equivale a legittimarli. Il che crea la strana situazione in economia per cui niente viene pensato o conosciuto fino a quando non è la persona giusta a dirlo. Questo modello si applica alle disparità di reddito, alla macroeconomia della deflazione del debito, all'economia dei controlli dei capitali internazionali, e alla teoria dell'inflazione della curva di Phillips, per citare alcuni esempi.

Queste osservazioni portano ad un secondo problema
per cui, dopo che si è placato il polverone iniziale, il libro di Piketty può finire per essere l'economia del Gattopardo, che cambia tutto senza cambiare niente [..], in quanto
nella prima parte del suo libro Piketty fornisce una spiegazione neoclassica tradizionale del peggioramento delle disuguaglianze. Questo crea una opportunità gattopardesca in cui la disuguaglianza è riportata nell'alveo della teoria economica tradizionale, che rimane invariata.

Utilizzando un quadro convenzionale della produttività marginale, Piketty fornisce una spiegazione della crescente disuguaglianza basata sull'aumento del divario tra il prodotto marginale del capitale, che determina il tasso di profitto (r), e il tasso di crescita (g). Poiché la proprietà del capitale è così concentrata, un tasso di profitto più elevato o un tasso di crescita più lento aumentano le disuguaglianze, perché i redditi dei ricchi crescono più rapidamente dell'economia globale.

Il carattere convenzionale del pensiero teorico di Piketty si manifesta particolarmente nelle sue prescrizioni di politica economica. Il suo quadro neoclassico della crescita lo porta a concentrarsi sulla tassazione come rimedio. C'è poca attenzione ai problemi delle istituzioni economiche e delle strutture del potere economico, perché questi non sono parte del quadro neoclassico. Questo spiega sostanzialmente l'atteggiamento diffidente degli economisti progressisti nei confronti del libro. Inoltre, anche se tecnicamente fattibili, le prescrizioni fiscali di Piketty sono politicamente ingenue, dato il crescente controllo del capitale sul processo politico.

[...]


Il successo fenomenale di Piketty solleva dilemmi laceranti per gli economisti progressisti. Il suo libro ha sollevato il profilo politico della disuguaglianza; sembra mirabilmente modesto; egli esprime con insistenza idee liberali sane sugli effetti tossici del medio evo della disuguaglianza sulla democrazia; ed egli raccomanda la tassazione della ricchezza. Qualsiasi critica può apparire come rozza. Gli stessi dilemmi riguardano economisti come Paul Krugman, che è brillantemente affidabile nella sua critica dei repubblicani, meno affidabile nella sua critica dei Democratici, e inaffidabile nella sua critica della teoria economica dominante. A criticare si rischia di tagliare le fonti del sostegno alleato.
Tuttavia, queste cose devono essere dette. Valori condivisi e analisi condivise sono diversi. Valori condivisi possono creare accordi a breve termine che oscurano i conflitti a lungo termine inerenti le differenze di ragionamento. Le idee contano e l'incapacità di articolare le idee con veridicità può avere conseguenze disastrose. Gli economisti accademici hanno l'obbligo di indicare chiaramente le questioni teoriche. Il libro di Piketty è un trattato accademico con implicazioni di politica pubblica, il che significa che è giusto sottolineare le sue tendenze neoclassiche e i pericoli Gattopardeschi.

Il libro ha già avuto un enorme impatto politico positivo. A mio parere, dire la verità su
i suoi limiti non ne diminuirà l'impatto. Gli economisti neoclassici hanno sempre parlato del capitale. Il soggetto proibito è il capitalismo. Piketty ha stuzzicato l'appetito del pubblico con il suo discorso sul capitale. Una critica amichevole può far sì che si rifletta pubblicamente sul capitalismo e su ciò che è necessario perché il capitalismo possa realizzare una prosperità condivisa.



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