Paul Krugman sul New York Times commenta un importante articolo di Moghadam, Teja, e Berkmen, pubblicato sul blog IMFdirect del FMI (ancora!), secondo il quale anche se la deflazione tecnica in Europa non è ancora arrivata ovunque, gli stessi effetti tremendi si stanno producendo anche con inflazione bassa e vicino allo zero, e sono molto peggiori della sindrome Giapponese. Per Krugman le élite europee sono così attaccate a questo progetto che non lo molleranno facilmente, e quindi l'euro potrebbe anche durare, ma sarebbe un disastro continuato.
di
Paul Krugman
5 marzo 2014
5 marzo 2014
Su
segnalazione del sempre prezioso Mark
Thoma, il blog del FMI
- sì, il FMI è diventato in
effetti un
“econblogger” - ha
un pezzo formidabile sul problema della
bassa inflazione in Europa. E' l'antidoto perfetto alle
voci dell'inerzia che
insistono sul
fatto che non c'è nessun problema, perché ancora non vediamo una
deflazione effettiva.
Parte dell'analisi del FMI riguarda la dinamica del debito. Non la mettono esattamente così, ma io direi in sostanza che per avere deflazione da debito – in cui il calo dei prezzi dovuto a un'economia debole aumenta l'onere reale del debito, che deprime ulteriormente l'economia, e così via – non c'è bisogno di avere una deflazione letterale. Il processo inizia non appena l'inflazione è inferiore a quella attesa quando sono stati decisi i tassi di interesse. E' anche degno di nota il fatto che i tassi di inflazione nei paesi fortemente indebitati sono tutti ben al di sotto della media dell'eurozona (pdf), con una vera deflazione in Grecia e una quasi deflazione nel resto dei paesi. Così la spirale di deflazione da debito è in realtà già ben avviata.
Oltre
a ciò, il problema con la bassa
inflazione è che aggrava il problema posto dai due
zeri - l'impossibilità di tagliare i tassi d'interesse sotto lo
zero e la grande difficoltà di tagliare i
salari nominali.
La
politica della BCE è vincolata dai
tassi pari a zero? Potreste dire
che non lo è,
dal momento che avrebbe
potuto tagliare
un po' di più di
quanto non abbia fatto, ma non lo ha fatto.
Direi, però, che se i tassi di interesse nominali fossero
molto più elevati - diciamo,
al 4 per cento -
ma la situazione
macro dell'euro
nel suo complesso
fosse quella che è,
con l'inflazione chiaramente al
di sotto dell'obiettivo e la disoccupazione molto alta,
la BCE non avrebbe
(come di dovere) affatto esitato
a tagliare
sostanzialmente i tassi. E' solo il fatto che lo zero è già così
prossimo che fa
del taglio dei tassi un grosso problema,
come se fosse l'ammissione
che la situazione
sta diventando
pericolosa (come
in realtà è).
Nello
stesso tempo, lo zero sui salari è ormai
estremamente significativo. Il problema fondamentale qui è che la
Spagna (e altri debitori)
deve ridurre i suoi
salari relativi nei confronti della
Germania, invertendo la rapida crescita
dei suoi salari
negli anni della
bolla. L'argomento che
alcuni di noi stanno portando avanti da
lungo tempo è che sarebbe enormemente più semplice
se questo aggiustamento avvenisse tramite
l'aumento dei salari tedeschi, piuttosto che col
crollo dei salari spagnoli - anche a causa
della dinamica del debito, ma anche
per il fatto
cruciale che è
molto difficile tagliare i
salari nominali.
Cosa
andresti a
cercare se volessi verificare che la
rigidità verso il basso dei salari
nominali è un vincolo serio? Un picco a zero nella distribuzione
della variazione dei salari1.
E' abbastanza
sicuro.
Per esprimersi con termini tecnici: Sissignore. Questa è una prova evidente che l'inflazione troppo bassa è di già un problema enorme per l'Europa.
Il punto è che non c'è una linea rossa a inflazione zero; eppure l'inflazione troppo bassa è un problema molto grave, soprattutto data la situazione europea, anche se il numero è positivo.
Così, quando si viene messi in guardia sulla potenziale Giapponesizzazione dell'Europa, siamo già oltre. L'Europa sta già sperimentando tutti i problemi associati alla deflazione, anche se finora è solo un'inflazione bassa; e i costi umani e sociali sono, ovviamente, molto peggiori di quanto il Giappone abbia mai sperimentato.
Questo non porta necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere – ed essere un disastro continuato.
1 NdT:
"Studi recenti basati su microdati si sono incentrati sulle
distribuzioni delle variazioni dei salari nominali per stimare la
rigidità al ribasso degli stessi. Un picco a zero di questa
distribuzione evidenzia una rigidità nominale, in quanto suggerisce
che numerose imprese sono state incapaci di diminuire i salari
nominali e che quindi li hanno mantenuti invariati.
(http://www.bancaditalia.it/eurosistema/comest/pubBCE/mb/2009/febbraio/mb200902/articoli_02_09.pdf)
il Giappone negli ultimi 20 anni ha visto un aumento considerevole del livello di povertà fra la sua popolazione.
RispondiEliminaPerò non ha mai sofferto della piaga della disoccupazione in modo anche solo paragonabile al nostro.
noi le abbiamo entrambe così per non farci mancar nulla. e proseguiamo dritti per la via.
"Questo non porta necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere – ed essere un disastro continuato." Ecco appunto la forza dell'impegno delle élite europee nel tirare dritto verso gli obiettivi che si sono preposti: la distruzione del continente. E' questa propettiva che toglie ogni speranza.Dalla loro parte le élite hanno un enorme forza che va dall'immenso potere dei soldi alla propaganda più capillare che mai si sia sperimentata nella storia. Questo euro che porebbe sopravvivere portando con se solo disastri è quello che fa più paura, toglie il respiro annebbia il cervello. In queste condizioni viene la voglia di arrendersi e di gettare la spugna. Ogni giorno si cerca di instillare nelle menti altrui dubbi, di stimolare la riflessione, ma è un continuo combattere contro i mulini a vento. Oggi in televisione, così ascoltando per caso nel primo pomeriggio non mi ricordo in quale trasmissione, o se era uno spot di qualcosa, parlavano di generazione di Shenghen, ragazzi che hanno a diposizione un continente da esplorare senza confini dove è bello andare a lavorare in posti lontano dalla tua casa di origine perchè non si vede il motivo di voler restare dove sei nato. Se fosse stato possibile avrei volentire sfondato la tele e distrutto quelle facce ebeti di addetti alla propaganda. Mentre scrivo al computer vedo attraverso la finestra il celeste di una giornata serena, almeno dalle mie parti, ma questi delinquenti ti hanno tolto anche il gusto di godere dei primi sprazi di primavera.
RispondiEliminaLe forze in campo sono diversificate, e anche se le oligarchie europee hanno uno strapotere di mezzi a disposizione, non è affatto facile che riescano a controllarle tutte. Certo, i media e soprattutto la televisione, incutono proprio questo senso di grande impotenza di fronte a una preponderanza schiacciante, perché ascolti il messaggio unidirezionale, senza alcuna possibilità di intervenire e incidere. Solo ascoltare.
EliminaTutt'altra cosa la rete, meno male.
La prossima settimana avremo finalmente delle belle giornate col sole, Fiore, godiamoci questo inizio di primavera, da qui a maggio, quando avremo nuovi dati per aggiornare le ragioni del nostro pessimismo sull'euro...
"....questo non porta necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere..." Et voila. Krugman realisticamente si accorge di questa non banale verità. Ancora non riesce a mettere a fuoco i possibili e probabili cambiamenti delle politiche europee che verosimilmente verranno implementati nei prossimi anni. Ma è solo questione di tempo. Certo quella dell'euro è stata una scelta implementata malissimo. Ma la volontà politica e i timori delle conseguenze di un euro breakup sono una forza formidabile che piegherà anche i più ostinati renitenti ai cambiamenti dello status quo
RispondiEliminaLa volontà politica sì, ma i timori di chissà quali conseguense di un break up sono del tutto strumentali alla volontà politica di cui sopra.
EliminaC'è da sperare che i timori delle conseguenze di un euro breakup portino a scelte sagge, in primo luogo su scala nazionale.
EliminaSegnali di cambiamento? E' solo l'inizio.
RispondiEliminahttp://www.telegraph.co.uk/finance/financialcrisis/10687708/Top-German-body-calls-for-QE-blitz-to-avert-deflation-trap-in-Europe.html
Ma magari fossimo il Giappone! !
RispondiEliminaLa svalutazione non serve ? il caso Giappone
Sugli effetti della svalutazione, si continua a fare parecchia confusione.
Ogni volta che un paese svaluta e dopo un certo periodo di tempo si constata che non c’è stato un miglioramento dei saldi commerciali con l’estero, invariabilmente qualcuno commenta che “la svalutazione è inutile”.
Il punto è che l’evoluzione dei saldi commerciali non risente solo della svalutazione. Un altro importantissimo fattore è l’evoluzione della congiuntura nel paese che svaluta, in termini relativi (cioè rispetto ai suoi partner commerciali).
Si era vista la combinazione di questi due fattori all’opera nel caso del Regno Unito. Vediamo ora che cosa sta accadendo in Giappone.
Il saldo delle partite correnti negli USA, nell’Eurozona e in Giappone si è evoluto nel modo seguente tra il 2012 e il 2013 (dati in miliardi di dollari, fonte FMI):
2012
2013
Usa
-440
-451
Eurozona
227
295
Giappone
60
61
Il saldo del Giappone è rimasto sostanzialmente invariato, come quello USA, mentre è aumentato nettamente quello dell’Eurozona. Questo, nonostante una svalutazione dello yen del 18% contro dollaro e del 21% contro euro.
Allora, la svalutazione non serve ? l’incremento maggiore l’ha avuto l’Eurozona, la cui moneta non si è svalutata ma addirittura rafforzata nei confronti dello yen e anche, leggermente, del dollaro.
Il mistero si svela facilmente se guardiamo al dato del PIL procapite. La prestazione migliore, in termini di variazione 2013 vs 2012, è nettamente quella del Giappone: +2,2%. Molto staccati gli USA a +0,8%. L’eurozona registra un pessimo -0,6%.
Il punto è che congiuntamente alla svalutazione, il Giappone ha effettuato forti azioni di rilancio della domanda, e il PIL è cresciuto. Senza la svalutazione, questo avrebbe creato sbilanci nei saldi commerciali esteri, che invece sono stati evitati. La svalutazione serve, eccome.
L’Eurozona invece ha incrementato l’attivo delle partite correnti, certo, ma per quale via ? distruzione della domanda interna in tutti i paesi mediterranei (come da “manuale Monti”), crollo delle importazioni e ulteriore caduta del PIL procapite (e dell’occupazione, e della coesione sociale, e della capacità di tenuta del sistema finanziario e bancario…)
Un paese che desidera ottenere una crescita del PIL e dell’occupazione, in termini sia assoluti che relativamente ai suoi partner commerciali, deve rilanciare la domanda: ma per evitare che gli effetti siano in buona parte vanificati dal peggioramento dei saldi esteri, occorre svalutare.