Dal CER (Centre for European Reform), think tank che si definisce europeista ma non acritico, una bella analisi suffragata dai dati sulla confusione fuorviante tra "competitività" e tassi di cambio reali: una pietra tombale sulle famigerate "svalutazioni competitive" del nostro paese...
di Simon Tilford , 10
marzo 2014
Si supponeva che l'euro avrebbe dovuto
porre fine alle svalutazioni competitive, e con ciò alla
“concorrenza sleale”. Ma non è stato così. La Germania è
stata spesso dipinta (a torto) come la vittima delle svalutazioni
competitive degli altri paesi prima dell'introduzione dell'euro. Ma,
contrariamente alla coscienza comune, il tasso di cambio reale della
Germania - che tiene conto delle diverse tendenze dell'inflazione in
Germania e nei paesi suoi partner commerciali - non è aumentato nel
periodo precedente all'introduzione della moneta unica. Ed è sceso
vertiginosamente durante i 15 anni di esistenza dell'euro. Questo ha
consegnato alle imprese tedesche proprio quel vantaggio competitivo
che l'euro avrebbe dovuto sradicare. Per di più, la Germania non si
preoccupa di fare niente in proposito. Anzi, gli altri paesi della
zona euro vengono incoraggiati a seguirne l'esempio.
La Commissione Europea
redige i cosiddetti "indici armonizzati di competitività” per
le economie della zona euro (vedi grafico 1). Si tratta di nient'altro che dei tassi di
cambio reali degli stati membri. Essi mostrano che il tasso di cambio reale
tedesco è sceso di quasi il 20 per cento tra l'inizio del 1999 e la
fine del 2011, prima di aumentare un po' nel 2012-13. Il motivo
principale per il calo del tasso di cambio reale del paese sono stati
gli incrementi salariali molto bassi e, quindi, la debole
inflazione. Il tasso di cambio reale spagnolo e (in misura minore)
italiano, sono aumentati rapidamente nel corso della prima parte
degli anni 2000, ma sono diminuiti drasticamente dal 2008: il tasso
di cambio reale italiano di oggi è appena superiore a quello del
1999, mentre quello spagnolo è salito di circa il 9 per cento. Il
tasso di cambio reale della Francia è in realtà inferiore oggi
rispetto al 1999 (o, in termini dell'analisi della Commissione), la
sua 'competitività' è migliorata. In breve, gli squilibri della
zona euro non hanno tanto a che fare con i paesi latini che avrebbero
perso il controllo dei loro costi quanto con la Germania che si è
ingegnata a tagliare i suoi costi a spese dei vicini.
Grafico 1: indici di 'competitività' armonizzati
(tassi di cambio reali, 1° trimestre 1999 = 100 )
Grafico 1: indici di 'competitività' armonizzati
(tassi di cambio reali, 1° trimestre 1999 = 100 )
Fonte : Banca Centrale
Europea
Nella misura in cui
Bruxelles e Berlino riconoscono il forte calo del tasso di cambio
reale della Germania all'interno della zona euro, esso è solitamente
attribuito alla necessità di invertire l'aumento del tasso di cambio
reale del paese nel periodo antecedente l'introduzione dell'euro. Le
imprese tedesche, così si sostiene, avevano la necessità di
ricostruire la loro competitività dopo lo shock della
riunificazione, e quindi cominciare a ridurre i costi, cosa che ha
portato a un calo del tasso di cambio reale. Il problema di questa
analisi è che non è corroborata dai dati. Il grafico 2 più sotto
mostra i tassi di cambio reali di Germania, Francia, Spagna e Italia
tra il 1980 e il 1998. Quello della Germania era in realtà più
basso nel 1998 di quanto non fosse nel 1980. Ci sono state
svalutazioni in Francia nel 1983-84, e in Italia e Spagna dopo la
loro uscita dal meccanismo di cambio dello SME nel 1992, ma in ogni
caso tali svalutazioni erano in gran parte correttive (in risposta ad
attacchi di sopravvalutazione della valuta) e nel 1998 i loro tassi
di cambio reali erano tornati al livello del 1980. Nel complesso del periodo, è stata la Germania che ha avuto i tassi di cambio
reali più "valutati in modo competitivo".
Grafico 2: tassi di cambio reali effettivi
( 1 trimestre 1980 = 100 )
Grafico 2: tassi di cambio reali effettivi
( 1 trimestre 1980 = 100 )
Fonte: UNCTAD , Indicatori di sviluppo globali
Il risultato è che ora la Germania ha un tasso di cambio reale enormemente sottovalutato (cosa che né l'Italia né la Spagna si sono mai trovate a dover gestire prima dell'introduzione della moneta unica). Perché la Germania non viene accusata di essersi impegnata in una svalutazione competitiva, mentre la Spagna e l'Italia lo sono? Dopo tutto, il cambio reale della Germania è sceso drasticamente rispetto alla sua tendenza a lungo termine, mentre le svalutazioni degli anni '90 della lira e della peseta le hanno solo riportate alle loro tendenze a lungo termine.
Uno dei motivi è la
diffusa convinzione che i paesi della zona euro non abbiano dei tassi
di cambio reali, perché tutti condividono l'euro. In virtù di
condividere l'euro, le svalutazioni sono viste come impossibili. Una
svalutazione è considerata una svalutazione solo se comporta un
movimento dei tassi di cambio nominali di un paese, come quando la
lira e la peseta furono espulse dallo SME. Ma quando la svalutazione
avviene come risultato di una bassa inflazione (che a sua volta è di
solito il prodotto di una domanda interna debole) viene vista come un
guadagno di 'competitività'. Tuttavia, l'impatto sugli altri paesi è
lo stesso: si trovano ad affrontare una perdita di competitività di
prezzo rispetto alle imprese del paese che ha svalutato e
diminuiscono le vendite in quel paese.
Lungi dall'essere
considerato un problema e condannato come una strategia di
'beggar-thy-neighbor' (come accadeva con l'Italia e la Spagna), la
Germania è ammirata per il suo successo nel ridurre il tasso di
cambio reale, e gli altri paesi sono invitati a emularla per poter
migliorare la loro 'competitività'. Così, con un curioso
capovolgimento, il paese che ha effettuato una grande svalutazione
competitiva non solo non subisce pressioni per invertire questa
tendenza, ma è ampiamente considerato come un punto di riferimento
per gli altri.
Questa confusione dei
tassi di cambio reali con la competitività è stata dannosa. Una
'svalutazione interna' o reale del genere realizzato dalla Germania
nella zona euro ha effetti macroeconomici dannosi perché comporta di
comprimere la domanda interna e con essa l'inflazione per un lungo
periodo di tempo. Al contrario, la Spagna e l'Italia sono
rapidamente tornate a crescere negli anni '90 dopo le loro
svalutazioni, con il risultato che le esportazioni tedesche verso
questi paesi non ne hanno sofferto. Se Italia e Spagna perseverano
nei loro tentativi di svalutare i loro tassi di cambio reali,
piuttosto che la Germania rivalutare il suo tasso di cambio reale, il
risultato sarà una persistente debolezza della domanda in tutta la
zona euro, un peggioramento delle pressioni deflazionistiche già
largamente diffuse nell'unione monetaria e ulteriori aumenti nei
rapporti di debito.
Mentre la Commissione ha
criticato l'eccessivo e persistente surplus delle partite correnti
della Germania, ci ha tenuto a sottolineare che non avrebbe alcun
senso per i tedeschi cedere 'competitività' . Eppure è impossibile
per tutti i membri della zona euro godere del vantaggio sleale di un
tasso di cambio sottovalutato. L'assunzione implicita della
Commissione sembra essere che tutte le economie della zona euro
possono progettare svalutazioni reali (o interne), aumentando le loro
esportazioni verso i mercati della zona non euro e portando così a
una ripresa dell'economia in tutta l'eurozona. Ma vi è già stato
un grande cambiamento nella posizione delle partite correnti della
zona euro, che è passata da un disavanzo di circa € 85 miliardi (1
per cento) nel 2008 a un surplus di quasi il 2,5 per cento nel 2013,
perché il surplus della Germania è rimasto molto grande, mentre i
deficit dei paesi membri del Sud si sono ridotti. E' un punto
controverso se il surplus estero della zona euro possa continuare ad
aumentare: già esso comporta un forte drenaggio su un'economia globale
fragile, da cui la zona euro a sua volta è sempre più dipendente.
Inoltre, un'economia con un grande surplus commerciale tende a
sperimentare l'apprezzamento della moneta, perché la domanda della
sua moneta supera l'offerta, cosa che ora sta accadendo all'euro. Un
euro forte colpirà la domanda di esportazioni dall'area euro,
soprattutto le economie meridionali dell'unione monetaria, più
sensibili alle variazioni di prezzo.
L'eurozona ha bisogno
che il tasso di cambio reale della Germania aumenti (cioè, di
invertire il vantaggio ingiusto che la Germania si è ritagliata
all'interno della zona euro), ma questo non sarà facile. L'economia
della Germania guidata dalle esportazioni - sostenuta dalla abilità
delle sue parti sociali di far passare la moderazione salariale – e
combinata con un rapido invecchiamento della popolazione, comporta
che ci sarà poca inflazione. L'economia tedesca sta crescendo più
velocemente della zona euro nel suo complesso, ma il tasso di
inflazione della Germania è di poco superiore alla media
dell'eurozona, anche perché i salari reali nel 2013 sono diminuiti.
Delle politiche macroeconomiche più espansive potrebbero aiutare. In
primo luogo, una combinazione di tagli delle imposte sul reddito e di
aumento degli investimenti pubblici dovrebbe stimolare la domanda
interna (e quindi l'inflazione), senza problemi per la stabilità
fiscale: il paese ha registrato un avanzo di bilancio nel 2013, con
il risultato che il rapporto del debito è sceso. In secondo luogo,
la Germania potrebbe ritirare la sua opposizione ad uno stimolo
monetario aggressivo da parte della BCE, che a sua volta stimoli
l'attività economica (e l'inflazione) in Germania. Il problema è
che uno stimolo fiscale di questo tipo sarebbe in contrasto col
dettato costituzionale tedesco del pareggio di bilancio. E ci sono
pochi segnali che la Germania possa accettare delle mosse aggressive
da parte della BCE per reflazionare l'economia della zona euro.
Da parte sua, la
Commissione deve smetterla di definire la competitività in termini
di tasso di cambio reale. La competitività definita in questo modo è
un gioco a somma zero: il 'guadagno' di un paese è la perdita di
un altro. Se la competitività sta a significare qualcosa di
positivo, questa è la produttività del lavoro o la produttività
totale dei fattori, non il tasso di cambio reale, che può cadere
semplicemente a causa della moderazione salariale che deprime la
domanda e porta a pressioni deflazionistiche. Gli stati membri
europei non possono contare sulla BCE, che venga in soccorso a
contrastare l'impatto deflazionistico dell'attuale corsa alla
competitività. Essi dovrebbero invece esigere che la Germania faccia
l'impensabile: perda competitività !
Simon Tilford è vice direttore del Centre for European Reform .
Un articolo importante per la chiarezza con cui spiega i fatti. Da imparare a memoria per tutte le volte che "ma la Germania è più brava".
RispondiEliminaOttima sintesi, anche se mi piacerebbe vedere i grafici sovrapposti competitività/cambio reale 1980-1999.
RispondiEliminaMa non è il grafico 2?..............Siamo parenti?
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