Su Strategic Culture un ampio resoconto di numerosi documenti declassificati delle forze di pace canadesi di stanza in Bosnia dimostra come le guerre per procura statunitensi siano caratterizzate da un modello ricorrente di operazioni sotto falsa bandiera e messe in scena a scopo propagandistico, con l'obiettivo di sabotare ogni possibile negoziato di pace e spianare la strada ai falchi della guerra della NATO.
Una serie di file di intelligence inviati dalle forze di
pace canadesi espongono operazioni segrete della CIA, spedizioni illegali di
armi, importazione di combattenti jihadisti, potenziali 'false flag' e messe in scena
su atrocità di guerra.
di Kit KLARENBERG e Tom SECKER, 30 dicembre, 2022
Il mito consolidato della guerra in Bosnia è che i
separatisti serbi, incoraggiati e diretti da Slobodan Milošević e dai suoi
accoliti a Belgrado, cercarono di impadronirsi con la forza del territorio
croato e bosniaco al fine della creazione di una "Grande Serbia"
irredentista. Ad ogni passo, hanno epurato i musulmani di quelle terre in un
genocidio deliberato e concertato, rifiutandosi a qualsiasi colloquio di pace
costruttivo.
Questa narrazione è stata diffusa in modo aggressivo dai
media mainstream dell'epoca e ulteriormente legittimata dal Tribunale penale
internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) creato dalle Nazioni Unite una volta
terminato il conflitto. Da allora nella coscienza occidentale questa storia è
diventata assiomatica e indiscutibile, rafforzando la sensazione che il
negoziato equivalga invariabilmente ad arrendevolezza, una mentalità che ha
consentito ai falchi della guerra della NATO di giustificare molteplici interventi militari negli
anni successivi.
Tuttavia, una vasta raccolta di cablogrammi di intelligence
inviati dalle truppe di peacekeeping canadesi in Bosnia al quartier generale della difesa
nazionale di Ottawa, pubblicato per la prima volta da Canada Declassified all'inizio del 2022, smaschera questa
narrazione come una cinica farsa.
I documenti offrono una visione ineguagliabile, di prima
mano e in tempo reale della guerra durante il suo svolgersi, con la prospettiva
di una pace che rapidamente svaniva, lasciando spazio a uno spargimento di
sangue che alla fine ha causato la fine dolorosa della Jugoslavia
multireligiosa e multietnica.
I soldati canadesi facevano parte di una più ampia Forza di
Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR) inviata nell'ex Jugoslavia nel 1992,
nella vana speranza che le tensioni non si trasformassero in una guerra totale
e che le parti potessero raggiungere un accordo amichevole. Questi soldati
rimasero fino alla fine, ben oltre il punto in cui la loro missione si ridusse
a un miserabile pericoloso fallimento.
L'analisi sempre più cupa della realtà sul campo da parte
delle forze di pace fornisce una prospettiva autentica e genuina della storia
della guerra che è stata in gran parte nascosta al pubblico. È una storia di
operazioni segrete della CIA, provocazioni letteralmente esplosive, spedizioni
illegali di armi, combattenti jihadisti importati, potenziali operazioni di false
flag e messa in scena di atrocità di guerra.
“Interferenze esterne
nel processo di pace”
È un fatto poco noto ma apertamente riconosciuto che gli
Stati Uniti hanno gettato le basi per la guerra in Bosnia, sabotando un accordo di pace negoziato dalla Comunità Europea all'inizio del 1992. Secondo gli auspici
di questo accordo, il Paese sarebbe stato una confederazione, divisa in tre
regioni semi-autonome su base etnica. Sebbene l’accordo fosse ancora
perfettibile, ciascuna delle parti generalmente otteneva ciò che voleva - in
particolare, l'autogoverno - e almeno godeva di un risultato senz’altro preferibile
rispetto al conflitto a tutto campo.
Tuttavia, il 28 marzo 1992, l'ambasciatore degli Stati Uniti
in Jugoslavia Warren Zimmerman incontrò il presidente bosniaco Alija
Izetbegovic, un musulmano bosniaco, per offrirgli il riconoscimento del paese
come stato indipendente da parte di Washington. Promise inoltre un sostegno
incondizionato nell'inevitabile guerra successiva, se la proposta comunitaria fosse
stata respinta. Ore dopo, Izetbegovic si mise sul sentiero di guerra e quasi
immediatamente scoppiarono i combattimenti.
Opinione comune vuole che gli americani fossero preoccupati
che il ruolo guida di Bruxelles nei negoziati avrebbe indebolito il prestigio
internazionale di Washington e avrebbe aiutato la futura Unione europea a
emergere come blocco di potere indipendente dopo il crollo del comunismo.
Sebbene tali preoccupazioni fossero senza dubbio sostenute
dai funzionari statunitensi, i cablogrammi UNPROFOR rivelano come fosse in
opera un'agenda molto più oscura. Washington voleva che la Jugoslavia fosse
ridotta in macerie e progettava di mettere in ginocchio i serbi con la
violenza, prolungando la guerra il più a lungo possibile. Per gli Stati Uniti,
i serbi erano il gruppo etnico più determinato a preservare l'esistenza della
fastidiosa repubblica indipendente.
Questi obiettivi sono stati raggiunti molto efficacemente grazie
all'assoluta assistenza di Washington ai bosniaci. Era un articolo di fede nel
mainstream occidentale dell'epoca, e lo è ancora oggi, che sia stata l'intransigenza
serba nei negoziati a bloccare il cammino verso la pace in Bosnia. Tuttavia, i
cablogrammi UNPROFOR chiariscono ripetutamente che non era così.
Nei cablogrammi inviati nel luglio-settembre 1993, epoca del
cessate il fuoco e del rinnovato tentativo di spartire amichevolmente il paese,
le forze di pace canadesi attribuiscono ripetutamente un atteggiamento ostinato
ai bosniaci, non ai serbi. Come afferma un estratto rappresentativo,
l'obiettivo "irraggiungibile" di "soddisfare le richieste
musulmane sarà un ostacolo insormontabile in qualsiasi colloquio di pace".
Vari passaggi fanno anche riferimento a come “delle
interferenze esterne nel processo di pace” “non hanno aiutato la situazione”
e “nessuna pace” può essere raggiunta
“se le parti esterne continuano a incoraggiare i musulmani a essere esigenti e
inflessibili nei negoziati”.
Per assistenza "esterna", UNPROFOR ovviamente
intendeva Washington. Il suo sostegno incondizionato ai bosniaci li ha motivati
a "[negoziare] come se avessero vinto la guerra", che fino a quel
momento avevano "perso".
"Incoraggiare Izetbegovic a insistere per ulteriori
concessioni" e "il chiaro desiderio degli Stati Uniti di revocare
l'embargo sulle armi ai musulmani e di bombardare i serbi sono seri ostacoli
alla fine dei combattimenti nell'ex Jugoslavia". Così è stato registrato dalleforze di pace il 7 settembre 1993.
Il giorno successivo, hanno riferito al quartier generale
che "i serbi sono stati i più conformi ai termini del cessate il
fuoco". Nel frattempo, Izetbegovic stava basando la sua posizione
negoziale su "l'immagine che veniva diffusa dei serbi come i
cattivi". Dal convalidare questa illusione ne conseguiva un vantaggio,
vale a dire, far precipitare gli attacchi aerei della NATO sulle aree serbe.
Questo è stato colto dagli operatori delle forze di pace:
“Non ci saranno colloqui seri a Ginevra finché Izetbegovic
crederà che saranno lanciati attacchi aerei contro i serbi. Questi attacchi aerei
rafforzeranno notevolmente la sua posizione e probabilmente lo renderanno ancor
meno collaborativo nei negoziati”.
Allo stesso tempo, i combattenti musulmani "non stavano
dando nessuna possibilità ai colloqui di pace, semplicemente ci davano dentro",
ed erano molto disposti e pronti ad aiutare Izetbegovic nel suo obiettivo.
Durante gli ultimi mesi del 1993, hanno lanciato innumerevoli bordate sul
territorio serbo in tutta la Bosnia, in violazione del cessate il fuoco.
A dicembre, quando le forze serbe da parte loro hanno
lanciato un loro "grande attacco", un cablogramma di quel mese
affermava che dall'inizio dell'estate "la maggior parte dell'attività
serba è stata difensiva o in risposta alle provocazioni musulmane".
Un cablogramma dell'UNPROFOR del 13 settembre ha rilevato
che a Sarajevo "le forze musulmane continuano a infiltrarsi nell'area del
Monte Igman e a bombardare quotidianamente le posizioni della BSA [Esercito
serbo-bosniaco] intorno alla città", l'"obiettivo prefissato" è
quello di "aumentare la simpatia occidentale provocando un incidente e
incolpando i serbi”.
Due giorni dopo, le "provocazioni" dell'esercito
serbo-bosniaco (BSA) erano continue, anche se "si dice che il BSA si sta muovendo
con moderazione". Quest'area è rimasta un obiettivo bosniaco chiave per
qualche tempo anche in seguito. Il volume di luglio-settembre si conclude con
un cablogramma minaccioso:
“L'occupazione da parte del BSA del Monte Igman non sta
influenzando negativamente la situazione a Sarajevo. È semplicemente una scusa
per Izetbegovic per ritardare i negoziati. Sono state le sue truppe a compiere
le peggiori trasgressori [enfasi aggiunta] dell'accordo di cessate il fuoco
[del 30 luglio]”.
Entrano i mujaheddin: “I musulmani non disdegnano di sparare
contro la loro stessa gente o sulle aree delle Nazioni Unite”
Durante il conflitto, i mujaheddin bosniaci hanno lavorato
incessantemente per intensificare la violenza. Musulmani provenienti da tutto
il mondo si sono riversati nel paese a partire dalla seconda metà del 1992,
intraprendendo la jihad contro croati e serbi. Molti avevano già acquisito
esperienza sul campo di battaglia afghano negli anni '80 e nei primi anni '90
dopo essere arrivati da gruppi fondamentalisti infiltrati dalla CIA e dal MI6
in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Per loro, la Jugoslavia era il successivo terreno di reclutamento.
I mujaheddin arrivavano spesso con "voli non ufficiali",
insieme a un flusso infinito di armi in violazione dell'embargo delle Nazioni
Unite. Questa è iniziata come un'operazione congiunta iraniana e turca, con il
sostegno finanziario dell'Arabia Saudita, anche se con l'aumento del volume di
armi gli Stati Uniti hanno preso il sopravvento, trasportando il carico mortale
verso l'aeroporto di Tuzla utilizzando flotte di aerei C-130 Hercules.
Le stime sui numeri dei mujaheddin bosniaci variano
notevolmente, ma il loro contributo fondamentale alla guerra civile sembra
chiaro. Il negoziatore statunitense per i Balcani Richard Holbrooke nel 2001
dichiarò che i bosniaci "non sarebbero sopravvissuti" senza il loro
aiuto, e definì il loro ruolo nel conflitto un "patto con il diavolo"
da cui Sarajevo non si sarebbe ripresa.
I combattenti mujaheddin non sono mai menzionati
esplicitamente nei cablogrammi UNPROFOR, e nemmeno i bosniaci – è usato
liberamente il termine “i musulmani”. Tuttavia, i riferimenti indiretti sono
abbondanti.
Un rapporto dell'intelligence dell'inverno 1993 osservava
che "i sistemi di comando e controllo deboli e decentralizzati" delle
tre parti opposte producevano "un'ampia proliferazione di armi e
l'esistenza di vari gruppi paramilitari ufficiali e non ufficiali, che spesso hanno
agende individuali e locali". Tra quei gruppi "non ufficiali"
c'erano i Mujahideen, ovviamente.
Più chiaramente, nel dicembre di quell'anno, le forze di
pace hanno registrato come David Owen, un ex politico britannico che ha servito
come capo negoziatore della Comunità europea nell'ex Jugoslavia, “era stato
condannato a morte per essere responsabile della morte di 130.000 musulmani in
Bosnia”, e la sentenza era stata “emessa dalla 'Corte d'Onore dei Musulmani'”.
Si sapeva che "45 persone erano impegnate in tutta Europa per eseguire la
sentenza".
Owen non era certamente responsabile della morte di 130.000
musulmani, dato che nel corso della guerra non sono stati uccisi neanche
lontanamente in totale così tanti bosniaci, croati e serbi. Ciononostante gli
estremisti religiosi bosniaci, con la loro rete di agenti in tutto il
continente pronti a eseguire la fatwa, nella narrazione sono stati considerati come
una "corte d'onore".
In seguito a questo incidente, che non è mai stato rivelato
pubblicamente in precedenza, ci sono segnalazioni di "musulmani" che
preparano provocazioni sotto falsa bandiera. Nel gennaio 1994, un cablogramma
osservava:
“I musulmani non disdegnano di sparare contro la loro stessa
gente o aree delle Nazioni Unite e poi affermano che i serbi sono i colpevoli
per guadagnarsi ulteriormente le simpatie occidentali. I musulmani spesso posizionano
la loro artiglieria estremamente vicino agli edifici delle Nazioni Unite e ad
aree sensibili come gli ospedali, nella speranza che il fuoco di controartiglieria
serbo colpisca questi siti sotto lo sguardo dei media internazionali”.

Un altro cablogramma registra come "truppe musulmane
mascherate da forze delle Nazioni Unite" fossero state avvistate con
addosso i caschi blu dell'UNPROFOR e "un abbigliamento da combattimento misto
norvegese/britannico", alla guida di veicoli dipinti di bianco e
contrassegnati ONU. Il direttore generale delle forze di pace temeva che se
tale connivenza fosse diventata "diffusa" o "utilizzata per
l'infiltrazione nelle linee croate", avrebbe "aumentato notevolmente
le possibilità che le legittime forze delle Nazioni Unite fossero prese di mira
dai croati".
"Questo potrebbe essere esattamente ciò che vogliono i
musulmani, possibilmente per poter fare ulteriori pressioni per attacchi aerei
sui croati", aggiunge il cablogramma.
Quello stesso mese, cablogrammi UNPROFOR ipotizzavano che
"i musulmani" avrebbero preso di mira l'aeroporto di Sarajevo,
destinazione degli aiuti umanitari ai bosniaci, con un attacco false flag. Poiché in uno scenario del
genere "i serbi sarebbero gli ovvi colpevoli, i musulmani ne otterrebbero
una buona propaganda ", ed era "quindi molto allettante per i
musulmani condurre i bombardamenti e dare la colpa ai serbi.”
Guerre per procura
statunitensi, allora e adesso
In questo contesto, i cablogrammi relativi al massacro di
Markale colpiscono in modo particolare. Il 5 febbraio 1994 un'esplosione
distrusse un mercato civile, provocando 68 morti e 144 feriti.
La responsabilità dell'attacco - e i mezzi con cui è stato
eseguito - sono stati da allora oggetto di accese contestazioni, con indagini
ufficiali distinte che hanno prodotto risultati inconcludenti. Le Nazioni Unite
all'epoca non sono state in grado attribuire la responsabilità dell’attentato,
sebbene allora le truppe dell'UNPROFOR abbiano testimoniato di sospettare
che la responsabilità fosse della parte bosniaca.
Di conseguenza, i cablogrammi di questo periodo fanno
riferimento ad "aspetti inquietanti" dell'evento, compresi i
giornalisti "indirizzati sulla scena così rapidamente" e "una
presenza molto visibile dell'esercito musulmano nell'area".
"Sappiamo che in passato i musulmani hanno sparato sui
propri civili e sull'aeroporto per attirare l'attenzione dei media", ha
concluso uno. Un promemoria successivo osserva: “Le forze musulmane al di fuori
di Sarajevo, in passato, hanno piazzato esplosivi ad alto potenziale nelle loro
stesse posizioni e poi li hanno fatti esplodere sotto lo sguardo dei media,
rivendicando un bombardamento serbo. Questo è stato poi usato come pretesto per
il 'contrattacco' dei musulmani e gli attacchi ai serbi”.
Tuttavia, nella sua sentenza di condanna del 2003 del generale serbo
Stanislav Galić per il suo ruolo nell'assedio di Sarajevo, l'ICTY (International
Criminal Tribunal for the former Yugoslavia) ha concluso che il massacro è
stato deliberatamente perpetrato dalle forze serbe, con una sentenza di appello.
Gli autori di questo articolo non esprimono alcun giudizio
su ciò che accadde o non accadde a Markale quel fatidico giorno. Tuttavia,
l'oscurità che circonda l'evento prefigura uno di quegli eventi cruciali che sono serviti a giustificare l'escalation in ogni successiva guerra per procura occidentale,
dall'Iraq alla Libia, alla Siria, all'Ucraina.
Dall'inizio della guerra per procura in Ucraina questo 24
febbraio, crimini di guerra deliberati, incidenti reali interpretati in modo
fuorviante come crimini di guerra ed eventi potenzialmente messi in scena, sono
praticamente un fenomeno quotidiano, insieme a scambi di accuse e controdeduzioni
di colpevolezza. In alcuni casi, i funzionari di una parte sono persino passati
dal celebrare e rivendicare il merito di un attacco ad incolpare l'altra parte nel
giro di pochi giorni o semplicemente poche ore. Sostanza e spin sono diventati
inseparabili, se non simbiotici.
Negli anni a venire, chi ha fatto cosa a chi e quando
potrebbe benissimo diventare materia decisa nei tribunali internazionali, secondo
il modello dell'ICTY. Ci sono già iniziative per istituire un organismo simile
una volta terminata la guerra in Ucraina.
Dei parlamentari nei Paesi Bassi hanno chiesto che Vladimir
Putin sia processato all'Aia. Il ministero degli Esteri francese ha chiesto la
creazione di un tribunale speciale. La ONG Truth Hounds, con sede a Kiev,
raccoglie ogni giorno prove di presunte atrocità russe in tutto il paese, al
servizio di un tribunale internazionale.
Non ci possono essere dubbi sul fatto che sia le forze di
Kiev che quelle di Mosca abbiano commesso atrocità e ucciso civili in questo
conflitto, così come è indiscutibile che tutte e tre le parti nella guerra in
Bosnia si siano rese colpevoli di atti atroci e massacri di persone innocenti
e/o indifese. È ragionevole presumere che la ferocia diventerà sempre più
spietata man mano che la guerra in Ucraina andrà avanti, esattamente come durante
la disgregazione della Jugoslavia.
Non è certo quanto dureranno i combattimenti, anche se i
funzionari dell'UE e della NATO hanno previsto che potrebbero durare diversi
anni e le potenze occidentali intendono chiaramente mantenere attiva la guerra
per procura il più a lungo possibile. L'11 ottobre, il Washington Post ha riferito che gli Stati Uniti hanno ammesso privatamente che Kiev non era in
grado di "vincere la guerra a titolo definitivo", ma avevano anche
"escluso l'idea di spingere o almeno incoraggiare l'Ucraina a sedersi al
tavolo dei negoziati".
Ciò evidenzia un altro mito sorto a seguito delle guerre
jugoslave e che dura ancora oggi. È opinione diffusa che i negoziati e i
tentativi di garantire una soluzione pacifica abbiano solo incoraggiato gli
"aggressori" serbi.
Questo pericoloso mito è servito da giustificazione per ogni
sorta di distruttivi interventi occidentali. I cittadini di questi paesi vivono
ancora oggi le conseguenze di quelle azioni, spesso come migranti fuggiti
da città e paesi bruciati dalle guerre per il cambio di regime.
Persiste anche un'altra eredità tossica delle guerre
balcaniche: la preoccupazione degli occidentali per la vita umana dipende da
quale parte si schiereranno i loro governi in un dato conflitto. Come
dimostrano i cablogrammi canadesi dell'UNPROFOR, gli Stati Uniti e i loro alleati
hanno coltivato il sostegno alle loro guerre nascondendo una realtà documentata
in dettaglio anche dai loro stessi militari.
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