29/07/19

Trump: gli Usa possono fare cinque volte meglio con il Regno Unito che con l'Ue

Da un discorso del presidente Trump alla Casa Bianca si può trarre un monito per i burocrati dell'Unione europea sempre convinti di essere l'ombelico del mondo: dopo la Brexit il Regno Unito non si ritroverà solo. Ammesso e non concesso che nella trattativa tra Regno Unito e UE sia davvero quest'ultima ad avere il coltello dalla parte del manico. E sia davvero in grado di imporre al Regno Unito le sue condizioni.

 

 

 

 

Di Breaking the news, 27 luglio 2019

 

Il Regno Unito aveva bisogno che Boris Johnson diventasse primo ministro "da molto tempo", ha dichiarato oggi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e ha preconizzato che il nuovo leader sarà "grande" nel suo ruolo. In un discorso tenuto alla Casa Bianca, ha continuato affermando che la sua amministrazione può raggiungere risultati "da tre a quattro o cinque volte maggiori" nelle relazioni bilaterali con la Gran Bretagna che con l'Unione europea.

 

Nel mezzo dell'impasse politico successivo al referendum sulla Brexit nel giugno 2016, Johnson è salito al potere promettendo che avrebbe realizzato l'abbandono dell'UE anche senza accordi con il resto del blocco sulle relazioni future. Gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno già discutendo di un accordo commerciale bilaterale, secondo Trump, che ha continuato dicendo che il suo paese è stato "ostacolato" dai legami della Gran Bretagna con l'UE. Ha detto di avere chiamato Johnson immediatamente prima per congratularsi con lui.

 

Il capo dello stato americano ha affermato di aver promesso alla sua controparte un regime di libero scambio "molto completo". Trump ha sospeso i colloqui commerciali con l'UE quando è salito al potere; ora è difficile dire se il Regno Unito avrebbe un potere contrattuale maggiore dell'intero blocco. L'ufficio di Johnson ha dichiarato di aver discusso della crisi riguardante le sanzioni contro l'Iran.

27/07/19

Negli Stati Usa con salario minimo elevato l'economia va a gonfie vele

Dopo l'approvazione all'inizio di luglio da parte della Camera USA del "Raise The Wage Act", una legge che intende portare il salario minimo a 15 dollari all'ora in tutta la nazione - e che ben difficilmente supererà lo scoglio del Senato - si è riacceso il dibattito sul tema. Sorpresa: un confronto tra i dati dei diversi Stati americani pubblicato da Bloomberg mostra che alzare il salario minimo non comporta né un aumento della disoccupazione né danni all'economia. Anzi, i dati degli ultimi dieci anni sembrano mostrare proprio il contrario: che pagare meglio i lavoratori giova all'economia in generale. E adesso andatelo a dire ai profeti europei dell'austerity e delle "riforme strutturali", che da anni propalano teorie sbagliate che danneggiano i lavoratori e affondano l'economia a spese di tutti. 

 

 

di Matthew A. Winkler, 26 luglio 2019

 

L'esperienza recente dimostra che l'innalzamento del minimo salariale non impedisce alle economie forti di espandersi.

 

Quando la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti all'inizio di questo mese ha votato con 231 voti a favore e 199 contro (hanno votato a favore tutti i democratici tranne sei e solo tre repubblicani) l'aumento graduale del salario minimo federale fino ad arrivare a 15 dollari all'ora entro il 2025, la misura è stata salutata come una vittoria a lungo inseguita dai liberals. Ma data per morta al successivo passaggio in Senato, dove i repubblicani in maggioranza restano contrari alla norma, che considerano un killer di posti di lavoro.

 

La politica sul salario minimo non sembra mai cambiare molto, con i liberals che si presume  parlino a nome del lavoro e i conservatori a favore del capitale.

 

Ma che cosa accadrebbe se un contesto e una prospettiva adeguati potessero dimostrare che la misura della Camera, intitolata "Raise the Wage Act" ed ispirata alla lotta del 2012 dei lavoratori dei fast-food di New York per portare a 15 dollari all'ora il salario minimo, potrebbe portare benefici sia al capitale sia al lavoro?

 

L'ultimo aumento del salario minimo federale  è stato nel 2009,  a 7,25 dollari  all'ora.

 

 

Andamento del salario minimo federale



 

Da allora, 29 stati hanno approvato salari minimi al di sopra del livello federale. California, New York e Washington sono stati tra i primi a iniziare gradualmente a passare a una tariffa oraria di 15 dollari, e secondo i dati raccolti da Bloomberg le loro economie si sono espanse, con maggiori incrementi del reddito pro-capite, crescita dell'occupazione e della spesa dei consumatori rispetto ai 21 stati rimasti fermi sui 7,25 dollari. Dal 2015, le economie con i salari minimi più elevati si sono dimostrate sostanzialmente più forti rispetto al resto degli Stati Uniti.

 

 

Regolamentazione del salario minimo nei diversi Stati (al 1° luglio 2019)



 

Anche dopo che l'ufficio di bilancio del Congresso (Congressional Budget Office - CBO) ha dichiarato  questo mese che la legge proposta dalla Camera avrebbe sollevato 1,3 milioni di americani dalla povertà e avrebbe dato a 27 milioni di lavoratori un livello di vita più elevato, i repubblicani si sono attaccati alla previsione dello stesso CBO, che 1,3 milioni di persone, ovvero lo 0,8% della forza lavoro, sarebbe stata ridotta alla disoccupazione. La rappresentante della Carolina del Nord Virginia Foxx, che ha gestito l'opposizione alla proposta di legge alla Camera, ha affermato che la legislazione è "socialista" e "estranea alla cultura americana". Autorità più moderate, incluso il mio collega di Bloomberg Karl W. Smith, hanno affermato che il calcolo del CBO "ignora la possibilità che siano limitate le opportunità per i lavoratori più emarginati" e che "praticamente tutti gli economisti" concordano sul fatto che "forti aumenti del salario minimo hanno grandi probabilità di tradursi in una riduzione dell'occupazione".

 

 

La storia recente però è stata più incoraggiante. Tra i dieci stati con i tassi di occupazione in più rapida crescita dal 2015, solo tre sono nel gruppo con salario minimo basso: Utah, Idaho e Carolina del Sud. Negli Stati con salari minimi più elevati i posti di lavoro stanno aumentando a un ritmo più elevato rispetto ai loro pari con salari minimi inferiori. Ciò si riflette nel precedente quinquennio, quando metà dei primi dieci erano stati con i salari minimi più bassi, secondo i dati compilati da Bloomberg.

 

Dal 2015, sei dei dieci stati con la crescita dell'occupazione più lenta sono nel gruppo dei paesi con salario minimo basso: North Carolina, Wyoming, Louisiana, Oklahoma, Kansas e Iowa. Durante i cinque anni precedenti solo tre dei dieci stati a più lenta crescita erano tra quelli con salari minimi bassi. Questa dicotomia riflette l'andamento tendenziale degli stati a basso salario minimo, che soffrono di un mercato del lavoro in calo rispetto agli stati con salari minimi più alti, secondo i dati raccolti da Bloomberg.

 

 

Niente di questo è sufficiente a dimostrare che l'innalzamento del salario minimo crei ricchezza, o anche che chi è contrario sbagli a preoccuparsi dei possibili svantaggi. Suggerisce, tuttavia, che gli stati con economie forti non subiranno effetti negativi abbastanza potenti da contrastare i benefici. Solo tre dei dieci stati in cui il reddito individuale sta crescendo più velocemente si trovano nel gruppo di quelli a basso salario minimo: Idaho, Utah e Carolina del Sud. Questi stati, che sono presenti anche tra i dieci stati dove l'occupazione è in più rapida crescita dal 2015, hanno il vantaggio di ospitare datori di lavoro multinazionali come Boeing, Goldman Sachs Group e Micron Technology, che offrono indennità e vantaggi a livello globale che superano di gran lunga qualsiasi salario minimo.

 

 

Dal 2009 al 2014, sei tra i primi dieci nella classifica dei redditi pro capite provengono dagli stati con salario minimo più basso, secondo i dati raccolti da Bloomberg. Dal 2015, invece, sette dei dieci stati in cui il reddito cresce più lentamente sono tra quelli con i salari minimi più bassi: Nord Dakota, Oklahoma, Wyoming, Louisiana, Kansas, Mississippi e Iowa. Gli Stati con salari minimi bassi hanno mostrato una tendenza, negli ultimi anni, a sottoperformare rispetto a quelli con salari minimi più elevati, secondo i dati compilati da Bloomberg.

 

Quando la California ha stabilito il suo salario minimo di 15 dollari all'ora, tre anni fa, la previsione degli oppositori era che la nuova legge avrebbe aumentato la disoccupazione e danneggiato vendite al dettaglio e ristoranti. Invece, lo stato più grande, con quasi 40 milioni di persone, ha registrato un record di bassa disoccupazione, al 4,2%, e un aumento del reddito pro-capite maggiore di qualsiasi altro stato negli ultimi cinque anni. Il settore alberghiero e dei servizi di ristorazione è stato particolarmente vivace, secondo i dati raccolti da Bloomberg.

 

Secondo i dati raccolti da Bloomberg, tra i dieci stati che negli ultimi cinque anni hanno visto la maggiore crescita delle società alberghiere e dei servizi di ristorazione, otto sono tra quelli con i salari minimi più elevati, guidati da California, Colorado, Massachusetts e New York. I dati di Bloomberg mostrano anche che le attività di vendita al dettaglio negli stessi stati con salari minimi alti hanno registrato una forte crescita dal 2015, con Washington che ha registrato il maggior aumento, 12,7 miliardi di dollari, seguito dai 12,4 miliardi di dollari della California.

 

 

Quattro anni fa Dave Regan, presidente di un sindacato di 85.000 lavoratori ospedalieri della California, ha dichiarato ai lettori di USA Today che gli oppositori del salario minimo di 15 dollari all'ora “ignorano il fatto che aumentare il salario rafforza le economie locali aiutando i lavoratori e le loro famiglie a salire lungo la scala del benessere". Salari minimi più elevati, ha affermato, "mettono più soldi nelle tasche dei lavoratori, soldi che questi spendono nelle imprese locali, a loro volta aiutando queste imprese a crescere e creare più posti di lavoro".

 

 

Forse questo rapporto di causa-effetto è corretto o forse no. Questa è una buona questione da porre agli economisti. Mentre aspettiamo le loro risposte, però, siamo già d'accordo sul fatto che l'aumento dei salari minimi e il miglioramento dell'andamento dell'economia possono sicuramente andare di pari passo.

 

24/07/19

Boris Johnson sarà presto il leader più popolare al mondo

Molti media hanno tentato di demonizzare la figura di Boris Johnson, neo Primo ministro inglese, descrivendolo come un buffone incapace. In realtà, come osserva The Spectator, è un uomo originale, intelligente, piacevole e umile. Possiede una grande cultura e ha idee chiare e attributi per portarle avanti con decisione. Il nuovo Primo ministro sarà per la UE un interlocutore molto più duro di Theresa May nei negoziati per la Brexit, anche perché la sua personalità rende molto più credibile la prospettiva del “piano B”, ossia di una uscita del Regno Unito senza accordi, che aprirebbe un periodo di grandi incertezze, ma garantirebbe il rispetto della volontà popolare britannica espressa nel relativo referendum.

 

 

Di Lloyd Evans, 22 luglio 2019

 

 

C’è ormai una sola persona in Gran Bretagna che crede che Boris potrebbe privarci del piacere di un governo targato Jeremy Hunt. Quella persona è Jeremy Hunt. Noi tutti ci aspettiamo che il progetto “Ambizione Bionda” raggiunga la sua realizzazione e che Boris entri al numero 10 di Downing Street.

 

La cosa non sorprenderà chi lo conosce. La natura lo ha sempre segnato. Anche come studente del primo anno a Balliol, a 18 anni, era stranamente appariscente: le guance rubiconde, la postura un po' curva e spavalda, la voce tonante da Duca di Wellington e quella strana capigliatura bianca che incoronava la sua testa come un riflettore celeste. Si è sempre fatto notare.

 

La gente dice che non sa "curare i dettagli". Ma nessuno passa quattro anni a studiare i classici a Oxford se non ha la capacità di assorbire e tenere a mente una massa di informazioni astratte. Il direttore di Balliol, Sir Anthony Kenny, insegnava l'etica nicomachea di Aristotele citando ampi stralci dell'originale e invitando i suoi studenti a confrontare un paragrafo con l’altro. Nelle sue lezioni parlava più greco che inglese.

 

Il punto, sui dettagli, è che Boris li trova facili da padroneggiare. Non gli viene in mente che gli altri potrebbero faticare. Forse lo annoia, perfino. Perdersi in minuzie è per i secchioni, dopo tutto. La sua missione, come leader, è quella di proiettare fiducia e ottimismo dall'alto. Dopo tre anni della Signora Indecisa (Theresa May, NdVdE) abbiamo bisogno di un po' di coraggio e di attributi al numero 10, chiarezza di obiettivi e di propensione all'attacco.

 

È curioso che la maggior parte del pubblico creda di conoscere già Boris. Molti probabilmente pensano a lui come a uno sfacciato, egocentrico burlone che domina ogni conversazione con una serie di aneddoti e frasi fatte - come un Oscar Wilde albino.

 

Niente affatto. È modesto e persino timido a tavola. Parla solo con i più vicini a lui e non trasforma mai un evento sociale in un monologo. È un grande ascoltatore. Si guadagna la fiducia delle persone rivelando qualcosa di personale. "Sono un po' preoccupato per i miei figli," mi disse una volta, quando i suoi figli si stavano avvicinando all’adolescenza. "Non sono sicuro che mi rispettino."

 

Mi chiese un consiglio su come trattare con i giovani arroganti. Immediatamente, mi sentii un esperto di educazione familiare. È stato solo un trucco? Forse. Ma efficace. Boris può navigare la psicologia di un individuo e trovare molto agevolmente il tasto per coinvolgerlo. Antenne così finemente sintonizzate sono rare.

Alcuni anni fa mi ha tormentato perché scrivessi una storia su un embargo del carburante che ero riluttante a trattare. "Mi dispiace, Boris, sto scrivendo una commedia. Quello di cui questa storia ha bisogno è un cacciatore di notizie."

 

"No no," mi ha detto, con un pizzico di autoironia, "quello di cui questa storia ha bisogno è un ARTISTA!"

Naturalmente, ho lasciato da parte la commedia e ho scritto la storia. Perché ho ceduto? Forse perché l'adulazione era così palese. Ma sapevo anche che unirmi a Boris in qualsiasi impresa sarebbe valso una bella risata. È del tutto imprevedibile. Scherzi, burle e idee originali – "wheezes" come li chiama lui – gli escono in continuazione.

 

Può sembrare un tratto disastroso per un primo ministro, ma con i negoziati sulla Brexit in ballo, potrebbe darci un vantaggio cruciale. L'amore di Boris per le furbizie e la sua vena anarchica renderanno la sua minaccia di una Brexit senza accordo una prospettiva credibile.

 

I burocrati UE non saranno in grado di decifrarlo. Questo non farà loro piacere. E saranno piuttosto sconcertati nello scoprire che non potranno fare a meno di apprezzarlo. La maggior parte delle persone che lo detesta non lo ha mai incontrato. Chiunque entri nella sua orbita si ritrova colpito dalla sua curiosa presenza da gatto sornione. Gli piacciono le persone. E le persone lo ricambiano. Da questo punto di vista è più un Reagan che un Trump. Si lavorerà i capi di stato e i cancellieri che sta per incontrare. Entro l'autunno, avremo il leader più popolare del mondo.

 

 

 

 

23/07/19

FT - Non trattate il FMI come un premio di consolazione per la UE

Senza peli sulla lingua, Wolfgang Münchau boccia categoricamente il principale candidato in pectore UE al ruolo di direttore del Fondo Monetario Internazionale, Jeroen Dijsselbloem, e sollecita gli altri Stati membri del Fondo a bloccarlo, per impedire che si diffondano nel mondo le perniciose politiche dell'eurozona, basate su quella che è stata la tregedia degli ultimi anni, l'austerità. Dal Financial Times.


 

 

 

Di Wolfgang Münchau, 21 luglio 2019


 

 

Il mondo ha bisogno di un rimpiazzo forte per la Lagarde. 

Ancora una volta l'UE insiste su un candidato europeo per l'incarico di direttore dell'FMI. L'ultima volta, nel 2011, ho sostenuto una candidata del genere, Christine Lagarde, che ha ottenuto il posto. Si è appena dimessa per subentrare a Mario Draghi come presidente della Banca centrale europea a novembre. L' FMI sta cercando un sostituto.


 

Otto anni fa, ho sostenuto che Christine Lagarde era nella posizione migliore per gestire il singolo più grande compito che il FMI ha affrontato in questo decennio: assicurare che la zona euro contasse su un certo sostegno professionale durante i suoi anni di crisi e prevenire ricadute sul resto dell'economia globale.


 

Una cosa è che l'UE insista sul proprio candidato quando ne ha uno buono, come nel 2011. Tutt'altro quando così non è. La scorsa settimana i funzionari europei hanno preso in considerazione una rosa di candidati. Tra i primi c'era Jeroen Dijsselbloem, ex ministro delle Finanze olandese e capo dell'Eurogruppo che riunisce i suoi colleghi dell'eurozona. Sia lui sia diversi degli altri candidati nella lista hanno molto di cui rispondere. Hanno promosso l'austerità durante la crisi dell'eurozona. Dijsselbloem è famoso per avere accusato i paesi in crisi di spendere i loro soldi in "alcol e donne".
I ministri delle Finanze dell'UE sembrano preferirlo a Mark Carney, il governatore uscente della Bank of England. Dijsselbloem è più simile a loro. È cittadino di un paese dell'eurozona. A dire il vero lo è anche Carney, nato in Canada ma con due passaporti europei, di Irlanda e Regno Unito. Ma i ministri dell'UE non lo considerano abbastanza europeo per il ruolo. Potrebbero anche dirgli di tornarsene da dove è venuto.
Un altro argomento fallace a favore di Dijsselbloem è che è un socialista. I socialisti non hanno ottenuto abbastanza, rispetto a quanto speravano, nel recente mercato delle cariche UE che ha portato alla nomina, tra gli altri, della Lagarde. E quindi meritano un compenso. Il posto al FMI è il premio di consolazione perfetto.

 

Nel momento in cui scrivo, l'UE non ha ancora preso una decisione in merito al candidato che intende sostenere. Se l'eurozona nominasse Dijsselbloem o qualcun altro che abbia avuto ruoli operativi di spicco nel periodo della crisi, consiglierei agli altri stati membri dell'FMI di sostenere un proprio candidato. Oltre a Carney, c'è Agustín Carstens, l'economista messicano attualmente direttore generale della Bank of International Settlements.

Se Boris Johnson diventasse Primo ministro britannico questa settimana, come sembra probabile, dovrebbe associarsi a Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, per sostenere un candidato congiunto USA / Regno Unito. C'è un forte interesse generale nell'impedire all'eurozona di esportare i suoi politici più tossici - e le loro politiche - nel resto del mondo.


 

A mio parere, il problema di molti dei principali responsabili politici dell'UE è un profondo analfabetismo economico. L'austerità è stata una delle grandi tragedie politiche del nostro tempo. È ciò che sta dietro  l'ascesa della Lega, partito populista, in Italia. Il partito di Matteo Salvini è sull'orlo di una presa di potere senza precedenti.

Ursula von der Leyen, presidente eletto della Commissione europea, ci ha dato una rappresentazione quasi comica di analfabetismo economico durante una delle sue udienze, quando è stata interrogata da un parlamentare verde sul surplus delle partite correnti della Germania. La traduzione letterale tedesca è "performance surplus". La risposta incoerente della von der Leyen ha rivelato che lei, come Trump, considera il surplus delle partite correnti come una misura di performance positiva.


 

Questo è il livello al quale stiamo discutendo la politica economica nell'eurozona. È questa la mentalità che ci ha portato il fiscal compact, una serie di regole per costringere i paesi ad allinearsi a uno specifico obiettivo numerico per il rapporto tra debito e PIL. Ci ha portato lo stop al debito tedesco, una regola costituzionale di pareggio di bilancio che ha finito per produrre persistenti surplus. E ha portato Dijsselbloem nella lista dei candidati. Non c'è molto che il resto del mondo possa fare riguardo alle infelici scelte politiche dell'eurozona. Ma può, e dovrebbe, rifiutarsi di premiare i responsabili di queste politiche con i ruoli più ambiti nella finanza internazionale.

 

Le competenze necessarie al prossimo direttore generale dell'FMI saranno diverse da quelle richieste otto anni fa. Il candidato di successo dovrà fare i conti con guerre commerciali e valutarie, confini incerti tra politiche fiscali e monetarie, nuovi tipi di crisi finanziarie e  valute digitali.

Il prossimo decennio potrebbe vedere profondi cambiamenti nel sistema monetario internazionale. È evidente che i ministri delle Finanze dell'eurozona non danno la priorità a questi argomenti nelle loro discussioni sui ruoli più importanti. Per loro, il punto è se uno proviene dall'eurozona o no, da sinistra o da destra, da nord o da sud.


 

Il mondo ha bisogno di una persona di prim'ordine per gestire il FMI. Non dovrebbe consentire all'Europa di trattare il Fondo come una discarica per funzionari arrivati alla frutta.

18/07/19

Regno Unito: il mercato del lavoro teso provoca l'aumento di salari più veloce dal 2008

Niente da fare, la realtà si rifiuta di adattarsi alle fosche previsioni sulla Brexit propalate da istituzioni e media. La disoccupazione nel Regno Unito crolla al livello minimo da 40 anni, mentre una prematuramente sepolta curva di Phillips risorge dalle sue ceneri: i salari crescono alla velocità massima in oltre un decennio. Magari prima o poi arriveranno le cavallette, ma per ora i redditi reali dei lavoratori nel Regno Unito sono aumentati. Da Bloomberg.


Di David Goodman, 16 luglio 2019


La crescita salariale di base del 3,6% oggi supera facilmente l'inflazione del 2%.


Il mercato del lavoro potrebbe essere vicino a uno stallo, dal momento che l'economia sta aumentando i posti di lavoro in misura minore.


Le retribuzioni nel Regno Unito nel trimestre conclusosi a maggio scorso sono cresciute al ritmo più rapido degli ultimi 11 anni, mentre la disoccupazione è rimasta al livello più basso dalla metà degli anni 70.


I guadagni medi - bonus esclusi - sono aumentati del 3,6%, secondo quanto ha reso pubblico l'Ufficio nazionale di statistica martedì. Il numero di persone occupate è aumentato di 28.000 unità, un livello record, portando il tasso di disoccupazione al suo livello minimo da 44 anni, 3,8%.





Punti principali


Le cifre sottolineano la vivacità del mercato del lavoro, che ha stimolato la spesa dei consumatori e ha costretto i datori di lavoro a contendersi il personale.


La crescita dei salari di base è stata superiore al 3,5% previsto dagli economisti in un'indagine di Bloomberg. La retribuzione totale è aumentata del 3,4%, sostenuta dagli accordi presi nel Servizio Sanitario Nazionale e, in misura minore, dall'aumento del 4,9% di aprile del salario minimo.


La crescita complessiva dei salari del settore pubblico è stata del 3,6%, la maggiore dal 2010, e le retribuzioni del settore privato sono aumentate del 3,4%.
La crescita dei salari continua a superare l'inflazione dei prezzi al consumo, che in media è stata del 2% durante lo stesso periodo. I redditi reali stanno crescendo al ritmo più veloce dalla fine del 2016.


Vi sono tuttavia alcuni segnali che indicano che il mercato del lavoro potrebbe rallentare. La crescita dell'occupazione è stata la più debole dall'estate del 2018, abbassando il tasso di occupazione, e i posti vacanti sono scesi al livello più basso dell'anno.


La domanda è se il ritmo più lento della creazione di posti di lavoro rifletta una richiesta più debole di lavoratori o il fatto che le imprese fatichino a trovare personale adeguato. Il lavoro autonomo part-time ha rappresentato quasi tutto l'aumento, in quanto il numero di dipendenti è diminuito. L'inattività economica è aumentata.




 Qualche dato in più


La forte crescita dell'occupazione ha diminuito la produttività, poiché l'occupazione aumenta più rapidamente della produzione economica.

 

Le ore totali lavorate sono aumentate dell'1,9% rispetto all' anno prima tra marzo e maggio, mentre i dati della scorsa settimana hanno mostrato un aumento del PIL di appena l'1,7%.


I timori per la pressione del mercato del lavoro sui costi sono messi in ombra dalla minaccia di una Brexit senza accordi e dalle preoccupazioni per il rallentamento globale. Gli investitori ritengono che un taglio dei tassi da parte della Banca d'Inghilterra sia più probabile di un aumento.

Gli USA indagano i rapporti di Deutsche Bank con la malese 1MDB dopo che questa è stata coinvolta da Goldman Sachs

Proseguono ininterrottamente i guai di Deutsche Bank. Come riporta Zerohedge, il colosso tedesco è invischiato in due nuovi e dirompenti scandali, che rischiano di mettere già in crisi il programma di ristrutturazione “lacrime e sangue” appena varato, e che già prevede il taglio di un lavoratore su cinque.

 

 

10 luglio 2019

 

All’interno delle stanze di Deutsche Bank quando piove è un diluvio universale.

 

Proprio quando sembrava che la più grande (anche se non per molto) banca tedesca, già alle prese con i più estesi licenziamenti dai tempi di Lehmann, non potesse più sopportare ulteriori cattive notizie, ecco che il governo USA comunica un’altra potenziale indagine penale, stavolta riguardante il coinvolgimento di Deutsche Bank nello scandalo tentacolare della frode multimiliardaria malese che ha travolto un Primo Ministro, ha fatto crollare il valore di borsa di Goldman Sachs e si è propagato da Hollywood a Wall Street.

 

Second il Wall Street Journal, il Dipartimento della Giustizia americano sta indagando se la Banca Tedesca ha violato le leggi riguardo alla corruzione internazionale o alla normativa anti-riciclaggio nel suo rapporto con il Fondo 1Malesia Development Bhd, meglio noto come 1MDB, incluso aiutare il fondo a prendere 1,2 miliardi di dollari nel 2014 mentre iniziavano a circolare preoccupazioni riguardo la sua gestione e le sue finanze.

 

Perciò, com’è che Deutsche Bank si trova invischiata in un altro scandalo? Si è scoperto che DB è stata tirata in ballo dall’ex Goldman Tim Leissner, l’uomo da cui ha avuto origine lo scandalo 1MDB, e che è costato a Goldman miliardi di dollari in capitalizzazione di mercato, dato che le sue azioni sono crollate lo scorso anno quando è emerso il suo coinvolgimento nel più grande scandalo di corruzione della Malesia, che secondo alcuni è costato a Lloyd Blankfein il licenziamento.

 

Oggi sappiamo che Leissner sta cooperando con le autorità, e tra i suoi compiti di “buon samaritano” ha deciso di invischiare l’unica banca con più scheletri nell’armadio di Goldman: Deutsche Bank. Come abbiamo ampiamente riportato in passato, gli inquirenti hanno investigato cose simili presso Goldman, dove Leissner, un ex direttore gestionale, si è dichiarato colpevole lo scorso anno e ha ammesso di aver aiutato a sottrarre miliardi di dollari dal fondo.

 

Per coloro che non li conoscono, un veloce sommario degli eventi: 1MDB, un fondo sovrano, si è trovato al centro di un enorme scandalo globale dopo che miliardi di dollari sono stati ad esso sottratti tra il 2009 e il 2014, portando a numerose indagini governative e alla caduta dell’ex Primo Ministro malese Najib Razak, che era particolarmente vicino all’ex Presidente degli USA, Barak Obama.

 

Il Dipartimento di Giustizia disse che il totale dei soldi sottratti è stato di almeno 4,5 miliardi di dollari e che furono usati per pagare tangenti a funzionari governativi, per riempire un fondo nero controllato dall’ex Primo Ministro e di acquistare centinaia di milioni di dollari in beni di lusso, inclusi gioielli, oggetti d’arte e proprietà immobiliari.

 

Quindi effettivamente, c’era da aspettarsi che Deutsche Bank fosse coinvolta.

 

Ma cosa hanno ottenuto in cambio Goldman, e Leissner? Apparentemente, un accordo. Dal WSJ:

 

Nel frattempo, il Dipartimento di Giustizia sta per iniziare a breve le negoziazioni con Goldman per cercare di far cadere le accuse attraverso un accordo di colpevolezza, secondo un funzionario esperto. “Ci aspettiamo di cominciare discussioni importanti con Goldman nel prossimo futuro”, ha detto in un’intervista l’assistente procuratore generale Brian Benczkowski, che dirige la divisione dell’agenzia che si occupa di indagini criminali. Si è rifiutato di commentare ogni altro aspetto dell’indagine 1MDB.


 

 

Come nota inoltre il Journal, l’accusa si concentra, in particolare, sul ruolo di una delle ex colleghe di Leussner, Tan Boon-Kee, che ha lavorato con Leissner sull’affare 1MDB. Lei ha poi lasciato Goldman Sachs per diventare capo del settore bancario per l'Asia-Pacifico per i clienti delle istituzioni finanziarie presso Deutsche Bank, "dove è stata coinvolta con ulteriori affari di 1MDB".

 

 

La signora Tan ha lasciato Deutsche Bank l'anno scorso, dopo che la banca ha scoperto le comunicazioni tra lei e Jho Low, il finanziere malese descritto dal Dipartimento di Giustizia come l’attore principale nello scandalo 1MDB, secondo una persona che ha familiarità con la sua uscita. Né lei né la banca hanno commentato pubblicamente il motivo delle sue dimissioni.


 

"Deutsche Bank ha collaborato pienamente con tutte le agenzie legislative e amministrative che hanno effettuato indagini relative a 1MDB", ha dichiarato un portavoce della banca. Lo stesso ha citato documenti del Dipartimento di Giustizia dicendo che 1MDB è autore di "travisamenti materiali e omissioni nei confronti dei funzionari della Deutsche Bank" in relazione alle transazioni di 1MDB con la banca. "Questo è coerente con le conclusioni della banca stessa in questa materia", ha aggiunto.

 

Quello che è interessante è che, mentre Goldman Sachs ha ricevuto la massima punizione per il suo coinvolgimento nello scandalo 1MDB e per aver aiutato il fondo malese a raccogliere 6,5 miliardi di dollari di obbligazioni e il ruolo di Leissner come co-cospiratore chiave nel programma di rubare denaro, la banca tedesca era finora riuscita ad evitare i riflettori.

 

Ma, come sappiamo ora, anche Deutsche Bank ha svolto un ruolo importante in molteplici transazioni relative a 1MDB. Infatti, il ruolo di DB può anche essere maggiore di quello di Goldman: nella versione più recente della denuncia di confisca delle attività civili del Dipartimento di Giustizia, in cui dettaglia a lungo lo schema 1MDB, Deutsche Bank è menzionata 167 volte. Goldman Sachs è menzionata 56 volte.

 

 

La denuncia dice che Deutsche Bank è stata coinvolta con 1MDB fin dai suoi primi giorni nel 2009, dato che la banca facilitava i trasferimenti finanziari relativi al primo grande affare di 1MDB, una joint venture con una società svizzera poco conosciuta chiamata PetroSaudi. Il Dipartimento di Giustizia sostiene che un gruppo di cospiratori guidati da Low, il finanziere malese, ha rubato circa 1 miliardo di dollari dal contributo di 1,8 miliardi di dollari di 1MDB, ma non descrive alcuna colpa di Deutsche Bank nella denuncia. PetroSaudi ha negato ogni illecito.


 

Deutsche Bank ha anche organizzato prestiti di emergenza per 1MDB nel 2014 per un totale di 1,2 miliardi di euro. Il Dipartimento di Giustizia ha detto che i soldi sono stati rubati anche da Low e dai suoi co-cospiratori. Tuttavia, la banca ha chiesto indietro il prestito in anticipo, quando si è resa conto che le garanzie di 1MDB erano impossibile da verificare, e 1MDB ha ottenuto da un fondo sovrano di Abu Dhabi con cui spesso ha lavorato l’estensione di un prestito di 1 miliardo di dollari per sostituire Deutsche Bank, secondo la denuncia e i documenti investigativi malesi.


 

La conclusione è che, mentre Deutsche Bank probabilmente non ha commesso una frode penale, il suo processo di antiriciclaggio e i protocolli "Conosci il tuo cliente" saranno attentamente esaminati, anche se i banchieri che erano responsabili di questi attività sono probabilmente ormai scomparsi.

 

Ma aspetta, c'è dell'altro!

 

Poiché più o meno nello stesso momento in cui il ruolo potenziale di DB nello scandalo 1MDB è stato reso noto dal WSJ, sia il NYT che Bloomberg hanno riferito che la banca tedesca aveva esteso le relazioni con un'altra figura ancora più scandalosa: Jeffrey Epstein.

 

Secondo il NYT, Epstein "sembra aver fatto affari e acquistato valute attraverso Deutsche Bank fino a pochi mesi fa."  Ma mentre la possibilità di accuse federali incombeva, la banca ha concluso il suo rapporto con Epstein. Non è chiaro quale fosse il valore di tali conti al momento della loro chiusura.

Bloomberg conferma, riportando che "Deutsche Bank ha interrotto i legami commerciali con Jeffrey Epstein all'inizio di quest'anno, proprio mentre le autorità federali si stavano preparando ad accusare il finanziere di aver operato un giro di traffico sessuale di ragazze minorenni dalle sue case opulente a Manhattan e Palm Beach.

 

La banca tedesca, essa stessa oggetto di indagini governative non correlate, ha chiuso i conti di Epstein per diversi mesi, secondo una persona che ha familiarità con la situazione, che ha chiesto di non essere identificata perché parla di questioni private.


 

Non è chiaro quanti soldi siano stati coinvolti o per quanto tempo Epstein sia stato un cliente di Deutsche Bank, che ha mantenuto i conti molto tempo dopo che lui è stato condannato per crimini sessuali più di dieci anni fa.

 

Il fatto che DB abbia un legame non solo con il presidente Trump, per il quale è diventato oggetto di numerosi mandati di comparizione, ma anche con lo scandaloso, anche se misterioso, Epstein, assicura che ancora più attenzione ricadrà su Deutsche Bank. E parlando del mistero di Epstein, Bloomberg riferisce che la sua Financial Trust Co. "ha avuto un investimento di 121 milioni di dollari nella società di hedge fund DB .wirn & Co., che ha chiuso nel 2008. Financial Trust è stato anche uno dei principali investitori nel High-Grade Structured Credit Strategies Enhanced Leverage Fund di Bear Stearns, il cui collasso ha contribuito ad accendere la crisi finanziaria globale."

 

 

Ma tornando alla Deutsche Bank, che dopo il suo più grande annuncio di ristrutturazione aziendale per decenni, che vedrà circa uno su cinque dei suoi dipendenti essere licenziato, ora sembra che la banca con sede a Francoforte sarà sotto i riflettori per altri spiacevoli motivi, probabilmente assicurando che migliaia di lavoratori DB saranno sommariamente e tranquillamente lasciati a casa nei prossimi mesi, mentre la serie serrata di cattive notizie ci fa osservare: forse è il momento per la banca di spegnere le luci...

 

 

14/07/19

Krugman - Il "disturbo da ricchezza eccessiva"

Paul Krugman, premio Nobel per l'Economia nel 2008, mostra sul New York Times quanto e attraverso quali sistemi l'agenda politica degli straricchi - volta, molto banalmente, a tutelare i loro interessi di classe, per esempio a ottenere tasse più basse tagliando sui servizi sociali - venga imposta all'opinione pubblica e spacciata per l'unica strategia "responsabile". I desideri dei più ricchi vengono trasformati in "quello che è giusto fare", anche quando in realtà danneggiano non solo le persone meno abbienti, ma anche l'economia di un Paese nel suo insieme. Ecco perché ridurre l'eccesso di ricchezza è anche un modo per ottenere un sistema politico più sano. 

 

 

 

 

Di Paul Krugman, 22 giugno 2019

 

Tra un paio di giorni parteciperò a una conferenza all'Istituto di politica economica sul "disturbo da ricchezza eccessiva" - ovvero i problemi e i pericoli che nascono dall'estrema concentrazione di reddito e ricchezza ai vertici della società. Mi è stato chiesto di tenere un breve discorso introduttivo, concentrandomi sulle distorsioni create da un'elevata disuguaglianza nella politica e nella strategia dei governi, e ho cercato di mettere ordine nei miei pensieri. Quindi ho pensato che avrei potuto mettere nero su bianco questi pensieri, per dare loro una diffusione più ampia.


Mentre il dibattito pubblico si è concentrato sull' "uno  per cento", quello che è veramente in discussione qui è il ruolo dello 0,1 per cento, o forse dello 0,01 percento - il vero ricco, non "l''impiegato di Wall Street da 400.000 dollari all'anno" memorabilmente ridicolizzato nel film omonimo. Si tratta di un gruppo molto piccolo di persone, ma che esercita un'enorme influenza sulla politica.


Come si esercita questa influenza? La gente parla spesso dei contributi alle campagne elettorali, ma questi sono solo uno dei canali esistenti. In effetti, identificherei almeno quattro modi in cui le risorse finanziarie dello 0,1% distorcono le priorità della politica.


1. Corruzione pura e semplice. Amiamo immaginare che la semplice corruzione dei politici non sia un fattore importante in America, ma è quasi sicuramente un fenomeno molto più esteso di quanto ci piace pensare.


2. Corruzione indiretta. Quello che intendo qui sono i vari modi, al di fuori della corruzione diretta di politici, funzionari governativi e persone con influenza politica di qualsiasi tipo, per arricchirsi promuovendo politiche che servono gli interessi o i pregiudizi dei ricchi. Questo include le "porte girevoli" tra ruoli nell'amministrazione pubblica e nel settore privato, borse di studio, gettoni nel giro delle conferenze e così via.


3. Contributi alle campagne elettorali. Sì, anche questi sono importanti.


4. Definizione dell'agenda politica: attraverso una varietà di canali - proprietà dei media, gestione di centri studi, e la semplice tendenza generale a ritenere che essere ricchi significhi anche essere saggi - lo 0,1 per cento ha una straordinaria capacità di impostare l'agenda della discussione politica, in modi che possono essere in totale contrasto sia con una valutazione delle priorità ragionevole sia con l'opinione pubblica in generale.


Tra questi, voglio focalizzarmi sul quarto punto, non perché sia ​​necessariamente il più importante - come ho detto, sospetto che la corruzione pura e semplice sia un fenomeno più esteso di quanto la maggior parte di noi possa immaginare - ma perché è qualcosa che penso di conoscere. In particolare, voglio concentrarmi su un particolare esempio che per me e altri è stato una sorta di momento estremo, una dimostrazione di come la ricchezza smodata ha davvero degradato la capacità del nostro sistema politico di affrontare i problemi reali.


L'esempio che ho in mente è stato lo straordinario cambiamento nella filosofia corrente e nelle priorità politiche del 2010-2011, che le ha distolte dal porre la priorità sulla riduzione delle enormi sofferenze ancora in atto all'indomani della crisi finanziaria del 2008, e spinte verso azioni volte a evitare il presunto rischio di una crisi del debito. Questo episodio si sta oggi ritirando nel passato, ma all'epoca è stato eccezionale e scioccante, e potrebbe anche troppo facilmente rivelarsi un precursore della politica del futuro prossimo.


Parliamo prima delle circostanze economiche del contesto. All'inizio del 2011, il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti era ancora del 9%, e la disoccupazione di lungo periodo in particolare era a livelli straordinari, con oltre sei milioni di americani che erano rimasti senza lavoro per sei mesi o più. Era una cattiva situazione economica, ma le sue cause non erano un mistero. Lo scoppio della bolla immobiliare, e i successivi sforzi delle famiglie per ripagare i debiti, avevano comportato un crollo della domanda aggregata. Nonostante i tassi di interesse molto bassi rispetto agli standard storici, le imprese non erano disposte a investire abbastanza per recuperare il terreno perso a causa di questa ritirata delle famiglie.
I libri di testo di Economia offrono consigli molto chiari su che cosa fare in queste circostanze. Questo era esattamente il tipo di situazione in cui la spesa in deficit aiuta l'economia, fornendo la domanda non sostenuta dal settore privato. Sfortunatamente, il sostegno dato dall'American Recovery and Reinvestment Act - lo stimolo di Obama, inadeguato, ma che almeno aveva attenuato gli effetti del crollo - aveva raggiunto il suo picco a metà 2010 e stava per interrompersi bruscamente. Quindi l'ovvia mossa da  corso di Economia del primo anno sarebbe stata quella di mettere in atto un altro significativo ciclo di stimoli. In fin dei conti il governo federale era ancora in grado di indebitarsi a lungo termine, a tassi di interesse reali vicini allo zero.


In qualche modo, tuttavia, nel corso del 2010 si formò un generale consenso, nel mondo politico e sui media, sul fatto che, a fronte del 9% di disoccupazione, le due questioni più importanti fossero... la riduzione del deficit pubblico e la "riforma dei diritti", cioè tagli alla sicurezza sociale e all'assistenza sanitaria. E quando dico consenso intendo proprio quello. Come ha osservato Ezra Klein , "le regole sulla neutralità del giornalista quando si parla di deficit non si applicano più". Ha citato, come esempio, Mike Allen che chiede ad Alan Simpson e Erskine Bowles "se credevano che Obama avrebbe fatto 'la cosa giusta' sui diritti - con 'la cosa giusta' chiaramente intendendo 'tagli'."


Da dove proviene questo consenso? Per essere onesti, il pubblico non ha mai creduto nell'economia keynesiana; per quanto ne so io, la maggior parte degli elettori, se interrogati in merito, diranno sempre che il deficit pubblico dovrebbe essere ridotto. Nel novembre del 1936, proprio dopo la rielezione di Roosvelt, Gallup chiese agli elettori se la nuova amministrazione dovesse pareggiare il bilancio; Il 65 per cento rispose affermativamente, solo il 28 per cento disse di no.


Però gli elettori tendono ad attribuire una priorità di importanza relativamente bassa al deficit rispetto ai posti di lavoro e all'economia. E favoriscono in modo schiacciante una maggiore spesa per l'assistenza sanitaria e la sicurezza sociale.


I ricchi, però, sono diversi da tutti noi. Nel 2011 gli studiosi di Scienze politiche Benjamin Page, Larry Bartels e Jason Seawright sono riusciti a sondare un gruppo di individui facoltosi residenti nell'area di Chicago. Hanno trovato notevoli differenze tra le priorità politiche di questo gruppo e quelle del pubblico generale. Il deficit era in cima alla lista dei problemi che consideravano "molto importanti", mentre un terzo del campione lo considerava il problema "più importante". E benché gli intervistati avessero espresso preoccupazione anche per la disoccupazione e l'istruzione, "le hanno classificate con un notevole stacco al secondo e terzo posto tra le preoccupazioni dei ricchi americani".


Quando poi si parlava di diritti, le preferenze politiche dei ricchi erano esattamente opposte a  quelle del pubblico in generale. Con ampi margini, gli elettori in generale volevano aumentare la spesa per l'assistenza sanitaria e la sicurezza sociale. Con margini quasi altrettanto ampi, i ricchi volevano ridurre la spesa per quegli stessi programmi.


Quindi, quale fu l'origine di quel consenso nelle convinzioni correnti emerso nel 2010-2011 - un consenso così travolgente che i giornalisti di punta abbandonarono la regola della neutralità e descrissero le politiche di austerità come l'ovvia "cosa giusta" da fare da parte dei politici? Quello che accadde, in sostanza, fu che l'establishment politico e mediatico interiorizzò le preferenze dei ricchissimi.


Ora, il 2011 è stato un esempio particolarmente drammatico di come questo accade, ma non è stato un caso unico. Nel loro recente libro "Billionaires and Stealth Politics" ("Miliardari e strategie invisibili") Page, Seawright e Matthew Lacombe sottolineano gli effetti duraturi dell'influenza politica dei plutocrati nel dibattito sulla sicurezza sociale: "Nonostante il forte sostegno della maggior parte degli americani alla tutela ed espansione della sicurezza sociale, per esempio, l'intensa campagna decennale pro tagli o privatizzazioni alla sicurezza sociale, guidata dal miliardario Pete Peterson e dai suoi ricchi alleati, sembra avere contribuito a vanificare qualsiasi possibilità di ampliarla. Invece, gli Stati Uniti si sono ripetutamente avvicinati (anche sotto i presidenti democratici Clinton e Obama) a tagliare concretamente le prestazioni di sicurezza sociale come parte di un 'grande patto' bipartisan sul bilancio federale".


Ed ecco il punto: anche se non vogliamo mitizzare la saggezza dell'uomo comune, non c'è assolutamente alcuna ragione per ritenere che le preferenze politiche dei ricchi siano basate su una comprensione superiore di come funziona il mondo. Al contrario, i ricchi erano ossessionati dal debito e disinteressati alla disoccupazione di massa in un periodo in cui il deficit non era un problema - era, in effetti, una parte della soluzione - mentre la disoccupazione lo era.


E la convinzione, diffusa tra i ricchi, che dovremmo alzare l'età della pensione si basa, letteralmente, sulla mancata comprensione di come vive l'altra metà (o, in realtà, non lo fa). Sì, l'aspettativa di vita all'età di 65 anni è aumentata, ma con prevalenza schiacciante per la parte superiore della distribuzione del reddito. Gli americani meno abbienti, che sono precisamente le persone che dipendono maggiormente dalla sicurezza sociale, hanno visto solo un piccolo aumento dell'aspettativa di vita, quindi non c'è un motivo per costringerli a lavorare più a lungo.


Su che cosa sono basate le preferenze dei ricchi? Non c'è bisogno di essere rudi marxisti per riconoscere un forte elemento di interesse di classe. La spinta verso l'austerità era chiaramente legata al desiderio di ridurre il livello di tassazione e trasferimento [di ricchezza], che in tutti i paesi avanzati, persino in America, rappresenta una forza significativa verso la redistribuzione dai ricchi ai cittadini con redditi più bassi.


Si possono capire i veri obiettivi dell'austerità in un paio di modi. In primo luogo, rispetto agli altri paesi avanzati gli Stati Uniti hanno tasse basse e una spesa sociale bassa, ma quasi tutta l'energia degli auto-proclamatisi guardiani oltranzisti del deficit è stata impiegata per richiedere una riduzione delle spese piuttosto che un aumento delle tasse. In secondo luogo, è sorprendente quanto è calato l'isterismo sul deficit cui siamo di fronte ora rispetto a sette anni fa. Eppure il deficit di bilancio con l'occupazione piena ora è all'incirca altrettanto grande, come percentuale  del PIL, di quanto era agli inizi del 2012, quando la disoccupazione era ancora superiore all'8 per cento. Ma questo deficit, sebbene molto meno giustificato da considerazioni macroeconomiche, è stato creato da tagli di tasse - e guarda un po', i custodi oltranzisti del deficit sono abbastanza tranquilli.


Senza dubbio molti dei ricchi che esigono tagli di tasse per loro e tagli delle prestazioni sociali per gli altri riescono a convincersi che questo è nell'interesse di tutti. Generalmente si è bravi in questo tipo di autoinganno. Resta il fatto che i ricchi, in media, spingono verso politiche che li avvantaggiano, spesso anche quando queste danneggiano l'economia nel suo insieme. E la pura e semplice ricchezza dei ricchi è proprio ciò che consente loro di ottenere molto di ciò che vogliono.


Quindi, che cosa significa questo, guardando avanti? In primo luogo, che nel breve periodo, sia durante le elezioni del 2020 che dopo, sarà molto importante tenere sempre d'occhio sia i politici centristi che i media, e non lasciare che facciano un altro 2011, trattando le preferenze politiche dello 0,1% come "la cosa giusta" e non come, beh, quello che vuole una specifica, piccola classe di persone. C'è una lunga lista di provvedimenti da sempre sostenuti dai progressisti che i soliti noti cercheranno di far passare come idee pazze, che nessuna persona seria sosterrebbe, ad esempio:


- aliquota fiscale massima al 70%;


- tassa sulla ricchezza sui patrimoni molto grandi;


- assistenza universale per l'infanzia;


- spese in deficit per realizzare infrastrutture.


Non è necessario sostenere una o tutte queste strategie per riconoscere che sono tutto fuorché pazze. Sono, infatti, supportate dagli studi di alcuni dei maggiori esperti di economia al mondo. Qualsiasi giornalista o politico centrista che le tratti come politiche evidentemente irresponsabili sta ripetendo quanto avvenuto nel 2011, ovvero interiorizzando i pregiudizi dei ricchi e trattandoli come se fossero fatti assodati.


Ma benché la vigilanza possa attenuare il livello fino a cui i ricchi riescono a definire l'agenda politica, alla fine i grandi soldi troveranno un modo di farlo, a meno che non ci siano meno soldi in partenza. Quindi ridurre l'estrema concentrazione di reddito e ricchezza non è solo desiderabile per motivi sociali ed economici. È anche un passo necessario per avere un sistema politico più sano.

10/07/19

Il Labour come l'abbiamo conosciuto non esiste più

Dalla rivista online Spiked un amaro e accorato epitaffio posto sul Labour di Corbyn, che con il suo voltafaccia sulla Brexit manda a pezzi la sua linea politica, tradisce i suoi elettori del ceto popolare, si inginocchia davanti ai potenti e rischia di estinguersi.


di Brendan Chilton, 9 luglio 2019

 

Con un'inversione di rotta straordinaria e senza precedenti, il Partito Laburista ha annunciato oggi che sosterrà la campagna per il Remain in un futuro referendum sull'UE. E questo nonostante la promessa messa nero su bianco nel manifesto del 2017 di accettare l'esito del referendum originale del 2016. Questa è la conseguenza di tre anni di campagne da parte di  chi all'interno del movimento laburista ha rifiutato di accettare il risultato del referendum. Hanno accumulato un'enorme pressione su Jeremy Corbyn, per convincerlo a cambiare la posizione del partito laburista. Oggi Corbyn ha ceduto alle stesse persone che alcuni anni fa lo avevano sfidato per la  leadership nel partito.

 

Oggi è un giorno tragico nella storia del partito laburista e un giorno fatale per la democrazia britannica. È, potenzialmente, l'inizio della fine del partito laburista così come lo conosciamo. Il Labour è in continuo calo nei sondaggi d'opinione, nonostante il valoroso recente impegno dei parlamentari laburisti del Nord e delle Midlands, regioni che hanno votato sì alla Brexit, per la difesa della democrazia e per la salvaguardia del Labour come partito dei lavoratori e delle donne. I loro sforzi potrebbero essere arrivati troppo tardi per salvare i laburisti da una possibile sconfitta catastrofica alle prossime elezioni.

 

Il popolo britannico ha dato milioni di voti al partito laburista nel 2017, sapendo che il partito aveva accettato l'esito del referendum. Il partito laburista è stato in grado di togliere ai conservatori la maggioranza anche a causa della posizione assunta sull'uscita dall'Unione europea. Quattro milioni di elettori laburisti sono rimasti fedeli al Labour e, nonostante la grande incertezza sull'impegno del partito per la Brexit, hanno votato per il partito laburista di Jeremy Corbyn. Un partito laburista filoeuropeo ha oggi deluso la loro lealtà e fiducia. Molti ora guarderanno altrove, cercando una rappresentanza politica attraverso altre parti che condividono le loro opinioni.


 

La corrente vittoriosa a favore del Remain all'interno del partito laburista oggi festeggerà, ma il suo giubilo avrà vita breve. A festeggiare oggi saranno anche il Brexit Party e la campagna per la leadership di Boris Johnson. Probabilmente non riescono a credere alla loro fortuna. Dopo avere già superato il recinto esterno del forte laburista alle elezioni europee, il Brexit party ora avanza a tutta velocità nel vuoto rimasto nel cuore del territorio del Labour. Lì non c'è niente per fermarli. Larghi strati di collegi elettorali dominati dagli elettori pro Brexit della classe operaia sono ormai pronti per scegliere, visto che i laburisti abbandonano definitivamente il loro zoccolo duro.


 

Il 70% delle circoscrizioni elettorali del Labour all'epoca del referendum del 2016 ha votato per lasciare l'Unione Europea. Il sostegno alla Brexit è stato più alto tra le classi socioeconomiche più basse della nostra società. La maggior parte dei seggi più periferici del Labour ha votato Leave, così come la maggioranza dei seggi che il Labour deve vincere per formare un governo. Quei seggi sono ormai fuori portata, mentre il Labour ritorna all'interno dello scudo protettivo della M25 [la tangenziale di Londra, ndt]. Chi sosterrà le classi lavoratrici in Inghilterra ora? Chi rappresenterà i milioni di persone più povere che hanno votato nella speranza di un futuro migliore fuori dall'Unione europea?


 

Stiamo assistendo all'andare in pezzi della linea politica di un partito del Regno Unito. La vecchia alleanza laburista tra i professionisti della classe media e gli elettori della classe operaia è infranta. È, forse, qualcosa di irreparabile. Quel partito secolare che ha portato grandi progressi sociali, economici e politici per gli uomini e le donne comuni ha ceduto alla volontà dell'establishment britannico pro Remain. Allo stesso modo tanti partiti socialdemocratici europei che hanno perseguito lo stesso programma demografico e politico metropolitano sono passati alla storia. Il Labour, seguendo ora lo stesso percorso, mette a rischio la sua stessa esistenza come partito con un peso nella politica britannica.


 

La bandiera rossa, il vecchio e famoso simbolo della democrazia sociale del lavoro, dell'internazionalismo e della rappresentanza della classe operaia, è stata lacerata e abbattuta. Al suo posto è stata issata sul movimento laburista e sindacale la bandiera blu costellata di stelle gialle. Il capitale ha battuto il lavoro. I padroni hanno battuto i lavoratori. L'Europa ha battuto la democrazia. L'establishment ha vinto. Quando la storia sarà scritta, registrerà un paradosso peculiare: che il partito istituito per sfidare le élite è diventato in definitiva il partito che si è inginocchiato davanti ai nostri padroni e ha sostenuto il vecchio ordine.

07/07/19

New York Times - Come la Chiesa Cattolica ha ceduto l’Italia alla destra

Un articolo del New York Times spiega come Salvini sia riuscito a imporsi nell’improbabile ruolo di alfiere del Cristianesimo in Italia. Nonostante un “curriculum” non certo da buon cattolico e la sua impreparazione in teologia, Salvini ha riempito efficacemente un vuoto lasciato dalle stesse gerarchie ecclesiastiche. Sotto il pontificato di Papa Francesco, la Chiesa si è allontanata dai suoi temi tradizionali, lasciando molti fedeli disorientati, e si è mossa verso temi politici e controversi. (La Chiesa ha forse tentato di rinnovarsi interpretando la modernità, ma l’ha fraintesa – aggiungiamo noi – allineandosi nei fatti ad alcune istanze del neo-liberalismo.)

 

 

di Mattia Ferraresi, 4 luglio 2019

 

Sulla carta il vicepremier italiano, Matteo Salvini, appare un testimonial abbastanza dubbio per rappresentare il cattolicesimo. Salvini è divorziato. Ha due figli da due donne diverse e ha una relazione con una terza donna. Ma questo non gli ha impedito di reinventarsi “capo cattolico” dell’Italia. “Sono l’ultimo dei buoni cristiani”, ha detto recentemente Salvini, 46 anni, durante un’apparizione al noto programma televisivo “Non è l’Arena”. “Difendo la nostra storia e l’esistenza delle scuole cattoliche”, ha detto in quell’occasione. “Se credo in Dio”, ha domandato in modo retorico, “e chiedo perfino la protezione della Madonna, questo dà fastidio a qualcuno?

 

Be', dà fastidio al papa, per cominciare.

 

Salvini, che ha prestato giuramento anche come Ministro dell’Interno, è il leader della Lega, un movimento ex-secessionista che si è ripresentato come forza nazionalista alimentando, tra le altre tattiche, i timori anti-immigrazione. Il suo motto “prima gli Italiani” è ispirato a quello di Donald Trump: “America first”. Salvini è anche l’ago della bilancia dell’insolita coalizione di governo che la Lega ha formato lo scorso anno con i campioni dell’anti-corruzione del Movimento Cinque Stelle, creando in Italia un esperimento unico di populismo.

 

L’abbraccio della Lega alla cristianità è però una novità. Negli anni ’90, subito dopo la sua fondazione, la Lega era spesso in polemica con la gerarchia vaticana. Aveva una prospettiva libertaria su temi come la famiglia, l’aborto, l’eutanasia e la libertà religiosa, e raramente li metteva al centro del proprio programma politico.

 

Ciononostante, parlando a Milano pochi giorni prima delle elezioni per il Parlamento Europeo che si sono tenute a maggio, Salvini ha invocato i nomi dei santi patroni d’Europa. “Affidiamo a loro il nostro destino, il nostro futuro, la pace e la prosperità dei nostri popoli”, ha proclamato, e poi è sceso su note più intime. “Personalmente, affido l’Italia, la mia e le vostre vite al cuore immacolato della Madonna. Sono sicuro che lei ci porterà alla vittoria”, ha detto, stringendo un rosario nella mano destra. Quando la Lega ha ottenuto oltre il 34 percento dei voti, diventando il partito politico leader in Italia, Salvini ha ringraziato “quello che sta lassù”, e ha baciato il rosario durante una conferenza stampa. Pochi giorni più tardi, durante un’intervista, si è diffuso ulteriormente sulla sua devozione verso la Vergine Maria, e ha annunciato la propria volontà di percorrere da pellegrino, un giorno, il Cammino di Santiago.

 

La Chiesa Cattolica ha reagito furiosamente alla politicizzazione dei simboli religiosi da parte di Salvini. Pietro Parolin, cardinale segretario di stato, ha rimproverato il ministro dicendo che “è sempre pericoloso invocare Dio per se stessi”. Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale italiana, ha descritto Salvini come “alfiere di un cattolicesimo tutto suo, molto distante dal magistero del Papa e della Chiesa”.

 

Una fonte di tensione tra Salvini e la Chiesa risiede nelle politiche e nella retorica aggressivamente anti-immigrazione da parte del ministro. Lo scorso anno Salvini ha ordinato ai porti italiani di bloccare le navi dedite al recupero dei migranti e di non farle sbarcare. È inoltre riuscito a far approvare un disegno di legge che impone nuove restrizioni ai richiedenti asilo in Italia e ha attribuito al proprio incarico poteri praticamente illimitati nel proibire l’entrata di navi nelle acque territoriali italiane. Questi sforzi lo hanno messo in rotta di collisione con Papa Francesco, che ha fatto dell’accoglienza ai migranti un tema centrale del proprio pontificato.

 

Ma se ci sono milioni di cattolici che votano Salvini (i sondaggi mostrano che il 33 percento dei cattolici praticanti votano Lega, facendone il partito principale tra i fedeli) potrebbe essere anche perché lo stesso Salvini riempie un vuoto nella politica italiana. Un vuoto lasciato dalla ritirata della Chiesa dal dibattito politico, avvenuta con Francesco.

 

La foga della Chiesa di Papa Francesco nel castigare i politici che si appellano alla cristianità rappresenta un deciso punto di rottura rispetto alle precedenti politiche di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, che cercavano di mantenere le opinioni della chiesa rilevanti all’interno delle società, compresa quella Italiana, che sono sempre più secolarizzate. Sotto questi papi, i portavoce della chiesa criticavano le unioni civili, i matrimoni tra persone dello stesso sesso in Italia e all’estero, e facevano campagna contro procedure come la fertilizzazione in vitro.

 

Ma Papa Francesco ha abbracciato un nuovo modello. In un discorso alla Chiesa italiana del 2015, ha chiesto la fine dei cosiddetti vescovi-pilota, dei pastori clericali che cercano di dirigere le scelte politiche del proprio gregge. Francesco ha esortato i leader della chiesa a limitare le proprie azioni alla dimensione pastorale. Il messaggio era in linea con l’idea che i vescovi dovrebbero essere “pastori che vivono con l’odore delle pecore”, prendendosi cura dei poveri e degli emarginati, anziché ossessionarsi per le questioni sociali. (Alcuni critici, però, hanno affermato che la Chiesa sotto Francesco non si è affatto ritirata dalla politica, ma piuttosto ha abbracciato un altro tipo di politica – che nonostante le proteste, la Chiesa di Francesco non ha affatto cassato la figura dei vescovi-pilota, ma gli ha invece ordinato di guidare i cattolici in modo diverso, verso posizioni più progressiste.)

 

Il modello di Francesco ha ricevuto sostegno dall’interno della Chiesa – padre Antonio Spadaro, editore della rivista gesuita La Civiltà Cattolica, per esempio, ha lanciato l’idea di un sinodo della Chiesa italiana per ridefinire le relazioni tra la Chiesa e la politica – ma anche polemiche da parte dei critici di Francesco, come il cardinale Gerhard Ludwig Müller, che in un’intervista telefonica ha detto “il processo di de-cristianizzazione delle nostre società richiede il coraggio di affermare la verità. Apprezzo i politici che affermano apertamente di essere cristiani più di quelli che denigrano la cristianità”.

 

Ma per alcuni credenti il modello di Francesco è semplicemente disorientante. Il Vaticano sta mandando messaggi ambigui su temi che fino a pochi anni fa erano considerati cruciali. Molti elettori cattolici lamentano che la Chiesa non si esprime più per condannare l’aborto e i diritti LGBT, o per difendere l’identità cristiana dell’Italia, mentre invece insiste sull’immigrazione, sulla giustizia sociale e i temi ambientali.

 

Salvini punta ai cattolici italiani che rifiutano di seguire il nuovo percorso o si sono persi nel momento in cui la Chiesa ha offerto una guida politica diretta. Nel farlo, ha seguito lo stesso percorso di altri leader europei di destra, come Viktor Orban in Ungheria e Jaroslaw Kaczynski in Polonia, politici di nazioni con un’ampia popolazione cattolica, che si presentano come campioni di una cristianità sotto assedio.

 

Salvini è la parodia di un leader religioso. La sua teologia è praticamente assente. I suoi motivi sono dubbi. Le sue eclatanti appropriazioni degli slogan cristiani sono goffe. Pronunciata da lui, anche la più solenne citazione di Papa Benedetto suona come un aforisma letto sui Baci Perugina. Ma nonostante tutto il suo messaggio è efficace tra i cattolici perché riempie uno spazio che la Chiesa ha lasciato vuoto.

 

La sua inattesa trasfigurazione è la conseguenza di un errore strategico della Chiesa. Papa Francesco può anche aver deciso di ritirarsi dal dibattito politico su temi che un tempo Papa Benedetto definiva “principi non negoziabili” – come la protezione della vita in tutte le sue fasi e la promozione della “struttura naturale della famiglia” – per buoni motivi. Tuttavia la sua scelta ha lasciato molti cattolici confusi. La gerarchia ecclesiastica ha erroneamente creduto che le pecorelle smarrite avrebbero automaticamente trovato il proprio riferimento politico tra i moderati. Invece molte di loro sono state attratte dall’uomo forte che ha promesso di difendere quei valori che la Chiesa di Papa Francesco oggi a malapena menziona.

04/07/19

La Tribune - I populisti sono diventati conservatori?

Su La Tribune una riflessione coincisa ma interessante sulla politica economica dei cosiddetti populisti attualmente al potere in Europa, come Orban, Kazcinsky e Obrador, che ne sottolinea gli sforzi (e i successi) diretti alla riduzione e ri-nazionalizzazione del debito pubblico. 

Lo scopo di questa austerity populista non é tuttavia quello di riconquistare la credibilità o la mitica fiducia dei mercati Internazionali, bensi quello di rendersene indipendenti. 

 

 

di Michel Santi, 26.06.2019

 

Segnalazione e  traduzione per Vocidallestero di Martino Pietrini

 

Per limitare la loro vulnerabilità alle forze centrifughe della globalizzazione, i populisti europei al potere, come Orban o Kaczynski, hanno fatto della disciplina fiscale e di bilancio una linea politica.

 

C’è stato un tempo in cui il termine “populismo” era sinonimo d’irresponsabilità nella gestione delle finanze pubbliche. Oltrepassando i vincoli di bilancio gli esecutivi provenienti da queste formazioni o correnti di pensiero svuotavano le cassaforti del tesoro, esaurivano le riserve e provocavano crisi monetarie segnate da inflazione, fuga di capitali, recessione, se non addirittura bancarotta.

 

Insomma il disprezzo dei fondamentali dell’economia da parte dei populisti giunti al potere finiva sempre male. La situazione oggi sembra invece talmente cambiata,  che i populisti attualmente al potere potrebbero essere quasi tacciati di…conservatorismo!

 

Orban, Kaczynski, Lòpez Obrador: nuovi apostoli del rigore di bilancio

 

In effetti sotto Orban il debito pubblico ha visto una sostanziale correzione, passando dal 75% del PIL a all’incirca al 67% nel 2019. E la Polonia non è certo da meno, visto che Jaroslaw Kaczynski è riuscito a ridurre il rapporto debito/pil sotto l’asticella del 50%, il livello più basso degli ultimi dieci anni. Difficile a credersi,  attualmente Salvini promuove una legge dal carattere inquisitorio mirante a snidare i contenuti delle cassette di sicurezza private in Italia e che accorda un'imposta forfettaria del 15% a coloro che si dichiarano spontaneamente.

 

Per quanto riguarda il Messico, il paese opera, sotto la guida del populista di sinistra Andrés Manuel Lòpez Obrador, una vera e propria politica d’austerità con l’obiettivo di un bilancio positivo per il 2020.

 

Infatti, è la volontà di liberarsi dai vincoli della globalizzazione ad essere all’origine della mutazione della politica economica populista e delle loro scelte di responsabilità fiscale. Sembra infatti che la più grande preoccupazione dei populisti al potere nel 2019 sia quella di liberarsi dai vincoli e dalla dipendenza dai capitali stranieri, puntando sempre più su piani di finanziamento strettamente interno per assicurare il tenore di vita del loro paese.

 

La loro opposizione forte, quando non feroce, alla libera circolazione dei capitali (che va, com’è noto, di pari passo con la globalizzazione), ne fa dunque degli apostoli della disciplina fiscale e di bilancio, la quale permette loro una maggiore autonomia di fronte ai finanziamenti stranieri, diminuendo così la vulnerabilità dei loro paesi alle forze centrifughe della globalizzazione.

 

Contare solo su se stessi

 

È su questo metro che si possono misurare gli sforzi di Orban per rimborsare i creditori stranieri dell’Ungheria e per finanziare i suoi deficit tramite emissione di titoli pubblici destinati agli investitori nazionali. Idem per il debito pubblico polacco, di cui solo il 25% è ormai in mano straniera contro il 40% del 2015. L’esempio supremo di questa ricerca dell’indipendenza finanziaria non è forse la Russia di Vladimir Putin, eretta a modello delle economie di bilancio e delle spese pubbliche pesantemente sotto controllo?

 

È dunque il desiderio di tenere a bada sia la globalizzazione sia la finanza globalizzata ad aver modificato radicalmente l’approccio macroeconomico dei populisti giunti al potere. La loro inattesa virata verso l’ortodossia ed il rigore è dunque motivata dalla loro determinazione a mostrare che non possono - e non devono - contare che su se stessi.

03/07/19

I populisti italiani prendono il sopravvento nella lotta alla UE

Secondo Politico, le mosse del governo italiano (ad esempio i MiniBot) hanno avuto successo nella lotta contro la UE: la procedura di infrazione è stata evitata e le nomine dei ruoli chiave UE sono state pesantemente condizionate dalle scelte dell’Italia. L’UE si trova ormai tra l’incudine e il martello: o si oppone al governo gialloverde, e allora questo guadagna consenso interno, oppure lo lascia lavorare, e allora i provvedimenti che prende possono finalmente far rifiatare l’economia italiana.

 

 

Di Silvia Sciorilli Borelli, 3 luglio 2019

 

 

ROMA — Nella battaglia per le finanze italiane, una volta Bruxelles dominava. Ora, non più.

 

Mercoledì la Commissione Europea dovrebbe rimandare la decisione di sanzionare l'Italia sulla questione del budget italiano.

 

La mossa arriva dopo che lunedì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il suo Gabinetto hanno ideato un piano per tagliare di circa 7,6 miliardi di euro le spese previste per quest'anno.

 

Il piano di Conte offre poca chiarezza sulle intenzioni degli italiani per il 2020, ma i funzionari della Commissione l'hanno giudicato sufficiente a giustificare la decisione, almeno fino a quando il bilancio dell'anno prossimo non sarà approvato in autunno, secondo due persone a Bruxelles e due funzionari governativi a Roma.

 

"Possiamo evitare [la sanzione] non a causa di trucchi magici, ma perché le nostre finanze sono in ordine", ha detto Conte durante il fine settimana alla riunione del G20 di Osaka, in Giappone.

 

Pochi giorni dopo le elezioni europee, la Commissione aveva fatto il primo passo per avviare un processo disciplinare nei confronti dell'Italia, attivando una procedura per deficit eccessivo (EDP), un programma volto a riportare la spesa pubblica in linea con le norme dell'UE.

 

Sei mesi prima, la Commissione e il governo italiano avevano raggiunto un compromesso per evitare di innescare proprio questo processo, che potrebbe portare a una multa di 3,5 miliardi di euro, ma Bruxelles ha cambiato rotta in risposta a quello che vedeva come un cambio di passo di Roma sugli impegni di disciplina di bilancio.

 

L'esecutivo dell'UE aveva l’appoggio di altri paesi dell'eurozona per intervenire, e sembrava pronto per ulteriori azioni. Ma con la Commissione che si avvicina alla fine del suo mandato e i colloqui in corso su chi avrebbe ottenuto i migliori posti di potere dell'UE, i populisti italiani hanno colto l'occasione per prendere il sopravvento e incolpare Bruxelles per le sofferenze dell’economia del Paese e per non avere contribuito ad alleviare il peso dell’immigrazione che grava sull’Italia.

Ora Bruxelles si prepara a ritirarsi dalla battaglia sul bilancio italiano, per evitare di dare al governo gialloverde altre munizioni politiche.

 

Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude "Juncker e il [commissario Pierre] Moscovici ci hanno ripensato... anche perché la mossa avrebbe favorito [il ministro dell'Interno Matteo] Salvini e avrebbe trasformato l'UE nel bersaglio principale in caso di elezioni anticipate all'inizio dell’autunno", secondo una persona a Bruxelles.

La Commissione non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento.

Perfino il presidente filo-UE Sergio Mattarella ha offerto un insolito intervento a sostegno della posizione dei populisti. "Non vedo alcun motivo per avviare una procedura per deficit eccessivo contro l'Italia", ha detto durante una conferenza stampa a Vienna lunedì.

 

All'inizio della stessa giornata, i dati ufficiali mostravano che la disoccupazione era scesa al di sotto del 10% per la prima volta dal 2012. "L'economia del Paese è solida", ha dichiarato Mattarella.

La gestione della controversia sul bilancio ha alimentato le rimostranze contro l'UE, con i politici italiani che hanno detto agli elettori che l’Italia è trattata peggio di Francia, Germania o Spagna, che hanno tutte violato le regole del deficit dell'eurozona senza conseguenze.

 

I legislatori della Lega di estrema destra (sic! NdVdE) di Salvini, nel frattempo, hanno tenuto sotto scacco i rivali europei suscitando timori che l'Italia abbandoni l'euro. All'inizio di giugno, il partito di Salvini ha proposto un nuovo modo di emettere titoli di Stato di piccole dimensioni con l’aspetto di una banconota, noti come miniBOT, per pagare i debiti della pubblica amministrazione. Molti osservatori hanno considerato i miniBOT come una proposta di valuta alternativa e il primo passo verso l’"Italexit".

 

"Se a livello dell'UE viene ricordato che non possono abusare costantemente della pazienza dell'Italia, è una buona cosa", ha detto Claudio Borghi, legislatore della Lega, ideatore dello strumento di pagamento. "Sono felice se è servito come promemoria che l'Italia non obbedirà in tutto a ciò che le viene detto dall'UE."

 

Le cariche UE

 

La lite tra i leader dell'UE sul prossimo presidente della Commissione e sugli altri posti di alto livello ha dato all'Italia un'altra opportunità per rafforzare la sua posizione.

 

L'Italia aveva sostenuto Kristalina Georgieva, bulgara, come capo della Commissione, ma alcuni rapporti suggerivano che questo fosse un modo per ottenere il sostegno dei paesi dell'Europa orientale, sia contro una procedura di infrazione da parte dell'UE, sia per il prossimo commissario che dovrà sovrintendere alla politica economica italiana. Martedì sera i leader dell'UE hanno proposto la tedesca Ursula von der Leyen come presidente della Commissione.

 

L'Italia si è anche unita all'opposizione a Frans Timmermans, un socialista olandese, come potenziale candidato, sostenuto dalla tedesca Angela Merkel e dal francese Emmanuel Macron.

 

Secondo Stefano Buffagni, del Movimento 5 Stelle, "Conte ha guidato il gruppo di 11 paesi che si sono opposti all'accordo preparato da Merkel e Macron, il che dimostra che l'Italia ha influenza a livello dell'UE".

 

"I francesi e i tedeschi vogliono dirci cosa fare riguardo all'immigrazione e all'economia, ma quando si tratta di decidere guardano sempre al loro interesse nazionale prima che a quello dell'UE."

 

A margine del vertice UE di martedì, Conte ha dichiarato: "Ho spiegato ai nostri 27 partner che l'UE non è composta da due o tre paesi o da blocchi. Se l'Italia non fa parte della decisione non è un'offesa per me, ma per milioni di italiani che hanno votato e hanno il diritto di essere rappresentati".

 

“Insulti” migratori

 

Anche la posizione degli altri paesi dell'UE in materia di immigrazione ha rafforzato i populisti in Italia.

 

Martedì, il portavoce del governo francese Sibeth Ndiaye ha affermato che il comportamento di Salvini nel caso Sea-Watch - la nave di salvataggio per immigrati che è entrata nel porto italiano di Lampedusa durante il fine settimana nonostante le fosse stato negato l'accesso - era "inaccettabile". I commenti hanno fatto eco alle critiche del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier sulla decisione di arrestare il capitano della nave, Carola Rackete.

 

Salvini ha risposto twittando che il governo francese dovrebbe "smettere di insultare e aprire i suoi porti ai migranti". Martedì sera, dopo che Rackete è stata liberata da un procuratore siciliano, Salvini è andato su Facebook per trasmettere la sua rabbia contro il pubblico ministero.

 

"Se un cittadino italiano avesse violato gli ordini militari per entrare in un porto in Germania, Francia, Australia o ovunque per scaricare migranti, sarebbe stato rinchiuso per anni", ha detto. Salvini ha quindi annunciato che emanerà per la cittadina tedesca un ordine di espulsione che le avrebbe impedito di tornare in Italia per i successivi cinque anni.

 

Secondo i dati delle Nazioni Unite, la maggior parte dei migranti via mare quest'anno ha raggiunto le coste greche e spagnole. Salvini si è spesso preso il merito del calo degli arrivi, ma molti italiani ritengono che il Paese sia stato abbandonato per farsi carico dell'onere migratorio.

 

Gli immigrati provenienti dall'Africa arrivano quasi quotidianamente durante l'estate a Lampedusa, ma la notizia viene ampiamente ignorata. La politica e la retorica di Salvini prendono di mira le Organizzazioni Non Governative, che egli accusa di essere in combutta con i trafficanti di esseri umani.

 

Qualunque sia la causa - migrazione, bilancio o giochi di potere dell'UE - i populisti stanno guadagnando consenso.

 

L'ultimo sondaggio di opinione di SWG mostrato lunedì da La7, mostra che la Lega è cresciuta fino al 38% dei consensi, rispetto al 33% ottenuto alle elezioni dell'UE, mentre il 52 per cento degli italiani ritiene che il capitano della Sea-Watch abbia commesso un crimine.

 

"Guardate cosa è successo nell'ultimo mese", ha detto un funzionario della Lega, a condizione di mantenere l'anonimato. "Perché qualcuno dovrebbe criticarci per aver detto che l'Unione Europea è un'anatra zoppa? È semplicemente la pura verità."

 

 

02/07/19

Washington Post - La mafia straniera si diffonde in Italia

Le ultime vicende della Sea Watch hanno riacceso la polemica sull'immigrazione e sulla politica dei porti chiusi che in mezzo a mille difficoltà viene portata avanti dal governo italiano. Il dibattito si polarizza tra coloro che si identificano come "i buoni", che inalberano la bandiera dell'accoglienza, e quelli che vogliono fermare l'ondata, perché magari vivono più da vicino nei quartieri delle loro città  i problemi di un flusso migratorio a lungo incontrollato e mal gestito o comunque prevedono i danni che potranno derivarne.

 

A questo proposito sul Washington Post del 25 giugno troviamo una lunga inchiesta sulla mafia nigeriana, che si è diffusa in Italia in seguito ai flussi di migranti provenienti dall'Africa negli ultimi anni; l'indagine è basata su documenti e relazioni degli investigatori e uomini di giustizia che da anni operano sul territorio, visionati dai due corrispondenti del quotidiano americano, Chico Harlan e Stefano Pitrelli.

 

L'articolo osserva come, in un paese che ha combattutto per decenni contro la propria mafia locale, un nuovo gruppo criminale straniero sta acquistando forza. Si tratta soprattutto dei nigeriani, che su tutto il territorio italiano,  da Nord a Sud, da Torino a Palermo, nel corso di diversi anni di flussi di immigrazione incontrollata hanno reclutato nuovi membri tra i migranti dei centri di accoglienza, concretizzando uno  scenario che i nazionalisti italiani ed europei avevano già previsto e sui cui erano stati già da tempo lanciati preoccupati allarmi.

 

Il giornale descrive la polarizzazione della politica italiana: da una parte  i leader dei nuovi partiti giunti al governo con l'impegno di fermare l'invasione, e dall'altra la sinistra, insieme alla Chiesa cattolica di Papa Francesco, che  sostengono le politiche dell'accoglienza e negano queste paure, affermando che i delinquenti possono trovarsi ovunque, e anzi che la mafia è "made in Italy" e non sono i nigeriani ad averla inventata.

 

Alcuni estratti dell'articolo in cui si descrive la situazione che i due corrispondenti hanno trovato in Italia.

 

"Non esistono stime affidabili di quanti membri della mafia nigeriana operino in Italia. Ma interviste con investigatori, procuratori, operatori umanitari e vittime della tratta degli esseri umani e centinaia di pagine di documenti investigativi mostrano che la mafia nigeriana ha costruito in Italia il suo hub europeo per il contrabbando di cocaina dal Sud America, di eroina dall'Asia, e per il traffico della prostituzione che coinvolge donne africane a decine di migliaia.


 

Gli investigatori italiani dicono che il consorzio nigeriano risponde alla definizione di mafia, piuttosto che di una qualsiasi banda criminale, perché ha un codice di comportamento e utilizza la potenza implicita del gruppo per intimidire e imporre il silenzio. I membri nigeriani sono stati condannati per quegli stessi reati di mafia codificati dall'Italia nella sua lunga lotta contro la mafia locale.


 

Anche se forse meno conosciuto della criminità organizzata dei giapponesi, russi e cinesi, secondo l'agenzia di intelligence italiana quest'anno il gruppo nigeriano è diventato "il più strutturato e dinamico" tra le organizzazioni criminali straniere operanti in Italia. Alcuni nigeriani entrano illegalmente in Italia già con l'intenzione di unirsi al gruppo criminale. Altri vengono reclutati dopo l'arrivo."


 

Il Washington Post prosegue osservando come la mafia nigeriana sia stata presente in tutta Europa sin dagli anni '80, e come tuttavia negli ultimi anni questo gruppo sia cresciuto, diffondendosi proprio in quella parte del territorio italiano in cui nessun gruppo criminale straniero sino ad ora aveva osato entrare, la Sicilia, la porta d'ingresso in Italia per i migranti fino alla politica dei porti chiusi di Salvini dello scorso anno.

 

Per la maggior parte del secolo scorso - si osserva nell'articolo -  i padroni dell'isola erano i membri di Cosa Nostra, specializzati in racket, gioco d'azzardo e omicidi, i quali non erano certo disposti a condividere il controllo del loro territorio con altri gruppi criminali. La Sicilia di oggi però è diversa. Cosa Nostra è azzoppata e i suoi capi sono finiti in carcere, uno dopo l'altro. Il gruppo è diventato più tranquillo, meno apertamente violento, e negli ultimi dieci anni sono emerse le prove che la mafia siciliana starebbe cooperando nel traffico di droga con il gruppo criminale straniero alimentatato dalle centinaia di migliaia di africani arrivati nell'isola, molti dei quali si sono trasferiti in altre parti d'Italia e anche in Europa, mentre alcuni sono rimasti. Questa cooperazione è possibile e si mantiene anche perché la mafia nigeriana ha costruito molto del suo business sulla prostituzione, un terreno in cui Cosa Nostra non ha mai mostrato interesse.

 

 

"Alcuni esperti dicono che ben 20.000 donne nigeriane, alcune delle quali minorenni, sono arrivate in Sicilia tra il 2016 e il 2018, in un traffico coordinato tra i nigeriani in Italia e quelli nel loro paese.


 

'Centinaia di donne, che dal porto si riversavano nel paese ogni giorno', dice Sergio Cipolla, presidente della Cooperazione Internazionale Sud Sud, un'organizzazione no-profit con sede a Palermo che si occupa di migranti, descrivendo quel periodo. 'Le donne venivano portate nei centri di accoglienza. Ma non erano costrette a rimanere lì, quindi fuggivano e si perdevano le tracce'.


 

Secondo quanto risulta dai documenti, dai resoconti degli investigatori e di altre persone, le donne venivano in Italia accettando di pagare una tariffa molto salata – di 20.000 o 30.000 euro - illuse dalla promessa di sistemarsi in Europa con un lavoro. Prima di lasciare la Nigeria, la maggior parte di loro giurava con un rito voodoo di rimborsare quel debito. Le donne però sono arrivate in Italia per poi scoprire che non c'era nessun  lavoro da baby sitter o da parrucchiera che le aspettava."


[...]


A causa di questi giuramenti (in cui credono e di cui hanno paura, ndt), è raro che le donne vadano alla polizia, ma se lo fanno per gli investigatori può essere molto importante. Francesco Del Grosso, capo della sezione criminalità straniera presso l'unità di polizia nazionale di Palermo, nel 2017 era alla sua scrivania quando una donna nigeriana si presentò, dicendo che aveva paura, ma era pronta a parlare. La donna descrisse diversi anni di schiavitù sessuale - una gravidanza, e poi di nuovo costretta a uscire per strada - e disse di essere stata poi aiutata da un gruppo di beneficenza. 


 

La donna diede alcuni dettagli sull'organizzazione di uomini che aveva intorno: strette di mano rituali, abiti blu e gialli codificati per colore. Le rivelazioni riguardavano il gruppo Eiye, uno dei principali clan della mafia nigeriana. Sulla base delle sue rivelazioni, Del Grosso aprì una nuova indagine e diciannove mesi dopo 14 membri di Eiye vennero arrestati per reati di mafia e droga, tra cui il presunto capo Eiye siciliano, Osabuohien Ehigiator. Del Grosso ha detto che tutte le 14 persone arrestate erano arrivate in Italia negli ultimi anni "sui barconi".


 

 

Per inquadrare il tema in un contesto più ampio e significativo rispetto alla polemica  che contrappone i difensori dei confini nazionali ai sedicenti eroi dell'accoglienza, può essere utile anche questo toccante video in cui il leader panafricanista  Mouhamed Konare commenta la crisi della Sea Watch. Konare  afferma che il problema della immigrazione non potrà mai essere veramente risolto se non si affrontano alla radice le cause che portano tanti giovani africani ad emigrare e cadere nella rete dei trafficanti, per poi finire a  lavorare come schiavi o entrare nella criminalità organizzata, i più probabili scenari  futuri che li aspettano dopo essere stati "salvati" dalle anime belle dell'accoglienza.