29/11/17

‘Gravi difetti’ identificati in più di metà dei sistemi di sicurezza dell’aeroporto di Berlino

Continua la tragicomica saga del nuovo aeroporto di Berlino: durante le ultime ispezioni sono stati riscontrati nuovi difetti nei sistemi di sicurezza. L’ambiziosa infrastruttura tedesca ha ormai accumulato un ritardo di sei anni nei tempi di completamento ed extra costi superiori ai 6 miliardi di euro, a fronte di un budget iniziale di “soli” 2,5 miliardi. Il mito dell’efficienza tedesca - contrapposta agli sperperi italiani - crolla quando confrontato con la realtà.

 

 

Di Anja Samy, 24 novembre 2017

 

 

Sono ormai passati più di 2.000 giorni da quando l’aeroporto di Berlino avrebbe dovuto essere aperto, e ancora una volta l’avanzamento dei lavori viene ritardato dall’identificazione di difetti nei sistemi di sicurezza.

 

In un “rapporto sulla situazione dei test agli apparati per la sicurezza in tutto il complesso” redatto dall’Associazione delle Ispezioni Tecniche (TÜV), sono stati riscontrati “gravi difetti” in un sistema di sicurezza ogni sei del terminale passeggeri del futuro aeroporto di Berlino, secondo Tagesspiegel.

 

Il più costoso progetto di aeroporto mai intrapreso in Germania doveva essere in origine completato nel 2011, ma la cerimonia di inaugurazione venne cancellata all’ultimo minuto a causa di problemi riguardanti la sicurezza antiincendio.

 

Da quel momento l’aeroporto è rimasto congelato in un ciclo apparentemente infinito di ritardi, mentre parti di esso venivano costruite, modificate e perfino demolite.

 

Nel giugno del 2017 il direttore dell’aeroporto, Engelbert Lütke Daldrup, aveva annunciato che, a 11 anni dall’inizio della costruzione, funzionavano metà delle porte automatiche.

 

Poi, appena poche settimane fa, era stato dichiarato che, secondo i calcoli, l’aeroporto era completo all’80%, ma un recente rapporto di 30 pagine del TÜV ha dissolto le speranze di un’apertura imminente.

 

Sono stati effettuati una serie di test riguardanti l’impianto elettrico nell’area di Mainpier Nord, considerata una sezione relativamente semplice del terminale principale. Ma dopo che è emerso un numero altissimo di problemi, i test pianificati per l’area di Mainpier Süd sono stati immediatamente cancellati.

 

Come si vede scorrendo il report del TÜV, sono stati suonati diversi campanelli d’allarme a causa di difetti nei sistemi degli spruzzatori d’acqua antincendio, nel sistema di allarme antincendio e nell’illuminazione di emergenza, difetti che ricordano quelli sul sistema dei semafori emersi nei controlli del 2011/2012.

 

Secondo il report: “I sistemi testati e le apparecchiature non hanno raggiunto i necessari standard applicabili. La sicurezza operativa e l’efficacia dei sistemi difettosi non può essere certificata”.

 

“Il funzionamento del sistema di evacuazione dei fumi non è approvato”, e in 49 zone su 104 coperte dagli spruzzatori d’acqua antincendio, “sono state rilevate perdite intermittenti di pressione o portate d’acqua eccessive”.

 

Difetti così gravi implicano che la data di inaugurazione potrebbe essere ulteriormente spostata fino all’autunno del 2020, dato che l’aeroporto di Berlino potrà aprire solo dopo avere ricevuto il via libera da esperti come quelli del TÜV.

 

Oltre a questo serio problema del rispetto delle scadenze, c’è quello dell’aumento dei costi. Il budget originale del progetto era stimato in 2,5 miliardi di euro, ma è ormai lievitato a 6,6 miliardi.

 

In aggiunta a questi enormi aumenti di costo ci sono ulteriori piani, annunciati nell’agosto 2017, di creare un’ambiziosa estensione del valore di 2,3 miliardi di euro per ospitare l’alto numero di passeggeri che dovrebbero transitare dal nuovo aeroporto dopo il suo completamento.

 

 

Grecia: aumentano i bambini a rischio di povertà, sono il 38%

Continua a crescere in Grecia il numero dei bambini a rischio di povertà, che tocca quest'anno la percentuale record del 38%, la più alta dell'eurozona e la terza nell'Unione. Lo riporta il sito Keep Talking Greece, facendo riferimento ai più recenti dati Eurostat. La Grecia è anche il Paese dove il rischio di povertà dei bambini è maggiormente cresciuto in seguito alla crisi, con un salto del 9% tra 2010 e 2016. A riprova dell'assenza di un percorso comune tra Stati europei, mentre in Grecia la situazione peggiorava drasticamente, nell'Unione europea tra 2010 e 2016 il numero di bambini a rischio di povertà ha registrato una lieve diminuzione (dal 28% al 26%).  

 

di Keep Talking Greece, 20 novembre 2017

 

 

 

Anno dopo anno, dal 2010, il numero dei bambini a rischio di povertà in Grecia è in continuo aumento. Con il 37,5% dei bambini a rischio di povertà, la Grecia è al primo posto tra i Paesi della zona euro e terza dopo Romania e Bulgaria all'interno dell'Unione Europea.

 

Quattro bambini su dieci di età fino ai 17 anni in Grecia sono a rischio di povertà o esclusione sociale: lo ha calcolato l'agenzia di statistica europea Eurostat, mettendo il paese colpito dalla crisi al vertice della scala della povertà infantile della zona euro.

 

Nel suo rapporto pubblicato lunedì, basato sui dati del 2016, Eurostat ha riferito che con il 37,5% di bambini che affrontano la minaccia della povertà, la Grecia ha il più alto tasso di bambini a rischio nell'eurozona e il terzo più alto nell'Unione Europea, dopo Romania (49,2%) e Bulgaria (45,6%).

All'estremo opposto della scala, le quote più basse di bambini a rischio di povertà o esclusione sociale sono state registrate in Danimarca (13,8%), Finlandia (14,7%) e Slovenia (14,9%), davanti alla Repubblica Ceca (17,4%) e ai Paesi Bassi (17,6%).

 

La Grecia ha registrato anche il più alto aumento del numero di bambini a rischio nel periodo tra il 2010 e il 2016, con un aumento dell'8,8% rispetto al livello precedente alla crisi (28,7)%. Anche Cipro ha visto un aumento del 7,8%, seguita da Svezia (5,4%) e Italia (1,1%).

 

Complessivamente nel 2016 24,8 milioni di bambini nell'UE, ovvero il 26,4% della popolazione di età fino a 17 anni, erano a rischio di povertà o esclusione sociale. Questo significa che i bambini vivevano in famiglie con almeno una delle seguenti tre condizioni: a rischio di povertà dopo trasferimenti sociali (povertà di reddito), materialmente svantaggiati in modo grave o con bassissima intensità di lavoro.

 

Secondo quanto riferito da Eurostat, la percentuale di bambini a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE è leggermente diminuita nel corso degli anni, dal 27,5% nel 2010 al 26,4% nel 2016.

 

P.S. Povertà infantile? Chi se ne importa. I creditori della Grecia sono impressionati dalle misure di austerità attuate nel paese e dalle straordinarie cifre dell'economia...

 

28/11/17

Project Syndicate - Qualche scomoda verità sull'immigrazione

Un articolo di Skidelsky su Project Syndicate lascia percepire il cambiamento di prospettiva in atto nel mainstream. Sia dal punto di vista economico sia da quello socio-culturale, gli argomenti a favore di un'immigrazione libera e incontrollata si stanno sgretolando. La depressione cronica dei salari dovuta all'ulteriore afflusso di forza lavoro in un contesto già colpito da recessione e disoccupazione, e l'erosione dei legami di solidarietà e del senso di appartenenza in una comunità nazionale sempre meno coesa, dovrebbero portare i "socialdemocratici" a un ravvedimento sul tema dell'immigrazione.

 

 

di Robert Skidelsky, 22 novembre 2017

 

La teoria economica classica afferma che l'afflusso netto di immigrazione, come il libero commercio, porta beneficio alla popolazione autoctona dopo un certo periodo di tempo. Ma la ricerca più recente sta aprendo grossi interrogativi sulla questione, mentre le reali conseguenze sociali e politiche dell'apertura delle frontiere nazionali suggeriscono altresì l'opportunità di mettere dei limiti all'immigrazione.

 

La sociologia, l'antropologia e la storia hanno fatto grandi progressi nel dibattito sull'immigrazione. Sembra che l'Homo oeconomicus, che vive solamente per guadagnarsi il pane, sia stato messo da parte in favore di uno per il quale il senso di appartenenza è almeno tanto importante quanto il mangiare.

 

Questo ci fa dubitare del fatto che l'ostilità verso l'immigrazione di massa sia una mera protesta verso la perdita di posti di lavoro, la depressione dei salari e la crescita delle disuguaglianze. L'economia ha certamento giocato una parte nel rilancio delle identità politiche, ma la crisi di identità non può essere espunta semplicemente attraverso le riforme economiche. Il benessere economico non è equivalente al benessere sociale.

 

Iniziamo però dal campo economico, usando il Regno Unito – che si sta apprestando a uscire dalla UE – come caso di studio. Tra il 1991 e il 2013 in Gran Bretagna c'è stato un afflusso netto di 4,9 milioni di immigrati nati all'estero.

 

La teoria economica classica afferma che l'afflusso netto di immigrazione, come il libero commercio, porta beneficio alla popolazione autoctona dopo un certo periodo di tempo. L'argomento è che se si aumenta la quantità di forza lavoro, i prezzi (e i salari) diminuiranno. Questo aumenterà i profitti. L'aumento nei profitti porterà a maggiori investimenti, il che aumenterà la domanda di lavoro, giungendo alla fine a capovolgere l'iniziale caduta dei salari. L'immigrazione permetterebbe dunque a una popolazione più ampia di godere degli stessi standard di vita di cui godeva inizialmente una popolazione più piccola – e questo significherebbe un chiaro miglioramento del benessere totale.

 

Un recente studio dell'economista Robert Rowthorn della Cambridge University, però, ha mostrato che questo argomento è pieno di limiti. I cosiddetti effetti temporanei in termini di spiazzamento dei lavoratori autoctoni e la caduta dei salari può durare per cinque o dieci anni, mentre i benefici si realizzano solo assumendo che non ci sia recessione. E anche se non c'è recessione, se c'è un afflusso continuo di immigrati, anziché un aumento una tantum nella dimensione della forza lavoro, allora la richiesta di forza lavoro potrebbe essere cronicamente inferiore rispetto alla sua offerta. "L'affermazione secondo la quale gli immigrati portano via i posti di lavoro ai lavoratori autoctoni e ne deprimono i salari", dice Rowthorn, "può essere esagerata, ma non sempre è falsa".

 

Un secondo argomento economico è che l'immigrazione ringiovanisce la forza lavoro e stabilizza le finanze pubbliche, perché i giovani lavoratori importati generano il gettito fiscale necessario a sostenere un crescente numero di pensioni. La popolazione del Regno Unito dovrebbe superare i 70 milioni di individui prima della fine del prossimo decennio, comportando un aumento di 3,6 milioni, ovvero del 5,5 percento, grazie all'immigrazione netta e a un surplus di nascite rispetto alle morti tra i nuovi arrivati.

 

Rowthorn rifiuta questo argomento. "Il ringiovanimento attraverso l'immigrazione è come la corsa di un criceto nella ruota", dice. "Per mantenere una riduzione permanente del tasso di dipendenza c'è bisogno di un afflusso interminabile di immigrati. Una volta che l'afflusso si interrompe, la struttura demografica si capovolge e torna alla sua traiettoria iniziale". Un afflusso inferiore e un'età di pensionamento più alta sarebbero una soluzione migliore nel caso di una popolazione che invecchia.

 

Perciò, anche con risultati ottimi, come evitare una recessione, l'argomento economico a favore di un'immigrazione su larga scala difficilmente può dirsi decisivo. Perciò il vero nocciolo della questione resta il suo impatto sociale. Da questo punto di vista, se da un lato c'è il noto beneficio dovuto all'incontro tra le diversità, dall'altro c'è il rischio di una perdita di coesione sociale.

 

David Goodhart, ex editore della rivista Prospect, ha sostenuto la tesi di una limitazione dell'immigrazione da un punto di vista socialdemocratico. Goodhart non prende posizione sul fatto che la diversità culturale sia intrinsecamente o moralmente buona o cattiva. Dà semplicemente per scontato che la maggior parte delle persone preferisca vivere con altre persone a loro simili, e che i politici debbano assecondare questa loro preferenza. Un'atteggiamento "laissez-faire" sulla composizione della popolazione di un paese è tanto insostenibile quanto l'indifferenza alla sua dimensione.

 

Per Goodhart il nocciolo dell'avversione dei liberali al controllo dell'immigrazione è la loro visione individualista della società. Non riuscendo a comprendere l'attaccamento delle persone verso le comunità nelle quali sono radicate, etichettano come irrazionale o razzista qualsiasi avversione all'immigrazione.

 

L'eccessivo ottimismo dei liberali sulla facilità di integrare gli immigrati deriva dalla stessa fonte: la società è vista come niente altro che un insieme di individui, per cui l'integrazione è un non-problema. Certo, dice Goodhart, gli immigrati non devono per forza abbandonare del tutto le loro tradizioni, ma "esiste una cosa chiamata società", e se essi non faranno uno sforzo per appartenervi, i cittadini autoctoni troveranno difficile considerare i nuovi arrivati come parte della loro "comunità immaginata".

 

Un afflusso troppo rapido di immigrati indebolisce i legami di solidarietà e, nel lungo termine, erode i legami affettivi che sono indispensabili per sostenere lo stato sociale. "Le persone saranno sempre favorevoli verso le loro famiglie e le loro comunità", dice Goodhart, ed "è compito di un liberalismo realistico sforzarsi di trovare una definizione di comunità che sia abbastanza ampia da includere persone con diversi retroterra culturali, ma senza essere talmente ampia da diventare priva di significato".

 

I liberali e i liberisti lottano fianco a fianco per sostenere un'immigrazione senza alcuna restrizione. Molti politici liberali vedono gli stati nazionali e la lealtà verso di essi come ostacoli a una maggiore integrazione politica dell'umanità. Si appellano a doveri morali che si estendono ben oltre i confini fisici e culturali delle nazioni.

 

Ad essere in discussione è il più antico dibattito nelle scienze sociali. Le comunità possono essere create semplicemente dalla politica e dai mercati, o presuppongono innanzitutto un senso di appartenenza?

 

A me sembra che chiunque ragioni su tali questioni debba concordare con Goodhart che la cittadinanza, per la maggior parte delle persone, sia qualcosa dentro la quale si nasce. I valori nascono da una particolare storia e da una particolare geografia. Se la composizione di una società viene modificata troppo rapidamente, ciò getta le persone alla deriva rispetto alla loro storia, e le rende prive di radici. L'ansia dei liberali di non sembrare razzisti impedisce loro di comprendere queste verità. L'inevitabile conseguenza è l'esplosione di ciò che ora viene definito populismo.

 

La conclusione politica da trarre è abbastanza semplice, ma vale la pena ripeterla. La tolleranza della persone verso il cambiamento e l'adattamento non deve essere forzata oltre il limite, per quanto questo possa cambiare da paese a paese. In particolare, l'immigrazione non dovrebbe essere spinta oltre un certo punto, altrimenti innescherà inevitabilmente reazioni ostili. I politici che non riescono a "controllare le frontiere" non meritano la fiducia della loro gente.

26/11/17

Foreign Affairs - La sofferenza del Sinai

Con la caduta di Mubarak nel 2011 e l'ascesa di Morsi, il Sinai, regione dove i Fratelli Mussulmani sono tradizionalmente forti, è diventato un porto sicuro per l'ISIS. Ma con la rimozione di Morsi e la restaurazione di Al-Sisi nel 2013, gli islamisti hanno immediatamente iniziato le operazioni contro le forze di sicurezza nell'area, aggiungendo ulteriori problemi in un'area abitata da una popolazione, i beduini, che il governo egiziano da sempre tratta con diffidenza. Così i residenti, stretti tra l'incudine dell'esercito e il martello dell'ISIS, come dimostrano i recenti attentati, vedono sempre più ristretti servizi e diritti, mentre l'intera area, a causa della repressiva e miope politica governativa, si avvia a diventare un centro di reclutamento per l'ISIS. Da Foreign Affairs.

 

di Maged Atef, 13 marzo 2017

 

 

Dopo decenni di relativa calma, El-Arish, la capitale della provincia del Sinai settentrionale in Egitto, è diventata un centro di reclutamento per lo Stato islamico (ISIS). Il 9 gennaio, il gruppo ha rivendicato la responsabilità degli attacchi a due posti di blocco della città che hanno causato la morte di otto poliziotti. Quattro giorni dopo, il ministero degli interni egiziano ha rilasciato una dichiarazione sulla morte di dieci uomini che ha definito terroristi. Sono stati uccisi quando le forze di sicurezza hanno preso d'assalto il loro nascondiglio in rappresaglia agli attacchi dell'ISIS, in un'operazione trasmessa dalla televisione di stato egiziana.

 

Le immagini hanno colto di sorpresa diverse famiglie di beduini nel nord del Sinai, che hanno riconosciuto in sei degli uomini uccisi gente del posto che era stata arrestata e portata via dalle proprie case circa due mesi prima. Le famiglie ritenevano che la polizia avesse portato i loro figli fuori dalle celle del loro carcere, li avesse sistemati in un appartamento e li avesse uccisi a sangue freddo per convincere gli egiziani che le forze di sicurezza del paese stavano combattendo efficacemente il terrorismo.

 

Durante un incontro di queste famiglie il giorno seguente, i loro rappresentanti hanno deciso di rifiutarsi di partecipare a una riunione che era stata concordata con il ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar, che le famiglie hanno chiamato "nemico". Un successivo elenco di richieste uscite dalla riunione includeva l'immediato rilascio di tutti i prigionieri del Nord Sinai che erano detenuti in attesa di indagini e che non avevano ancora ricevuto sentenze. Il consiglio, non confidando più nella sicurezza di alcun prigioniero nelle mani delle forze dell'ordine egiziane, si è impegnato a iniziare una campagna di disobbedienza civile se i prigionieri non fossero stati rilasciati.

 

Poiché questa è un'area tribale, le grandi famiglie beduine costituiscono la maggior parte degli imprese, della ricchezza e dei residenti. Se i capi delle famiglie decidessero di smettere di collaborare con la polizia e l'esercito, ad esempio, i servizi di sicurezza sarebbero messi in una situazione imbarazzante e difficile. Questo è il motivo per cui le forze di sicurezza sono attente ai buoni rapporti con le famiglie.

 

I residenti di El-Arish hanno ragione a essere preoccupati. Dopo la cacciata dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak nel 2011, centinaia di islamisti egiziani sono tornati dall'Afghanistan e centinaia di altri sono stati rilasciati dal carcere. Questi islamisti credevano che fosse l'inizio di una nuova era. Molti hanno scelto di radunarsi nel Nord Sinai. Immediatamente dopo che l'ex presidente egiziano Mohamed Morsi è stato rimosso dal potere nel 2013, gli islamisti hanno iniziato le operazioni contro le forze di sicurezza nell'area. Ahmad Wasfy, il capo della divisione dell'esercito conosciuta come Secondo Esercito Egiziano, assicurò agli egiziani che le operazioni militari nel Sinai avevano avuto un enorme successo e sarebbero presto finite. Il Sinai sarebbe stata un'area senza terrorismo.

 

Più di tre anni dopo, continuano gli attacchi terroristici contro personale di sicurezza e posti di blocco. Alcune aree sono state evacuate con la forza, i residenti sono stati sfollati in altre zone e l'esercito egiziano ha perso gran parte del suo sostegno popolare mentre l'ISIS si è insediato nel Sinai.

 

In una semplice casa di El-Arish, sono stato ricevuto da Sheikh Ali al-Deeb, il cui figlio, Abdul Ati, era uno dei giovani uomini che sono stati dichiarati morti dalle forze di sicurezza. "Mio figlio è stato ucciso ingiustamente", ha detto il vecchio uomo, ricacciando le lacrime. "L'8 ottobre mio nipote è venuto da me urlando che mio figlio era stato arrestato. Ha detto che erano in strada a trainare un'auto guasta quando le forze di sicurezza hanno preso mio figlio e il suo camion". Quando Deeb è andato alla stazione di polizia per chiedere di suo figlio, "hanno negato ogni connessione con l'arresto e hanno detto che avrebbe potuto essere stato lo Stato Islamico. Poi abbiamo trovato il suo camion all'interno della stazione di polizia di El-Arish. Siamo tornati chiedendoci come avrebbero potuto negare di tenere mio figlio mentre erano in possesso del suo camion!". Dopo aver confermato la posizione di suo figlio, "ho ringraziato Dio che fosse nelle mani della sicurezza. Almeno sapevo dov'era. Non avrei mai immaginato che la vita di mio figlio sarebbe finita per mano loro", ha detto Deeb.

 

Ho incontrato anche Ashraf Hefny, portavoce del Comitato popolare per El-Arish. "Molti dei nostri giovani vengono arrestati senza alcuna indagine preliminare, e altri sono scomparsi con la forza", ha detto. "Ma che lo stato uccida sei giovani già in stato di arresto e li chiami terroristi, quando tutta la città sapeva che erano sotto detenzione - questo è senza precedenti". "Vogliamo solo essere parte dell'Egitto. Lo stato sta cercando di separarci dal paese", ha aggiunto.

 

MARGINALIZZAZIONE E ABBANDONO

 

Da quando il Sinai è tornato sotto controllo egiziano dopo il trattato di pace con Israele, le autorità egiziane hanno osservato i residenti con scetticismo, a causa dei timori che la loro lealtà continui ad andare agli israeliani piuttosto che agli egiziani. Ai residenti del Sinai è vietato raggiungere qualsiasi incarico di alto livello nello stato. Non possono lavorare nell'esercito, nella polizia, nella magistratura o nella diplomazia. Nel frattempo, negli ultimi 40 anni nessun progetto di sviluppo è stato intrapreso nel Nord Sinai. I villaggi di Rafah e Sheikh Zuwayed non hanno scuole o ospedali e nessun sistema moderno per ricevere acqua potabile. Dipendono dall'acqua piovana e dai pozzi, come se fosse il Medioevo.

 

Le tre principali città del Nord Sinai (Rafah, Sheikh Zuweid ed El-Arish) sono state isolate dall'Egitto nella misura in cui nessun cittadino egiziano è autorizzato a entrare nel Nord Sinai a meno che non sia residente, come confermato da una carta d'identità nazionale. I posti di blocco sono diventati un onere gravoso; si possono trascorrere tre ore in attesa dell'ingresso, senza spiegazioni. Molte delle strade di El-Arish sono state chiuse dai militari e centinaia di ettari di uliveti sono stati abbattuti e ridotti a pascolo con la forza. Lo stato affermava che gli oliveti erano nascondigli per terroristi. Inoltre, ogni giorno i servizi di sicurezza interrompevano le comunicazioni via Internet su tutta la città per 12 ore consecutive durante la settimana che ci ho trascorso. Le strade della città sono piene di mucchi di spazzatura. Dopo un attacco in cui l'ISIS ha bruciato i camion della raccolta rifiuti, lo stato ha deciso di penalizzare i cittadini non inviando i ricambi.

 

Fino a poco tempo fa, El-Arish è stato relativamente risparmiato dagli scontri armati tra lo stato e l'ISIS. Ma molti dei residenti di Sheikh Zuweid e Rafah sono scappati come fuggitivi a El-Arish in seguito alle continue operazioni militari in quelle zone. Ma adesso è normale sentire il rumore degli spari per tutta la sera. L'esercito ha bombardato pesantemente a sud della città, il che, secondo un portavoce militare, avrebbe dovuto liquidare le roccaforti dei terroristi.

 

UNA TRAGICA DINAMICA

 

Nel corso degli anni, lo stato egiziano ha cercato di comprarsi la lealtà delle tribù beduine del Sinai trasformando il ruolo del capo tribale in una posizione ufficiale del governo. Ma piuttosto che permettere alla tribù o al villaggio di nominare il proprio capo, lo fa lo stato. A sua volta, il capo ufficiale non è più la figura guida di una famiglia o una fonte di fiducia. "Un cieco che guida un cieco" è il modo in cui Safwat Gelbana, figura di spicco della famiglia Gelbana di El-Arish, ha descritto la situazione. "I capi nominati delle famiglie dicono allo stato ciò che questo vuole ascoltare e possono riportare le istruzioni dei servizi di sicurezza alla gente, ma sono davvero in grado di contenere problemi? Ne dubito".

 

Senza capi potenti, gli abitanti del Sinai sono incastrati tra l'incudine e il martello: l'esercito e l'ISIS. Anche se religiosa, in linea di massima la popolazione rifiuta la retorica dell'ISIS e ritiene il gruppo responsabile dell'aumento della miseria. D'altro canto, la popolazione di giorno in giorno si fida meno dell'esercito, poiché interrompe comunicazioni e servizi, assedia la città, bombarda villaggi e deporta i residenti. Quando i residenti consegnano un terrorista all'esercito, vengono impunemente massacrati dall'ISIS. Se rimangono in silenzio, lo spionaggio militare può arrestarli e demolire le loro case, a volte mentre sono ancora dentro.

 

Un esempio di questa triste dinamica si è verificato il 10 novembre. A mezzogiorno, due auto si sono fermate in una piazza nel centro di El-Arish. Ne sono saltati fuori cinque uomini armati. Hanno trascinato fuori dall'auto un uomo sulla quarantina e lo hanno scaricato a terra con le mani legate dietro la schiena. Mormoravano qualcosa che gli astanti non erano in grado di decifrare. Poi gli hanno sparato in testa e se ne sono andati gridando "Allahu Akbar!" E "Gloria all'Islam!". Gli astanti si sono avvicinati al corpo dell'uomo per scoprire che era un noto mercante di El-Arish.

 

Con difficoltà, siamo riusciti a parlare con uno dei parenti stretti dell'uomo, un giovane che ha accettato di parlare sotto anonimato. La vittima "era proprietaria di una ditta di mobili e forniva mobili per ufficio alle unità dell'esercito a El-Arish", ha detto l'uomo. "Non ha consegnato membri dell'ISIS all'esercito. Ha a malapena commerciato con l'esercito, ma la sua punizione è stata essere ucciso per strada in pieno giorno. L'esercito non ha alzato un dito e non ha neanche promesso di trovare gli esecutori".

 

Il giovane arrabbiato si è rivolto allo stato. "Ci arrestate, ci chiamate traditori, bombardate le nostre case, e tuttavia non vi preoccupare di trovare chi ci uccide se collaboriamo o commerciamo con voi", ha detto. "Questa oppressione e questa ingiustizia che state infliggendo alla gente del Sinai non farà che creare un ambiente fertile per il reclutamento dei membri dell'ISIS. Avete trasformato il Sinai in un incubatore del terrorismo. Dovete biasimare solo voi stessi per questo".

 

25/11/17

Keynes aveva ragione riguardo al Quantitative Easing (QE)

In questo breve ma sostanziale post tratto dal Real World Economics Review, un grafico illustra empiricamente come il fallimento del QE fosse stato già previsto da Keynes nella sua Teoria Generale. Ancora una volta i numeri ci mostrano chiaramente come il disastro economico dell'Eurozona sia stato un disegno deliberato, o quantomeno colposo, da parte di chi non poteva non sapere che l'esito sarebbe stato una sempre più iniqua redistribuzione della ricchezza nelle mani di pochissimi. Le basi teoriche partono da lontano, i dati parlano chiaro, e le conseguenze pratiche (povertà diffusa, disoccupazione crescente, recessione cronica) sono sotto gli occhi di tutti. A queste condizioni, solo con la consapevolezza di quanto profondamente ingiuste e deliberate siano state la scelte legate all'unione monetaria può permettere ai popoli europei di riguadagnare il terreno perduto in questi anni.

 

di Merijn Knibbe 13 novembre, 2017

 

 

La crescita monetaria causata dal QE nell’Eurozona (si veda il grafico) ha davvero stimolato l’attività economica? Non proprio. Per John Maynard Keynes, in ‘The general theory’ (1936),

 

“La relazione delle variazioni in M (moneta) rispetto a Y (redditi) e r (tasso d’interesse) dipende, principalmente, dal modo in cui si verificano le variazioni in M.”

 



 

In altre parole: è il credito, e non la moneta, a far girare il mondo. La moneta che genera prestiti per permettere alle famiglie di acquistare case già costruite ha un effetto totalmente diverso dalla moneta che genera prestiti per finanziare nuove imprese ad alta intensità d’impiego che producono apparecchiature mediche vitali (ma questo varrebbe anche per l’ultima moda, i giocattoli L.O.L. ball). Il quantitative easing delle banche centrali è un esempio empirico catastroficamente perfetto a dimostrazione di come la moneta circolante non sia aumentata con le misure del QE - ma è invece finita nelle mani dei settori sbagliati dell’economia. Il QE consiste nell’acquisto di obbligazioni di, ad esempio, banche, fondi pensione e compagnie assicurative da parte di una banca centrale. Il grafico mostra che ciò ha contribuito non poco alla crescita monetaria misurata. Il denaro confluito nelle banche tramite la vendita di  obbligazioni  (barre verde chiaro) non viene considerato come ‘moneta sociale’ (ossia moneta circolante nell’economia o M-3). Il denaro del QE versato a fondi pensione e compagnie assicurative e simili (barre azzurro chiaro meno le barre verde verde chiaro) viene invece considerato come parte dell’M-3. Ma i fondi pensione non lo investono in maniera utile. Con quel denaro acquistano soltanto altre obbligazioni e strumenti finanziari. Sarebbe utile se i fondi pensione, di comune accordo con i governi, utilizzassero i fondi del QE per investire in nuove case, ad esempio ad Amsterdam o a Londra. Ma generalmente non lo fanno. Keynes ci aveva visto giusto - non basta prendere in considerazione solo M. E la strategia del QE è sbagliata - o quantomeno per il tipo di QE che abbiamo finora visto. Il QE che conosciamo si potrebbe definire come uno strumento per espandere la massa monetaria nella maniera meno efficiente per influenzare Y. Persino acquistare debiti deteriorati dalle banche (per ridurne il valore) sarebbe stata un’idea migliore.

 

Come leggere il grafico:

 

La linea blu sottile indica la crescita di moneta M-3 Le barre azzurro chiaro rappresentano la quantità di moneta QE che va a fondi pensione, compagnie assicurative e simili, per l’acquisto di obbligazioni esistenti. Le barre verde chiaro sono obbligazioni vendute dalle banche (il denaro confluito nelle banche non è considerato come parte di M-3). Il contributo netto del settore ‘MFI’ (istituzioni finanziarie monetarie, cioè banche e la BCE) alla crescita monetaria dell’Eurozona è dato dalle barre azzurro chiaro meno le barre verdi e viola. È interessante notare che, fino all’inizio del QE, il contributo netto della BCE era negativo! Le ‘attività nette all’estero’ si possono intendere come moneta finita in Svizzera e altri paradisi fiscali.

 

23/11/17

La Germania, l’ambiente e l’ipocrisia

La presunta superiorità tedesca cade anche su un altro tema: le politiche per il clima. Nonostante la Merkel tenti di ergersi a paladina delle politiche ambientali, le sue azioni di governo contraddittorie e ballerine su nucleare e carbone, unite allo sproporzionato peso dell’industria manifatturiera tedesca, condannano la Germania ad essere una delle nazioni più inquinanti del pianeta, con tendenza al peggioramento. Non esiste differenza tra le sue politiche e quelle di Trump, salvo il fatto che l’americano è più sincero a riguardo.

 

 

 

Di Mike Mish Shedlock, 19 novembre 2017

 

Chi ha fatto peggio in tema di ambiente, il Presidente Trump o la Cancelliera tedesca Angela Merkel? Cerchiamo di chiarirlo.

 

Le dichiarazioni di Trump e i suoi risultati

 

Lo scorso 19 settembre, mentre si diceva che Trump avrebbe potuto invertire la rotta riguardo i cambiamenti climatici, la CNBC ha riferito che Trump intende sempre ritirarsi dagli Accordi di Parigi.

 

Ieri il LA Times ha riferito che, mentre l’amministrazione Trump promuove il carbone alle Nazioni Unite, gli stati e le città USA mettono nel mirino i cambiamenti climatici.

 

Politico ha commentato proprio oggi che i colloqui di Bonn riguardo al clima sono sopravvissuti a Trump.

 

È il sottotitolo di Politico che riporta la notizia importante: “La Casa Bianca ha suscitato indignazione sostenendo il carbone, ma i negoziatori USA per lo più hanno mantenuto la vecchia linea tracciata con l’accordo di Parigi del 2015”.


 

Pertanto, a dispetto di tutto il tam-tam mediatico, e a prescindere da quale parte ci si voglia schierare, non è cambiato molto negli USA sulla questione dei cambiamenti climatici.

 

Le dichiarazioni della Merkel e i suoi risultati

 

Secondo il report di Eurointelligence del 16 novembre, la Merkel predica l'adesione agli obiettivi climatici di Parigi, ma le sue politiche non fanno nulla per raggiungerli:

 

“Jasper von Altenbockum sottolinea la monumentale ipocrisia delle politiche ambientaliste di Angela Merkel – a seguito del suo discorso di ieri al summit di Bonn sul clima. Emmanuel Macron è riuscito a prendere l’impegno per la Francia di dismettere la produzione di energia proveniente dal carbone entro il 2020. La ragione per cui Macron è in grado di farlo è la lunga e stabile dipendenza della Francia dall’energia nucleare. La Germania non può fare altrettanto perché la stessa Merkel ha insistito per l’uscita del Paese dall’energia nucleare, e di conseguenza il Paese continua ad affidarsi al carbone. Quindi, la Germania ha fatto tutto al contrario. Ecco perché siamo nella situazione assurda in cui la Merkel condanna Donald Trump per essersi ritirato dagli accordi di Parigi, mentre lei stessa non intraprende le azioni necessarie per onorare i suoi impegni a riguardo.”

 

Antenbockum mette a nudo il fatto che la politica energetica della Germania è un caos totale, con dozzine di riforme che interagiscono l'una con l’altra in maniera misteriosa. Non c’è alcuna possibilità che la Germania riesca a raggiungere le varie soglie obiettivo per il 2030 e il 2050. La ragione, come chiarisce, è che l’intera struttura industriale della Germania – e in particolare l’industria automobilistica – è incompatibile con gli obiettivi degli accordi climatici di Parigi. In altre parole, la Germania ha problemi con gli obiettivi di Parigi molto simili a quelli che hanno gli USA, con la sola differenza che la Germania finge di aderire agli accordi, mentre gli USA no.

 

L’ipocrisisa tedesca sui cambiamenti climatici

 

Il 17 di questo mese, Eurointelligence ci ha offerto questa edizione speciale sul fallimento dei colloqui per la coalizione di governo tra CDU/CSU, i Verdi e FDP (il grassetto è mio):

 

“Una cosa risultata assolutamente chiara durante i colloqui per la formazione della coalizione è che CDU, CSU e FDP desiderano seguire una politica sui cambiamenti climatici del tutto simile a quella di Donald Trump. La sola vera differenza con Trump è che quest’ultimo è stato più onesto a riguardo, ritirandosi completamente dagli accordi di Parigi”.

 

Al momento la Germania è sulla strada di fallire tutti i suoi obiettivi sul clima, sia nel prossimo futuro (2020) sia nel lungo periodo (2030). E la Merkel ha subito un’enorme sconfitta diplomatica ieri al summit sui cambiamenti climatici a Bonn, dove il governo tedesco si è trovato a fronteggiare l’iniziativa di 20 altri paesi, inclusi il Regno Unito, la Francia, l’Italia e il Canada, per un’uscita dalle centrali energetiche alimentate a carbone. Il Canada produce la maggior parte della sua energia dal vento. Il Regno Unito si è impegnato a uscire entro il 2025, ma il carbone rappresenta attualmente solo il 15% della sua produzione energetica. Sarà sufficiente incrementare i settori del gas naturale e del nucleare.

 

Il dilemma della Germania sono, naturalmente, le conseguenze della decisione della Merkel di uscire dalla produzione di energia nucleare entro il 2022, prima di eliminare gradualmente il carbone, come anche il peso notevole della sua industria manifatturiera rispetto alla produzione economica complessiva. Al momento il 40% della produzione energetica tedesca deriva dal carbone. Gli obiettivi climatici richiedono o un’enorme deindustrializzazione, o un cambiamento delle decisioni riguardo l’energia nucleare.

 

Le lotte sui cambiamenti climatici

 

Altra notizia di oggi, secondo Bloomberg il carbone si prende una rivincita nella battaglia ai cambiamenti climatici, dopo che la Germania e la Polonia sono scese in campo per difendere il più sporco dei combustibili fossili.

 

Il carbone è emerso come il vincitore a sorpresa delle due settimane di colloqui sul clima in Germania, con il leader del paese ospitante e della vicina Polonia che si uniscono a Donald Trump per difendere il più sporco dei combustibili fossili.

 

Mentre più di 20 nazioni, guidate da Gran Bretagna e Canada, hanno richiesto di fermare la combustione del carbone, la cancelliera tedesca Merkel ha difeso l’uso del combustibile da parte del suo paese e la necessità di difendere i posti di lavoro delle industrie tedesche.

 

Nel frattempo l’uso continuo ed estensivo di carbone da parte della Polonia ha suscitato preoccupazioni sul fatto che il prossimo incontro, che si terrà nel cuore minerario della Polonia, potrebbe ostacolare qualsiasi passo avanti.

 

Il peso del carbone nella produzione energetica





Questi grafici sono del 2015, presi dall’articolo su “Energy Matters” dell’ottobre 2016 dal titolo “Confronti sull’Energia Primaria nell’Unione Europea e negli USA

 

Nel 2015 la produzione di energia della UE proveniente da carbone era del 20%, contro il 22% degli USA. La Germania è al 40%, e in salita.

 

I posti di lavoro derivanti dal carbone

 

Gli USA possono creare altri posti di lavoro dal carbone senza più usare il carbone.

 

Come?

 

Considerate per cortesia che l’export di carbone USA vola, promuovendo l’agenda energetica di Trump.

 

L’export di carbone USA è aumentato di più del 60% quest’anno a causa di un incremento della richiesta dall’Europa e dall’Asia, secondo quanto riporta Reuters su dati governativi, permettendo all’amministrazione del Presidente Donald Trump di sostenere che gli sforzi per rivitalizzare dalla crisi il relativo settore industriale stanno avendo effetto.

 

L'aumento dell'export giunge mentre l’Unione Europea e altri alleati USA criticavano l’amministrazione Trump e il suo ritiro dagli accordi di Parigi, un patto concordato da circa 200 Paesi per tagliare le emissioni di anidride carbonica derivante dalla combustione di combustibili fossili come il carbone.

 

La più grande centrale a carbone europea

 



 

Stavolta non date la colpa a Trump

 

Deutsche Welle riporta che l’accordo USA-Polonia sull’energia sfida il trend anti-carbone.

 

“Il commerciante di carbone polacco Weglokoks deve ricevere il suo primo carico dagli USA dopo che Donald Trump ha promesso al governo polacco, favorevole al carbone, l’energia USA. La mossa avviene dopo che 19 nazioni hanno firmato un patto per uscire dal carbone”.

 

Diciannove stati della UE hanno firmato questo accordo. La Germania e la Polonia non l’hanno fatto.

 

La Germania è probabilmente uno dei posti più sicuri dove usare energia nucleare, al contrario di regioni soggette a terremoti come il Giappone.

 

Ma la Merkel ha ceduto alle pressioni e ha decretato la fine del nucleare. Il che significa che l’utilizzo tedesco di carbone dovrà aumentare.

 

Possiamo dare la colpa a Trump perché è disposto a vendere carbone USA all’Europa?

 

Anidride carbonica e altri inquinanti

 

Le attenzioni riservate all’anidride carbonica sono decisamente eccessive secondo me. Ma non così altre considerazioni.

 

Il carbone è la più grande fonte di diossido di zolfo, un inquinante maleodorante che produce pioggia acida. Il carbone produce inoltre ossidi di azoto, che possono bruciare il tessuto polmonare e aggravare l’asma.

 

Il carbone inoltre rilascia mercurio e particolato nell’aria. Il mercurio causa danni al cervello (pensate al Cappellaio Matto), mentre il particolato ostruisce la visibilità e contribuisce alla bronchite cronica, all’asma e alla morte prematura.

 

Anche se uno pensa che il riscaldamento globale sia una truffa, ci sono diverse ragioni per essere preoccupati dal carbone.

 

Gasolio contro Benzina

 

Il dibattito tra gasolio e benzina va avanti da tempo. Alcuni punti sono ormai assodati. Il primo è che il gasolio produce un po’ meno anidride carbonica. Il secondo è che gli altri inquinanti del gasolio sono peggiori di quelli della benzina.

 

Ecco qui un estratto del “Conversion Fact Check”: Verifica: le macchine a gasolio inquinano di più di quelle a benzina?

 

Il vecchio piano che coinvolgeva quasi tutta l’UE, di incoraggiare le persone a comprare macchine a gasolio negli anni passati, è un altro esempio della mancata connessione tra le politiche per l’inquinamento dell’aria e quelle per i cambiamenti climatici, e la difficoltà di considerare le emissioni di anidride carbonica in maniera separata dalle altre migliaia di composti che vengono emessi dalle attività umane. Rimpiazzare le macchine a benzina con quelle a gasolio riduce effettivamente le emissioni di anidride carbonica e gli impatti climatici, ma ha chiaramente un impatto ben peggiore sulla salute umana.

 

Gli unici che vanno a gasolio

 

C’è rimasto solo un paese  a sostenere il diesel: la Germania.

 

Non solo la Germania è rimasta molto indietro sui motori a benzina, è indietro anche sulle macchine elettriche.

 

E ricordiamoci da dove la Germania prende l’energia elettrica: dal carbone.

 

Tuttavia, la Merkel ha la sfrontatezza di criticare Trump riguardo all’ambiente mentre nel frattempo l’UE importa carbone americano.

 

La Merkel ha superato il suo apice

 

L’apice della Merkel è arrivato e se ne è andato ormai da tempo. È avvenuto con la crisi dei rifugiati.

 

Potrebbe non sopravvivere a questo caos. Se i Verdi e la CSU non riescono a scendere a patti, nuove elezioni potrebbero essere all’orizzonte.

 

Per i dettagli a riguardo si veda anche: “Uragano in Germania: la coalizione è sul punto di collassare. Nuove Elezioni?”.

 

21/11/17

Grecia, oltre 500.000 lavoratori poveri: “Il mio stipendio basta appena per mangiare”

Introdotta, a parole, per combattere la disoccupazione giovanile, la liberalizzazione del mercato del lavoro (leggi: distruzione dei diritti dei lavoratori) ha portato in Grecia all’emergere prepotente di una nuova classe: quella dei lavoratori poveri, più spesso giovani, che ricevono stipendi semplicemente insufficienti per vivere. Lo riporta il blog Keep Talking Greece, facendo riferimento a un’inchiesta uscita sul settimanale tedesco Der Spiegel.

In Grecia più di mezzo milione di lavoratori guadagnano così poco che riescono appena a sfamarsi. Sono dati terribili, che ci toccano in tutti i sensi: perché se Atene piange, Roma non ride. Il recente rapporto Caritas presentato pochi giorni fa alla stampa estera denuncia infatti come non solo la povertà in Italia sia in aumento, ma le persone più penalizzate siano proprio i giovani. Nel nostro Paese un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta; nel 2007 era appena uno su 50. Ma non è tutto qui. Anche in Italia cresce drammaticamente il numero dei poveri non disoccupati: nella categoria “operaio e assimilato” l’incidenza della povertà è oggi pari al 12,6%, mentre negli anni pre-crisi si attestava appena all’1,7%. Come i nostri lettori ben sanno, se i Paesi non possono recuperare competitività svalutando la propria moneta (come Italia e Grecia, stretti nel cappio dell’euro), hanno l’unica strada di abbattere il costo del lavoro. E quella che chiamano competitività, è infatti la conclusione di questo articolo. Sì, competere contro la propria stessa sopravvivenza.

 

 

Di Keep Talking Greece, 4 novembre 2017

 

 

Le riforme hanno gravi effetti collaterali. Dalla crisi economica in Grecia è emersa una nuova classe sociale: i lavoratori poveri. Donne e uomini istruiti, per lo più laureati, che devono adattarsi a lavori sottopagati.
lavoratori poveri sono lavoratori che hanno redditi inferiori a una determinata soglia di povertà.
In una inchiesta esclusiva, il settimanale tedesco Der Spiegel riporta, tra le altre storie di lavoratori poveri in Grecia, anche quella di Stelina Antoniou, di 24 anni, laureata, impiegata come barista al Royal Theatre di Salonicco. Lavora tre giorni alla settimana, con turni che spesso arrivano fino alle 12 ore filate, e guadagna 240 euro netti al mese.

 

"Almeno non devo pensare a come spendere i soldi che guadagno – dice – bastano giusto per mettere qualcosa in tavola".

 

Ha studiato Lingua e Letteratura greca, ma dal momento che le assunzioni di insegnanti nelle scuole greche sono state sospese "l'unico lavoro che ho trovato è stato in questo ristorante. Questo è il lavoro e lo stipendio che ti viene offerto in Grecia al giorno d'oggi, se hai meno di 25 anni".

 

Stelina condivide un appartamento con un'amica di 22 anni che guadagna uno stipendio simile lavorando come domestica. Le due mettono insieme i loro soldi e come prima cosa pensano a pagare le bollette. La loro priorità principale è la bolletta del riscaldamento.

 

Questa giovane donna greca appartiene a un gruppo sociale che negli ultimi anni è esploso con una forza senza paragoni: i cosiddetti "lavoratori poveri".

 

Un terzo dei lavoratori del settore privato ora guadagna così poco che lo stipendio non è sufficiente per sopravvivere, e si tratta di più di mezzo milione di persone. Per il loro lavoro sono pagati meno di 376 euro al mese, ovvero meno del 60 per cento del salario medio. Quasi il 9 per cento dei dipendenti deve accontentarsi di meno di 200 euro. Il rischio di ritrovarsi poveri pur avendo un lavoro stabile in Grecia è più alto che in qualsiasi altro paese dell'Unione Europea.

 

Ma anche le persone che guadagnano un po’ di più affrontano difficoltà sempre maggiori, perché il costo della vita negli ultimi anni è aumentato significativamente. A titolo di confronto, a Berlino, i prezzi dei beni destinati al consumo quotidiano sono più alti solo del 14,5% di quelli di Atene, mentre il potere d'acquisto nella capitale tedesca è del 117% più alto.

 

È lo Stato che ha contribuito all'aumento dei costi, grazie alle riforme: le scappatoie fiscali sono state chiuse, l'Iva è aumentata e lo stesso hanno fatto le tasse sull'acquisto di terreni.

 

Un'altra causa che ha portato a queste conseguenze è la liberalizzazione del mercato del lavoro, che i creditori della Grecia hanno ripetutamente sollecitato dall’inizio della crisi finanziaria. Da allora, il Parlamento ha approvato tutta una serie di leggi che hanno attenuato in modo significativo le protezioni dei lavoratori. E intanto sono in programma ulteriori leggi sul lavoro, presto il Parlamento dovrà votare un giro di vite su diritto di sciopero e di riunione.

 

Il problema è che la liberalizzazione ha avuto spesso l'effetto opposto a quello cercato. Ad esempio, la legislazione aveva abbassato il salario minimo del 22 per cento, portandolo a 586 euro, mentre la soglia era ancora più bassa per chi aveva meno di 25 anni.

 

Questo, si sperava (o forse si diceva di sperare, NdVdE), avrebbe contrastato la disoccupazione giovanile, che in Grecia raggiunge un picco senza confronti nell'UE. Il risultato: nel 2016 il 47% dei giovani sotto i 25 anni era disoccupato. Allo stesso tempo, è emersa una classe di lavoratori che tollera qualsiasi trattamento, perché consapevoli che se proveranno a lottare per i propri diritti saranno rapidamente sostituiti. Due esempi.

 

Addetto alle consegne, 30 anni, lavora per 4 euro all'ora 36 ore alla settimana, domenica e festivi senza straordinari. Il carburante e la manutenzione del motorino sono a suo carico.

 

Impiegato in un fast food, 30 anni, lavora a tempo pieno 40 ore a settimana. Guadagno netto 490 euro al mese. Nessuno straordinario, nessun bonus per Natale né per le festività, benché obbligatori per legge.

 

Le possibilità dei datori di lavoro, d'altra parte, sono aumentate. Possono rifiutarsi di pagare il lavoro straordinario e le ferie. Non devono temere alcuna conseguenza se registrano dipendenti a tempo pieno come part time per risparmiare sui contributi sociali, solo per citare alcuni esempi.

 

Le ristrettezze materiali non sono l'unico problema. La condizione dei lavoratori poveri impedisce anche a molti, benché lavorino, di vivere una vita autodeterminata. Molti non hanno altra scelta che continuare a vivere nella stanza dei bambini della casa dei genitori - senza alcuna prospettiva di avere una propria famiglia.

 

E benché le persone coinvolte siano in così grande numero, difficilmente riescono a trovare spazio nella percezione pubblica. Compaiono nelle statistiche, di tanto in tanto un articolo sulla stampa crea un certo scalpore, oppure qualche politico li difende, promettendo loro qualche miglioramento per farsi votare.

 

Ma da parte dei "lavoratori poveri" non arriva alcun grido forte di protesta, perché questo ridurrebbe anche le possibilità di ottenere un lavoro sottopagato. E un lavoro mal pagato è comunque meglio di nessun lavoro.
P.S. Il grido di protesta forse si alzerà quando i lavoratori poveri della Grecia arriveranno all’età in cui ci si deve fare la propria famiglia. Oppure seguiranno il percorso dei loro amici e migreranno all'estero. O magari la crisi sarà finita. Ma, ancora, anche se la crisi sarà finita, i salari rimarranno bassi. Christine Lagarde del FMI la definì "competitività". Essere competitivi contro la propria stessa sopravvivenza.

ZH - La BCE propone di metter fine alla protezione dei depositi

ZeroHedge pubblica un articolo su un pericoloso provvedimento, già a lungo paventato, ma ora probabilmente in via di attuazione, che rimuove ogni garanzia sui depositi bancari (anche al di sotto di 100.000 euro). La logica prevalente nella UE è che, tutto mascherato dietro la tutela dei "contribuenti", anche i piccoli risparmiatori si possano considerare alla stessa stregua degli azionisti, e attaccabili in un eventuale bail-in. Per tutelarsi dal rischio di una corsa agli sportelli infatti, secondo la BCE, non ha senso mantenere la piena libertà di accesso ai conti, che potrebbero venire congelati a prescindere dal loro ammontare.

 

di GoldCore, via ZeroHedge, 20 novembre 2017

 

È "opinione della Banca Centrale Europea" che il programma di protezione dei depositi non sia più necessario:

 

"La copertura dei depositi protetti e dei crediti  soggetti al programma di compensazione degli investitori dovrebbe essere sostituita da esenzioni discrezionali limitate concesse dall'autorità competente al fine di mantenere un certo grado di flessibilità".


 

Per tradurre dal gergo "legalese" dei burocrati della BCE, questo può significare che l'attuale soglia dei depositi di 100.000 euro, attualmente protetti in caso di bail-in, potrebbe presto venire meno. Ma non preoccupatevi amici risparmiatori, perché la BCE è del tutto consapevole della rivolta che questo potrebbe causare, per cui sono stati così gentili da proporre quanto segue:

 

"...durante il periodo di transizione, i depositanti dovrebbero avere accesso a un ammontare dei loro depositi garantiti adeguato a coprire il loro costo della vita entro cinque giorni lavorativi dalla richiesta"


 

Che sollievo, dovrete aspettare solo cinque giorni prima che qualche "autorità competente" giudichi quale sia l' "ammontare adeguato" che vi spetta del vostro denaro affinché possiate mangiare, pagare le bollette e andare al lavoro.

 

Quanto sopra è tratto da un documento della BCE pubblicato l'8 novembre 2017 e intitolato "Sulla revisione del quadro di gestione di crisi nell'Unione".

 

È un documento lungo 58 pagine, delle quali la maggior parte sono emendamenti proposti al quadro di gestione delle crisi nell'Unione, nonché l'attuale testo delle Direttive sui Requisiti dei Capitali (CRD).

 

È abbastanza noioso  da leggere, ma ci sono certi passaggi cruciali che dovrebbero far suonare un allarme. È evidente che una volta ancora la banca centrale può manipolare le situazioni ben oltre i limiti della politica monetaria. È anche una lezione per i risparmiatori, affinché diversifichino i loro beni al fine di ridurre la propria esposizione ai rischi delle controparti.

 

Bail-in, a chi servono?

 

Secondo il documento di Revisione della Stabilità Finanziaria, lo strumento di bail-in della UE è benvenuto in quanto:

 

"...contribuisce a ridurre il carico sui contribuenti nella risoluzione di grandi istituzioni finanziarie di peso sistemico, e mitiga alcuni degli incentivi all'azzardo morale delle istituzioni "too-big-to-fail" [troppo grandi per fallire, NdT]."


 

Come abbiamo discusso in passato, siamo confusi dall'apparente separazione tra i "contribuenti" e quelli che hanno messi i loro sudati risparmi in una banca. Dopotutto, non sono anche loro contribuenti? Questo non importa, dice Matthew C. Klein sul Financial Times, che recentemente ha sostenuto che "i bail-in sono teoricamente preferibili perché preservano la disciplina di mercato senza causare danno indebito a persone incolpevoli".

 

In definitiva i bail-in sono fatti affinché le banche centrali possano continuare a far proseguire il gioco del denaro facile e dell'irresponsabilità. Questi sono stati sanciti perché, anziché risolvere i problemi e imparare la lezione dal caos avvenuto coi bail-out di quasi un decennio fa, si è deciso di inventare un metodo di aiuto alle banche ancora più grande, per rattoppare il sistema.

 

"I bailout, al contrario, sono ingiusti e inefficienti. I governi tendono a ricorrervi, tuttavia, a causa di una malriposta preoccupazione di "preservare il sistema". Questo alimenta i (giustificati) risentimenti sul fatto che le élite si preoccupino più di proteggere i propri amici che di aiutare la gente normale" - Matthew C. Klein.


 

Che dire quindi della gente normale che ha depositato i propri soldi in banca, credendo che fossero al sicuro da un'altra crisi finanziaria? Non sono forse "incolpevoli" e non meritano anche loro protezione?

 

Klein ha scritto il suo ultimo pezzo sui bail-in appena una settimana prima di questo ultimo articolo della BCE. Per correttezza verso Klein, al momento in cui scriveva i depositanti con meno di 100.000 euro in banca erano protetti secondo i termini delle regole di copertura dei depositi della BCE.

 

Eppure già questo ci sembrava assurdo, in quanto ritenevamo discutibile che i soldi di chiunque, depositati in banca, potessero essere improvvisamente prelevati per sostenere un'istituzione in crisi. Abbiamo regolarmente fatto notare che, sebbene ci sia attualmente un livello dei depositi protetto che non dovrebbe essere svuotato, questa situazione potrebbe cambiare nel giro di un minuto.

 

Gli ultimi emendamenti proposti suggeriscono che questo sia proprio ciò che sta per succedere.

 



 

Perché cambiare le regole del bail-in?

 

La proposta di emendamento di 58 pagine della BCE prosegue, ed è circa a metà che ci si imbatte nel suggerimento che i "depositi protetti" non debbano più essere garantiti. Quanto segue è ciò che viene determinato dalla BCE nella preoccupazione di una possibile corsa agli sportelli delle banche in via di fallimento:

 

Se il fallimento di una banca appare imminente, un numero sostanzioso di depositanti protetti potrebbe comunque ritirare i propri fondi all'istante, in modo da garantirsi un accesso ininterrotto o perché non hanno più fiducia nel sistema di garanzie.


 

Questo potrebbe essere particolarmente fatale per le grandi banche e provocare ulteriori crisi di fiducia nel sistema:

 

Questo scenario è particolarmente probabile per le grandi banche, dove il semplice ammontare dei depositi protetti potrebbe erodere la fiducia nella capacità dello schema di garanzia dei depositi. In un tale scenario, se l'ambito di applicazione della moratoria non include i depositi protetti, la moratoria potrebbe mettere in allerta i depositanti sul fatto che sia molto probabile che l'istituzione stia fallendo o sia in procinto di fallire.


 

Pertanto, argomenta la BCE, la moratoria attuale che protegge i depositi potrebbe essere "controproducente". (Per le banche, ovviamente, non per le persone a cui il denaro appartiene veramente):

 

La moratoria pertanto sarebbe controproducente, causando una corsa agli sportelli anziché prevenirla. Un tale esito sarebbe a discapito di una risoluzione ordinata delle banche, e questo potrebbe in definitiva causare un grave danno ai creditori e uno stress significativo sullo schema di garanzia dei depositi. In aggiunta, una tale esenzione potrebbe portare a un trattamento peggiore per le banche finanziate dai depositanti, dato che dovrebbe essere preso in considerazione al momento di determinare la gravità della situazione della banca quanto a liquidità. Infine, qualsiasi potenziale impedimento tecnico potrebbe richiedere ulteriori valutazioni.


 

La BCE propone invece che "certe salvaguardie" siano messe in atto per permettere una restrizione all'accesso ai depositi... per non più di cinque giorni lavorativi. Ma vediamone la durata:

 

Pertanto, un'eccezione all'applicazione della moratoria per i depositanti protetti getterebbe seri dubbi sull'utilità complessiva dello strumento. Invece di imporre un'esenzione generale, la BRRD dovrebbe includere certe salvaguardie per proteggere i diritti dei depositanti, tra cui una chiara comunicazione su quando possa essere riottenuto l'accesso e una restrizione della sospensione a un massimo di cinque giorni lavorativi, per evitare un uso cumulativo da parte dell'autorità competente e dell'autorità di risoluzione.


 

Anche dopo aver studiato e letto sui bail-in per un anno sono ancora orripilato all'idea che qualcosa del genere venga ritenuto preferibile e più giusto rispetto ad altre soluzioni, e in particolare a un aggiustamento del sistema bancario. I burocrati che gestiscono la UE e la BCE sono ancora ciechi alle sofferenze che le loro proposte possono causare e hanno già causato.

 

Guardate l'Italia per prevenire i danni

 

All'inizio del mese abbiamo spiegato che il collasso bancario nella regione italiana del Veneto ha distrutto i risparmi di 200.000 persone e di 40.000 imprese.

 

Nello stesso articolo abbiamo sottolineato quanto gli italiani fossero esposti verso il sistema bancario. Oltre 31 miliardi di euro di obbligazioni subordinate erano state vendute a ordinari risparmiatori, investitori e pensionati. Sono questi i titoli che verranno risucchiati e portati via ogni volta che una banca crolla.

 

Uno studio del Fondo Monetario Internazionale del 2015 ha trovato che per la maggior parte delle 15 maggiori banche italiane un salvataggio "implicherebbe un bail-in dei piccoli investitori e del debito subordinato". Solo due terzi del potenziale bail-in colpirebbe gli obbligazionisti senior, cioè coloro che più probabilmente sarebbero investitori istituzionali e non pensionati con pochi fondi.

 

Perché è proprio così? Come abbiamo spiegato in precedenza:

 

Gli obbligazionisti vengono visti come creditori. Lo stesso tipo di creditori che le regole UE ritengono responsabili dei fallimenti finanziari delle banche, e distinti dai contribuenti. Questo è lo scenario del bail-in.


 

In uno scenario di bail-in i titoli junior detenuti dai piccoli investitori sono i primi a essere colpiti. Quando la più antica banca del mondo, Monte dei Paschi di Siena, è crollata, persone comuni (che sono anche contribuenti) detenevano 5 miliardi di euro di debito subordinato. Tutto svanito.


 

Nonostante il più grande bail-in della storia sia avvenuto dentro la UE, poche persone hanno prestato attenzione e protestato contro queste misure. Un bail-in non è cosa esclusiva dell'Italia, ma è possibile per tutti quelli che vivono e hanno conti in banca nella UE.

 

Ciononostante, fino a questo punto non ci sono state proteste. Non stiamo parlando di proteste per le strade, stiamo parlando di proteste là dove vi fa più male, per il vostro denaro.

 

 



 

Come abbiamo visto dalle risposte della UE alla Brexit e alla Catalogna, ai funzionari non importa un fico secco dei reclami dei loro cittadini. Per cui quando si tratta delle banche, analogamente,  ha poco senso esprimere disgusto. Invece, gli investitori devono prendere i loro beni e valutare quale sia il modo migliore di proteggere i propri risparmi dalla tirannia delle politiche della banca centrale.

 

Per rinfrescarvi la memoria, la BCE sta proponendo che in caso di bail-in  vi sia data una quota dei vostri stessi risparmi. Una quota che riguarderebbe:

 

"...durante il periodo di transizione, i depositanti dovrebbero avere accesso a un ammontare dei loro depositi garantiti adeguato a coprire il loro costo della vita entro cinque giorni lavorativi dalla richiesta"


 

20/11/17

ZH - Esplode il numero di tedeschi senzatetto

Nella Germania "felix", la crisi dei migranti del 2015 si è combinata con la stagnazione salariale e il boom immobiliare a generare uno sconcertante aumento dei senzatetto, cresciuti nel 2016 del 33% fino a interessare 52mila persone, e di chi deve appoggiarsi alla carità di familiari e amici per poter continuare a vivere in una casa, in aumento del 26% e arrivati a 400mila persone. L'ennesimo esempio che la disfunzionalità dell'eurozona e delle politiche neoliberali e imperialistiche colpisce duramente anche i ceti più deboli del paese egemone. Via Zero Hedge.

 

 

 

di Tyler Durden, 15 novembre 2017

 

Secondo una recente stima pubblicata dall'Associazione federale per l'assistenza ai senzatetto, il numero di senzatetto che vivono sulle strade della Germania è aumentato del 33% nel giro di un paio d'anni, fino a contare 52.000 persone. Nel frattempo, come osserva The Local, è aumentato anche di uno sconcertante 26% il numero di tedeschi che non possono permettersi una casa propria e sono stati costretti a fare affidamento sulla generosità dei familiari e degli amici per un posto dove dormire ogni notte; adesso sono più di 400 mila persone.

 

"Si stima che nel 2016 le persone che vivono per strada in Germania fossero 52.000, in aumento di un terzo rispetto ai 39.000 senzatetto del 2014.


Il rapporto afferma inoltre che in Germania il numero complessivo di persone che non ha una casa propria è aumentato drasticamente, passando dai 335.000 nel 2014 ai 422.000 dell'anno scorso.


La maggior parte delle persone che non hanno una casa propria vive in un alloggio collettivo o deve fare affidamento sulla carità di partner o familiari."


 

Naturalmente, i funzionari tedeschi hanno offerto una vasta gamma di possibili spiegazioni per l'esplosione della crisi dei senzatetto; Thomas Specht, capo dell'Associazione federale per l'assistenza ai senzatetto, incolpa la limitata offerta di alloggi, l'aumento degli affitti e i salari stagnanti.

 

"I numeri sui senzatetto presentati oggi sono scioccanti",  ha detto Ulrike Mascher, presidente dell'associazione sociale VdK.


" 'Dal nostro punto di vista, questo dimostra che sempre più persone non sono in grado di pagare il proprio affitto a causa dei bassi salari e dell'eccessivo indebitamento'.


Thomas Specht, capo dell'Associazione federale per l'assistenza ai senzatetto, ha affermato che gli aumenti degli affitti sono solo una delle cause di questo corso negativo.


Ha sottolineato che dal 1990 il numero di appartamenti gestiti dai comuni è diminuito del 60%, arrivando a 1,2 milioni, perché le municipalità hanno venduto molte proprietà a investitori privati.


'Le autorità hanno perso il controllo delle disponibilità di alloggi a prezzi accessibili', ha affermato."


 

 

Questo detto, altri hanno puntato il dito sulla politica delle "porte aperte" di Angela Merkel che nel 2015 ha fatto entrare nel paese quasi un milione di rifugiati dalla Siria, dalla Libia, dall'Afghanistan e da altre zone di guerra, un aumento di cinque volte rispetto all'anno precedente.

 

Un numero crescente di persone che vivono sulle strade tedesche sono immigrati dall'Europa orientale. Specht ha tuttavia affermato che, sebbene l'immigrazione abbia esercitato pressione sulle strutture per i senzatetto, non è stata affatto l'unico fattore.


Karin Kühn, presidente di BAG Help for the Homeless, ha chiesto un'azione immediata da parte del governo.


 

[caption id="attachment_13430" align="aligncenter" width="584"] La principale rotta di immigrazione verso la Germania. In legenda, dall'alto in basso: frontiere chiuse; recinzioni in costruzione; strade transfrontaliere chiuse; controlli alla frontiera; sezione del fiume Drava[/caption]

 

Certamente, l'afflusso di immigrati è diventato un argomento politico scottante nelle recenti elezioni, dopo che i rifugiati appena accolti in Germania hanno ripagato la Merkel per la sua "apertura" commettendo 142.500 crimini durante i primi sei mesi del 2016, tra cui diverse gravi aggressioni sessuali.

 

Sfortunatamente, mentre la reazione pubblica alla fine ha convinto la Merkel che la Germania non poteva farsi carico di tutti i problemi del mondo, portando di conseguenza alla decisione di limitare a 200.000 all'anno i futuri flussi di rifugiati (cosa di cui abbiamo discusso qui: Le porte aperte della Germania si stanno chiudendo: Merkel cerca nuovi limiti ai rifugiati) ...

 

"L'unione ha accettato di limitare a 200.000 all'anno il numero di persone che possono entrare in Germania per motivi umanitari. I conservatori allo stesso tempo hanno garantito che queste persone non sarebbero state respinte al confine tedesco, esprimendo il loro sostegno al diritto di chiedere asilo in Germania e alla convenzione sui rifugiati di Ginevra, secondo cui i paesi dovrebbero dare protezione a coloro che fuggono dalla guerra e dalla deportazione, e a coloro che sono perseguitati politicamente.


'Continuiamo i nostri sforzi per ridurre permanentemente il numero di persone in fuga verso la Germania e l'Europa, per evitare il ripetersi della situazione del 2015', quando la Germania accolse 890.000 richiedenti asilo, ha detto la Merkel lunedì, presentando l'accordo ai giornalisti.


La Merkel ha detto che le parti hanno concordato misure che garantiranno che il numero totale di ammissioni non superi le 200.000 persone all'anno. Queste misure includono l'occuparsi dei nuovi arrivati ​​che chiedono asilo in Germania in complessi centralizzati dove le loro richieste saranno discusse rapidamente. I richiedenti asilo respinti saranno poi deportati velocemente nei loro paesi d'origine. Con questa mossa, le parti sperano di accelerare le procedure di asilo e aumentare il numero di espulsioni.


Il limite di 200.000 migranti ogni anno potrebbe essere modificato dal Parlamento tedesco se una crisi internazionale lo giustificasse, riporta l'accordo."


 

 

La stupefacente capitolazione segue l'imbarazzante risultato della Democrazia Cristiana della Merkel nelle elezioni federali di settembre. Anche se il partito ha nuovamente ottenuto la maggioranza dei voti, il suo consenso è diminuito di oltre l'8% rispetto alle elezioni precedenti, in quello che risulta essere il peggior risultato di sempre della Merkel. Nel frattempo, il partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) ha ottenuto un risultato senza precedenti del 13%, abbastanza da conquistarsi un rappresentante in parlamento - la prima volta che un partito di estrema destra entra nel parlamento tedesco dalla seconda guerra mondiale.

 

... L'illuminazione della Merkel a quanto pare non è arrivata abbastanza velocemente da evitare quella crisi abitativa che ora sta mettendo sulla strada un numero record di cittadini tedeschi.

18/11/17

Note sulla condizione globale: dei bond vigilantes, dei banchieri centrali e della crisi, 2008-2017

Dallo storico inglese Adam Tooze, professore alla Columbia University e vincitore del  Wolfson History Prize, un utilissimo e ampio riassunto di quanto accaduto sui mercati finanziari in questi anni e sul ruolo dei banchieri centrali. Alzare la testa dalla contingenza attuale, per porsi in una prospettiva più ampia dal punto di vista del tempo e dello spazio, consente di osservare meglio le forze devastanti che sono in opera nel contesto globale in cui viviamo. Dopo la liberalizzazione dei capitali, negli anni 70, la politica ha gradualmente perso ogni potere, lasciandolo a entità sciolte da qualsiasi vincolo elettorale: da una parte i mercati, lontanissimi dall'avere - neanche collettivamente - comportamenti razionali, dall'altro le banche centrali, di fatto diventate arbitre del destino di Paesi e governi. Nel gioco strategico che contrappone questi giganti, noi cittadini e i nostri diritti - per cui è stato versato sangue - come il diritto a un lavoro, a una vita dignitosa, alla salute, siamo sempre più deboli e a rischio.  

 

 

 

di Adam Tooze, 7 Novembre 2017

Hanno collaborato alla traduzione: Margherita Russo, Stefano Solaro, Rododak e Carmenthesister

 

L'economia politica alla fine del ventesimo secolo era caratterizzata da un evidente parallelismo. A partire dalla metà degli anni 70, un aumento del debito pubblico senza precedenti in tempi di pace coincise con la liberalizzazione delle transazioni internazionali di capitali. Nel 1970 il rapporto debito/Pil dei principali paesi campione dell'Ocse era al 40 per cento. A metà degli anni 90, come media non ponderata, era raddoppiato, arrivando all'80%. Nello stesso periodo erano state abbandonate le restrizioni sui capitali di Bretton Woods. I capitali iniziavano a circolare con una libertà che non si vedeva dagli anni Venti, spostandosi sui mercati finanziari e sui bilanci delle banche con una velocità inaudita. Si trattava di una combinazione esplosiva. Dagli anni 70, allarmati dai grandi disavanzi e da un'accelerazione dell'inflazione, i mercati dei capitali sono divenuti instabili. La cronologia delle finanze pubbliche è stata punteggiata da una serie di crisi. Nel 1976 un forte ribasso nei mercati valutari e obbligazionari ha costretto il governo laburista britannico ad accettare un programma del FMI. Nel 1983 in Francia il governo socialista di François Mitterrand è stato messo in ginocchio. Non a caso il 1983 è stato anche l'anno in cui l’espressione "bond vigilantes" (più o meno traducibile con "giustizieri del mercato obbligazionario", NdVdE) è stata coniata dall'economista americano Edward Yardeni.

 

"Gli investitori in obbligazioni sono i bond vigilantes dell'economia", dichiarava Yardeni. "Se le autorità fiscali e monetarie non regolano l'economia, tocca agli investitori obbligazionari farlo. L'economia sarà gestita dai vigilantes dei mercati di credito" [1]. Come Yardeni spiegava in seguito: "Per vigilantes intendo gli investitori che tengono d’occhio le politiche per determinare se sono favorevoli o meno per gli investimenti in obbligazioni... Se il governo adotta politiche che potrebbero rilanciare l'inflazione", ha argomentato Yardeni, "i vigilantes possono intervenire per ripristinare la legge e l'ordine nei mercati e nell'economia” [2].

 

In effetti, mentre Yardeni coniava questa espressione, le autorità di tutte le principali economie avanzate stavano riprendendo in mano le redini della situazione. Lo fecero non limitando i movimenti di capitali, ma seguendo l’esempio della Fed americana, che nell'ottobre 1979 innalzò il tasso di interesse [3]. Ciò che da allora è conosciuto come “Volcker shock", con la sua conseguente alta disoccupazione, arrestò l'inflazione. Fu questa spettacolare stretta a preparare il terreno per la "grande austerità" degli anni 90. L'inflazione si è calmata, ma in un mondo di sfrenata mobilità dei capitali i vigilantes potevano colpire chiunque, ovunque, in qualsiasi momento. Nel 1992 la Gran Bretagna e l'Italia sperimentarono nuovamente la pressione dei mercati monetari e obbligazionari. Con Bill Clinton subentrato alla presidenza nei primi mesi del 1993, il primo democratico dopo 12 anni, a Wall Street c'era il timore che avrebbe ribaltato il consenso anti-inflazione degli anni 80. Per Yardeni si trattò di un momento d’oro per i bond vigilantes. La valutazione del LA Times fu brutale: "Il potere non sarà detenuto solo dal Tesoro, dalla Federal Reserve e dal Congresso. Migliaia di titolari di obbligazioni e di gestori di portafogli in tutto il mondo avranno anche un'influenza collettiva: alcuni economisti ritengono persino che si tratti di un potere di veto sulle scelte politiche dell'amministrazione Clinton" [4]. Quando i giornali riportarono che Clinton avrebbe potuto prendere in considerazione un significativo stimolo fiscale, i tassi schizzarono. I mercati obbligazionari si calmarono solo quando Clinton e il suo team smentirono questa intenzione. Yardeni sottolineava favorevolmente: "Colpisce come sia bastato un modesto aumento dei rendimenti per focalizzare l'immediata attenzione di Clinton e degli organi decisionali" [5]. Infatti, non fu solo l'attenzione dell'amministrazione Clinton ma, come sottolineava Bob Woodward nella sua autorevolissima indagine,The Agenda, fu la stessa linea politica della presidenza a cambiare 6]. L'amministrazione Clinton ha in effetti implementato il regime di equilibrio di bilancio e "riforma del welfare" più gradito ai mercati. Dopo essere saliti dal 5,2% a poco più dell 8% tra il 1993 e il 1994, nel 1998 i rendimenti dei buoni del Tesoro a 10 anni erano scesi al 4%. Fu in questo contesto che James Carvill, architetto della vittoria elettorale di Clinton, commentò nel febbraio 1993[7]: “Prima pensavo che, se esistesse la reincarnazione, avrei voluto tornare come presidente o papa o battitore di baseball da 400. Ma ora vorrei reincarnarmi come mercato delle obbligazioni. Così posso intimorire tutti" [8].

 

Dopo gli europei e gli Stati Uniti nei primi anni 90, seguirono le economie asiatiche, la Russia e infine l'America Latina. Gli anni tra il 1997 e il 2001 sono stati caratterizzati da una serie di "crisi parallele" - nel mercato dei capitali e in quello del cambio - che si estesero dalla Thailandia all'Argentina. All’inizio del nuovo secolo, l'idea che i mercati dei capitali liberalizzati esercitassero il potere di veto era ormai data per scontata. Nell'economia accademica questo è stato formalizzato con la nozione di trilemma. In condizioni di mobilità dei capitali un paese ha la scelta tra stabilizzare il tasso di cambio o condurre una politica economica autonoma. Non si possono avere entrambi[9]. Per quanto grave ciò possa sembrare, molti erano convinti che l’alternativa fosse in realtà ancora peggio. Dato che un crollo della valuta in un mercato emergente può scatenare una valanga di fughe di capitali, per la maggior parte degli stati le fluttuazioni dei tassi di cambio non erano un'opzione. In questi termini ciò che i governi si trovarono ad affrontare non era infatti un trilemma, ma una scelta diretta e precisa [10]. Si poteva scegliere tra indossare le manette d'oro dell'integrazione finanziaria globale e accettare il nuovo consenso del consolidamento fiscale e della liberalizzazione del mercato, oppure imporre controlli su cambio e capitali e mantenere così un certo grado di controllo sulla politica economica. In pratica nessuno optò per quest'ultima opzione.

 

Nell'aprile 2000 Rolf Breuer, capo della Deutsche Bank, dichiarò a Die Zeit che ‘sempre più la politica sarebbe state formulata con un occhio ai mercati finanziari’: "Si potrebbe dire che questi abbiano assunto un importante ruolo di guardiani insieme ai media, quasi come una sorta di "quinto potere".’ Secondo Breuer, "forse non sarebbe una cosa negativa se la politica del ventunesimo secolo venisse decisa dai mercati finanziari". Perché, dopo tutto: "Gli stessi politici... hanno contribuito a porre in essere tali restrizioni... che hanno causato loro tanti problemi. I governi e i parlamenti hanno fatto un uso eccessivo dello strumento del debito pubblico. Ciò comporta - come per altri tipi di debito - una certa responsabilità nei confronti dei creditori... Se i governi e i parlamenti sono costretti oggi a prestare maggiore attenzione alle esigenze e alle preferenze dei mercati finanziari internazionali, ciò si può anche attribuire agli errori del passato" [11]. Nel 2007 l'ex-presidente della Fed Alan Greenspan riassumeva l’ideologia della nuova era della globalizzazione. In un'intervista al quotidiano Tages-Anzeiger di Zurigo del 19 settembre affermava che nelle elezioni presidenziali americane a venire non avrebbe fatto molta differenza quale candidato avrebbe favorito, dato che "(noi) abbiamo la fortuna che, grazie alla globalizzazione, le decisioni politiche negli Stati Uniti siano state in gran parte state sostituite dalle forze del mercato globale. A parte la sicurezza nazionale, non fa alcuna differenza chi sarà il prossimo presidente. Il mondo è governato dal potere del mercato" [12].
Era il 2007, prima della crisi finanziaria. Resta da vedere come questa narrazione può reggere dopo un decennio di turbolenze finanziarie. È ancora sostenibile l'idea della politica del debito sovrano tra gli anni 70 e i primi anni 90?

 

I

 

Alla luce di ciò, pare che la crisi abbia ulteriormente rafforzato la morsa dei mercati finanziari sulla politica. L'aumento del debito pubblico dopo il 2007 è stato il più grande mai sperimentato in tempo di pace, facendo eclissare lo shock del debito degli anni 70 e 80. Solo negli Stati Uniti l'aumento delle passività del Tesoro tra il 2008 e il 2015 è stato di 9 trilioni di dollari. Secondo il ragionamento di Breuer e altri come lui, è difficile capire come questo avrebbe potuto non aumentare la pressione dei mercati obbligazionari.

 


Fonte: http://www.mpifg.de/pu/mpifg_dp/dp13-7.pdf


 

Nel maggio 2009, quando la portata dello shock fiscale diventò evidente, Bloomberg e il Wall Street Journal riferivano che i mercati erano in guerra. Yardeni è tornato nuovamente alla ribalta per avvertire che "dieci trilioni di dollari nel corso dei prossimi dieci anni rappresentano solo un indizio che Washington è veramente fuori controllo ..." [13]. Il 29 maggio 2009 il WSJ annunciava che alla luce della “stupefacente scommessa di Washington sulle politiche di reflazione fiscale e monetaria” i vigilantes obbligazionari erano tornati in sella. "Non è esagerato dire che stiamo assistendo ad una sfida tra il presidente della Fed, Ben Bernanke e gli investitori obbligazionari, altrimenti conosciuti come i mercati finanziari". "In caso di dubbio," consigliava il giornale ai suoi lettori, "meglio scommettere sui mercati" [14][15]. Un messaggio suscettibile di particolare risonanza all'interno dell'amministrazione Obama, formata da veterani degli anni Clinton e perseguitata dai ricordi degli anni 90. Nel maggio 2009 Obama commissionò al suo direttore del bilancio Peter Orszag la preparazione di piani di emergenza in caso di forte ribasso sul mercato delle obbligazioni. [16] Orszag era un protégé del segretario del tesoro di Clinton, Robert Rubin. Durante i duri anni della Presidenza Bush, Orszag aveva lavorato con Rubin su un programma di consolidamento del bilancio per la prossima presidenza democratica [17].

 

All'inizio del 2010 la pubblicazione di “Growth in a time of debt”, un articolo molto influente dei due professori Carmen Reinhart e Ken Rogoff, aggiunse peso intellettuale alla paura del mercato delle obbligazioni [18]. I due ex-economisti del FMI affermavano di avere identificato una soglia critica. Quando il debito raggiunge il 90 per cento del PIL, la crescita diminuisce in modo significativo, causando una spirale viziosa negativa. L’avvertimento di Reinhart e Rogoff era: una volta raggiunti livelli critici di debito intorno al 90% del Pil o superiori, c'è sempre il rischio di un improvviso cambiamento negli orientamenti del mercato. "Non dico certo che questo sia lo scenario di base per gli Stati Uniti", dichiarò Reinhart in un'intervista - "ma il messaggio di fondo è che bisogna pensare anche ciò che appare inconcepibile" [19][20]. Lo storico di Fox TV Niall Ferguson evocò il crollo della Russia sovietica per dimostrare lo stesso argomento. Una potenza mondiale potrebbe essere messa in ginocchio a velocità catastrofica dagli eccessi della finanza [21]. Il messaggio di Ferguson al pubblico americano era brutale: "I PIIGS SIAMO NOI".

 

Quando la crisi del debito greco raggiunse livelli critici, nella primavera del 2010, la paura del debito si diffuse in tutto il mondo. Nel maggio 2010, per dirla con Alan Blinder, i vigilantes si sono "arrabbiati" e hanno creato "una mafia virtuale" che ha circondato il globo "più velocemente di Hermes" [22]. Lo spread sui titoli di Stato è lievitato non solo in Grecia, ma anche in Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna. E il nervosismo si è esteso oltre la zona euro. Le elezioni britanniche del 6 maggio 2010, fortemente contestate e inconcludenti, si svolsero nel mezzo della fase più acuta della crisi dell'Eurozona. Mentre gli elettori britannici andavano a votare, Atene era in rivolta e un "flash crash" portava scompiglio nei mercati finanziari degli Stati Uniti. Non sorprende che i nervi fossero tesi al massimo. La preoccupazione principale dei negoziati di coalizione era il controllo del deficit della Gran Bretagna [23]. Per i Tories e i loro advisors era chiaro che le trattative sul bilancio sarebbero state "considerate dai mercati finanziari come la prova della credibilità del loro governo.” La pressione del mercato sarebbe diventata la principale giustificazione per le severe politiche di austerità in Gran Bretagna. Ancora più drastica è stata l'esperienza dell'Irlanda, del Portogallo, dell'Italia e della Spagna, che hanno subito una stretta di bilancio sotto la minaccia di un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato. Nel caso della Grecia, la ristrutturazione del debito si sarebbe trasformata in una brutale prova di forza. I negoziati si sono protratti per nove mesi e hanno portato nel 2012 ad un accordo che alleggeriva il debito dello stato greco solo in parte [24].

 

Quali erano le forze, chi erano i decisori che muovevano i mercati obbligazionari? Con l’avvento della crisi, questa non era più una questione solo per gli addetti ai lavori. Gruppi di sensibilizzazione come il Comitato consultivo sindacale all'OCSE e la Confederazione sindacale internazionale iniziarono a compilare statistiche sui gestori di asset globali. Gli ingenti patrimoni in capitale accumulato da queste imprese dà l’idea di un potere formidabile. I principali tra di essi gestiscono portafogli paragonabili al debito sovrano dei maggiori paesi europei.

 


Fonte: http://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/1203t_bond.pdf


 

Questi giganteschi fondi obbligazionari non ricordano tanto i vigilantes, quanto piuttosto i magnati rapinatori del capitalismo delle ferrovie che li sostituirono. I più vicini a questa metafora da Far West erano gli hedge fund. Per quanto molto più piccoli, erano anche più aggressivi e disposti a rischiare su titoli di Stato fortemente scontati. Una manciata di cosiddetti "fondi avvoltoio" con in mano pochi miliardi di dollari di debito svalutato poteva esercitare un’enorme influenza su complicati negoziati sul debito.

 

 


Fonte: http://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/1203t_bond.pdf


 

Del resto i portavoce dei mercati obbligazionari non facevano un segreto del loro potere. Nella primavera del 2011 "il re delle obbligazioni" Bill Gross di PIMCO rilasciò un'intervista in cui attaccava i deficit del governo federale con un linguaggio che ricorda il Tea Party. Gross dichiarò alla rivista Atlantic: "La vendita di titoli del Tesoro è il modo più semplice per scatenare una mini-rivoluzione ..." [25]. Il 23 novembre 2011 un editoriale del Wall Street Journal spiegava: "C'è una netta spaccatura tra l’idea che ogni persona abbia il diritto di essere rappresentato nel governo attraverso il voto e il crudo potere collettivo del denaro e dei mercati. Generalmente questa spaccatura rimane celata e non interessa granché a nessuno. Ma in tempi di crisi, come abbiamo visto in Europa, può diventare l'unica cosa che conta, eclissando coalizioni di governo, diatribe parlamentari, i divieti costituzionali e tutto il resto" [26]. Kathleen Gaffney, che ha co-gestito 80 miliardi di dollari in titoli di Stato per il gruppo di Loomis Sayles, di proprietà di Natixis, ha dichiarato al FT che la Grecia, e possibilmente il Portogallo, "pagherebbero a caro prezzo non essere più duri nei confronti del proprio popolo" [27].

 

Discorsi del genere hanno costituito la perfetta materia prima per un rivitalizzato interesse verso l'economia politica da parte della sinistra. Non sorprende che la crisi abbia rinnovato un approccio critico alla finanza e al debito [28]. Slavo Žižek, enfant terribile del panorama della sinistra, ha posto una domanda retorica: "Cos’è dunque questo potere superiore la cui autorità può sospendere le decisioni dei rappresentanti democratici eletti del popolo?" Già nel 1998, la risposta è stata fornita da Hans Tietmeyer, allora governatore della Deutsche Bundesbank, che ha lodato i governi nazionali per aver preferito "il plebiscito permanente dei mercati globali" al "plebiscito della scheda elettorale"[29]. Durante una conferenza ospitata dalla piattaforma per un pensiero economico alternativo, finanziata da Soros, l'INET, il teorico e critico letterario tedesco Joseph Vogl osservò che: "I mercati stessi sono diventati una sorta di dio-creditore, la cui autorità finale decide il destino di valute, sistemi sociali, infrastrutture pubbliche, risparmi privati, ecc." [30]. L'analisi più sistematica e influente del debito pubblico da sinistra è quella offerta dal sociologo Wolfgang Streeck. I governi democratici capitalisti indebitati, secondo Streeck, si trovano in un vicolo cieco sistematico. Sono responsabili non solo di fronte ai loro cittadini, ma anche a un nuovo sovrano, i proprietari dei titoli di Stato. A differenza dei cittadini, i mercati del credito sono organizzati a livello internazionale. Le loro richieste sono imperative per legge. Hanno la capacità di uscire dal mercato. I tassi di interesse fissati dalle aste obbligazionarie "sono l'opinione pubblica del Marktvolk (i cittadini del mercato), espressi in termini quantitativi e pertanto molto più precisi e facilmente decifrabili rispetto all'opinione pubblica dello Staatsvolk (i cittadini di uno Stato). Mentre uno Stato indebitato può aspettarsi comunque un dovere di fedeltà da parte dei suoi cittadini, nei riguardi del Marktvolk deve impegnarsi a conquistarne e preservarne la fiducia, ripagando coscienziosamente del debito loro dovuto e sforzandosi di mantenere la credibilità dimostrando di essere capace e disposto a continuare a farlo anche nel futuro" [31].

 

Naturalmente, questa critica da sinistra dei mercati dei capitali ha un pedigree. L'idea che i mercati obbligazionari agiscano in contrapposizione ai governi di sinistra risale almeno agli inizi del diciannovesimo secolo, quando i partiti socialdemocratici accettarono per la prima volta la sfida di governare stati capitalisti. Nel 1924, durante la Terza Repubblica francese, il governo del Cartel des Gauches cadde a causa di ciò che venne poi chiamato il "mur d'argent" (muro di denaro) [32]. Nel 1931 la sinistra britannica denunciava la "truffa dei banchieri" che avevano diviso il secondo governo laburista di Ramsay MacDonald[33]. Negli anni 40 l'economista polacco Michael Kalecki teorizzava uno sciopero a danno del capitale [34]. L'idea acquisì ulteriore diffusione con la liberalizzazione dei flussi di capitali negli anni 70, che permise nuovamente agli investitori stranieri di ritirarsi facilmente da un mercato statale del cui governo non si fidavano. Nel 2012 Streeck ha descritto le sue lezioni su Adorno intitolate Buying Time, come una consapevole rivisitazione delle teorie della crisi degli anni 70. La caduta del governo Mitterrand dovuta al panico del mercato dei capitali nei primi anni 80 risvegliò i ricordi degli anni 20. Trent'anni dopo, la rottura del Pasok in Grecia e i governi socialdemocratici in Spagna hanno seguito uno copione già noto, mentre le pesanti pressioni diretta contro i governi di sinistra della Grecia e del Portogallo nel 2015 palesavano più che mai il predominio assoluto del capitale [36].

 

 

II

 

La convergenza tra i tifosi dei bond vigilantes da un lato e i critici da sinistra del capitalismo finanziario è straordinaria e per nulla casuale. Entrambi hanno un interesse, anche se da punti di vista opposti, ad evidenziare il ruolo di "cane da guardia" svolto dal capitale. Quello che entrambi sottovalutano è il fatto che la pressione dei mercati obbligazionari sui debiti sovrani è stata ben lungi dall'essere uniforme. I mercati dei capitali sono differenziati in modo gerarchico e i rapporti di potere tra debitori e creditori sono più complessi di quanto non preveda il semplice modello della superiorità del creditore. Gli investitori devono mettere i propri soldi da qualche parte e hanno un profondo interesse alla sicurezza. Storicamente gli investitori sono stati dipendenti dal prestito pubblico, che forniva loro "attività sicure" [37]. Come Streeck riconosce, "i proprietari di attività monetarie sembrano dipendere, per la sicurezza dei loro portafogli, dall'investimento, almeno parziale, in obbligazioni statali" [38]. Se questa è la loro scelta, i governi possono esercitare un controllo diretto sui mercati dei capitali e possono impegnarsi in quel che è comunemente noto come "repressione finanziaria" - facendo sì che i fondi siano allocati in titoli di debito pubblico a basso interesse. Inoltre, come osserva Streeck, c'è un rischio più elementare nel prestito sovrano: "Gli Stati possono anche, a loro discrezione, ristrutturare unilateralmente il debito pubblico, poiché come debitori "sovrani" non sono soggetti ad alcuna procedura legale di fallimento... Questo è un incubo costante per gli investitori" [39]. Infatti, è proprio evidenziando questo "peccato originale" che il mainstream prende il via, in contrapposizione ai critici di sinistra [40]. I governi, come debitori sovrani, hanno un problema di credibilità. Una soluzione, storicamente, è stata quella di dare più voce ai creditori [41].

 

Anche se si è davvero tentati di dipingere un'immagine di superiorità del mercato sui governi democratici, l'interazione è meglio descritta come un "gioco di strategia" senza fine [42]. E la domanda cruciale è: in un dato momento, come sono definiti i termini del gioco? Per offrire una risposta più specifica dobbiamo combinare delle osservazioni sociologiche generali con un'economia politica internazionale sistematica. La pressione esercitata dai mercati dei capitali dipende dalla posizione di uno stato nella gerarchia finanziaria globale e dal modo in cui vi si inserisce. Grecia, Portogallo e Irlanda si sono trovati nelle difficoltà che sappiamo, in gran parte perché erano piccoli e legati all'Eurozona. Non potevano svalutare. E anche se avessero potuto farlo, la misura dei loro debiti in "valuta estera" rendeva troppo grande il rischio di una valanga devastante. Per la Lettonia nel 2009, per esempio, una svalutazione, come raccomandata dal FMI, sarebbe stata equivalente a un default globale sui suoi enormi debiti denominati in euro. Nonostante le turbolenze politiche che ha causato, la Lettonia ha mantenuto la linea dell'austerità. Ma questi vincoli non sono stati imprescindibili per quello che è di gran lunga il più grande debitore sovrano, gli Stati Uniti.

 

Come ha affermato più volte Paul Krugman, per quanto riguarda gli Stati Uniti, parlare di bond vigilantes è stato puro allarmismo. Non solo la dimensione e il numero dei vigilantes erano esagerati. Ma "anche se per qualche ragione i vigilantes avessero attaccato, è molto difficile vedere come avrebbero potuto causare una recessione in un paese che mantiene la propria moneta e non ha grandi quantità di debiti denominati in valuta estera... una perdita di fiducia non avrebbe portato ad un aumento dei tassi di interesse con effetto recessivo, ma ad un calo del dollaro con effetto espansivo". [43] Secondo il fondamentale modello macroeconomico di Rudiger Dornbusch dell' "overshooting del tasso di cambio", fintanto che la banca centrale mantiene i nervi saldi e vuole tenere bassi i tassi di interesse a breve termine, l'effetto di un attacco speculativo sarebbe quello di deprezzare la valuta, sino al punto in cui l'apprezzamento futuro atteso fornisce agli investitori il tasso di rendimento necessario. Nel frattempo, un tasso di cambio più basso aumenterebbe la competitività delle esportazioni. I vigilantes farebbero insomma "un favore" alle loro presunte vittime [44].

 

Queste precisazioni sono un'utile correzione delle opinioni monolitiche sul potere del creditore. Ma non sono sufficienti ad affrontare i notevoli eventi cui abbiamo assistito dal 2008. Mentre nella periferia dell'Eurozona, la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo e la Spagna hanno messo in atto sostanzialmente una replica degli scontri degli anni 80, nel 2014 gli investitori globali pagavano la Germania perché prendesse i loro soldi. Come ha riferito Bloomberg, contrariamente alla storia che si racconta sui bond vigilantes, la crisi ha portato gli investitori a considerare rifugi sicuri i titoli di paesi come gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito. Il costo dell'indebitamento si è mantenuto costante o è diminuito anche quando il volume dell'emissione del debito sovrano è aumentato in modo spettacolare [45]. Piuttosto che trovarsi davanti a un circolo vizioso di calo della fiducia, costi crescenti dei prestiti, insolvenza e crisi, è sembrato che i governi e le banche centrali nella maggior parte del mondo abbiano messo in moto un circolo virtuoso in cui tassi più bassi rendevano più convenienti i debiti più grandi. Di conseguenza, mentre il debito americano aumentava, i costi del servizio del debito sono scesi da 451 miliardi di dollari nel 2008 a 383 miliardi nel 2009. Anche con rendimenti più bassi e volumi crescenti di emissione del debito, il rapporto bid-to-cover, che misura il rapporto tra la domanda degli investitori e l'offerta del Tesoro nelle aste dei titoli di Stato, è passato da 2,41 a partire dal 2004-8 a 2,63 nel 2009 e a 3,21 nel 2010 [46].

 

Il punto di queste osservazioni, ovviamente, non è quello di negare la grave tragedia di debitori come la Grecia. Il punto è piuttosto quello di mettere in rilievo il lavoro ideologico fatto da slogan come "The PIIGS R US". Lo spudorato allarmismo ha contribuito a mantenere alta la pressione a favore dell'austerità e a tenere a freno il debito, anche quando le condizioni del debito miglioravano. Inoltre, chiedendoci perché l'esperienza nei mercati del credito sia stata così polarizzata, siamo spinti a riesaminare due ipotesi presunte dalla solita storia sul potere del mercato obbligazionario, ma troppo raramente esplicitate. La prima riguarda la posizione della banca centrale, l'agenzia che media tra lo stato e il mercato obbligazionario. La seconda riguarda la condizione sottostante dell'economia globale.

 

III

 

La spiegazione più immediata per le condizioni straordinariamente facilitate godute dai maggiori debitori sovrani dopo l'inizio della crisi finanziaria del 2008 riguarda gli interventi delle banche centrali. Le banche centrali hanno acquistato titoli pubblici su una scala senza precedenti in tempo di pace. La Fed ha aperto la strada con tre programmi consecutivi di quantitative easing, nel 2009, nel 2010 e nel 2012. La Banca d'Inghilterra è stata un importante acquirente nel 2009. La Banca del Giappone ha adottato il QE in grandissima scala nel 2013, così come la BCE nel 2015. Per il 2017, secondo i dati del FMI, gli acquisti ufficiali dei G4 avevano assorbito due terzi dei 15 miliardi di dollari in nuovi titoli di debito emessi dal 2010.[47] Non sorprende che questa scala di acquisti abbia contribuito a mantenere alti i prezzi dei titoli e fatto calare i rendimenti.

 

Un grande contrasto con il comportamento delle banche centrali durante il "Volcker shock" negli anni 80, quando queste aprirono la strada all'aumento dei tassi. È questa esperienza storica che costituisce il tacito presupposto delle teorie del dominio del mercato obbligazionario. Si presumeva che la banca centrale restasse passiva o addirittura prendesse le parti dei bond vigilantes contro i governi spendaccioni. In questo senso le teorie del potere del mercato dei capitali erano, più o meno implicitamente, anche teorie sulla lotta all'interno dello Stato. Le relazioni tra i governi eletti e i mercati dei capitali sono state triangolate da un terzo polo, i funzionari, i tecnici e gli economisti che manovrano la politica finanziaria e monetaria. La vasta letteratura politica economica sull' "indipendenza" della banca centrale è testimonianza di questo punto [48]. "Indipendenza" in questo contesto significa la capacità e la volontà dei banchieri centrali di sfidare la volontà dei governi eletti, non la loro "indipendenza" dagli interessi o dalle idee dei "mercati". Sebbene perseguano le loro carriere nei ministeri e nelle banche centrali, questi funzionari mantengono comunemente stretti rapporti con i mercati e spesso, terminata l'esperienza politica, assumono incarichi nel settore privato.

 

I banchieri centrali del XXI secolo sono stati i fedeli eredi di questa tradizione. Soprattutto in Europa, hanno svolto il ruolo di cani da guardia della politica fiscale. Mervyn King della Banca d'Inghilterra, nella primavera del 2009 non ebbe alcuno scrupolo a presentarsi all'audizione al Treasury Select Committee e annunciare: "Non credo che possiamo permetterci di aspettare la prossima iniziativa del Parlamento per dimostrare in maniera attendibile che il Regno Unito sta riducendo il suo deficit e che la politica fiscale sarà credibile"[49]. E ha ripetuto il messaggio un anno dopo. Il 12 maggio 2010 King disse al nuovo governo: "La cosa più importante adesso è che il nuovo governo affronti la sfida del disavanzo fiscale. È il problema più urgente che il Regno Unito deve affrontare; ci vorrà una seduta plenaria del Parlamento per affrontarlo... Penso che nelle ultime due settimane, in particolare, ma nel caso della Grecia negli ultimi tre mesi, abbiamo potuto vedere che non ha senso correre il rischio di una reazione avversa del mercato" [50]. King stava svolgendo il suo ruolo da responsabile della banca centrale, che richiede un impegno credibile all'austerità. Ma stava giocando una partita delicata. Il banchiere centrale aveva bisogno di affermare con forza la sua indipendenza anche perché, dal 2008, la Banca d'Inghilterra aveva continuato a sostenere il mercato obbligazionario su larga scala. Nel 2009 la Banca era stata di gran lunga il maggior acquirente di titoli di prima emissione.

 


Fonte: http://www.bankofengland.co.uk/publications/Documents/inflationreport/ir12feb.pdf


 

Data la condizione istituzionale più instabile dell'Eurozona e gli alti livelli di indebitamento in Grecia, Italia, Irlanda e Portogallo, le regole del "gioco strategico" svolto nella zona euro sono state più rigide. Il ritmo della crisi è stato imposto dal gioco del gatto e del topo tra la BCE, la Germania e i giocatori più deboli dell'Eurozona. I tre periodi in cui le tensioni all'interno dell'Eurozona sono state portate a livelli insopportabili - novembre 2009-maggio 2010, marzo-agosto 2011, maggio-agosto 2012 - sono stati le fasi in cui la BCE ostentatamente rifiutava di sostenere il mercato delle obbligazioni pubbliche dell'area monetaria unica.

 


Fonte: https://placeduluxembourg.wordpress.com/2012/03/02/ecb-market-intervention-the-securities-market-programme-smp/


 

Jean-Claude Trichet della BCE non ha fatto segreto del fatto di avere usato queste tattiche per forzare gli indolenti governi dell'Eurozona a riequilibrare i loro bilanci [51]. E quando questo non è stato sufficiente, i banchieri centrali dell'Euro sono andati oltre. In Grecia, Irlanda e Portogallo la BCE ha fissato le condizioni dei negoziati sul debito e si è unita alla troika nel vigilare sull'applicazione del programma. Né la BCE si è limitata a imporre la disciplina ai "paesi del programma". Nell'agosto 2011 Trichet ha sparato una lettera incredibile ai premier di Spagna e Italia, che chiedeva tagli di spesa in nome della sostenibilità. La lettera a Berlusconi è stata firmata anche da Draghi, in quanto Presidente della Banca d'Italia e successore di Trichet alla BCE. La minaccia della BCE era che, a meno che i governi non avessero agito come richiesto dalla banca centrale, essa avrebbe ritirato il suo sostegno sia al debito sovrano sia a quello bancario, permettendo che il circolo vizioso debito sovrano/sistema bancario dispiegasse pienamente i suoi effetti. Visto da questo punto di vista, parlare in termini di "bond vigilantes" che impongono le regole è eufemistico. Il ruolo dei mercati obbligazionari in rapporto alla BCE e al dominante governo tedesco era non tanto quello di un vigilante che colpisce a ruota libera, quanto quello di gruppi para-militari che vengono autorizzati al pestaggio sotto lo sguardo della polizia [52]. La questione, come nel caso delle milizie para-militari in generale, era se la minaccia extragiudiziale, una volta scatenata, possa essere contenuta o se "il terrorismo dell'austerità" avrebbe assunto una terrificante vita propria. Nell'estate del 2011 era sempre più evidente che la strategia della tensione aveva prodotto nei mercati qualcosa di simile all'isteria. Lungi dall'aiutare a "ripristinare la legge e l'ordine", i mercati del debito sovrano dell'area euro erano in stato di panico. Quell'estate, a giudicare dalle quotazioni dei CDS, la probabilità di default dell'Italia è stata giudicata più elevata di quella dell'Egitto in balia della Primavera araba [53]. Tre anni prima, i medesimi titoli italiani venivano negoziati a condizioni quasi identiche a quelle dei Bund.

 

Questa volatilità del giudizio del mercato ha invertito i termini della questione dei bond vigilantes, per come viene solitamente presentata. Piuttosto che essere i governi privi di lungimiranza a venir disciplinati dalla "logica del mercato", sono i mercati stessi ad avere dimostrato poca razionalità. Naturalmente, i sostenitori più intelligenti dei mercati non ritengono che gli attori del mercato siano individualmente corretti nelle loro previsioni o necessariamente razionali nel loro comportamento individuale. La pretesa è che i mercati siano collettivamente razionali e capaci di scelte ottimizzanti. Ciò, tuttavia, dipende dal funzionamento dei pesi e contrappesi. Fintanto che le scommesse degli attori del mercato si compensano, le speculazioni hanno un effetto autostabilizzante. Ma in una situazione di panico collettivo, anche le corrette scommesse in controtendenza saranno sommerse dal movimento generale del mercato [54]. I vigilantes stessi rischiano di restare vittime di una follia generalizzata [55]. Nell'autunno del 2011 era difficile sopravvivere anche per gli investitori dal sangue freddo che avevano scommesso sulla sopravvivenza dell'Eurozona. Non perché si sbagliassero. Ma perché era il resto del mercato a crederlo.

 

Un esempio calzante è MF Global, la principale vittima dell'enorme ondata di incertezza dell'autunno del 2011 [56]. MF Global era un grosso broker di derivati, guidato dall'ex CEO di Goldman Sachs, fallito perché aveva puntato in maniera importante non sul collasso, ma sulla sopravvivenza dell'Eurozona. MF Global è andato in bancarotta non a causa del default del portafoglio di 6,3 miliardi di dollari di obbligazioni dell'Eurozona che aveva accumulato, ma perché l'ansia del mercato su quella scommessa aveva fatto scattare enormi richieste di garanzie collaterali. Significativamente, una volta calmato il polverone, nel dicembre 2011 George Soros ha speso 2 miliardi di dollari per riacquistare le obbligazioni dell'Eurozona che erano state cedute come parte della bancarotta di MF Global [57]. La differenza tra MF Global e Soros era che Soros operava come un investitore privato che scommette i propri soldi e poteva permettersi di ignorare il sentimento del mercato a breve termine. La maggior parte degli investitori non gode di questo lusso.

 

È stato il giudizio di Mario Draghi e del nuovo team management della BCE, secondo il quale i mercati obbligazionari dell'Eurozona erano troppo disturbati per poter dar ancora segni di "logica del mercato", che ha giustificato la loro mossa, nell'estate del 2012, verso una posizione più proattiva di acquisto di titoli obbligazionari [58]. Non erano più in gioco solo questioni strettamente finanziarie. Il messaggio lanciato da Draghi a Londra nel luglio 2012 era che i politici europei avevano cambiato gioco [59]. L'Europa stava costruendo una nuova struttura statale. Se i mercati obbligazionari non lo capivano, la BCE avrebbe fatto qualsiasi cosa per convincerli. Nel suo famoso discorso Draghi ha implicitamente articolato quattro fatti essenziali sui mercati dei titoli sovrani. Il capitale finanziario moderno è costituito politicamente e legalmente. Fin dalla sua comparsa nel 1600 è stato legato allo Stato e alla sua valuta. L'Eurozona stava aggiungendo un nuovo capitolo a quella storia. Nei momenti di stress ciò che contava non erano solo strutture e istituzioni durature, ma un intervento del governo - e la BCE avrebbe fatto ciò che era necessario. Inoltre, la sua azione è stata creativa. Lo Stato aveva la capacità di cambiare le regole del gioco strategico nei mercati del debito sovrano. Come affermò Draghi, la BCE avrebbe fatto "qualunque cosa fosse necessaria". E, in quarto luogo, una grande struttura statale - come è potenzialmente la zona euro - ha vaste risorse a sua disposizione. Da qui il significato della enfatica conclusione di Draghi: "Credetemi. Sarà abbastanza."

 

I mercati hanno tirato un enorme sospiro di sollievo, non perché abbiano preso a cuore il messaggio di Draghi sull'Europa, ma perché hanno creduto che la BCE stesse dicendo che in futuro avrebbe seguito l'esempio della Fed. Avrebbe comprato le obbligazioni per stabilizzare i mercati del debito sovrano. I mercati delle obbligazioni in preda al panico non sarebbero più stati in grado di minacciare la sostenibilità fiscale dei titoli sovrani dell'Eurozona, che altrimenti sono solidi. In effetti, nell'autunno del 2012 la Fed stava andando anche oltre. Quando Bernanke ha lanciato quello che è stato definito QE3, nel settembre 2012, si è impegnato ad acquistare obbligazioni e a contenere i tassi d'interesse fino a quando l'economia "reale" dell'America non si fosse ripresa. In tal modo ha invertito le priorità ereditate dagli anni 70. Mentre dopo il Volcker shock i tassi di interesse erano stati fatti salire alle stelle e il martello della disoccupazione veniva utilizzato per far scendere l'inflazione, ora i mercati obbligazionari venivano deformati dagli acquisti dei titoli federali finché la disoccupazione non scendesse al di sotto del 6 per cento.

 

IV

 

Gli acquisti delle banche centrali sul mercato delle obbligazioni non avevano precedenti di scala ed erano tanto più efficaci in quanto agivano di concerto con forze finanziarie più ampie.

Dalla fine degli anni 90 l’equilibrio tra debitori sovrani e investitori che avevano l’obiettivo di acquisire attività sicure si era sostanzialmente spostato.

Nella corsa verso la formazione dell’Eurozona, molti debitori sovrani europei avevano ridotto il loro debito. Nei primi anni 2000 il rapporto debito/Pil complessivo della zona euro era diminuito. Allo stesso tempo, i mercati emergenti e gli esportatori di commodity che potevano contare su forti surplus delle partite correnti assorbivano trilioni di dollari di debito sovrano dalle economie più avanzate.

L’impatto più forte di questa dinamica fu registrato negli Stati Uniti.

Lungi dal trovarsi in difficoltà nel finanziare i deficit degli anni di Bush, l'unica cosa in cui la FED ha incontrato ostacoli dall'inizio degli anni 2000 è stato nell'incrementare i tassi di interesse a lungo termine.

La domanda globale di titoli del Tesoro USA ha impedito che il graduale aumento dei tassi a breve termine da parte della Fed tra il 2004 e il 2006 si traducesse in maggiori tassi a lungo termine. Ciò sollevò timori sul fatto che a un certo punto gli Stati Uniti potessero subire l’attacco definitivo da parte dei bond vigilantes, sotto forma di svendita sul mercato delle obbligazioni, a partire da quelle detenute dalla Cina.

Ma non è stata questa la crisi che è emersa nel 2007-2008. Quello che è crollato è stato, invece, il mercato dei titoli garantiti da attività private (ABS).

 

Uno degli effetti collaterali della carenza di strumenti di investimento sicuri emessi da debitori sovrani a partire dai primi anni 2000 è stato quello di creare una nicchia di mercato per gli ingegneri finanziari. Questo è stato il terreno più importante per l'esplodere delle cartolarizzazioni e della spettacolare produzione di ABS privati.

Quando questa bolla esplose, l'effetto non fu quello di scardinare il mercato del debito sovrano, ma piuttosto il contrario.

Poiché trilioni di dollari di titoli generati privatamente non potevano più essere classificati come attività sicure, i titoli di Stato offrirono l'unica alternativa possibile.

Se nel 2008 la Cina avesse deciso di liberarsi delle sue enormi riserve di titoli in dollari (come richiesto da Mosca, a quanto pare), una decisione di questo tipo avrebbe certamente inviato un segnale ostile a Washington. Ma se i cinesi avessero voluto vendere avrebbero trovato senza dubbio dei compratori disponibili, in quanto la domanda di titoli del tesoro in quel momento era forte e il dollaro stava aumentando. Di fatto, la Cina ha continuato ad aumentare la porzione di debito pubblico americano in suo possesso fino alla crisi del bilancio federale del governo degli Stati Uniti, nel 2011.

E a mano a mano che la vera entità della crisi si è manifestata, il passaggio dagli ABS privati alle obbligazioni sovrane è stato acutizzato dal desiderio del settore privato di ridurre la portata della leva finanziaria.

Le famiglie, le imprese e le banche tirarono il freno a mano, e questo spostamento rafforzò ulteriormente la domanda di attività sicure. Di conseguenza, i 9 trilioni di dollari di nuovi debiti emessi dal governo degli Stati Uniti tra il 2008 e il 2015 furono assorbiti a tassi di interesse più bassi di quelli che gli Stati Uniti avevano pagato tra il 2001 e il 2007, quando l'emissione aveva raggiunto "solo" 2 trilioni.

 

Titoli del Tesoro USA accumulati nel periodo 2001-2015



 

V

 

Se nel 2008 la crisi finanziaria spinse gli investitori verso i titoli del Tesoro, ci si sarebbe aspettati che la ripresa inducesse una reazione opposta, ovvero che i tassi di interesse aumentassero gradualmente, ripristinando condizioni più normali nei mercati dei capitali.

Ma non è quello che è accaduto.

I tassi reali continuarono a diminuire, tanto che nel 2013 gli economisti iniziarono a discutere di quella che Larry Summers avrebbe definito "la stagnazione secolare".

 

La crescita del PIL e della produttività erano entrambe in calo e i tassi di interesse reali a lungo termine li seguirono dopo poco, insieme alla discesa della rendita da capitale.

Fu così che anche gli analisti politici tradizionali si trovarono in sorprendente accordo con l'economia politica marxista, nel diagnosticare il lampante declino del capitalismo occidentale.
Se, come sostiene Wolfgang Streeck la "causa ultima" dell'accumulo di debito pubblico è "un declino secolare della crescita economica", il quale rende per i governi sempre più arduo il compito di soddisfare le richieste di progresso materiale, il deterioramento delle prospettive di crescita rende allo stesso tempo incredibilmente semplice attrarre investitori.

Infatti la mancanza di opportunità di investimento private redditizie spinge in massa gli investitori verso un debito pubblico, poco esaltante forse, ma di certo più sicuro.

Il risultato sorprendente è che, in un'epoca in cui il debito pubblico è aumentato più rapidamente che mai, i mercati obbligazionari hanno perso la loro morsa.

Nel settembre 2012 Yardeni, il campione originale dei vigilantes, ha commentato disperatamente che il Quantitative Easing della Fed aveva reso "il lavoro dei vigilantes quasi impossibile".

I bond vigilantes operano in un mercato libero. Quando permetti loro di decidere su ciò che vogliono realmente pagare per un'obbligazione, quali politiche stanno attuando, e se queste politiche suggeriscono che i rendimenti dovrebbero essere più alti o più bassi, allora i vigilantes possono svolgere il loro lavoro liberamente.

Ma... come può un mercato anche solo esistere, quando una massiccia entità governativa interviene per fissare i tassi di interesse a zero?

Al Pimco si respirava una simile atmosfera di disfattismo.

Secondo Bill Gross, i tecnici sembravano girare a vuoto. "Alle 8:00, la Fed chiamò e chiese al nostro ufficio del Tesoro offerte da acquistare in blocco mentre, un'ora dopo, la stessa Fed ci richiamò per chiederci delle offerte da vendere."

 

Ma i banchieri centrali sono davvero i dominatori del mercato? Sono liberi di dettare le condizioni? La prima risposta a queste domande sarebbe arrivata nel 2013, quando la Fed decise di testare la possibilità di porre fine al QE3.

Nel maggio 2013 Ben Bernanke iniziò a discutere la possibilità di un "tapering" (riduzione progressiva del quantitative easing, NdVdA). Quindi, alle 14.15 del 19 giugno 2013, il presidente della Fed confermò che alla successiva riunione del FOMC, a settembre 2013, l'acquisto di titoli avrebbe potuto ridursi da 85 miliardi a 65 miliardi, a condizione che l'andamento dell'economia fosse positivo. Suggerì anche che il programma di acquisto di obbligazioni avrebbe potuto concludersi entro la metà del 2014. La risposta dei mercati fu immediata e violenta. In pochi secondi i rendimenti salirono dal 2,17 al 2,3%. Due giorni dopo erano saliti al 2,55%, fino a raggiungere un picco del 2,66%. In termini assoluti erano piccole variazioni, ma significavano un aumento dei costi dei finanziamenti di quasi il 25 % e infliggevano una perdita di capitale corrispondente a tutti i possessori di obbligazioni. Alla periferia dell'economia mondiale l'effetto fu ancora più forte: i debitori dei mercati emergenti subirono uno shock selvaggio.

 

Se Bernanke aveva inteso suggerire la necessità di un inasprimento della politica monetaria, le sue sole parole avevano prodotto un effetto forte e immediato. Per Richard Fisher, presidente della Banca federale di Dallas e lui stesso ex gestore di hedge fund, la situzione ricordava uno dei grandi momenti in cui i mercati avevano stabilito le regole del gioco - l'attacco del 1992 alla Bank of England guidato da George Soros. I mercati stavano mettendo alla prova la decisione della Fed. Senonché questa era la stessa logica dei bond vigilantes, ma al contrario. La Fed non tornava indietro sull'inflazione, faceva il muso duro. Il punto era capire se avrebbe avuto anche il coraggio di tenere la posizione fino in fondo. Come Fisher scrisse sul Financial Times, ricorrendo ai suoi tipici termini pittoreschi: "I mercati tendono a mettere alla prova le cose", "Non abbiamo dimenticato cosa è successo alla Bank of England. Non credo che nessuno possa abbattere la Fed... ma credo che i grandi soldi si organizzino un po' come i maiali selvatici. Se scoprono una debolezza o un cattivo odore, lo rincorrono[70].

 

Per Fisher "aveva senso" per la Fed "fare accettare l'idea che l'alleggerimento quantitativo non è una via a senso unico". Ma, dato il probabile impatto sul fragile recupero di una impennata veloce dei tassi di interesse, non si aspettava che Bernanke passasse in una notte da "wild turkey a "cold turkey" (gioco di parole da "cold turkey", crisi di astinenza NdVdE)".
Tuttavia, quando il FOMC il 18 settembre 2013 decise di "attendere ulteriori prove del fatto che i progressi economici fossero solidi, prima di adeguare il ritmo dei suoi acquisti" fu uno shock. La Fed era tornata indietro. Le colombe in seno alla Fed Board non avevano abbastanza fegato per imporre uno shock sui tassi di interesse? La politica monetaria era ora dominata dalla preoccupazione di rendere possibile al governo indebitarsi? Era giunto il momento di far tornare in azione i bond vigilantes? O semplicemente l'economia americana non era pronta per una stretta? Forse è stata la Fed a mettere alla prova i mercati, non il contrario. Data la violenza della reazione dei mercati, forse Bernanke voleva dimostrare che né il quantitative easing né il tapering sono scommesse vinte in partenza.  [71]

 

Il gioco strategico tra il Tesoro, la Fed e i mercati obbligazionari era vertiginosamente reciproco. Il risultato non era un semplice flusso di potere dinamico, che correva in entrambe le direzioni, ma una relazione immersa in un'atmosfera da psicodramma. Nell'ottobre 2014, quando la Fed finalmente prese la ferrea determinazione di porre fine al quantitative easing, il Financial Times fu spinto a evocare il grande successo ai botteghini del momento: "Gone Girl" (riferimento al film in Italia intitolato "L'amore bugiardo", NdVdE).

"Mi eserciterò a pensare che le banche centrali mi amano" è un'espressione che potrebbe essere stata usata anche dagli investitori che hanno provato, in mancanza di un'alternativa migliore, a credere che la Fed sia stata la loro migliore amica negli ultimi cinque anni. Sono stati intruppati su queste posizioni grazie ad anni di soldi facili.

"Che cosa stai pensando? Che cosa provi? Che cosa ci siamo fatti l'un l'altro? Che cosa faremo? "- un ritornello ugualmente applicabile a un decisore politico preoccupato quanto a un marito teso. La Fed probabilmente osserva con molta preoccupazione questa recente ondata di vendite sul mercato.

L'intera cosa puzza di un matrimonio costruito su fondamenta instabili. La sfiducia reciproca può portare a una situazione altamente infiammabile, dato che gli investitori in qualsiasi momento rimettono in causa la loro storica relazione con la politica monetaria non convenzionale, con risultati profondamente imprevedibili. [72]

 

Alla fine, con il numero di disoccupati arrivato a livelli soddisfacenti, Janet Yellen, il successore scelto da Bernanke, ha chiuso senza incidenti il QE il 29 ottobre 2014. La ripresa negli Stati Uniti era anemica, ma era almeno saldamente stabilita. Lo stesso non si poteva dire per l'Eurozona. Il 22 gennaio 2015, per contrastare i forti timori di deflazione, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso che avrebbe iniziato ad acquistare titoli obbligazionari al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, in un programma che continua ancora nel momento in cui scriviamo.

Questo ha avuto un impatto fortissimo. Una cosa era far funzionare il QE in una situazione in cui i governi emettevano grandi quantità di nuovo debito. Quelle erano state le condizioni in base alle quali il QE è stato introdotto per la prima volta negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2009 e 2010. Ma nel 2015 nell'Eurozona la situazione era capovolta. In quell'anno i paesi dell'Eurozona avrebbero dovuto emettere solo 162 miliardi di euro di nuovo debito. Con gli acquisti di Draghi destinati a raggiungere i 427 miliardi di euro, l'offerta netta di obbligazioni per i mercati finanziari dell'Eurozona nel 2015 sarebbe stata negativa per 265 miliardi di euro. Con la Germania che quasi non emetteva nuovo debito, la disponibilità di Bunds è stata ristretta in modo particolarmente grave.



 

La BCE non stava solo sostenendo il mercato, lo stava svuotando delle obbligazioni denominate in euro. Nel 2017 il Fondo monetario internazionale ha pubblicato una proiezione che rivelava in termini crudi sia il rimodellamento dei mercati globali del debito pubblico a seguito della crisi sia il loro probabile sviluppo futuro. È un quadro molto diverso da quello che ha modellato la politica economica dei prestiti sovrani negli anni 70, 80 e primi anni 90.



Fonte: Rapporto sulla stabilità finanziaria globale dell'FMI, ottobre 2017

 

Tra il 2010 e il 2012 dei circa 9 trilioni di dollari emessi dai governi delle economie avanzate metà sono stati assorbiti dalle banche centrali. Della parte rimanente che è stata collocata presso investitori privati, circa la metà è stata emessa dagli Stati Uniti. Nel 2017 il saldo si è drasticamente modificato. Dei 15 trilioni di dollari di debito sovrano emessi dal 2010, due terzi erano stati assorbiti da acquisti ufficiali, inclusa l'intera nuova emissione dell'Eurozona e del debito giapponese.

 

Praticamente tutte le obbligazioni lasciate per gli investitori privati ​​sono state emesse dagli Stati Uniti, tranne una piccola percentuale proveniente dal Regno Unito. Per i prossimi cinque anni il Fondo Monetario Internazionale ha previsto che la disciplina fiscale in Europa e il proseguimento degli acquisti di obbligazioni da parte della Banca del Giappone e della BCE sbilanceranno ulteriormente il saldo. In effetti, gli Stati Uniti saranno l'unico fornitore ai mercati globali di debito sovrano tra i paesi avanzati con valutazioni di affidabilità alta. Questo non significa che i paesi più piccoli non avranno bisogno di emettere piccole quantità di debito, ma che se questo sarà disponibile per gli investimenti globali dipenderà dagli interventi delle banche centrali. Per quanto riguarda i grandi gestori patrimoniali, l'equilibrio della forza tra chi prende in prestito e gli istituti di credito ha assunto una netta semplicità. Il mercato del debito sovrano degli Stati Uniti sotto il controllo del Tesoro e la Fed rappresentano l'unico "gioco strategico" in città.

 

[1]           http://www.businessinsider.com/bonds-and-nominal-gdp-2013-11?IR=T

[2]           http://articles.latimes.com/1992-11-21/news/mn-734_1_bond-market

[3]           Helleiner, Eric. States and the reemergence of global finance: from Bretton Woods to the 1990s. Cornell University Press, 1996.

[4]           http://articles.latimes.com/1992-11-21/news/mn-734_1_bond-market

[5]           http://articles.latimes.com/1992-11-21/news/mn-734_1_bond-market

[6]           Woodward, Bob. The Agenda: Inside the Clinton White House. Simon and Schuster, 2007.

[7]           http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2011/06/the-vigilante/308503/

[8]           James Carville political advisor to Clinton Presidency, November 1994. http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,981879,00.html

[9]           Eichengreen, Barry J. Globalizing capital: a history of the international monetary system. Princeton University Press, 1998.

[10]         Rey, Hélène. Dilemma not trilemma: the global financial cycle and monetary policy independence. No. w21162. National Bureau of Economic Research, 2015.

[11]         http://www.zeit.de/2000/18/200018.5._gewalt_.xml

[12]         Zürcher Tages-Anzeiger vom 19.09.2007

[13]         http://blogs.wsj.com/marketbeat/2008/05/29/return-of-the-bond-market-vigilantes/?mg=id-wsj

[14]         http://www.wsj.com/articles/SB124347148949660783

[15]         https://www.opendemocracy.net/article/fiscal-expansions-in-submerging-markets-the-case-of-the-usa-and-the-uk

 

[16]         R. Suskind, Confidence Men: Wall Street, Washington and the Education of a President (New York, 2011).

[17]         Rubin, Robert E., Peter R. Orszag, and Allen Sinai. “Sustained budget deficits: the risk of financial and fiscal disarray.” AEA-NAEFA Joint Session, Allied Social Science Associations Annual Meetings. 2004.

[18]         Reinhart, Carmen M., and Kenneth S. Rogoff. Growth in a Time of Debt. No. w15639. National Bureau of Economic Research, 2010.

[19]         http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2011/06/the-vigilante/308503/

[20]         http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2011/06/the-vigilante/308503/

[21]         http://www.businessinsider.com/niall-ferguson-sovereign-debt-2010-5?IR=T

[22]         http://www.wsj.com/articles/SB10001424052748703315404575250341585092722

[23]         https://www.theguardian.com/business/2010/nov/30/mervyn-king-deficit-policy-neutrality

[24]         Zettelmeyer, Jeromin, Christoph Trebesch, and Mitu Gulati. “The Greek debt restructuring: an autopsy.” Economic Policy 28.75 (2013): 513-563.

[25]         http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2011/06/the-vigilante/308503/ and http://www.bloomberg.com/news/articles/2014-12-02/fall-of-the-bond-king-how-gross-lost-empire-as-pimco-cracked

[26]         http://blogs.wsj.com/economics/2011/11/23/bond-vigilantes-make-their-votes-known-in-europe/?mg=id-wsj

[27]         https://next.ft.com/content/4c0670f6-1c29-11e1-9631-00144feabdc0

[28]         See for instance: Bjerg, O. (2014) Making Money: The Philosophy of Crisis Capitalism. London: Verso, Graeber, D. (2011) Debt: The First 5,000 Years. New York: Melville House, Lazzarato, M. (2012) The Making of the Indebted Man. New York: Semiotext(e).

[29]         http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/jul/13/capital-politics-wikileaks-democracy-market-freedom

[30]         https://ineteconomics.org/uploads/papers/Vogl-Paper.pdf

[31]         Streeck, Buying Time.

[32]         H. Bonin, “Les banques françaises devant l’opinion (des années 1840 aux années 1950)”

[33]         For the current state of play on 1931 see Boyce, Robert. “In the Eye of the Storm, May 1931–February 1932.” The Great Interwar Crisis and the Collapse of Globalization. Palgrave Macmillan UK, 2009. 298-344.

[34]         Michael Kalecki “Political Aspects of Full Employment”1 [1]Political Quarterly, 1943

[35]          Les banques françaises devant l’opinion (des années 1840 aux années 1950) », dans Alya Aglan, Olivier Feiertag et Yannick Marec (dir.), Les Français et l’argent, xixe – xxie siècle : entre fantasmes et réalité, Paris, Presses universitaires de Rennes, coll. « Histoire », 2011, 352 p. (ISBN 978-2-7535-1336-5présentation en ligne [archive], lire en ligne [archive]), p. 281-302 and Vincent Duchaussoy, « Les socialistes, la Banque de France et le « mur d’argent » (1981-1984) », Vingtième Siècle. Revue d’histoire 2011/2 (n° 110), p. 111-122.

[36]         https://www.cambridge.org/core/journals/american-political-science-review/article/structural-dependence-of-the-state-on-capital/34F49B8D6C5D400D62C72C623BD4BF77

[37]         Gorton, Gary B., and Guillermo Ordonez. The supply and demand for safe assets. No. w18732. National Bureau of Economic Research, 2013.

[38]         Streeck Buying Time.

[39]         Streeck Buying Time.

[40]         Barry Eichengreen and Ricardo Haussmann (1999), “Exchange Rates and Financial Fragility” Federal Reserve Bank of Kansas City. New Challenges for Monetary Policy pp. 329-368.

[41]         North, D. and B. Weingast (1989) “Constitutions and Commitment: The Evolution of Institutions Governing Public Choice in Seventeenth Century England”. Journal of Economic History, 49(4) pp. 803-832 and Bordo, Michael D. Growing up to financial stability. No. w12993. National Bureau of Economic Research, 2007.

[42]         http://www.mpifg.de/pu/mpifg_ja/GER_15_2014_Streeck.pdf

[43]         http://krugman.blogs.nytimes.com/?s=invisible+bond+vigilantes

[44]         http://krugman.blogs.nytimes.com/?s=invisible+bond+vigilantes

[45]         http://www.bloomberg.com/news/articles/2010-04-29/where-have-all-the-bond-vigilantes-gone

[46]         https://seekingalpha.com/article/3835426-u-s-treasury-auction-showing

[47]         IMF, Global Financial Stability Report Octobe 2017. http://www.imf.org/en/Publications/GFSR/Issues/2017/09/27/global-financial-stability-report-october-2017

[48]         For a summary see Walsh, Carl E. “Central bank independence.” Monetary Economics. Palgrave Macmillan UK, 2010. 21-26.

[49]         Irwin, Neil (2013-04-04). The Alchemists: Three Central Bankers and a World on Fire (pp. 237-238). Penguin Publishing Group. Kindle Edition. https://www.theguardian.com/business/2010/nov/30/mervyn-king-deficit-policy-neutrality

[50]          Irwin, Neil (2013-04-04). The Alchemists: Three Central Bankers and a World on Fire (p. 246). Penguin Publishing Group. Kindle Edition.

[51]         Bastasin, Saving Europe (Washington DC 2014)

[52]         Carlo Bastasin, Saving Europe, Washington DC 2012

[53]         Bastasin, Saving Europe, 313

[54]         https://next.ft.com/content/c725a322-1287-11df-a611-00144feab49a#axzz1gawCMzGp

[55]         Beirne, John, and Marcel Fratzscher. “The pricing of sovereign risk and contagion during the European sovereign debt crisis.” Journal of International Money and Finance 34 (2013): 60-82.

[56]         https://www.ft.com/content/138241f6-03dd-11e1-98bc-00144feabdc0

[57]         http://www.wsj.com/articles/SB10001424052970204319004577086652040716704

[58]         JOURNAL OF LAW AND SOCIETY VOLUME 44, NUMBER 1, MARCH 2017

ISSN: 0263-323X, pp. 79±98 The Bank, the Bond, and the Bail-out: On the Legal Construction of Market Discipline in the Eurozone Harm Schepel*

[59]         ECB, ‘Verbatim of the remarks made by Mario Draghi’ 26 July 2012 https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html

[60]         G. Gorton, ‘The History and Economics of Safe Assets,’ NBER Working Paper 22210 (April 2016).

[61]         B. Bernanke, ‘The Global Saving Glut and the U.S. Current Account Deficit,’ Sandridge Lecture, (10 March 2005).

[62]         Bernanke, Ben. “International capital flows and the returns to safe assets in the United States 2003-2007.” Financial Stability Review15 (2011): 13-26 and Caballero, Ricardo J. The” other” imbalance and the financial crisis. No. w15636. National Bureau of Economic Research, 2010.

[63]         R.J. Caballero, E. Farhi, and P. Gourinchas, ‘The Safe Assets Shortage Conundrum,’ Journal of Economic Perpectives, 31 (Summer 2017) 29-46.

[64]         Summers, Lawrence H. “US economic prospects: Secular stagnation, hysteresis, and the zero lower bound.” Business Economics 49.2 (2014): 65-73.

[65]         Magdoff, Fred, and John Bellamy Foster. “Stagnation and financialization: the nature of the contradiction.” Monthly Review 66.1 (2014): 1.

[66]         http://www.mpifg.de/pu/mpifg_dp/dp13-7.pdf

[67]         https://www.thefinancialist.com/bond-vigilantes-a-factor-in-europe-but-not-in-the-u-s-edward-yardeni/#sthash.3S7zIodh.dpuf

[68]         https://www.credit-suisse.com/us/en/articles/articles/news-and-expertise/2012/09/en/bond-vigilantes-get-to-work-in-the-eurozone.html

[69]         http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2011/06/the-vigilante/308503/ and https://next.ft.com/content/fda5a744-30ec-11e3-b991-00144feab7de

[70]         https://next.ft.com/content/9d8fa63e-dce6-11e2-b52b-00144feab7de

[71]         http://blogs.reuters.com/anatole-kaletsky/2013/09/19/the-markets-and-bernankes-taper-tantrums/

[72]         https://next.ft.com/content/524a2226-55c1-11e4-93b3-00144feab7de