30/03/19

Rapporto di Amnesty - L’economia Green e l’abuso del lavoro minorile

Mentre sui media mainstream impazza la corsa incondizionata all’economia “Green” (ovviamente sovvenzionata dal pubblico), bisogna ricordare anche i lati oscuri di questa “rivoluzione”. Perché si diffonda l’utilizzo delle auto elettriche, occorrono molte batterie ad alta capacità, che si basano sull’utilizzo del cobalto. Questo elemento proviene in larga parte dal Congo, dove spesso l’industria estrattiva utilizza lavoro minorile in condizioni di salute e sicurezza inaccettabili, come certifica un rapporto di Amnesty International.

 

 

Di Eric Worrall, 10 febbraio 2016

 

 

Amnesty International ha pubblicato un rapporto scioccante riguardo alle condizioni nella Repubblica Democratica del Congo, e ai lavoratori bambini che estraggono gran parte del cobalto a livello mondiale. Il cobalto è un elemento essenziale delle batterie moderne ad alta capacità, come le batterie dei computer portatili, dei cellulari e delle auto elettriche.

 

Ecco l’introduzione del rapporto:

 

 “ECCO PER CHE COSA MUORIAMO”: GLI ABUSI DEI DIRITTI UMANI NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO ALIMENTANO IL COMMERCIO INTERNAZIONALE DEL COBALTO.

 

Questo rapporto documenta le condizioni pericolose nelle quali minatori artigianali, inclusi migliaia di bambini, estraggono cobalto nella Repubblica Democratica del Congo. Prosegue tracciando la maniera in cui questo cobalto viene utilizzato per alimentare i cellulari, i computer portatili e altri apparecchi elettronici portatili. Usando semplici attrezzi manuali, i minatori estraggono rocce da profondi tunnel sotterranei, e gli incidenti sono comuni. Nonostante gli effetti potenzialmente letali dell’esposizione prolungata al cobalto, adulti e bambini lavorano senza neanche minime protezioni. Questo documento è il primo rapporto completo su come il cobalto entra nella catena di fornitura di molti marchi leader mondiali. Le risposte delle aziende che sono state contattate durante la redazione del rapporto possono essere trovate nel documento AFR 62/3412/2016 disponibile sul nostro sito.

 

Leggiamo quanto segue all’interno del rapporto.

 

Più della metà della fornitura mondiale di cobalto arriva dalla Repubblica Democratica del Congo (DRC). Secondo le stime stesse del governo, il 20% del cobalto attualmente esportato dalla DRC è estratto da minatori artigianali della parte meridionale del paese. Ci sono circa tra i 110.000 e i 150.000 minatori artigianali in questa regione, che lavorano di fianco ad altre industrie molto più grandi.

 

Questi minatori artigianali, che vengono definiti “creuseurs” nella DRC, scavano a mano, usando gli attrezzi più semplici per estrare le rocce da profondi tunnel sotterranei. I minatori artigianali includono anche bambini di età a partire dai sette anni, che cercano rocce contenenti cobalto nei depositi di scarti delle industrie minerarie, e che lavano e riordinano il minerale prima che venga venduto.

 



 Viene ampiamente riconosciuto a livello internazionale che il coinvolgimento dei bambini nell’industria mineraria costituisce una delle peggiori forme di lavoro minorile, riguardo al quale i governi sono chiamati a intervenire per eliminarlo. La natura del lavoro che i ricercatori hanno scoperto essere svolto dai bambini nell’estrazione artigianale del cobalto nella DRC è pericolosa, e può probabilmente minare la salute e la sicurezza dei bambini.

 

È possibile scaricare il rapporto completo qui.

 

Naturalmente, il mondo non rinuncerà alle batterie a lunga durata dei cellulari e dei pc portatili. Ma possiamo fare qualcosa per le auto elettriche.

 

Accettando l'ipotesi che le auto elettriche si diffondano, la quantità di cobalto usata nelle batterie delle automobili (che tipicamente è di centinaia di chili) renderà trascurabile la quantità di cobalto usata nelle batterie dei cellulari e dei pc portatili. Un’impennata nella richiesta di auto elettriche creerebbe per le compagnie minerarie nella DRC un enorme incentivo finanziario ad aumentare la produzione.

 

Una produzione maggiore nel lungo periodo potrebbe favorire i lavoratori bambini, forzando le compagnie minerarie a rimpiazzare il lavoro minorile con la tecnologia, cosa che creerebbe anche lavori pagati meglio e più specializzati per i loro genitori. Ma non possiamo sapere con certezza su quale orizzonte temporale  questo accadrebbe. Nel breve periodo, la maniera più semplice per aumentare la produzione di cobalto sarebbe quella di aumentare la forza lavoro, o far lavorare più duramente i bambini, spingendo potenzialmente oltre la resistenza umana condizioni di lavoro già ora intollerabili.

 

Esiste una tecnologia alternativa che eliminerebbe la necessità di batterie per le auto elettriche. Per più di dieci anni gli scienziati hanno studiato l’utilizzo di alluminio in polvere per accumulare l’elettricità. Il metallo in polvere può essere bruciato, come il carburante tradizionale, ma gli ossidi bruciati di scarto possono essere riciclati dentro la polvere metallica. L’utilizzo di metallo in polvere come carburante creerebbe un’esperienza di macchina elettrica molto simile a quella delle macchine a gasolio – anziché dover aspettare la ricarica delle batterie, si potrebbe semplicemente riempire il serbatoio con nuova polvere metallica alla stazione di rifornimento.

 

I carburanti puliti esistono in molte forme, ma bruciare ferro o alluminio sembra forzare la definizione – a meno che lo si chieda a un team di scienziati guidato dalla McGill University – che vede un futuro a basso carbonio basato sui metalli. Questo team sta studiando le caratteristiche della combustione delle polveri di metallo per determinare se queste polveri potrebbero rappresentare un’alternativa più pulita e più realizzabile ai carburanti fossili rispetto all’idrogeno, ai biofuel o alle batterie elettriche.

 

I metalli possono sembrare una cosa totalmente incombustibile, ma quando vengono sminuzzati in una polvere fine come la farina o lo zucchero a velo, le cose cambiano. La similitudine è azzeccata, perché le polveri di metallo somigliano alla farina e allo zucchero non solo per la grandezza delle particelle. Qualsiasi cosa macinata così finemente brucia o perfino esplode in determinate condizioni.

 

In condizioni di laboratorio, il team ha scoperto che le fiamme prodotte dalle polveri di metallo sono piuttosto simili a quelle dei combustibili composti da idrocarburi e hanno calcolato che la densità di energia e di potenza del motore alimentato a polvere di metallo sarebbe paragonabile a quello tradizionale a combustione interna.

 

Per saperne di più: http://www.gizmag.com/mcgill-metal-powder-fuel/40869/.

 

Quindi, perché non stiamo tutti guidando automobili a polveri di metallo? Ho una teoria.

 

Prima di tutto, ovviamente, c’è abbondanza di benzina a basso costo, cosa che al momento esclude la reale esigenza di mettere sul mercato carburanti alternativi.

 

In secondo luogo, le sovvenzioni governative per le attuali tecnologie delle batterie per auto eliminano la necessità di innovare.

 

Finché i verdi radical-chic possono guidare le loro automobili con batterie sovvenzionate dallo stato, perché dovrebbero preoccuparsi delle sofferenze dei lavoratori bambini in Congo? Dopo tutto, già ignorano felicemente il danno molto reale che viene compiuto alle persone povere negli USA, dalle tasse energetiche regressive che sostengono, e che servono a finanziare i loro piccoli privilegi verdi.

 

Infine, un disclaimer – a meno che io non abbia notato un qualche richiamo, Amnesty evita di menzionare la tecnologia verde nel suo rapporto, anche se devono certamente essere al corrente della connessione tra il cobalto e le batterie delle macchine elettriche. Forse ci sono interessi e ingiustizie radicate che sono troppo potenti da affrontare, perfino per Amnesty.

 

Aggiornamento: il seguente è uno studio della CDC sulla tossicità del cobalto.

 

http://www.atsdr.cdc.gov/toxprofiles/tp33.pdf

 

28/03/19

La UE sopravviverà alla sua stessa censura?

Secondo Tom Luongo, l’approvazione della Direttiva sul diritto d’autore (con il solito metodo-Juncker) è l’estremo e futile tentativo di un’oligarchia di eurocrati di controllare l’informazione attraverso la cooptazione delle maggiori piattaforme digitali. In particolare la link-tax e il filtro di upload, oltre ad essere normative liberticide, finiranno per essere del tutto inadeguate allo scopo di  bloccare le informazioni non allineate al mainstream.

 

 

 

di Tom Luongo, 27 marzo 2019

 

 

La nuova, pervasiva, Direttiva UE sul diritto di autore è stata approvata dal Parlamento europeo, garantendo che il modo in cui usiamo internet cambierà in futuro.

 

E non in meglio.

 

Le parti controverse sono l’articolo 11 e 13: la “link tax” e il “filtro di upload”. Per avere un’idea di quanto siano terribili queste nuove regole, potete guardare un po’ ovunque su internet, soprattutto quest’articolo di Gizmodo (che spero non mi addebiti la link tax per aver messo questo link!).

 

Guarderei anche questo video di Dave Cullen, che risiede in Irlanda, vale a dire nella UE, che spiega cosa ne pensa lui.

 

Dave solleva un buon numero di ottimi argomenti sulle conseguenze dell’applicazione degli articoli 11 e 13, che non mi metterò a discutere.

 

L’arroganza e la testardaggine dei Parlamentari UE nel forzare l’approvazione di questa direttiva senza nemmeno ascoltare le motivazioni degli emendamenti la dice lunga su quanto questa legge sia stata comprata e pagata.

 

E sapete chi è l’acquirente. Le stesse persone che  al momento stanno dietro al sabotaggio della Brexit – il popolo di Davos. Non voglio soffermarmi su questo punto, dato che ne ho già parlato di recente (qui) e in passato (qui).

 

Controllando “The Wire”

 

Ma ci sono ragioni molto valide per ritenere che questo blitz finalizzato al controllo del flusso dell’informazione da parte della UE sia un altro esempio del loro disperato tentativo di mantenere il controllo di quello che in passato ho chiamato The Wire:

 

In breve, The Wire è il canale principale attraverso il quale comunichiamo tra di noi. Perfino i soldi sono parte di The Wire. Cosa sono i prezzi, se non informazioni sulle cose per cui siamo disposti a dare in cambio i nostri soldi? Senza The Wire le società moderne falliscono. Pertanto, i governi non possono spegnerlo, ma nemmeno possono permetterne un accesso senza restrizioni.

 

L’elettricità, il commercio, le comunicazioni, tutto viaggia attraverso The Wire.

 

Non è un concetto complicato, ma come tutti i concetti importanti, una volta che ti viene spiegato non puoi più smettere di esserne consapevole.

 

Il controllo di The Wire è l’unica battaglia che conta o che è mai contata nella società. Internet è The Wire ad ampio spettro. Pertanto, ha perfettamente senso che il suo controllo sia di primaria importanza per mantenere il controllo sulla società in generale.

 

Gli oligarchi delle multinazionali temono per i loro progetti. Vogliono disperatamente mantenere il controllo. Hanno lavorato decenni per far evolvere gli stati-nazione nel nuovo scintillante sovrastato transnazionale che la UE esemplifica.

 

La nuova Direttiva sul diritto d’autore è progettata per erigere barriere all’entrata e silenziare l’opposizione, e la sua esecuzione viene data in appalto alle piattaforme che ospitano il materiale.

 

E queste piattaforme sono ben felici di farlo, perché possono eliminare ogni concorrenza. Quindi, anche se i loro costi aumentano un po’,  diventano immuni alla concorrenza che nel tempo potrebbe ridurre i loro margini di profitto a zero, come succederebbe in qualsiasi libero mercato.

 

Ricordatevi che in ogni comportamento umano, il profitto è sempre sfuggente. Con gli incentivi giusti, qualcuno viene sempre attratto dal profitto che qualcun altro sta realizzando, e troverà sempre il modo di costruire una trappola migliore capace di estrarre quel profitto.

 

Se si può cortocircuitare questo processo controllando The Wire, si può garantire un profitto per il lavoro fatto molto più duraturo.

 

In breve, ci si assicura una rendita.

 

False proprietà, scelte false

 

Ecco perchè l’industria della musica e dei film vogliono che i loro IP siano protetti dalle politiche di fair use (utilizzo equo). Vedono ridursi i propri margini e vogliono continuare a ricaricare un profitto ad ogni uso/visualizzazione/ascolto delle cose su cui hanno i diritti d’autore, ben al di là di quanto il pubblico sia disposto a pagarli.

 

Per queste compagnie è troppo costoso venire a cercarci individualmente. Questo approccio non funziona, se non in casi molto isolati. Certo, possono escludere dalle loro piattaforme Alex Jones o Sargon di Akkad, ma, prevedibilmente, questi comportamenti hanno un ritorno  di immagine negativo.

 

E tuttavia consacrare il meccanismo in un testo di legge lo porta ad un altro livello. Si tratta di un’altra "Scelta di Hobson" (ossia una scelta obbligata, NdVdE) di fronte alla quale si mette la gente, che o accetta le regole di queste aziende erogatrici di servizi di pubblica utilità – assicurando il loro regime di monopolio –o altrimenti internet diventerà inutilizzabile.

 

Questa direttiva è puro protezionismo dei grandi produttori di media, che siano notizie, musica, film, ecc., i cui modelli di business non sono semplicemente collassati, ma sono letteralmente sussidiati da altre industrie profittevoli, per esempio il Washington Post è, di fatto, una società di Amazon.

 

Quindi, di fatto, gli articoli 11 e 13 sono un regalo alle grandi società, almeno in teoria.

 

Ma sono completamente negativi? Il futuro sarà fatto di leggi e controlli di questo tipo?

 

Probabilmente no.

 

La deflazione degli IP (Internet Protocol)

 

Analizziamo in particolare la link tax. Per farlo guardiamo allo scenario peggiore, dove la UE disconosce tutti i trattati internazionali e le questioni relative all’imposizione fiscale e il nostro governo (ossia il governo USA, NdVdE) va avanti con queste assurdità.

 

Allora, voglio fare un link a un articolo di Der Speigel per dire alcune cose di Angela Merkel.

 

Per farlo, in accordo all’articolo 13, devo ottenere la licenza per fare un link al loro sito, e pagare un certo importo. Diciamo che l’importo sia di 100 dollari. Invece di pagare, la mia reazione naturale sarebbe quella di non mettere il link e fare un semplice riferimento.

 

Metterò un estratto dell’articolo e non il link.

 

Se la cosa non funziona e WordPress elimina il mio post, farò uno screenshot alla sezione dell’articolo che mi interessa e non metterò il link. Questa pratica richiede un algoritmo più sofisticato per accorgersi di quello che ho fatto.

 

E nel peggiore dei casi, se se ne accorgono, semplicemente non metterò nessun riferimento. Scriverò l’articolo in modo da non averne bisogno. Lo Spiegel non otterrà più le visite che avrebbe avuto dal mio link. E nemmeno incasserà i 100 dollari.

 

Il risultato è che il loro ranking nelle ricerche di Google peggiorerà.

 

E io riuscirò a tenere alto il mio traffico e il mio pubblico soddisfatto.
Chi vince? Io o loro?

 

Io.

 

Specialmente se tengo il costo per linkare i miei contenuti al suo vero valore, ossia zero.

 

Per quel che mi riguarda, un link è pubblicità gratuita. So che ogni link è un regalo che paga grandi dividendi. Ringrazio le persone che mi contattano per avere il permesso di citare il mio lavoro.

 

Il significato di quello che faccio è raggiungere un’audience più ampia possibile. Perché mai dovrei mettere qualche barriera?

 

Mettete tutto questo in prospettiva. Il 95% delle notizie che leggete è una riformulazione di un comunicato stampa di un governo o di un’azienda. Se pensate che qualcuno non possa riscrivere i comunicati dei governi o delle agenzie per meno di 100 dollari l’uno, siete pazzi.

 

Funziona come nelle vendite al dettaglio. Amazon sta facendo fallire i venditori locali perché le merci che si possono facilmente trasportare vengono semplicemente consegnate in maniera più efficiente se non si deve tenere in piedi un negozio fisico. Il costo del suo mantenimento e le persone che vi si recano sono uno spreco di capitale scarso e prezioso.

 

E’ un modello vecchio senza futuro.

 

Le società di informazione che non aggiungono nulla ma diffondono soltanto le stesse notizie con qualche piccola variante non potranno chiedere nemmeno un centesimo per i loro link. In pratica, per il 95% delle notizie, esiste qualche differenza tra Yahoo, MSN, la CNN o FOX?

 

No.

 

Se invece produci qualcosa con un valore aggiunto, le persone riusciranno a trovare una giustificazione al fatto di dover pagare. La pubblicità copre parte di quel costo. Se la gente non paga, non si tratta di un mancato introito, ma di introiti che non sono mai esistiti a quel prezzo.

 

Nel business di internet, i visitatori sono tutto. Perdere visitatori a causa della link tax significa gestire male il proprio business.

 

L’ultima battaglia

 

Quindi la UE ha dato a queste industrie sclerotiche e morenti tutto quello che volevano. Ma, alla lunga, la cosa si ritorcerà contro di loro e incentiverà un’intera generazione di cittadini giornalisti a riempire le nicchie e fare ricerca di prima mano.

 

Inoltre, la direttiva sarà inapplicabile a un qualsivoglia livello pratico, come sottolinea Dave Cullen. La UE si tirerà addosso un crollo del traffico da e verso i suoi intervalli IP.

 

Mentre il costo di The Wire per ogni megabyte di traffico diminuisce, pensate al 5G, lo stesso succede al costo di resistere al controllo. Un costo inferiore della banda rende possibile il networking peer-to-peer e le organizzazioni autonome decentralizzate, che perfino i più incalliti cripto-entusiasti non hanno ancora concepito.

 

E una volta che non ci saranno più corpi intermedi a cui rivolgersi per far applicare la politica sul diritto d’autore, ritorniamo al punto di partenza: andare a cercare i singoli individui. A quel punto la partita è conclusa.

 

Questo scenario è lontano nel tempo e il presente sarà difficile da affrontare, ad essere ottimisti. Ma non ce ne staremo fermi. Mi dispiace per persone come Dave Cullen, che hanno costruito ottimi contenuti e ora devono affrontare ostacoli veri.

 

Non li invidio per nulla.

 

Ma a me questa sembra l’ennesima mossa disperata da parte di uomini vecchi che combattono l’ultima battaglia per mantenere il controllo di The Wire, che gli sta scivolando tra le dita, e che scrivono leggi già superate prima ancora che vengano implementate.

 

27/03/19

Mappa dei paesi con le maggiori riserve di petrolio

In questa mappa ripresa da Visual Capitalist i principali paesi produttori di petrolio del mondo sono riproporzionati a seconda della quantità di riserve di greggio in loro possesso: maggiori le riserve di petrolio, maggiori le dimensioni, e viceversa. Un dato interessante che si coglie a colpo d'occhio, da tenere a mente, per capire meglio i movimenti geopolitici mondiali.

 

 

 

Di Jeff Desjardins, 25 marzo 2019

 

Riserve di petrolio greggio in miliardi di barili (Gbbl)




Nota: per motivi di visualizzazione, sono inclusi solo i paesi che hanno riserve equivalenti o superiori a 100.000.000 di barili (0,1 Gbbl).

Come leggere la mappa: i paesi appaiono più grandi se la loro quantità di riserve di petrolio è più grande, un esempio è il caso del Venezuela. Al contrario appaiono più piccoli se la loro quantità di riserve di petrolio è più piccola, per esempio la Costa d'Avorio. 


Articolo e fonte: https://howmuch.net/articles/worlds-biggest-crude-oil-reserves-by-country


Central Intelligence Agency - https://cia.gov/library


 

Non c'è dubbio che le fonti di energia rinnovabile svolgeranno un ruolo strategico nel potenziare l'economia globale del futuro.

 

Ma per ora il greggio è ancora il campione indiscusso dei pesi massimi nel mondo dell'energia.

 

Nel 2018, abbiamo consumato più petrolio di qualsiasi anno precedente nella storia - circa 99,3 milioni di barili al giorno su base globale. Si prevede che questo numero salirà di nuovo nel 2019 a 100,8 milioni di barili al giorno.

 

La maggior parte delle riserve di petrolio per paese


 

Dato che il petrolio continuerà a essere dominante nel mix energetico a breve e medio termine, quali paesi detengono la maggior parte delle riserve di petrolio?

 

La mappa di oggi proviene da HowMuch.net e utilizza i dati del CIA World Factbook per ridimensionare i paesi in base alla quantità di riserve petrolifere in loro possesso.

 

Ecco i dati per i primi 15 paesi elencati sotto:

 

 



 

Il Venezuela è in cima alla lista con 300,9 miliardi di barili di riserve di petrolio - ma anche questa vasta ricchezza di risorse naturali non è stata sufficiente per salvare il paese dalla sua recente crisi economica e umanitaria.

 

L'Arabia Saudita, un paese noto per il suo predominio petrolifero, occupa il secondo posto con 266,5 miliardi di barili di petrolio. Nel frattempo, Canada e Stati Uniti si trovano rispettivamente al numero 3 (169,7 miliardi di barili) e al numero 11 (36,5 miliardi di barili).

 

Il costo della produzione


 

Benché avere una dotazione di miliardi di barili di petrolio entro i propri confini possa essere un regalo strategico di madre natura, vale la pena ricordare che le riserve sono solo un fattore nel valutare il valore potenziale di questa risorsa cruciale.

 

In Arabia Saudita, ad esempio, il costo di produzione del petrolio è di circa 3 dollari al barile, il che rende l'oro nero strategico per la produzione a quasi tutti i possibili prezzi.

 

Altri paesi non sono così fortunati:

 



 

* Il costo totale (per barile) include i costi di produzione (mostrati a fianco), le spese in conto capitale, le imposte lorde e i costi amministrativi / di trasporto.

 

 

Anche se un paese è benedetto da alcune delle maggiori riserve petrolifere del mondo, potrebbe non essere in grado di produrre e vendere quel petrolio in modo da massimizzarne il potenziale beneficio.

 

Paesi come il Canada e il Venezuela sono ostacolati dalla geologia - in questi luoghi, la maggior parte del petrolio è greggio extra pesante o bitume (sabbie bituminose), e questi tipi di petrolio sono di per sé più difficili e costosi da estrarre.

 

In altri luoghi, gli ostacoli sono autoimposti. In alcuni paesi, come il Brasile e gli Stati Uniti, ci sono tasse più elevate sulla produzione di petrolio, il che aumenta il costo totale per barile.

 

25/03/19

ZeroHedge - Scienziati di tutto il mondo chiedono il blocco immediato dell'editing genetico sugli umani

Le biotecnologie stanno facendo passi da gigante, tanto che oggi la fecondazione in vitro preceduta da screening genetico pre-impianto è già realtà. Potrebbe essere associata al cosiddetto editing genetico dell’embrione, ovvero quella tecnica di taglia e cuci del DNA che permette di eliminare o inserire nell'embrione predisposizioni genetiche (alle malattie, a caratteristiche fisiche etc.). Le conseguenze biologiche, sociali, etiche e morali di tali tecniche sono di amplissima portata e di lunga durata. Dai genitori che potranno scegliere le caratteristiche genetiche dei figli alla selezione di varianti geniche umane utili a fornire protezione da numerose malattie, fino ai programmi di potenziamento della biologia umana, i potenziali scivolamenti verso la distopia sono innumerevoli. La cosa certa è che, come sempre, la promozione presso l'opinione pubblica di queste tecniche passerà dalla medicalizzazione per arrivare a quello che sarà il vero obiettivo di una società fondata sul mercato: il potenziamento umano per le tasche di tutti. Per questo motivi, su Nature alcuni scienziati hanno proposto la sospensione dell'editing genetico, fino a che un ampio dibattito internazionale non arrivi a fornire regole e linee guida a livello mondiale per questa tecnologia. Da ZeroHedge.

 

 

 

di Derrick Broze, 22 marzo 2019

 

 

In una lettera alla rivista Nature, 18 scienziati ed esperti di etica di sette paesi hanno chiesto una moratoria globale sul genere di modifica genetica che può dare origine a bambini geneticamente modificati. La lettera è stata suggerita dall'annuncio, fatto nel 2018 da uno scienziato cinese, con cui si dichiarava la nascita dei primi gemelli al mondo geneticamente modificati.

 

"I 18 firmatari di questa richiesta includono scienziati ed esperti di etica, cittadini di sette paesi. Molti di noi sono stati coinvolti nel campo delle modifiche genetiche sviluppando la tecnologia e applicandola, organizzando e prendendo parola in vertici internazionali, prendendo servizio in comitati consultivi nazionali e studiando i temi etici sollevati".


 

I timori sui "progettisti di bambini" sono in crescita negli ultimi decenni, via via che gli scienziati arrivano più vicini a produrre embrioni geneticamente modificati per ottenere bambini con caratteristiche specifiche e desiderabili. Questa visione una volta era dominio esclusivo dei film hollywoodiani, come Gattaca, ma adesso è paurosamente vicino un futuro nel quale i genitori potranno scegliere esattamente come i geni esprimeranno i propri figli.

 

In particolare, il gruppo richiede una moratoria sulle cellule germinali - in questo caso ovuli o sperma - che possono essere ereditate e "potrebbero avere effetti permanenti e possibilmente nocivi sulla specie".

 

"Per iniziare, dovrebbe esserci un periodo determinato durante il quale non sarà permesso l'uso clinico di qualsiasi tecnica di editing genetico sulle cellule germinali", scrivono gli scienziati. "Questo periodo permetterebbe di discutere su temi tecnici, scientifici, medici, sociali, etici e morali che devono essere presi in considerazione prima che sia permessa la modifica delle celle germinali, e lascerebbe il tempo per stabilire un quadro internazionale".


 

Da quel momento in poi, le singole nazioni sceglieranno il proprio percorso. Gli scienziati prevedono che alcune nazioni potranno scegliere di continuare indefinitamente la moratoria o il divieto permanente. Esortano anche qualsiasi nazione scegliesse di permettere specifiche applicazioni dell'editing genetico sulle cellule germinali di darne inizialmente un avviso pubblico e di impegnarsi in "una valutazione internazionale sulla saggezza del farlo". Il gruppo richiede anche una "valutazione trasparente" per determinare se l'editing germinale sia giustificato e che la nazione in questione ottenga un "ampio consenso sociale" sull'adeguatezza dell'editing.

 

"Non dovrebbe essere presa in considerazione nessuna applicazione dell'editing germinale a meno che non siano sufficientemente comprese le sue conseguenze biologiche di lungo termine - sia per gli individui che per la specie umana", invita il gruppo.


 

In una distinta lettera alla rivista Nature, il dottor Francis Collins, direttore del U.S. National Institute of Health (NIH) [Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti, ndt], ha affermato che il NIH è fermamente d'accordo che una moratoria dovrebbe iniziare immediatamente e durare fino a quando le nazioni non si impegneranno a stabilire regole internazionali per determinare "se e a quali condizioni la ricerca dovrebbe mai procedere".

 

"Questo è un momento cruciale nella storia della scienza: una nuova tecnologia offre il potenziale per riscrivere il copione della vita umana. Pensiamo che l'editing genetico umano a fini riproduttivi porti a conseguenze molto gravi - sociali, etiche, filosofiche e teologiche", ha scritto Collins.


 

"Tali grandi conseguenze meritano una profonda riflessione. Non c'è ancora stato un dibattito sostanziale sui benefici e sui rischi, che offra opportunità a cui possano prendere parte più segmenti dell'eterogenea popolazione mondiale. Le società, dopo discussioni più profonde, potrebbero decidere che questa è una linea che non dovrebbe essere superata. Sarebbe poco saggio e non etico per la comunità scientifica escludere questa possibilità".


 

In risposta a entrambe le lettere, i redattori di Nature hanno pubblicato un editoriale che descrive il loro punto di vista. "Indipendentemente dal fatto che una moratoria abbia o meno un sostegno più ampio, occorre fare parecchie cose per garantire che gli studi di modifica genetica delle cellule germinali, fatti a solo scopo di ricerca, siano su un percorso sicuro e ragionevole", hanno scritto i redattori. Gli editori hanno richiesto che tutte le proposte e gli studi della ricerca di base che fanno uso di strumenti di modifica genetica negli embrioni umani siano depositati in un registro aperto. Alcuni paesi avranno leggi lassiste che potrebbero essere sfruttate da "aspiranti cani sciolti" e quindi c'è bisogno di leggi globali per prevenire e penalizzare la ricerca inammissibile, sostengono i redattori.

 

"Le giuste decisioni sulla modificazione delle cellule germinali umane possono essere raggiunte solo attraverso una discussione schietta e aperta, seguita da un'azione rapida. Con così tanto in gioco, questo deve succedere ora".


 

24/03/19

Gilet gialli, atto XIX: militari condannano il ricorso all'esercito

 

La rivista online indipendente Mediapart pubblica un'intervista a dei militari francesi prima dell'Atto XIX, per il quale  Macron ha mobilitato l'esercito. I militari esprimono le loro preoccupazioni sui pericoli per lo stato di diritto, dato che i soldati non sono addestrati per fronteggiare manifestazioni di piazza, né sono propensi a considerare i cittadini francesi dei nemici da combattere.  Come afferma uno di loro, solo nelle dittature si ammazzano i manifestanti.

 

 

 

di Pascale Pascariello, 22 marzo 2019

 

Mercoledì Benjamin Griveaux , il portavoce del governo, ha annunciato la mobilitazione dei soldati dell' "Operazione Sentinelle" per garantire la sicurezza nella prossima manifestazione dei gilet gialli in programma per Sabato 23 marzo.

 

 

Da parte sua, il Ministro della Difesa, Florence Parly, si è mostrato rassicurante nel dire ai parigini, venerdì 22 marzo, che la missione militare "intende proteggere gli edifici pubblici ed è fuori questione  che l'esercito debba affrontare i dimostranti". Una versione molto diversa da quella del generale Bruno Leray, comandante militare di Parigi, pubblicata lo stesso giorno su France Info.  Il generale ha dichiarato che i soldati "hanno varie modalità di azione per far fronte alle diverse possibili minacce [...]. Se le loro vite o quelle delle persone che stanno difendendo saranno minacciate, potranno arrivare ad aprire il fuoco'".

 

 

Il Codice della difesa prevede che le forze armate possano essere "legalmente obbligate" a partecipare al mantenimento dell'ordine. I soldati dell'esercito, della marina o delle forze aeree vengono mobilitati per "missioni" a rinforzo della polizia, per "missioni di protezione" e "in ultima analisi, possono essere mobilitati per azioni di forza che richiedano misure di sicurezza eccezionali."

 

 

"L'uso dei militari e l'annuncio da parte del governo della loro presenza questo sabato ha lo scopo di mostrare una maggiore fermezza, ma questo uso repressivo dell'esercito è molto pericoloso", lamenta Michel Goya. L'ex colonnello ha comandato un reggimento di fanteria della marina prima di insegnare all'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Oggi cura un blog, La voie de l’épée (La voce della spada), dedicato all'analisi e alla storia militare.

 

 

"Durante la guerra d'Algeria, l'esercito è stato usato perché si riteneva di di fronteggiare un nemico, un'organizzazione armata, il che poteva essere discutibile ma era accettato. Ma in Francia, nella Francia continentale, l'ultima volta che i soldati hanno partecipato a delle operazioni di polizia e di mantenimento dell'ordine, è stato nel 1947" precisa Michel Goya.

 

 

"Quando i soldati intervenivano nei movimenti sociali, all'inizio del secolo, contro i vignaioli del sud o contro i minatori del nord, è sempre stata una tragedia. Ecco perché dopo la prima guerra mondiale questi sono stati rimossi dalle forze dell'ordine ed è stata creata la gendarmeria mobile", ricorda Goya.

 

 

Il generale si dichiara preoccupato per il cambio di prospettiva sull'uso dei militari. "A partire dal piano Vigipirate (Vigilanza e Protezione dei servizi contro il rischio di attentati terroristici stragistici), i militari sono stati presenti nei movimenti sociali senza venire coinvolti, perché non devono esserlo. La loro presenza era stata legittimata dalla lotta contro il terrorismo, che era un piano a lungo termine e del quale, ancora, si può discutere. Ma in nessun caso il loro nemico erano i cittadini che manifestavano per ragioni economiche e sociali."

 

 

Il ricorso all'esercito equivale a "designare un nemico, come accade in guerra. In questo caso, i gilet gialli sono il nemico". Il generale vede in questa strategia come un tentativo da parte del governo di "elevare i cittadini al rango di nemico, elevando il livello della risposta. Ebbene la risposta per noi non può essere commensurata. Se c'è aggressione, c'è l'uso di armi, armi letali. I ministri della Difesa e dell'Interno hanno un bel dire che i militari non saranno in prima linea, ma cosa accadrà se i manifestanti cercheranno di attaccare gli edifici che essi devono proteggere? O l'esercito ne esce umiliato per aver dovuto subire un'aggressione, o diventa un massacro, di cui lo Stato sarà responsabile ".

 

 

In ogni caso, "questo governo ha superato il limite. Perché dopo una manifestazione sono possibili due scenari: o l'ordine pubblico sarà stato mantenuto senza troppi danni, e quindi il ricorso all'esercito sarà considerato efficace e utile. Oppure sarà una tragedia, e saranno necessarie altre mobilitazioni". Michel Goya si rammarica che il governo abbia ceduto a "una vecchia richiesta dei sindacati di polizia. Siamo in un contesto interno, sociale. La risposta che viene data è aberrante. Il governo sta dichiarando guerra ai gilet gialli".

 

 

Il giornalista Jean-Dominique Merchet, specializzato in questioni della difesa, commenta così in un articolo su L'Opinion: "La compartimentazione giuridica tra sicurezza interna e difesa esterna, fondata sulla distinzione tra delinquente e nemico, è una delle basi della democrazia sull'uso della forza. La lotta contro il terrorismo aveva già minato questo principio. Mobilitando le forze armate di Sentinelle per mettere in sicurezza "siti ad alto rischio" dai manifestanti, il potere esecutivo, visibilmente disorientato dall'Atto 18, assume un nuovo considerevole rischio."

 

 

Secondo il generale Vincent Desportes, "per quanto questo ricorso alle forze armate sia giuridicamente fondato, applicarlo oggi alle manifestazioni rappresenta un grande rischio politico. L'esercito è l'ultima risorsa. L'esercito non è assolutamente adatto per far fronte a una situazione di questo tipo. Durante le operazioni a Sarajevo o in Costa d'Avorio, ad esempio, le truppe venivano addestrate nel cosiddetto "controllo della folla", operazioni simili al mantenimento dell'ordine nei movimenti di protesta".

 

 

Il generale specifica che queste operazioni non solo risalgono all'inizio degli anni 2000, ma che sono state realizzate in territorio straniero e soprattutto che "l'esercito ha rinunciato ad essere addestrato al mantenimento dell'ordine, perché è molto riluttante nei confronti di tali missioni. Dopo tutto, i soldati non sono più addestrati degli agenti di polizia utilizzati a rinforzo nelle manifestazioni dei gilet gialli e che, per mancanza di esperienza, commettono errori".

 

 

"Non si uccidono i manifestanti, se non nelle dittature"

 

 

Il generale, professore di Scienze Politiche, non è noto per avere posizioni di sinistra. Preferisce parlare di "rivoltosi" piuttosto che di manifestanti. Tuttavia, ricorda che i militari non hanno uno scudo per proteggersi e soprattutto che non sono dotati di flashball o manganelli, ma di mitragliatrici. Hanno "il diritto di usare le armi per autodifesa, ma anche per difendere beni o persone che siano messi in pericolo. Il problema è che un soldato non è proporzionale nelle sue risposte. O si usano le mani, o i Famas, i fucili mitragliatori. Non ci si può difendere a pugni contro il lancio di pietre, quindi c'è un grande rischio che venga versato del sangue."

 

 

Jean *, un ex colonnello, ha prestato servizio nell'esercito. Non usa mezzi termini sulla decisione del governo: "È una grande cazzata. L'esercito ha solo armi da guerra per combattere il nemico. Dobbiamo ricordare questi fondamenti a questa banda di dilettanti che rischiano di provocare l'irreparabile? È un passo indietro. Ricordate i minatori morti nel 1891, a Fourmies. Il governo vuole un altro massacro?"

 

 

"Come può il governatore di Parigi affermare che i militari reagiranno in caso di minacce? Pensa di rassicurare i militari, ma è tutto il contrario. La nostra missione non è sparare ai cittadini, dobbiamo ricordare questo fatto del tutto evidente". A 85 anni, questo soldato è rimasto traumatizzato da ciò che ha vissuto in Algeria. "Sono stato mandato tra le forze dell'ordine contro i manifestanti che stavano difendendo i loro diritti. Avevo donne e bambini di fronte a me. È il momento peggiore da me vissuto in tutta la mia carriera. Come contenere le dimostrazioni quando hai un fucile? Non si ammazzano i manifestanti, tranne che nelle dittature."

 

 

La sera dell'annuncio del governo, Michel Goya si è intrattenuto a parlare con i soldati dell'Operazione Sentinelle. "Non erano neppure informati. Hanno saputo della mobilitazione dell'esercito attraverso la stampa. Non hanno ricevuto alcuna istruzione fino ad oggi. Non conoscono né quali sono i siti da proteggere né le strategie da adottare in caso di sfondamento. Questo governo improvvisa, si agita, si mette in mostra. Ma questo dilettantismo comporta rischi significativi per militari e manifestanti. Tanto più che un tale annuncio getta necessariamente della benzina sul fuoco e provoca le violenze."

 

Il sottufficiale Laurent *, 35 anni, ha partecipato alle Operazioni Sentinelle. "Ho saputo della mobilitazione dell'esercito per le manifestazioni dei gilet gialli quando mi avete chiamato", dice. Prima di partire per la Guyana, questo soldato stava andando ad addestrarsi nel sud della Francia. "Dovevamo addestrarci a intervenire nella giungla. Ecco perché entriamo nell'esercito, non per sparare ai francesi. Non siamo ingenui, sappiamo bene che veniamo usati all'estero per servire interessi economici legati al petrolio, al gas. Ma sparare ai cittadini francesi perché Macron non cambia la politica economica, questo non è ammissibile."

 

 

Laurent ha partecipato all'Operazione Sentinelle ed è sollevato dal fatto di non dover più "camminare per ore nelle strade con il Famas o l' HK416. È un'arma molto pesante, è faticoso. Guadagniamo circa 1.800 euro, dopo sedici anni di servizio. Tra di noi ci potrebbero essere dei gilet gialli. In ogni caso, li capisco. Quando vedo le manifestazioni, mi ricorda i tempi della monarchia, quando la gente era affamata e il re rispondeva con la repressione. Andare a colpire i cittadini francesi perché sono nella merda come me, è un limite che non posso superare ".

 

 

Il militare ricorda che ogni soldato ha il diritto di rifiutare un ordine se è contrario alla legge e ai trattati in vigore firmati dalla Francia. Si domanda cosa potrebbero fare i suoi colleghi, sabato, contro i manifestanti. "Non spareranno, ma se va male, cosa faranno? Colpiranno col calcio del fucile? Un annuncio del genere rischia di creare più violenza. Che alcuni gilet gialli, disperati, siano violenti, è una cosa. Quando non hai nulla da perdere, diventi violento. Soprattutto perché si trovano ad affrontare un governo che rimane sordo alle loro richieste e che oggi manda l'esercito. C'è una forma di autoritarismo in questa politica liberale. Potrebbe degenerare ancora di più. "

La nostra intervista su Meglio Di Niente Radio

 

Venerdì 22 marzo, "impersonati" dai nostri @Carmenthesister e @SaintSimon, abbiamo avuto il piacere di partecipare a un'intervista in diretta su  Meglio Di Niente Radio, una nuova voce della rete, definita da uno dei suoi fondatori e nostro amico, Antonello Zedda, come un "contenitore di libertà" che ospita vari siti e blog.

 

Siamo stati invitati da Antonello per parlare del nostro sito: "Vocidallestero, quello che non c'è sui giornali".

 

Nell'intervista raccontiamo la nascita del blog, la sua evoluzione, e cerchiamo di spiegare come ci collochiamo nel grande panorama dell'informazione italiana.

 

Aperto da @Carmenthesister nel 2010 agli albori della grande crisi dell'eurozona per diffondere alcune voci di importanti economisti, soprattutto anglosassoni, che offrivano una interpretazione dei fatti molto diversa dalla storiella dei paesi corrotti e dei paesi virtuosi dei nostri media, il blog è cresciuto velocemente sull'onda dell'interesse destato da queste voci autorevoli. Alcuni dei primi lettori sono poi diventati collaboratori stabili, come @SaintSimon, che nell'intervista racconta come ha deciso di coinvolgersi in Vocidallestero dopo essere passato per la comunità di Goofynomics. Un passaggio fondamentale per molti, aggregatore e cassa di risonanza per una nuova avanguardia di intellettuali, i quali hanno talmente arricchito il panorama della informazione italiana sulla rete da rendere sempre più difficile, per noi di Voci, trovare all'estero una informazione di pari livello.

 

Così che cammin facendo il nostro obiettivo si è trasformato, dal diffondere nuove idee che circolavano all'estero, al pubblicare autorevoli voci straniere che confermavano quanto in Italia era già stato ampiamente detto, purtroppo restando quasi totalmente ignorato dai grandi giornali, per non parlare della televisione. Nell'intervista trovate anche una carrellata di alcuni articoli che consideriamo pietre miliari in questo senso, oltre ad alcuni altri che toccano temi oscurati e nascosti, o che escono dal nostro ambito tipico che è stato sempre l'economia, per inoltrarsi su argomenti più vasti.

 

Per noi è quasi incomprensibile come la grande informazione italiana mainstream continui non solo a ignorare quelle che sono ormai rappresentazioni della realtà della crisi condivise a livello accademico, ma anche in certi casi (dimostrabilissimi) a diffondere vere e proprie falsità, e a fomentare un clima di caccia alle streghe nei confronti di tutti coloro che portano avanti idee diverse da quelle uniche ammissibili del "politicamente corretto". Questa protervia da parte della classe intellettuale che da decenni ha occupato i media fa sorgere delle considerazioni sulle vere motivazioni di questo comportamento, che forse non è dettato solo dalla pura convenienza economica, ma probabilmente esprime il bisogno di difendere in maniera spasmodica una falsa identità, in cui essi stessi credono, costruitasi negli anni e ormai duramente minacciata dalla realtà dei fatti che avanza.

 

Nell'intervista raccontiamo anche brevemente chi siamo e il nostro modo di lavorare, in cui ciascuno di noi ha la possibilità di esprimersi con molta autonomia e nel contempo collaborare strettamente.

 

Cosa ci proponiamo per il futuro? Continueremo a svolgere il nostro compito, da un lato cercando di stare sulla notizia per smontare le false rappresentazioni dei fatti con cui continuamente si tenta di manipolare l'opinione pubblica, ma dall'altro cercando anche di spaziare su argomenti che non siano quelli dettati dall'agenda mainstream, ma che restano pericolosamente occultati e nascosti. Dall'obbligo vaccinale, all'intelligenza artificiale, alle minacce alla libera informazione.

 

E nei limiti del tempo che abbiamo a disposizione, purtroppo un bene veramente scarso, cercheremo di portare avanti una proficua collaborazione con Meglio Di Niente, che ringraziamo di cuore per averci ospitato.

20/03/19

Censura e arresti a seguito dell’attacco di Christchurch

Dalla piattaforma alternativa off-Guardian pubblichiamo un articolo che mostra l’immancabile reazione orwelliana dei governi agli attacchi terroristici: deriva autoritaria con limitazione delle libertà individuali. I governi approfittano di queste crisi per rendere illegali la diffusione o persino il possesso di video ritenuti “sconvenienti”, così come la pubblicazione di testi ritenuti “riprovevoli”. La censura colpisce sempre gli individui e le voci alternative – mai i giganti mainstream, neanche quando questi hanno diffuso i contenuti incriminati. Le grandi piattaforme si schierano velocemente dalla parte del potente di turno, e continuano ad agire indisturbate.

 

 

Di Kit Knightly, 20 marzo 2018

 

 

Non importa quale sia l’origine della violenza, non importa quali ne siano le motivazioni, le vittime o il luogo, sembra che la reazione dei governi al “terrorismo” sia praticamente sempre la stessa – restringere con forza i diritti individuali.

 

Questa grande tradizione risale indietro per centinaia di anni, dal giro di vite di Giacomo I d’Inghilterra contro i cattolici dopo la Congiura delle Polveri, passando per quell'atto dispotico che è il Patrioct Act, approvato in meno di sei settimane dopo l’11 settembre. Solo lo scorso anno, gab.com è stata notoriamente messa sotto tiro in maniera pesante sulla scia dei (falsi) attentati “Magabomber” (un nostro articolo prevedeva che altre purghe erano all'orizzonte).

 

Il percorso è stabilito: lo Stato utilizzerà sempre – SEMPRE – una crisi, vera o fittizia, per aumentare il proprio potere. La maggior parte delle volte questo avviene a discapito della libertà individuale.

 

La sparatoria della moschea di Christchurch non fa certo eccezione alla regola. La polizia neozelandese sta attualmente minacciando dieci anni di carcere per la condivisione di filmati in live-streaming dell’evento, e altre pene sono previste anche solo per il possesso di una copia delle registrazioni. Come riporta RT [grassetto nostro]:

 

Le riprese video della sparatoria di venerdì dell’assassino Brenton Tarrant alla moschea di Christchurch – che ha fatto 50 vittime tra i fedeli – sono state rimosse da Facebook immediatamente dopo il massacro. Mentre in seguito i filmati proliferavano su varie piattaforme, le autorità neozelandesi hanno già incriminato un diciottenne per avere condiviso il video, oltre che per avere postato altri commenti “riprovevoli” nei giorni prima della sparatoria.

 

Il teenager rischia fino a dieci anni di carcere, secondo la legge neozelandese sui “materiali riprovevoli e vietati”. La polizia nel frattempo ha emesso un’aperta diffida nei confronti di chiunque altro stia cercando il video.

 

Questa repressione è, in breve, folle. Non si possono accusare le persone perché sono in possesso della copia di un video che è stato trasmesso in tempo reale su internet a milioni di persone, e di sicuro non si può rendere illegale perfino guardare quel video (inoltre, come popolo, dobbiamo resistere con forza all'idea che essere “riprovevoli” possa mai essere considerato un crimine. È una pazzia).

 

Nel 2014 la polizia metropolitana suggerì la stessa cosa a proposito del video dell’ISIS in cui James Foley veniva apparentemente decapitato (circostanza respinta come ridicola da un avvocato in questo articolo).

 

(NOTA: il motivo per cui alcuni video violenti vengano considerati “criminali” perfino da guardare e altri no, è una questione interessante. Si tratta solo di mania di controllo? O di qualcosa di più sinistro?)

 

Naturalmente, è impossibile che una sparatoria negli USA non provochi un coro indignato di persone che inveiscono contro il secondo emendamento, che chiedono che il governo prenda il drastico provvedimento di proibire il possesso privato di armi da fuoco (la cosa è in qualche modo meno pressante sotto Trump, perché nemmeno l’establishment liberal può seriamente allo stesso tempo da un lato sostenere che Trump è un fascista e dall'altro insistere nel togliere le armi ai civili. Tuttavia, fanno del loro meglio).

 

La Nuova Zelanda sta già “inasprendo” la sua legge sul possesso delle armi.

 

Ma la Nuova Zelanda si sta anche spingendo oltre – blocca i siti e i servizi che non hanno letteralmente alcuna connessione col video: sono soltanto eterodossi.

 

8chan è il sito dove il presunto killer ha fatto il suo “annuncio”, ma 4chan non era coinvolto. Entrambi sono stati messi fuori legge sia in Australia sia in Nuova Zelanda. Altri siti alternativi di video come LiveLeak e BitChute sono stati entrambi bloccati, nonostante nessuno dei due abbia ospitato il video. LiveLeak ha perfino rilasciato una dichiarazione dicendo che si rifiutava di pubblicarlo. Anche Dissenters, piattaforma di discussione di Gab, è stato bloccato. Non hanno alcuna connessione con l’uomo arrestato né con il crimine.

 

Perfino ZeroHedge apparentemente è bloccato – il loro crimine? Riportare estratti dal “manifesto” del killer.

 

Naturalmente, molti hanno riportato alcune brevi parti del documento. Nessuna delle piattaforme mainstream è stata bloccata. Facebook ha trasmesso il video in tempo reale – Facebook non è stato bloccato. Queste “repressioni” su internet non danneggiano mai i giganti di internet – si rivolgono solamente contro i piccoli.

 

Questo ricalca esattamente quanto avvenuto nel caso dello scorso anno della sparatoria di “Magabomber” alla sinagoga – dove il presunto bombarolo aveva un account Twitter e il tiratore un account Gab – ma solo Gab è stato messo fuori uso e bloccato.

 

Non conosciamo tutti gli elementi dell’attacco terroristico – se si trattava veramente di un pazzo solitario, o di un altro esempio di terrorismo di stato – ancora non c’è modo di sapere esattamente cos'è successo. Ma qualunque cosa sarà, non si può assolutamente negare che il governo neozelandese sta già usando quanto avvenuto come pretesto per andare oltre e mettere a tacere il dissenso e la libertà di parola su internet.

 

Questa faccenda si diffonderà. Il Parlamento e il Congresso e tutti richiederanno “un'azione” da parte dei giganti di internet, e Google darà un’altra aggiustata ai suoi algoritmi, in modo da portare ancora più in evidenza i media mainstream e mettere in ombra le alternative. Facebook e Twitter applicheranno sempre più lo “shadowban” (azione per cui un utente è bloccato senza che gli venga notificato, NdVdE) o la messa in quarantena di pagine – erigendo ostacoli che impediscano alle informazioni di arrivare nei posti sbagliati.

 

L’”hate speech” diventerà un “crimine” punibile con il divieto di accesso a internet o con multe di enormi somme di denaro… e l’esatta definizione legale di questo “hate speech” resterà confusa e vaga. Cambierà per adeguarsi ai bisogni del governo.

 

Verrà un giorno in cui perfino articoli come questo, che commentano l’atteggiamento sempre più autoritario dei governi occidentali, saranno ritenuti inaccettabili e rimossi perché “alimentano il dissenso” o “promuovono teorie complottistiche”.

 

Aumentare la consapevolezza e incoraggiare la protesta sono gli unici modi per evitare che ciò accada.

 

 

Selmayrgate: conflitto di interessi, menzogne… e suicidio

Una indagine giornalistica di Jean Quatremer, prestigioso collaboratore del quotidiano francese Libération, rivela il collegamento tra  il suicidio di un alto funzionario dell'ufficio legale della Commissione europea, l'italiana Laura Pignataro,  e la nomina a segretario generale della Commissione del potente tedesco Martin Selmayr, messo alle costole del traballante Juncker per volontà dei tedeschi in violazione di tutte le procedure legali. Il caso del suicidio è stato rapidamente chiuso, ma testimonianze raccolte dal giornalista rivelano come la Pignataro fosse fortemente sotto pressione per essere stata costretta a difendere contro ogni evidenza la legalità delle procedure della nomina davanti al Parlamento europeo.  Un caso che rivela la gestione collusa e opaca, se non decisamente criminale, delle istituzioni europee e il livello umano e morale delle persone che le compongono.

Ora, in seguito a questo articolo di Libération, sembra che si stia muovendo qualcosa. E che in prossimità delle elezioni qualcuno senta l'urgente bisogno di ripristinare la fiducia del popolo nelle istituzioni europee...

 

 

di Jean Quatremer, corrispondente a Bruxelles per Libération — 14 marzo 2019

 

Traduzione per Vocidallestero di Luca Fantuzzi

 

Laura Pignataro si è suicidata il 17 dicembre. Alto funzionario del servizio legale della Commissione europea era stata costretta a difendere la nomina, viziata di irregolarità, di Martin Selmayr (vecchio capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker) a segretario generale dell’istituzione.


 

Bruxelles, 17 dicembre 2018, 7,30 di mattina. Laura Pignataro chiede a Lorenza B., l’amica presso cui alloggia da qualche giorno, di accompagnare la figlia di 14 anni alla fermata dello scuolabus. Si giustifica dicendo di non sentirsi bene. Una volta che le due donne si sono allontanate, Laura Pignataro sale all’ultimo piano del palazzo e si getta nel vuoto. Muore sul colpo. La polizia belga conclude rapidamente per un suicidio. Uno in più, in un Paese particolarmente toccato da questo flagello (tra 140 e 200 all’anno, a Bruxelles). Perché questa italiana di 50 anni si è suicidata? Nessuno lo saprà mai con certezza, perché non è stata lasciata neppure una parola.


 

Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una che contava, nella «bolla europea». Questa brillante giurista italiana, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna, faceva parte del gruppo assai ristretto degli alti funzionari della Commissione. Direttrice, uno dei primi tre posti della funzione pubblica europea, lavorava dal 1992 alla Commissione e dal 1995 all’interno del suo prestigioso servizio legale (SL). A giugno 2016 è stata promossa a capo della direzione delle risorse umane del SL, chiaramente per garantire la legalità delle nomine. È proprio questa funzione che le ha fatto giocare un ruolo chiave nella gestione dell’affare Martin Selmayr, dal nome del vecchio capo di gabinetto tedesco del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker che il 21 febbraio 2018 è stato catapultato al posto di segretario generale dell’istituzione, la torre di controllo da cui tutto passa (o… trapassa), in violazione delle regole dello statuto della funzione pubblica europea. Un scandalo, sollevato proprio da Libération, che non smette di provocare reazioni: dopo aver denunciato un vero “colpo di stato” nell'aprile 2018, il 13 dicembre il Parlamento europeo ha chiesto  le dimissioni di Selmayr con una maggioranza schiacciante del 71% dei voti.


 

«Panico».


 

Col suicidio di Laura Pignataro, è un ingranaggio essenziale del caso che scompare. Tutto inizia, per la direttrice del SL, il 28 febbraio 2018, quando la commissione per il controllo del bilancio del Parlamento europeo, di fronte all’ampiezza dello scandalo mediatico, apre un’inchiesta sul «Selmayrgate» e invia una lista di 134 domande alla Commissione. «Si è diffuso il panico all’interno», racconta un eurocrate: «Il problema è che il servizio legale non era stato informato in anticipo della nomina di Selmayr, come peraltro avrebbe dovuto essere […], e questo perché sapevano che si sarebbe opposto a questo inganno.»


 

Ma, a quel punto, non c’era altra scelta che chiamarlo in aiuto per cercare di giustificare giuridicamente una nomina puramente politica. Il compito si annuncia impossibile. Come giustificare che Juncker e Selmayr avessero tenuto il segreto per più di due anni sul prepensionamento progettato dal segretario generale uscente, l’olandese Alexander Italianer? Perché la sua decisione di andare in pensione è stata annunciata soltanto il 21 febbraio 2018, in piena riunione del collegio dei 28 commissari, dopo la nomina al posto di segretario generale aggiunto di Martin Selmayr?


 

Una riunione per redigere le risposte è convocata il 24 marzo 2018 alle 2 e mezzo del pomeriggio dal gabinetto Juncker. Attorno alla tavola si trovano sedute 10 persone tra cui, per il servizio legale, lo spagnolo Luis Romero, direttore generale, il tedesco Bernd Martenczuk, suo assistente, e Laura Pignataro. Ma, nel bel mezzo della riunione, Martin Selmayr, accompagnato dalla sua anima nera, Mina Andreeva del servizio stampa, entra in sala. Romero si alza immediatamente, e lascia la sala. Perché l’arrivo del segretario generale in una riunione consacrata a elaborare la sua difesa costituisce un patente conflitto di interessi. L’art. 11-bis dello statuto dei funzionari dispone che «nell’esercizio delle sue funzioni il funzionario non tratta affari in cui abbia, direttamente o indirettamente, un interesse personale». Invece che andarsene, Romero avrebbe dovuto esigere che Selmayr lasciasse la sala, cosa che non ha fatto. E la Pignataro non ha osato seguirlo: «Romero l’ha freddamente abbandonata alla deriva. L’ha lasciata sola», dichiara un testimone. Il fatto che lei fosse stata nominata al suo posto nel giugno 2016 dallo stesso Selmayr probabilmente spiega perché sia rimasta. Lui stesso giurista, è stato Selmayr a dettare le risposte quel 24 marzo…


 

Come era facile attendersi, gli eurodeputati non si sono assolutamente convinti della validità degli argomenti della Commissione. Scrivono una seconda serie di 61 domande. Le risposte sono preparate il 2 aprile 2018 dalla stessa équipe e, come la prima volta, Selmayr è presente. «Laura, uscendo da quelle riunioni, era arrabbiata nera: sapeva di aver partecipato a un conflitto di interessi illegittimo», confida uno dei suoi amici. «È una giurista esageratamente leale con la sua istituzione, una che non è per nulla politica. Ha compreso subito che la nomina di Selmayr era illegale, ma ha cercato comunque di cautelarsi coprendo una violazione della legge. In questo secondo incontro, Laura gli dice chiaramente che quello che stava facendo era uno scandalo, ma che lo stava facendo per l'istituzione. Il Parlamento resta insensibile alle bizzarre spiegazioni di Selmayr e della sua squadra. Nella risoluzione votata il 18 aprile, chiede che la nomina di Selmayr sia «valutata nuovamente». La Commissione rifiuta seccamente: per l’istituzione, «tutto è stato fatto nelle regole».


 

La forzatura del diritto


 

A maggio, è il turno della mediatrice di entrare in gioco. L'irlandese O'Reilly inizia la sua indagine in un'atmosfera di tensione. Chiede l'accesso al server della Commissione. Respinto. Richiede quindi la trasmissione di tutte le e-mail relative alla nomina di Selmayr. Nuovo rifiuto. Ma, a quel punto, Laura Pignataro va oltre: ritiene suo dovere di rispondere alle domande della mediatrice. «"Non posso mentirle, è impossibile, ho dato tutti i dossier alla mediatrice", mi ha raccontato», ricorda uno dei suoi intimi collaboratori. Selmayr non viene immediatamente a conoscenza del «tradimento» di quella che considera il suo scudo legale. Pubblicata il 4 settembre, la relazione della mediatrice è schiacciante: risulta che la nomina di Selmayr a Segretario Generale sia stata preparata nel gennaio 2018 e che non sia mai stata messa in dubbio da coloro che fingevano di partecipare a una procedura di reclutamento fasulla sin dall'inizio. C’è tutto: le mail interne, i documenti Word modificati ora per ora… Per Emily O’Reilly, «lo spirito e la lettera» delle regole dell’Unione sono state violate e la procedura di nomina «manipolata». Selmayr realizza allora che la Pignataro è all’origine della fuga di notizie. La incarica di rispondere alla mediatrice e le impone di non parlarne a nessuno. Eccola di nuovo obbligata a mentire. Il segretario generale la chiama a volte nel bel mezzo della notte per darle le proprie direttive… le risposte sono pubblicate il 4 dicembre. Laura Pignataro non ne può più di violare così la legge e di mentire. Il 12 dicembre, secondo le confidenze fatte al proprio entourage, afferma di aver «sbagliato carriera»: «Sono finita. Non puoi immaginare cosa sono stata obbligata a fare in queste ultime settimane.» Secondo questa fonte, «era terrorizzata dall’ostilità di Selmayr». Il giorno successivo, una delle persone a lei vicina racconta che «le sue parole erano diventate incoerenti».  Laura spiega che «non aveva registrato le sue presenze e la sua carriera era finita». Quattro giorni dopo, si butta nel vuoto. Il direttore generale del servizio legale, Luis Romero, viene a sapere del suo suicidio nel corso di una riunione coi suoi direttori alle 9,25. Non dice nulla e lascia la riunione. Gli eurocrati del servizio legale scoprono il dramma attraverso un messaggio pubblicato sulla loro intranet e non sulla linea generale: «Luis Romero si duole di dover comunicare la triste notizia del decesso di Laura Pignataro.»


 

Né Martin Selmayr, né Günther Oettinger, il commissario all’amministrazione, né Jean-Claude Juncker riterranno utile inviare le loro condoglianze alla famiglia, o assistere (o almeno farsi rappresentare) alla cremazione, che ha luogo il 21 dicembre a Bruxelles. In compenso, «quel giorno tutti i funzionari hanno ricevuto un messaggio di Selmayr che augurava a tutti buone feste. Eravamo scioccati», racconta uno degli amici di Laura Pignataro. Stessa assenza il 31 gennaio, alla cerimonia organizzata in sua memoria… Eppure Selmayr conosceva Pignataro, avendola nominata nella posizione che ricopriva e avendoci lavorato insieme per 10 mesi. E tutti ricordano che Juncker non ha esitato ad assistere, il 27 ottobre 2016, alle esequie di Maria Ladenburger, la figlia di un consigliere giuridico della Commissione, stuprata e assassinata da un richiedente asilo afgano. Per Laura, solo indifferenza. Una volta scoperta la sua morte, i servizi di sicurezza della Commissione mettono il suo ufficio sotto chiave. Lo è ancora oggi. Peraltro, l’inchiesta della polizia  belga è stata completata in pochi giorni. L’esecutivo della UE rifiuta di dire se sono state portate avanti delle indagini interne sulle ragioni di questo suicidio: burn-out? Mobbing? Problemi personali? Domande che ogni datore di lavoro si dovrebbe porre, tanto più che il servizio legale ha conosciuto 6 suicidi in 12 anni (su 250 persone circa). «Dal punto di vista umano, la Commissione è un luogo orribile», confida un direttore dell’istituzione. A dicembre 2017 Selmayr dichiarava a Libération: «Si esagera molto la mia brutalità, quando invece la brutalità è parte integrante della casa.»


 

Alle nostre domande, Alexander Winterstein, portavoce aggiunto, ha risposto: «Si tratta di una questione interamente privata. Non ho alcun commento da fare.» Abbiamo mandato una seconda serie di domande. La risposta, da parte di un Luis Romero devastato, è stata più umana: «Laura Pignataro era una eccellente e brillante giurista e una collega molto apprezzata in seno alla Commissione europea. Il suo decesso è stato uno choc per tutti i colleghi che hanno avuto il privilegio e la fortuna di conoscerla e di lavorare con lei.» Ma nulla sull’assenza di condoglianze o l’eventuale mobbing di cui potrebbe essere stata vittima Laura Pignataro : «Non vogliamo fare commenti su queste speculazioni senza fondamento che sollevi nel tuo messaggio.»

 

«Un posto orribile»

 

Ci sono ragioni diverse da quelle professionali che avrebbero potuto spiegare il suo gesto? Coloro che abbiamo intervistato descrivono una donna amante della vita, ambiziosa, sportiva. «Il suo gesto è difficile da comprendere, era serena, forte ed energica, ricorda uno dei suoi vecchi responsabili, Giuliano Marenco, direttore generale aggiunto del servizio legale, oggi in pensione. Non dava l’impressione di essere sopraffatta da alcunché.» La sua situazione personale era complicata. Il marito, Michel Nolin, un francese funzionario del servizio legale, era da anni in guerra con la Commissione ritenendo di non aver avuto la carriera che si sarebbe meritato. Ha addirittura fatto ricorso innanzi alla Corte di giustizia (e ha perso). Ora, sua moglie era stata nominata in un posto dove rischiava di dover trattare il caso del marito, posizione quantomeno non confortevole. I rapporti della coppia si erano talmente deteriorati che Laura Pignataro si era rifugiata a casa della sua amica con la figlia pochi giorni prima il suo gesto fatale. La figlia, d’altronde, non è stata affidata al padre, ma al fratello della defunta. Il bando per il posto della Pignataro è stato pubblicato il 4 marzo, quasi tre mesi dopo la sua morte. Sappiamo già che Selmayr nominerà uno dei suoi fedelissimi, tedesco come lui. Il nuovo direttore sarà il primo ad avere accesso al computer di Laura Pignataro.

18/03/19

Krugman - Non date ai robot la colpa dei salari bassi

Il Premio Nobel per l'Economia Paul Krugman sfata sul New York Times uno dei tanti miti imposti dalla falsa narrazione in voga oggi sui media mainstream: che il crollo dei salari sia un'inevitabile conseguenza del progresso tecnologico, in particolare dell'avvento dei robot. Contrapponendo i numeri ai pregiudizi, Krugman dimostra che non è vero. Come in molti altri casi - pensiamo per esempio ai movimenti dei capitali, dipinti come non arginabili perché "oggi si spostano milioni premendo un tasto del computer" - non si tratta di fenomeni legati all'evoluzione della tecnologia, ma della politica. Che soprattutto negli Usa - ma non solo -, ha messo in atto strategie contrarie agli interessi dei lavoratori. Il bla bla sui robot, ci dice Krugman, serve soprattutto a distogliere l'attenzione da questo e dai suoi responsabili. 

 

 

 

di Paul Krugman, 14 marzo 2019

 

I progressisti non dovrebbero cadere in un facile fatalismo nei confronti della tecnologia.

 

L'altro giorno mi sono ritrovato, come accade spesso, a una conferenza dove si parlava dei salari che diminuiscono e della disuguaglianza che aumenta. C'è stata una discussione interessante. Ma una cosa che mi ha colpito è il modo in cui molti partecipanti semplicemente davano per scontato che i robot rappresentassero una parte importante del problema - che le macchine stiano facendo sparire il lavoro di buona qualità, o persino il lavoro in generale. Per la maggior parte di loro questo non è stato neanche presentato come un'ipotesi, ma proprio come qualcosa di ormai assodato.

 

Ma questo postulato ha implicazioni reali per la discussione politica. Ad esempio, una gran parte dell'agitazione intorno alla necessità di un reddito di base universale proviene dalla convinzione che i posti di lavoro diventeranno sempre più scarsi, mentre l'apocalisse dei robot si impossessa dell'economia.

 

Mi sembra quindi utile sottolineare che, in questo caso, quello di cui tutti sono convinti non è vero. Fare previsioni è difficile, soprattutto per il futuro, e forse i robot arriveranno davvero a toglierci tutti i nostri lavori prima o poi. Ma l'automazione non rappresenta una parte importante nella storia di quello che è successo ai lavoratori americani negli ultimi 40 anni.

 

Abbiamo un grosso problema, certo: ma questo ha molto poco a che fare con la tecnologia e molto a che fare con la politica e il potere.

 

Andiamo indietro per un minuto e chiediamoci: che cos'è un robot, in fin dei conti? Chiaramente, non deve essere qualcosa che assomiglia a C-3PO (il robot D-3B0 nella versione italiana di Guerre Stellari, ndt), o che va in giro su ruote dicendo "Sterminare! Sterminare!". Dal punto di vista economico, un robot è tutto ciò che usa la tecnologia per fare un lavoro precedentemente svolto dagli esseri umani.

 

E i robot in questo senso hanno letteralmente trasformato la nostra economia, per secoli. David Ricardo, uno dei padri fondatori dell'economia, ha scritto sugli effetti dirompenti delle macchine nel 1821!

 

In questi giorni, quando le persone parlano dell'apocalisse dei robot, di solito non pensano a cose come lo scavo nelle miniere o la rimozione delle montagne. Eppure queste tecnologie hanno completamente trasformato il processo dell'estrazione del carbone: la produzione di carbone è quasi raddoppiata tra il 1950 e il 2000 (ha iniziato a scendere solo pochi anni fa), e tuttavia il numero di minatori di carbone è passato da 470.000 a meno di 80.000.

 

Oppure consideriamo l'introduzione dell'uso di container per il trasporto delle merci. Gli scaricatori di porto un tempo erano una parte importante della scena nelle principali città portuali. Ma mentre il commercio globale è aumentato vertiginosamente dagli anni '70, la quota di lavoratori statunitensi impegnati nella "movimentazione delle merci marine " è diminuita di due terzi.

 

Gli effetti dirompenti della tecnologia sul lavoro, quindi, non sono un fenomeno nuovo. Ma almeno, stanno accelerando? Secondo i dati, no. Se davvero i robot stessero sostituendo i lavoratori in massa, ci aspetteremmo di vedere un'esplosione della quantità di materiale prodotto da ciascun lavoratore rimasto - ovvero della produttività del lavoro. E invece, la produttività è cresciuta molto più rapidamente dalla metà degli anni '90 alla metà degli anni 2000, rispetto a quanto non sia avvenuto successivamente.

 

Quindi il cambiamento tecnologico è una vecchia storia. Quello che è nuovo è il fallimento dei lavoratori nel condividere i frutti di questo cambiamento tecnologico.

 

Non sto dicendo che affrontare il cambiamento sia sempre stato facile. Il declino dell'occupazione nelle miniere di carbone ha avuto effetti devastanti su molte famiglie, e gran parte di quella che una volta era l'area carbonifera non si è mai ripresa. La perdita di posti di lavoro manuali nelle città portuali ha sicuramente contribuito alla crisi sociale urbana degli anni '70 e '80.

 

Ma mentre ci sono sempre state vittime del progresso tecnologico, fino agli anni '70 l'aumento della produttività si è tradotto in salari crescenti per la grande maggioranza dei lavoratori. In seguito, questa relazione è stata interrotta. E non sono stati i robot a farlo.

 

Quale ne è stata la causa? C'è un consenso crescente, sebbene non totale, tra gli economisti, sul fatto che un fattore chiave nella stagnazione dei salari sia stato il declino del potere contrattuale dei lavoratori - un declino le cui radici sono in definitiva politiche.

 

La prova più evidente è data dal salario minimo federale, calcolato tenendo conto dell'inflazione, che è diminuito di un terzo nell'ultimo mezzo secolo, mentre la produttività dei lavoratori è aumentata del 150%. Questa divergenza è - in modo chiaro e semplice - legata alla politica.

 

Il declino dei sindacati, che coprivano un quarto dei lavoratori del settore privato nel 1973, ma solo il 6 per cento oggi, potrebbe non essere altrettanto evidentemente legato alla politica. Ma altri paesi non hanno visto lo stesso tipo di declino. Il Canada oggi è sindacalizzato quanto gli Stati Uniti nel 1973; nelle nazioni nordiche i sindacati coprono i due terzi della forza lavoro. Ciò che ha rappresentato l'eccezionalità dell'America è stato un ambiente politico profondamente ostile alla sindacalizzazione dei lavoratori e favorevole nei confronti dei datori di lavoro che distruggevano i sindacati.

 

E il declino dei sindacati ha fatto un'enorme differenza. Si consideri il caso del trasporto su gomma, che un tempo era un buon lavoro, ma ora paga un terzo in meno rispetto agli anni '70, con condizioni di lavoro terribili. Che cosa ha fatto la differenza? La de-sindacalizzazione ha avuto un ruolo notevole nella vicenda.

 

E questi fattori facilmente quantificabili sono solo indicatori di un atteggiamento contrario ai lavoratori persistente e trasversale nella nostra politica.

 

Il che mi riporta alla domanda: perché stiamo parlando così tanto di robot? La risposta, direi, è che si tratta di una tattica diversiva - un modo per evitare di affrontare il modo in cui il nostro sistema è truccato a danno dei lavoratori, così come parlare di un " gap delle competenze " è stato un modo per distogliere l'attenzione dalle cattive politiche che hanno tenuto alta la disoccupazione.

 

E i progressisti, soprattutto, non dovrebbero cadere in questo facile fatalismo. I lavoratori americani possono e devono ottenere condizioni molto migliori di quelle che ottengono oggi. E di quello che non ottengono, la colpa non è dei nostri robot, ma dei nostri leader politici

 

17/03/19

Perché le lezioni del 1984 di un ex-agente del KGB sono ancora attuali

Nel 1984 Yuri Alexandrovich Bezmenov, un ex-agente del KGB che aveva disertato in Canada nel 1970, rilasciò un'intervista nella quale spiegava il piano a lungo termine messo in atto dall'allora regime comunista nell'URSS per indebolire l'Occidente attraverso la guerra psicologica e la "de-moralizzazione". Ciò sostanzialmente implicava cambiare la percezione della realtà al punto che, nonostante l'abbondanza di informazioni, la gente non fosse più in grado di giungere a conclusioni sensate nel proprio interesse e in quello della propria famiglia, comunità o nazione.

 

Bezmenov spiegava che questo processo di "grande lavaggio del cervello" si sviluppa in quattro fasi fondamentali: il primo stadio è chiamato "de-moralizzazione" (ossia, perdita del senso morale), e richiede da 15 a 20 anni. L'esempio più eclatante da lui fornito sono gli hippies degli anni '60, che negli anni '80 sono ovunque arrivati a posizioni di potere nel governo e negli affari. Questa generazione è programmata per pensare e reagire in modo pavloviano, ed è incapace di cambiare idea anche quando posti davanti all'evidenza e a dati di prima fonte.

 

La de-moralizzazione secondo Bezmenov è un processo "irreversibile", e in effetti egli pensava che il processo di de-moralizzazione dell'Occidente fosse già completato. Una volta compiuto, la seconda fase del lavaggio del cervello ideologico è la "destabilizzazione", seguita da una "crisi" e, infine, un periodo di "normalizzazione", che è un eufemismo per l'instaurazione di un regime totalitario.

 

Molte contraddizioni interne, così come influenze esterne, causarono il crollo improvviso e precipitoso dell'Unione Sovietica nel 1991, così che qualsiasi timore di un'invasione sovversiva guidata dal KGB oggi sarebbe completamente infondata. Tuttavia, è difficile non intravedere in quella visione originale lo stato odierno di molte nazioni moderne occidentali. Le società sembrano sempre più costituite da tribù polarizzate, dove un numero crescente di individui rifiutano i fatti a favore di fragili narrazioni e opinioni (come un immaginario riscaldamento globale, falsificato da tutti i dati storici disponibili, o il la fallace affermazione che l'"Europa" ci avrebbe "dato la pace"), o dove la "relativizzazione" della realtà ha raggiunto livelli tali che i "fatti" vengono percepiti come interpretabili in una miriade frattalica di modi. Sembra insomma quasi che il piano sovversivo originale abbia preso una vita propria dopo la caduta del comunismo sovietico, o sia stato continuato da altri gruppi di interesse.

 

Se definirla una minaccia "comunista" oggi è fuori moda o rischia di ferire la sensibilità di qualcuno, potremmo chiamarla totalitarismo o autoritarismo, e poco importa se si vuole considerare il KGB o la CIA come la mente principale dietro il processo di sovversione sociale in corso (recenti ricerche negli archivi storici ci mostrano come i contatti tra i due blocchi fossero in realtà molto più frequenti di quanto si pensi). Nella sostanza, rimane un'ideologia basata sull'annientamento delle identità individuali e nazionali, dove un'oligarchia centralizzata e distante, irresponsabile nei confronti delle masse sottostanti sempre più livellate, uniformi e standardizzate, esercita un livello senza precedenti di controllo e sorveglianza sulle libertà civili, fisiche e, ciò che è ancora più inquietante, psicologiche.

 

Di Tim Bryce, 25 aprile 2012
Nel classico film di Hitchcock del 1935 "I 39 scalini" non si parla di una scalinata, ma piuttosto di una serie di missioni clandestine necessarie per rovesciare un governo. Il film è appassionante ma, a quanto pare, in realtà ci vogliono molti meno passi per sovvertire un governo, per l'esattezza quattro. Ciò, almeno, è quello che afferma Yuri Bezmenov, ex agente del KGB. Durante gli anni '60, Bezmenov prestò servizio per il KGB principalmente in India, dove aveva il compito di diffondere propaganda sovietica e disinformazione nel mondo occidentale. Alla fine disertò in Occidente nel 1970 e si stabilì in Canada, dove tenne conferenze e scrisse articoli sulle tecniche usate dal KGB per sovvertire l'Occidente.

 

Nel 1984 è stato protagonista di un'intervista televisiva che è ancora disponibile su YouTube. Durante questa intervista, Bezmenov spiega che le attività del KGB riguardavano ben poco lo spionaggio tipico alla James Bond (solo il 15%), ma si concentravano maggiormente (85%) sulla "sovversione ideologica", utilizzata per minare segretamente il governo americano [e in generale i governi occidentali N.d.T.] attraverso azioni non apertamente politiche di guerra psicologica. Lo scopo di questo programma era cambiare la percezione della realtà usando tecniche di lavaggio del cervello subliminali per un lungo periodo di tempo. La gente agisce sulla base della propria percezione della realtà, indipendentemente dal fatto che sia corretta o fallace. Non si preoccupa tanto dei fatti quanto dei propri modi di vedere il mondo e dei propri interessi personali. Controllando le percezioni delle persone, esse diventano più inclini a trarre conclusioni errate, facilitando così la manipolazione delle masse. L'obiettivo del programma del KGB era quindi quello di programmare le persone a rigettare le verità come fallaci, nonostante l'evidenza.
Come spiega Bezmenov nell'intervista, quattro fasi sono necessarie per trasformare il pensiero e il comportamento della popolazione:

 

1. De-moralizzazione - questo processo può richiedere circa 15-20 anni (una generazione) per essere completato. Durante questa fase, la fibra morale e l'integrità del paese vengono messe in discussione, creando così dubbi nelle menti delle persone. Per ottenere ciò, è necessario manipolare i media e il mondo accademico allo scopo di influenzare i giovani. Mentre la generazione più giovane abbraccia nuovi valori, come il marxismo e il leninismo, la vecchia generazione perde lentamente il controllo semplicemente tramite il logoramento. Come già detto, i fatti e la verità non contano più durante questo stadio, mentre la creazione di percezioni è di fondamentale importanza.

 

2. Destabilizzazione: lo scopo di questo passaggio è modificare lo status quo, in particolare l'economia del paese, le relazioni estere e i sistemi di difesa. L'intento è quello di creare un governo pervasivo che eserciti il controllo in modo invasivo nella società e nella vita dei suoi cittadini. Questo può richiedere da due a cinque anni per essere realizzato, sempre con il sostegno attivo del mondo accademico, che spinge soprattutto i più giovani in questa direzione. In questa fase vengono promessi diritti, vantaggi e sussidi ad alcuni strati della popolazione per incoraggiare il loro sostegno. Fondamentalmente, si corrompono le persone perché accettino il piano.

 

Bezmenov sostiene che, una volta che questa fase è completata, intellettuali ed idealisti non sono più necessari e, dal momento che senza dubbio saranno i primi a protestare contro le politiche del governo una volta scoperta la verità, vengono rapidamente eliminati in un modo o nell'altro. In proposito cita gli esempi di Nicaragua, Grenada, Afghanistan e Bangladesh.

 

3. Crisi: questo è un passo importante che dura fino a sei settimane e comporta un cambiamento rivoluzionario di potere. È qui che un evento cataclismatico sconvolge e divide il Paese, creando così il panico tra i cittadini. Esempi recenti includono gli sconvolgimenti del 2011 in Medio Oriente, in particolare Egitto e Libia. Per gli americani, i sintomi potrebbero includere la sospensione della Costituzione e l'alterazione dei controlli e degli equilibri del governo e, alla fine, la legge marziale.

 

4. Normalizzazione - è lo stadio finale, durante il quale la popolazione finalmente acquiesce e inizia ad accettare il comunismo. Può richiedere fino a due decenni.

 

Bezmenov sosteneva che la prima fase, la De-moralizzazione, era stata completata molto prima della sua intervista del 1984. In effetti, i sovietici stessi erano rimasti sorpresi di quanto facilmente fosse stata eseguita. Un chiaro indicatore del decadimento morale del paese è il declino delle organizzazioni religiose che, storicamente, sono sempre state un sostegno per la moralità, ma oggi sono in regresso. Riteneva inoltre che la seconda fase fosse in via di completamento nel 1984, ma a quanto pare non aveva previsto la caduta dell'URSS, che portò il processo a una temporanea sospensione. Ciononostante, non sarebbe azzardato sostenere che oggi in America si stanno realizzando molti degli scenari descritti da Bezmenov, e che la terza fase sembra approssimarsi.

 

Yuri Bezmenov morì nel 1993 senza mai vedere la realizzazione della sua profezia, che si spera non si realizzerà mai. Tuttavia, come ci ricorda Bezmenov, la sovversione richiede soltanto pazienza e perseveranza per alterare le percezioni delle persone.

16/03/19

La fabbricazione di Greta Thunberg ai fini del consenso: la politica economica del complesso industriale non-profit. Atto I.

Una lunga indagine investigativa di Cory Morningstar sulla fabbricazione mediatica della ragazzina ambientalista con le trecce: vengono messi in luce i legami tra questo movimento giovanile e il grande capitale,  non veramente indirizzato al controllo dei disastri ambientali, quanto  alla necessità di  riportare alla crescita e a grandi profitti un'economia capitalistica che sta collassando tramite la quarta rivoluzione industriale "della cosidetta economia verde". Ma ciò che è più inquietante è l'esperimento di ingegneria sociale col quale si vuole indurre il più grande cambiamento comportamentale su scala globale mai sperimentato.  Atto I.

Qui l'Atto II

Qui l'Atto III

 

 

di Cory Mornigstar, 17 gennaio 2019

 

"L'aspetto più sgradevole delle manipolazioni del Complesso Industriale Non Profit è che riescono a convogliare sui loro obiettivi la buona volontà della gente, specialmente dei giovani. Si rivolgono a coloro a cui le istituzioni, al servizio della classe dominante, non hanno fornito le competenze e conoscenze necessarie per poter pensare veramente con la propria testa. Il capitalismo opera sistematicamente e strutturalmente come una gabbia per l'allevamento degli animali domestici. Le organizzazioni che elaborano progetti basati su falsi slogan umanisti allo scopo di sostenere la gerarchia del denaro e della violenza stanno rapidamente diventando gli elementi cruciali della gabbia invisibile del corporativismo, del colonialismo e del militarismo."- Hiroyuki Hamada, artista

 

La costruzione di Greta Thunberg ai fini del consenso è un'opera in sei atti.

 

Nell' ATTO I, svelo come Greta Thunberg, l'attuale bambina prodigio e volto del movimento giovanile per combattere i cambiamenti climatici, opera come consigliere speciale ed esperto sulle questioni giovanili per la fiorente start-up tecnologica mainstream "We Do not Have Time". Quindi svolgo un'indagine sulle ambizioni che stanno dietro la società tech We Do not Have Time.

 

Nell'ATTO II, ​​illustro come i giovani di oggi siano gli agnelli sacrificali dell'élite dominante. In questo atto presenterò anche i membri del consiglio di amministrazione e i consulenti di "We Do Not Have Time". Svolgerò un'indagine sulla leadership del nascente We Do Not Have Time e la sua partnership con affermate società ed enti ambientalisti: Al Gore's Climate Reality Project , 350.org, Avaaz, Global Utmaning (Global Challenge), la Banca mondiale e il World Economic Forum (WEF).

 

Nell'ATTO III, analizzo come Al Gore e i capitalisti più potenti del pianeta stanno dietro la costruzione di questi artificiali movimenti giovanili di oggi e perché. Esploro i collegamenti di We Do Not Have Time / Thunberg con Our Revolution, il Sanders Institute, This Is Zero Hour, il Sunrise Movement e Green New Deal. Mi soffermerò anche sulla famosa famiglia di Thunberg. In particolare sulla madre, Malena Ernman, celebre artista svedese dichiarata dal WWF "Eroe ambientale 2017" e che ha pubblicato un libro nell' agosto 2018. Approfitto qui della generosa attenzione mediatica accordata a Thunberg sia a maggio che ad aprile del 2018 da SvD, uno dei più grandi giornali svedesi.

 

Nell'ATTO IV, analizzo la campagna in corso in questo momento perché l'opinione pubblica entri nella "modalità di emergenza". Ancora più importante, riassumo a chi e a cosa torna utile questa modalità.

 

Nell'ATTO V, do un'occhiata più da vicino al Green New Deal. Svolgo un'indagine su Data for Progress e la focalizzazione sulla gioventù femminile come una chiave "femografica". Collego l'architetto e gli autori principali dei dati "Green New Deal" al World Resources Institute. Da lì, vi guiderò attraverso la "Commissione per lo sviluppo economico e lo sviluppo sostenibile" e la "Nuova economia climatica" - un progetto del World Resources Institute. Rivelo il filo conduttore che lega questi gruppi e lo stanziamento di fondi per l'ambiente, rappresentata dalla Natural Capital Coalition e dal complesso industriale non-profit. Infine, svelo come tutto questo sia culminato nell'esecuzione dei pagamenti per i servizi ecosistemici (la finanziarizzazione e la privatizzazione della natura, su scala mondiale) la cui adozione "è prevista per il quindicesimo incontro di Pechino del 2020".

 

Nell'atto finale, ATTO VI [Crescendo], concludo la serie mostrando che le fondazioni che hanno finanziato il "movimento" sul clima nell'ultimo decennio sono le stesse fondazioni ora associate al Climate Finance Partnership che mira a sbloccare 100mila miliardi di dollari dai fondi pensione. Rivelo le identità di individui e gruppi al timone di questa matrix interconnessa, i quali controllano sia i media che il messaggio. Vi porto indietro nel tempo per mostrare brevemente i dieci anni di ingegneria sociale strategica che ci hanno portato fino all'orlo di questo precipizio. Guardo al rapporto tra WWF, Istituto di Stoccolma e World Resources Institute, gli strumenti chiave per la finanziarizzazione della natura. Volgo anche lo sguardo alle prime campagne pubbliche per la finanziarizzazione della natura ("capitale naturale") che stanno lentamente diventando di dominio pubblico grazie al WWF. Rifletto su come le ONG mainstream stanno cercando di accrescere la loro influenza e di manipolare la popolazione in maniera sottoterranea attraverso i gruppi Extinction Rebellion organizzati negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

 

Alcuni di questi argomenti, in aggiunta ad altri, saranno pubblicati e discussi in maggior dettaglio come addenda a questa ricerca su grande scala. Ciò comporta l'attraversamento dello specchio, con un'esplorazione di come sarà il vero "Green New Deal" sotto la Quarta Rivoluzione Industriale. Inoltre, è in arrivo una indagine sul potere della celebrità - e come questa sia diventata uno strumento chiave sia per il capitale che per il conformismo.

 

 

ATTO I


 

 

"Come puoi essere così facilmente ingannato da una semplice storia? perché tu in realtà sei ingannato. Bene, tutto si riduce a una cosa fondamentale, che è l'investimento emotivo. Più si è emotivamente coinvolti in qualcosa, meno critici e obiettivi si diventa"- David JP Phillips, Consiglio di amministrazione di Non abbiamo Tempo. "La Scienza Magica dello Storytelling"

 

Non c'è più tempo

 

Questa espressione, che sta rapidamente diventando la citazione del giorno, un mantra collettivo per affrontare il disastro ambientale in corso, può essere descritta come un'ovvietà: è vero che non abbiamo tempo. Non c'è più tempo per fermare le guerre imperialiste - essendo le guerre di gran lunga il maggior contributo al cambiamento climatico e al degrado ambientale – eppure dobbiamo farlo. Naturalmente si tratta di una impresa impossibile sotto il peso schiacciante del sistema capitalistico, dell'economia di guerra degli Stati Uniti, e della spinta crescente per la quarta rivoluzione industriale fondata sull'energia rinnovabile. Quello di cui non si parla mai a proposito della cosiddetta "rivoluzione dell'energia pulita" è che la sua esistenza dipende totalmente dall'imperialismo "verde" - termine che è sinonimo di sangue.

 

Ma non è questo di cui tratta questa prima parte.

 

Questo atto parla di nuovi mercati finanziari in un mondo in cui la crescita economica globale sta sperimentendo la stagnazione. La minaccia e la conseguente risposta non riguardano tanto il cambiamento climatico quanto il crollo del sistema economico capitalista. Questo articolo riguarda le grandi opportunità offerte dalla tematica del clima per una crescita senza precedenti e per grandi profitti, e le misure che le nostre élite prenderanno al fine di ottenere tutto questo - compreso lo sfruttamento dei giovani.

 

Cosa vuol dire "non abbiamo tempo"?


 

"Il nostro obiettivo è quello di diventare i maggiori protagonisti di Internet." - Ingmar Rentzhog, We Don't Have Time, 22 dicembre 2017, Nordic Business Insider

 

Il 20 Agosto 2018 un tweet con una foto di "una ragazza svedese" seduta su un marciapiede è stata pubblicata dalla società We Don’t Have Time, fondata dal suo CEO Ingmar Rentzhog:

 

"Una ragazza di 15 anni davanti al Parlamento svedese fa sciopero a scuola per 3 settimane fino al giorno delle elezioni [.] Immaginate solo come deve sentirsi sola in questa foto. La gente non si ferma. Ognuno continua le proprie faccende come al solito. Ma è la verità. Non possiamo, e lei lo sa!"

 



 

Questo tweet di Rentzhog, tramite l'account Twitter We Don't Have Time, sarebbe la prima esposizione mediatica dell'ormai famoso sciopero di Thunberg.

 

Cinque persone erano taggate in questo tweet sulla "ragazza solitaria" di Rentzhog : Greta Thunberg, Zero Hour (movimento giovanile), Jamie Margolin (il fondatore adolescente di Zero Hour), Climate Project Reality di Al Gore, e l'account twitter del clima People’s Climate Strike (stesso identico carattere ed estetica di 350.org). [Questi gruppi saranno trattati più avanti.]

 

Rentzhog è il fondatore di Laika (un'importante società svedese di consulenza che fornisce servizi all'industria finanziaria, recentemente acquisita da FundByMe), nominato presidente del think tank Global Utmaning (Global Challenge in inglese) il 24 maggio 2018, e parte del board di FundedByMe. E' membro della Climate Reality Organization Leaders di Al Gore, dove fa parte della Climate Policy Task Force europea. Si è formato nel marzo 2017 a Denver, Stati Uniti d'America, con il vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore e di nuovo nel giugno 2018 a Berlino.

 

Fondato nel 2006, il Climate Reality Project di Al Gore è partner di We Do not Have Time.

 

La Fondazione "We Do not Have Time" cita due speciali consulenti ed esperti sulla gioventù, Greta Thunberg e Jamie Margolin. [Fonte]

 

Mårten Thorslund, Chief Marketing and Sustainability Officer (CSO) di We Do not Have Time ha scattato molte delle primissime immagini di Thunberg dopo il lancio del suo sciopero il 20 agosto 2018. Le foto scattate da Thorslund accompagnano l'articolo scritto da David Olsson, Chief Operating Officer (COO) di We Do not Have Time, "Questa ragazza quindicenne infrange la legge svedese per il clima", articolo pubblicato il 23 Agosto 2018:

 

"Greta è diventata una campionessa del clima e ha cercato di influenzare le persone a lei più vicine. Suo padre scrive articoli e tiene conferenze sulla crisi climatica, mentre sua madre, una famosa cantante d'opera svedese, ha smesso di volare. Tutto grazie a Greta.

 

E, chiaramente, lei ha intensificato il suo impegno, influenzando il dibattito nazionale sulla crisi climatica -? due settimane prima delle elezioni. Non C'è Più Tempo ha segnalato lo sciopero di Greta dal primo giorno e in meno di 24 ore i post sulla sua pagina Facebook e i tweet hanno ricevuto più di 20mila like, condivisioni e commenti. Non c'è voluto molto perché i media nazionali se ne occupassero. A partire dalla prima settimana dello sciopero, almeno sei tra i maggiori quotidiani, come anche la TV nazionale svedese e danese, [1] hanno intervistato Greta. Due leader politici svedesi si sono fermati a parlare con lei."[Enfasi aggiunta]

 

L'articolo continua:

 

"Sta succedendo qualcosa di grosso? Questa ragazzina ha subito trovato venti sostenitori che ora siedono accanto a lei. Questa ragazzina ha fatto notizia sui giornali nazionali e in TV. Questa ragazzina ha ricevuto migliaia di messaggi di amore e sostegno sui social media ... Movimenti giovanili, come #ThisIsZeroHour di Jaime Margolin che #WeDontHaveTime ha intervistato, sostengono con grande urgenza che gli adulti dovrebbero prestare attenzione a ... "[Enfasi nell'originale]

 

Sì, è accaduto e sta ancora accadendo qualcosa di grosso.

 

Si chiama marketing e creazione del marchio.

 

"Ieri mi sono seduta ed ero completamente sola, oggi c'è un altro con me. Nessuno che io conosca." Greta Thunberg, 21 agosto 2018, quotidiano Nyheter, Svezia

 

"La bambina ha trovato subito venti sostenitori" - scrive una rete svedese per il business sostenibile. Quello che sta succedendo - è il lancio di una campagna globale per produrre il consenso necessario all'Accordo di Parigi, il New Green Deal, e a tutte le politiche e regolamentazioni relative al clima scritte dall'élite al potere - per l'élite al potere. Tutto quanto è necessario per sbloccare le migliaia di miliardi di dollari di finanziamenti sull'onda di un consenso pubblico di massa.

 

Tali accordi e politiche prevedono lo stoccaggio e la cattura del carbonio (CCS), il recupero avanzato del petrolio (EOR), la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS), la decarbonizzazione totale rapida, i pagamenti per i servizi ecosistemici (denominati "capitale naturale"), energia nucleare e fissione e una miriade di altre "soluzioni" ostili a un pianeta già devastato. Quello che sta succedendo è il riavvio di un'economia capitalista stagnante - che ha bisogno di nuovi mercati - una nuova crescita - per salvare se stessa. Quello che si sta creando è un meccanismo per sbloccare circa 90 mila miliardi di dollari per nuovi investimenti e infrastrutture. Ciò che sta accadendo è l'investimento in quello che forse si può considerare il più grande esperimento di cambiamento comportamentale mai tentato su scala globale. E quali sono gli aspetti determinanti dei comportamenti che la società globale dovrebbe rispettare? E, ancora più importante, chi li decide? Questa è una domanda retorica quanto la risposta: gli stessi salvatori bianchi occidentali che hanno implementato a livello globale quel sistema economico capitalista che è stata la causa del nostro incubo ecologico planetario. Questa crisi continua senza sosta mentre le stesse persone si nominano (ancora una volta) salvatori di tutta l'umanità - un problema che ricorre da secoli.

 

"Il nostro obiettivo è diventare almeno 100 milioni di utenti. Circa un ottavo di quanti vanno sui social media. Secondo un'indagine sui media condotta per noi da Meltwater news, solo il mese scorso siamo riusciti a raggiungere 18 milioni di account. Su Facebook, siamo attualmente a sette volte il numero di follower delle organizzazioni climatiche di tutto il mondo e stiamo crescendo al ritmo di 10.000 nuovi follower al giorno da tutto il mondo."- Intervista a Ingmar Retzho con Miljö & Utveckling, 15 ottobre 2018

 

We Do not Have Time si identifica come startup tecnologica e come movimento che sta attualmente sviluppando "il più grande social network al mondo di azione per il clima". La componente di "movimento" è stata lanciata il 22 aprile 2018. La piattaforma web è ancora in costruzione, ma sarà lanciata il 22 aprile 2019 (in coincidenza con il Giorno della Terra). "Attraverso la nostra piattaforma, milioni di persone si uniranno per fare pressione su leader, politici e imprese perché intervengano per il clima." L'obiettivo della start-up di raggiungere rapidamente 100 milioni di utenti ha attratto finora 435 investitori (il 74,52% delle azioni della società ) tramite la piattaforma web FundedByMe.

 

La startup intende offrire partnership, pubblicità digitale e servizi relativi ai cambiamenti climatici, alla sostenibilità e alla crescente economia verde ed economia circolare a "un vasto pubblico di consumatori e rappresentanti coinvolti".

 

We Do Not Have Time è attiva principalmente in tre mercati: social media, pubblicità digitale e compensazione per le emissioni del carbonio. ["Solo negli Stati Uniti il ​​mercato stimato per la compensazione per le emissioni di carbonio ammonta a oltre 82 miliardi di dollari, di cui il carbonio compensato volontario rappresenta 191 milioni di dollari. Il mercato dovrebbe aumentare in futuro, nel 2019 si stima che il 15% di tutte le emissioni di gas serra saranno associate a un qualche tipo di costo per la compensazione."] Poiché la società è un'organizzazione di nicchia, i social network sono in grado di fornire servizi su misura per gli utenti della piattaforma. La startup ha identificato tale opportunità offrendo ai suoi utenti la possibilità di acquistare compensazioni di carbonio attraverso la certificazione della piattaforma stessa. Questa opzione si applica sia al singolo utente della piattaforma che a tutte le organizzazioni / società sulla piattaforma.

 

Un incentivo tra i molti che si possono trovare nella sezione di investimento iniziale è che gli utenti saranno incoraggiati a "comunicare congiuntamente e con forza con operatori influenti." Tali influencer sono Greta Thunberg e Jamie Margolin, che hanno entrambi un lucroso futuro nel marchio delle industrie "sostenibili", se vorranno intraprendere questo percorso utilizzando la loro presente celebrità per profitto personale - un segno distintivo del movimento delle ONG "di base".

 

La compagnia tech punta sulla creazione di una base di massa di "utenti consapevoli" che consentiranno "proficue collaborazioni commerciali, ad esempio, la pubblicità":

 

"Responsabili politici, aziende, organizzazioni, stati - ottengono un rating sul clima basato sulla loro capacità di corrispondere alle iniziative degli utenti. La conoscenza e le opinioni si concentrano e gli utenti fanno pressione sui responsabili per guidare un cambiamento più rapido. "

 

"Le principali fonti di entrata provengono dagli operatori commerciali ad alto rating sul clima che hanno la fiducia della base di We Do Not Have Time. [2] ... Il modello assomiglierà alla piattaforma sociale del modello di business di TripAdvisor.com, che con i suoi 390 milioni di utenti annuali genera ogni anno oltre $ 1 miliardo di profitto ... Lavoreremo con partner strategici come i Leader di Climate Reality, organizzazioni climatiche, blogger, influencer e i principali esperti del settore."

 



Video promozionale di We Do Not Have Time, pubblicato il 6 aprile 2018 [Durata: 1m]

 

Uno "stato di visibilità consapevole e permanente assicura il funzionamento automatico del potere". - "Disciplina e punizione" di Michel Foucault

 

Parallelamente agli altri social media in cui "like", "follower" e quantità insondabili di metadati determinano il successo finanziario, il fatto che il business sia virtuale consente alti margini di profitto. Il ritorno sull'investimento, descritto al meglio come opportunità legate all'acquiescenza al mainstream e  all'esposizione mediatica, saranno i dividendi futuri. In previsione di questo previsto successo, la società tech pianifica di quotare la propria attività in borsa nel prossimo futuro. (Si pensi a Facebook e Instagram). La componente più critica del successo di questa startup (come dei suoi predecessori) sta nel raggiungimento di una base dati di massa. Pertanto, secondo la compagnia, essa "lavorerà attivamente sia attraverso gli influencer, che creando contenuti per varie campagne collegate all'hashtag #WeDontHaveTime".

 

Il 18 aprile 2018 la piattaforma di crowdfunding FundedByMe (utilizzata da We Do not Have Time per arruolare gli investitori) ha acquisito Laika Consulting di Ingmar Rentzhog. Ecco alcuni estratti dal comunicato stampa:

 

"FundedByMe ha annunciato oggi di aver acquisito il 100% delle azioni della società finanziaria Laika Consulting AB, una delle principali agenzie di comunicazioni finanziarie. Di conseguenza, la società raddoppia la sua rete di investimenti fino a comprendere circa 250.000 membri, diventando la più grande nella regione nordica. L'acquisizione è una mossa strategica per rafforzare ulteriormente la gamma di servizi finanziari di FundedByMe ...

 

[Ingmar Rentzhog] continuerà a lavorare su progetti di client strategici per FundedByMe e Laika Consulting. Assumerà inoltre un ruolo nel consiglio di amministrazione dell'azienda. Per la maggior parte del tempo si concentrerà sui cambiamenti climatici attraverso la società di nuova costituzione, "We Do not Have Time", come CEO e fondatore. "[Enfasi aggiunta] [Fonte] [3]

 


 

App Software "We Don't Have Time": l'ultima ondata dell'ideologia occidentale e aziendale a portata di mano

 

 

"Tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come cose da comprare, saccheggiare, vendere come pecore o perline brillanti. La sua fame divorerà la terra e lascerà dietro di lui un deserto. "- Capo Seattle, 1780-1866

 

Nell'ottobre 2016 Netflix ha trasmesso la terza stagione di Black Mirror, "una serie televisiva antologica di Twilight Zone sulle ansie tecnologiche e sui possibili scenari futuri."  Il primo episodio "Nosedive" dipinge una popolazione superficiale e ipocrita in cui "piattaforme social, basate sulla ricerca di consolazione e conferme"  sono alle fondamenta della società futura. L'episodio inquietante consente di fare un parallelo con il concetto di We Do not Have Time. La differenza sta nel fatto che invece di valutare con un rating solamente le persone, valuteremo marchi, prodotti, società e tutto quanto sia collegato al clima.

 

I risultati non intenzionali saranno decuplicati. Le società con i migliori pubblicitari e i più floridi bilanci saranno i vincitori. Il greenwashing diventerà un metodo di pubblicità senza precedenti come lo sarà l'arte di "narrare una storia" (nessuno ha mai detto che una storia debba essere vera). Le piccole imprese locali con pochi mezzi finanziari saranno quasi sempre i perdenti.

 

 

Considerando da una prospettiva culturale, sociale, geografica ed etnica, chi alla fine beneficerà di questa impresa, in definitiva l'interesse del mondo occidentale prevarrà senza preoccuparsi per il Sud del mondo, se non per quello che possiamo continuare a rubargli.

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Un "mondo senza emissioni" sembra allettante, ma non ci sono piani per rivedere le nostre economie basate sulla crescita. "Soluzioni ecosostenibili" ... ma secondo chi? Secondo un anziano tribale che sostiene i principi della "settima generazione" (la credenza indigena secondo cui gli umani devono provvedere adeguatamente ai loro discendenti, assicurando che le nostre azioni nel presente consentano la sopravvivenza terrena di sette generazioni successive) - o secondo la Banca Mondiale? (Conosciamo tutti la risposta a questa domanda retorica).

 

Un'altra scomoda verità, riguardante la promessa di cui sopra, è che c'è una crescente pressione sui governi per aumentare i fondi federali di ricerca e sviluppo al fine di sviluppare e utilizzare le tecnologie di "decarbonizzazione" come una delle "soluzioni" primarie ai cambiamenti climatici. Questo è stato proposto all'Accordo sul clima di Parigi con l'iniziativa "Mission Innovation" di Bill Gates, impegnata a raddoppiare gli investimenti pubblici nelle tecnologie energetiche.

 

"Vogliamo che diventi più costoso, in termini di reddito, finanziamenti pubblici e reputazione, non lavorare per l'abbassamento delle emissioni e il miglioramento della sostenibilità ambientale, e coloro che indicano la strada dovranno prenderlo in considerazione. La nostra visione è quella di creare una corsa verso la sostenibilità ambientale e la neutralità della CO2, rendendola la priorità principale per le imprese, i politici e le organizzazioni di tutto il mondo."- Acquisition International Magazine Numero 10, 2018

 

Anche qui, dobbiamo guardare da vicino al linguaggio e al frame. Chi sono "quelli che indicano la strada"? Si riferiscono ai cittadini occidentali che possono far stare tutte le loro cose in un borsone? [Qui va detto che gli eroi ambientalisti in Occidente NON sono i Richard Bransons o Leonardo DiCaprio del mondo. I veri eroi dell'ambiente, a causa della loro impronta ambientale quasi inesistente, sono i senzatetto - nonostante lo scherno che ricevono dalla società nel suo complesso.]  Si riferiscono al Maasai africano che ad oggi non lascia letteralmente alcuna traccia? O "quelli che indicano la strada" sono Unilever e Ikea (rappresentati nel board di "We Don't Have Time"). Questa è un'altra domanda retorica di cui tutti conosciamo la risposta. Si noti la menzione della "neutralità" della CO2 piuttosto di una drastica riduzione delle emissioni. Espressione di comodo secondo la quale uno dei principali pilastri del modello di business è la vendita delle compensazioni di carbonio - razionalizzando la continuità dello stesso stile di vita basato sul carbonio con uno stile fantasy finto, che chiunque abbia una ricchezza monetaria può acquistare.

 

Poiché le recensioni e i sistemi di classificazione online sono diventati un modo occidentale per determinare la dignità di una persona, un gruppo o una società, Internet è attualmente una fonte primaria per determinare la qualità di un ente. Un esempio di questo tipo di sistema è il sito online Trip Advisor, che utilizza il feedback degli utenti come metro di misura di un hotel, compagnia aerea, noleggio auto, ecc. Poiché il sistema di valutazione di Trip Advisor è il modello che We Do not Have Time cerca di emulare, esploreremo questo particolare sistema di valutazione.

 

Mentre un sito web affidabile e consolidato come Trip Advisor si basa su un'esperienza reale - le valutazioni di We Do Not Have Time sono più orientate verso promesse future riguardanti una rivoluzione tecnologica verde e / o l'efficacia della pubblicità nel far credere alla gente la veridicità di queste promesse. Utilizzando account falsi (si pensi a Twitter e Facebook), delle campagne strategicamente orchestrate consentiranno effettivamente all'app di distruggere carriere politiche e demonizzare persone e paesi in base al numero di rating ("bombe climatiche"). Queste bombe possono essere scagliate contro qualsiasi nemico che non abbracci le tecnologie (adottate dall'Occidente a beneficio dell'Occidente) di questa cosiddetta rivoluzione, indipendentemente dal fatto che la ragione per farlo sia giustificabile o meno.

 

La parola "bombe" stessa verrà riformulata. Piuttosto che associare le bombe al militarismo (mai toccato da We Do Not Have Time) la stessa parola bomba finirà per diventare prima di tutto associata a rating, cattivi prodotti, cattive idee e cattive persone. Questo è il potere del linguaggio e del frame combinato con l'ingegneria sociale. Qui, l'economia comportamentale dell'odio può essere un'arma - una nuova forma virtuale di soft power. Il governo sandinista nicaraguense che non ha firmato l'Accordo di Parigi perché è troppo debole (e serve solo gli interessi occidentali) potrebbe rapidamente diventare un paria sul palcoscenico globale - con l'Occidente che controlla il palcoscenico. Già un bersaglio per la destabilizzazione, l'app del soft power verrebbe applicata come la classe dominante ritiene adeguato.

 

Il complesso industriale non-profit può essere considerato l'esercito più potente del mondo. Impiegando miliardi di dipendenti tutti interconnessi, le campagne odierne, finanziate dalla oligarchia dominante, possono diventare virali nel giro di poche ore, instillando pensieri e opinioni uniformi, che gradualmente creano l'ideologia desiderata. Questa è l'arte dell'ingegneria sociale. Il conformismo e il contenuto emotivo come strumenti di manipolazione sono state e saranno sempre le armi più potenti nella cassetta degli attrezzi di Mad Men. Se 300.000 persone hanno già votato sul tema "di tendenza" del clima in meno di 48 ore - deve essere una grande idea!

 

Per dirlo chiaramente, l'Occidente non è nella posizione di "insegnare" al mondo il sistema di valori "corretto" per quanto riguarda la sostenibilità, con i maggiori inquinatori del pianeta che si sono trasformati in "leader del clima" ed "eroi del clima" . Questa è la realtà capovolta. Una realtà che siamo condizionati ad accettare. Istituzioni come le Nazioni Unite, in tandem con i media, alimentano questa pazzia (che sfida ogni logica) della popolazione globale, al servizio delle classi dominanti.

 

Infine, ma certamente non meno importante, questa piattaforma di scienza comportamentale si presta al continuo peggioramento del pensiero critico. Con praticamente tutto e tutti che vengono valutati quotidianamente - chi ha il tempo di guardare in profondità una qualsiasi politica o prodotto che, dopo tutto, suona, sembra e si sente semplicemente incredibile grazie al marketing sofisticato unito alle tattiche del cambiamento comportamentale? È fondamentale tenere a mente che l'ingegneria sociale - e il grande profitto - sono lo scopo cruciale di questa applicazione.