19/04/13

Caso Reinhardt-Rogoff: è la premessa accademica per ridiscutere l'austerità? No di certo

Estrapolo da Open Europe qualche interessante commento a proposito delle possibili ricadute sulla politica europea (nulle!) derivanti dalla confutazione delle tesi di Reinhardt e Rogoff...



Una mini-tempesta ha scosso la comunità economica dopo la pubblicazione di un paper che mette in luce alcuni difetti nel diffusissimo studio di Reinhart e Rogoff ‘Growth in a time of debt’. - ove essenzialmente si sostiene che elevati livelli di debito sono associati a una bassa crescita economica. Si tratta di uno studio ampiamente citato dai media e dai politici in difesa dell' 'austerità' - sia negli Stati Uniti che in Europa (in particolare Olli Rehn in relazione alla crisi della zona euro).


La nuova ricerca mette in discussione i risultati di Reinhart e Rogoff (R & R), sulla base di un errore di excel (oops), di omissioni di dati e di una non corretta ponderazione dei dati. Si è abbondantemente scritto su chi abbia ragione - si può vedere qui una sintesi delle critiche e le risposte di R & R qui e qui .

La questione che ci interessa adesso non è necessariamente la complessità di questo nuovo balletto accademico. Per essere onesti, è ovvio che non esiste una soglia chiara e unica sopra la quale il debito comincia a influenzare la crescita in tutti i paesi - e che spesso le esperienze storiche specifiche di alcuni paesi possono non significare molto per delle politiche economiche attuate in tempi e in luoghi diversi. E questo è particolarmente vero per alcuni caratteristici vincoli della crisi dell'eurozona.

Ma visto che alcuni lo vedono come un atto d'accusa schiacciante sul sostegno all''austerità', può essere che se ne avrà un impatto sull'approccio alla crisi della zona euro?

Per dirlo con una sola parola, no. Qui alcuni dei motivi:

Sostenere la fine dell'austerità in questi paesi significa in realtà chiedere dei trasferimenti fiscali dal resto dell'eurozona, dal momento che essi non hanno molto, se non nessuno spazio per espandere la spesa. In definitiva è di questo che si discute, non di austerità o di spesa, ma si tratta di capire se i paesi più forti sono disposti a fare dei trasferimenti - attraverso un'unione bancaria o un'unione fiscale – per tenere insieme la zona euro nel lungo periodo e creare l'architettura necessaria per poter sopportare shock futuri. Se non sono d'accordo, allora devono affrontare la prospettiva di una rottura o di un ridimensionamento della zona euro.

I problemi si estendono ben oltre il debito pubblico. Come abbiamo visto in Spagna, Irlanda e Cipro (e stiamo vedendo in Slovenia), i livelli di debito del settore privato e del settore bancario sono molto importanti. Il quadro macro è molto più complesso di un semplice livello del debito pubblico e della crescita economica. I problemi della crisi sono un mix di misure fiscali, strutturali e bancarie.

In questo quadro l'austerità è più di un semplice taglio di spesa. E' diventato un passepartout per alcune riforme, molto necessarie allo scopo di migliorare la competitività e la produttività nell'Eurozona (l'austerità crea disoccupazione e serve a rendere fattibile la svalutazione interna dei salari, ndt).

E' chiaro che non si possono avere 17 Germanie con un'economia trainata dalle esportazioni in un blocco a moneta unica dove i paesi commerciano prevalentemente l'uno con l'altro.

Così che il dibattito accademico (e politico) in realtà verte sul fatto se i trasferimenti fiscali sono possibili, e / o auspicabili. Quando si tratta di affrontare la crisi della zona euro, confutare R & R non cambia le carte in tavola.


9 commenti:

  1. Qualche commento interessante, ma altri molto discutibili. Il punto sulle "very necessary reforms to improve competitiveness and productivity" è un link a un altro articolo (http://www.openeurope.org.uk/Article/Page/en/LIVE?id=9343) che indica i paesi baltici come fiore all'occhiello dell'austerità espansiva (ancora!): la posizione del Cato Institute. E allora può essere opportuno rileggersi questo (http://keynesblog.com/2012/05/30/lapparente-austerita-della-lettonia-una-lezione-per-leuropa-e-per-i-liberisti/) e questo (http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/01/02/latvia-once-again/).
    Anche una delle parti che hai tagliato (io una quadra però l'avrei messa) circa l'"efficacia" di politiche socialmente rovinose e strutturalmente precarie, perché rette sull'indebitamento dei paesi periferici, come quelle tedesche dice qualcosa sull'approccio dell'articolo. Non molo più centrata la considerazione che solo in Spagna, Irlanda e Cipro (e prossimamente Slovenia) esiste "anche" un problema di debito privato: leggiamo tutti Bagnai e sappiamo che le cose stanno ben diversamente.

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    1. Arturo hai perfettamente ragione. Ho messo solo quelle considerazioni che comunque mi sembravano degne di nota, dalle quali traspare il fatto che l'austerità in realtà non è tanto funzionale alla diminuzione del debito pubblico quanto al rientro dal debito estero.
      Per il resto, Open Europe non ha una visione corretta - offre solo degli spunti ogni tanto.
      Comunque renderò più chiaro che ho estrapolato delle parti (intendevo questo dicendo che offre alcuni commenti interessanti..)

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    2. Il tuo lavoro per quanto mi riguarda è esente da critiche (al massimo suggerimenti costruttivi...;-) ); quello di Open Europe invece no: trovo in effetti surreale il miope cinismo di definire "effective" il mercantilismo tedesco. Se i mezzi sono irrilevanti e la stabilità pure, perché non considerare "effective" anche le politiche economiche tedesche basate sulle "rimesse" di "lavoratori" tedeschi "emigrati" descritte in questo libro: http://www.einaudi.it/libri/libro/goetz-aly/lo-stato-sociale-di-hitler/978880617831 ?

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  2. Anche se si ponesse termine all'austerità e si avviassero misure di espansione della spesa pubblica (tipo il Giappone) per rilanciare l'economia, la situazione non migliorerebbe, tutt'altro: i consumi tornerebbero a crescere, ma si tratterebbe quasi prevalentemente di nuove importazioni, le quali causerebbero un nuovo peggioramento del deficit di parte corrente e, quindi, di ulteriore debito estero.
    I trasferimenti fiscali sono, nella situazione attuale, l'unica soluzione per sostenere l'euro, perché avvicinerebbero l'unione ad un'AVO; ma, a mio modo di vedere, sono di difficile attuabilità senza che l'Europa arrivi sull'orlo di una rivoluzione o di una nuova guerra. Senza considerare il fatto, ben più importante, che sarebbe una vera umiliazione per i paesi che ne "beneficerebbero".

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  3. io credo che, una volta riconquistata la nostra libertà e cestinato il dogma dell'indipendenza della Banca Centrale, la cosa più saggia da fare è far partire spesa pubblica produttiva: assistenza agli anziani ed ai malati, buone scuole per i giovani, interventi di salvaguardia del territorio,ecc. contemporaneamente, ripristinare il controllo dei capitali, mettere un tetto a qualsiasi tipo di retribuzione da lavoro dipendente: chi vuole arricchirsi deve assumersi il rischio di impresa, non pretendere compensi da svariati milioni l'anno e un paracadute da 20 / 30 milioni per quando viene giustamente cacciato (vedi Profumo, icona delle primarie del PD). poi prendere provvedimenti a favore del credito a medio lungo termine - il solo che può sostenere gli investimenti privati - misure contro le pretese di chi ha risparmio e liquidità (leggere i libri di Amato-Fantacci) e tante altre cose che vorrei leggere nelle discussioni di chi dice di essere di sinistra . . . .

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  4. Segnalo sul famigerato paper di R&R questo articolo di Krugman:
    http://www.nytimes.com/2013/04/19/opinion/krugman-the-excel-depression.html
    In realtà già da tempo (2012) Panizza e Presbitero avevano contestato la validità dei "conti" di R&R.
    Questo discorso (la validità dell'analisi e delle conclusioni di R&R) è del tutto indipendente - ovviamente - dalle considerazioni sulla validità/inevitabilità (dato il vincolo monetario e gli squilibri commerciali) delle politiche di Austerity o meno nello specifico contesto europeo.

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    1. Il pezzo di Panizza e Presbitero l'avevo riportato qui. In effetti è un discorso chiaro come il sole che fila liscia come l'olio: non è l'alto debito che blocca la crescita, ma le politiche di risanamento!

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  5. Segnalo che ancora una volta il "Rispondi" non funziona (javascript:; !!!). Questa è per Google, ovviamente ... che di certo non mi ascolterà ;-)

    Volevo solo suggerire a Carlo F. (e un po' a tutti) questa lettura:
    http://leprechaun.altervista.org/OBS_Europe_Berthus.shtml
    Observatoire de L'Europe non è - decisamente - Open Europe.
    Suggerisco ad Ester di tenerlo d'occhio.

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