08/09/13

Un'altra crisi finanziaria incombe se i paesi ricchi non si liberano dalla dipendenza da iniezioni di liquidità

Il prof. Ha-Joon Chan dalle colonne del Guardian avverte: le continue iniezioni di liquidità tramite quantitative easing da parte delle Banche Centrali (anche la BCE lo pratica da un paio d'anni, ricordiamolo) placano temporaneamente la situazione finanziaria gettando però le basi per l'instabilità globale. È necessario un cambio di strategia: servono politiche fiscali espansive, spesa e investimenti pubblici. Purtroppo mancano ancora le forze politiche che spingano in questo senso 
(grazie alla segnalazione di Orizzonte48)


Dopo cinque anni dall'ultimo disastro, il quantitative easing rimane l'arma preferita dai governi riluttanti a mettere in discussione l'attuale modello economico.

Ha-Joon Chang   
The Guardian, Venerdì 30 Agosto 2013


Appena la gente ha cominciato a pensare che la situazione nei paesi ricchi fosse diventata più tranquilla – anche se non proprio più brillante –  le cose sono andate decisamente peggio, con più volantilità,  nelle economie dei cosiddetti “mercati emergenti”. Al momento al centro dell'attenzione (suo malgrado) c'è l'India, che sta vedendo un rapido deflusso di capitali e di conseguenza una rapida caduta del valore della sua moneta, la rupia. Ma anche molte altre economie emergenti, a parte la Cina, hanno visto recentemente dei simili deflussi e un indebolimento delle loro valute .

Questo non è necessariamente uno sviluppo sfavorevole. Le valute di molte economie emergenti, specialmente il real brasiliano e il rand sudafricano, erano decisamente sopravvalutate, danneggiando la competitività delle loro esportazioni. La svalutazione può in effetti aiutare queste economie a riportare la crescita su un binario più sostenibile.

Tuttavia, tutti sono giustamente preoccupati del fatto che deflussi troppo rapidi di capitali possano causare svalutazioni eccessivamente veloci, che provocherebbero crisi valutarie e quindi crisi finanziarie, come già successo nell'est Asiatico nel 1997. Situazioni del genere possono verificarsi perché il valore delle monete dei paesi emergenti è stato gonfiato da un qualcosa che poi può rapidamente scomparire – vale a dire,  grandi afflussi di capitali speculativi provenienti dai paesi ricchi. Data la loro natura, questi capitali sono pronti a ritirarsi in qualsiasi momento, come  stanno facendo sempre più negli ultimi mesi.

Questo è un duro monito che nell'economia mondiale le cose non stanno ancora andando bene, a cinque anni dallo scoppio della più grande crisi finanziaria delle ultime tre generazioni, nel settembre 2008.

Abbiamo avuto dei grandi afflussi di capitali verso le economie emergenti soprattutto a causa del quantitative easing (QE) praticato dalle banche centrali di USA, Gran Bretagna ed altri paesi ricchi, che hanno immesso migliaia di miliardi di dollari nell'economia mondiale, in un disperato tentativo di rivitalizzare le loro economie moribonde.

Nella sua fase iniziale, il QE può avere agito come una scarica elettrica su qualcuno che ha appena avuto un arresto cardiaco. Ma successivamente i suoi effetti di stimolo si sono manifestati ampiamente sotto forma di creazione di insostenibili bolle speculative – nel mercato azionario, nei mercati immobiliari e nei mercati delle materie prime – che potrebbero esplodere e generare un altro ciclo di crisi finanziarie. Per di più, ciò ha causato molti danni collaterali ai paesi in via di sviluppo, sopravvalutando le loro monete, contribuendo alla formazione di insostenibili boom creditizi, e adesso minacciandoli con la prospettiva di crisi valutarie.

Se i suoi effetti sono quantomeno discutibili e nel peggiore dei casi preparano il terreno per il prossimo ciclo di crisi finanziarie, perché c'è stato così tanto QE? Il fatto è che esso è l'unica arma che i governi dei paesi ricchi sono stati disposti ad impiegare per generare una ripresa economica.

Il QE è diventato l'arma preferita da questi governi perché è l'unico modo attraverso il quale si
può dar vita a una ripresa – per quanto debole e anemica –  senza cambiare il modello economico che ha funzionato così bene a favore di ricchi e potenti negli ultimi trent'anni.

Questo modello va avanti con la  generazione
continua di bolle speculative, alimentato da complessi e opachi strumenti finanziari a forte leva creati dalle banche e da altre istituzioni finanziarie. È un sistema in cui i profitti finanziari a breve termine hanno la precedenza sugli investimenti produttivi a lungo termine e sulla qualità della vita dei lavoratori. Se i paesi ricchi avessero tentato di generare la ripresa attraverso strumenti diversi dal QE, avrebbero dovuto mettere seriamente in discussione questo modello.

Una ripresa guidata da politiche fiscali avrebbe comportato un aumento della quota
di reddito nazionale destinata a investimenti pubblici e a spesa per il welfare, riducendo così la quota che va ai ricchi. Ciò avrebbe generato nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, il che avrebbe indebolito il potere contrattuale dei capitalisti riducendo la disoccupazione.



La ripresa basata su un “riequilibrio” dell'economia avrebbe imposto politiche che danneggiano il settore finanziario. Il sistema finanziario avrebbe dovuto essere riprogettato per canalizzare più denaro verso gli investimenti a lungo termine che aumentano la produttività. I tassi di cambio avrebbero dovuto mantenersi a livelli competitivi in modo permanente, piuttosto che a quei livelli sopravvalutati graditi dal settore finanziario. Ci sarebbero dovuti essere più investimenti pubblici nella formazione di scienziati e ingegneri, e maggiori incentivi per il loro inserimento lavorativo nel settore industriale, riducendo così il bacino di reclutamento dell'industria finanziaria.

Tutto considerato, non è una grossa sorpresa che coloro che beneficiano dello status quo abbiano insistito con il QE. Ciò che sorprende è che essi abbiano addirittura rafforzato lo status quo, nonostante il caos che hanno provocato. Essi hanno fatto pressioni con successo per i tagli alla spesa pubblica, per ridurre lo stato sociale a un punto che nemmeno Margaret Thatcher avrebbe potuto raggiungere. Hanno usato la paura della disoccupazione in un contesto di arretramento della rete di sicurezza sociale per costringere i lavoratori ad accettare lavori precari e part-time, contratti meno sicuri (contratti a zero ore sono il caso più estremo) e condizioni di lavoro più povere.

Ma il mantenimento, o addirittura il rafforzamento, di questo ancien régime è destinato a durare? Può essere, ma forse no. Grecia, Spagna e altri paesi della periferia dell'eurozona potrebbero esplodere in qualsiasi momento, a causa della loro elevata disoccupazione e dell'aggravarsi dell'austerità. Negli USA, che sono considerati la patria dei lavoratori docili e accondiscendenti, la richiesta di salari di sussistenza si sta facendo più forte, come si vede dai recenti scioperi dei lavoratori dei ristoranti fast-food. I britannici sono (eccessivamente) pazienti, ma potrebbero cambiare atteggiamento nei prossimi mesi, quando realizzeranno la vera portata dei tagli alla spesa.

Tutto questo fermento può ridursi a poco, specialmente considerando l'indebolimento dei sindacati,  eccetto che in pochi paesi, e l'incapacità dei partiti di centrosinistra di presentare una coerente visione alternativa. Ma la politica è imprevedibile. A cinque anni dalla crisi, la vera battaglia per il futuro del capitalismo potrebbe essere solo all'inizio.

11 commenti:

  1. Grandi! Ci speravo proprio nella traduzione di questo post segnalato dal buon 48 ( se non sbaglio ne aveva anche segnalato un altro di Chang). A proposito del contenuto dei questo articolo, volevo segnalarsi un trittico di Krugman che ci mostra alcune evidenze Keynesiana, su quello che gli USA hanno fatto (male) http://vocidallarete.weebly.com/2/post/2013/09/krugman-evidenze-keynesiane-quello-che-gli-usa-hanno-fatto-male-e-che-potevano-fare-bene.html

    RispondiElimina
  2. Un enorme romanzo di centro e periferia? Un gigantesco ciclo di Frenkel?

    RispondiElimina
  3. Bisogna però capire chi l'ha innescato questo ciclo: consiglio caldamente questo pezzo di Daniel Gros (http://www.project-syndicate.org/commentary/how-the-euro-is-sinking-the-emerging-economies-by-daniel-gros) su Project Syndicate. Il problema non è tanto il QE, che non ha significativamente alterato la bilancia dei pagamenti americana, ma l'austerità europea che ha mandato in deficit i paesi emergenti: "Thus, if anything, emerging-market leaders should have complained about European austerity, not about US quantitative easing. Fed Chairman Ben Bernanke’s talk of “tapering” quantitative easing might have triggered the current bout of instability; but emerging markets’ underlying vulnerability was made in Europe."
    Quindi: "The fickleness of capital markets poses once again the paradox of thrift. As capital withdraws from emerging markets, these countries soon will be forced to adopt their own austerity measures and run current-account surpluses, much like the eurozone periphery today. But who will then be able – and willing – to run deficits?" That is the question, come avrebbe detto il tale.

    RispondiElimina
  4. Ottima puntualizzazione quella di Arturo. Daniel Gros centra perfettamente il problema. Il QE americano non ha alterato l'andamento delle partite correnti. Il QE ha evitato che si innestasse un Minsky moment da deleveraging globale. Il QE non è affatto un'arma dei paesi ricchi vs paesi poveri. Cosa sarebbe successo se non fosse stato implementato? La sciocchezza sta nelle politiche di eccessiva austerità dei paesi europei cha hanno portato l'area euro ad accumulare un gigantesco surplus di partite correnti (superiore sia in assoluto che vs pil alla Cina!) e una conseguente rivalutazione della moneta. Appare evidente che tali politiche abbiano fiato corto e saranno inevitabilmente abbandonate. I mercati stanno subodorando questo cambio di passo, come dimostrato dal recupero degli indici di fiducia e, soprattutto, delle borse europee e di quelle periferiche in particolare.

    RispondiElimina
  5. Concordo pienamente con i contenuti esposti. La grande finanza, soprattutto dopo la deregulation, vive e prospera di bolle speculative e il quantitative easing fornisce mezzi per ampliare le scommesse ed aumenta l'instabilità. l'unico modo per migliorare le condizioni di vita al maggior numero di persone e sviluppare benessere diffuso, come giustamente afferma l'autore, è incrementare occupazione e redditi bassi. nelle condizioni attuali, solo con spesa pubblica ben indirizzata ed investimenti per ecologia, sicurezza, salute.

    Che bel posto, questo blog, per leggere cose buone, intelligenti e per sentirsi fra amici !

    RispondiElimina
  6. Non so se è chiaro, non si sta qui sostenendo l'indipendenza della banca centrale o l'austerità, nei confronti del QE. Il QE è di sicuro meglio di niente, meglio il QE delle politiche europee, non c'è dubbio.
    Il fatto che viene sottolineato qui è che si potrebbe fare di molto meglio, se si fosse disposti ad abbandonare il modello economico dell'1% (tanto per capirsi con una parola).
    In sostanza, il QE non è altro che un asset swap, attraverso il quale si distribuisce denaro alle banche e agli investitori acquistando titoli: salva le banche, solleva il Tesoro dal pesante servizio del debito, ma rende anche disponibili tanti capitali per la speculazione...
    Quel che si potrebbe far di meglio viene detto qui dal prof. Chan sul Guardian, ma è stato detto anche dal presidente della Financial Services Authority britannica Adair Turner in un discorso che ha fatto scalpore, ed è stato chiamato "Quantitative Easing per il popolo", ossia soldi dati direttamente al governo per investimenti pubblici e spesa sociale, finanziando in maniera diretta la ripresa dell'economia.
    Chiaro che all'alta finanza e al grande capitale fa più comodo il QE per le banche.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Almeno a me è chiaro. Non volevo contrapporre Gros a Chang, ma aggiungere un elemento alla riflessione.
      Sul QE al popolo, Steve Keen ha anche approntato un modello (http://www.economics-ejournal.org/economics/journalarticles/2010-31): inutile dire che i risultati della simulazione indicano che per l'economia sarebbe molto meglio un bailout delle famiglie o delle imprese che delle banche.

      Elimina
    2. Oh, finalmente una spiegazione coi fiocchi!! Perfetta. Grazie per tutto!! Un saluto da un affezionato lettore.

      Elimina
    3. E allora aggiungo un inciso: il QE per il popolo, alla fine, non è altro che il sistema esistente ancora sino al 1992 con il rapporto diretto e aperto tra il conto corrente di Tesoreria e la Banca d'Italia, poi bloccato dal Trattato di Maastricht. Niente di particolarmente nuovo o fantascientifico. Bei tempi...

      Elimina
  7. P.S. Grazie @Romano, condividere delle buone idee, delle speranze, anche la rabbia, che vissuta insieme diventa ironia...sì, è questo che fa dei nostri blog dei posti buoni dove ci si sente tra amici!

    RispondiElimina
  8. Segnalo il seguente articolo che conferma i limiti del QE

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/09/verita-sulla-disoccupazione-negli-stati-uniti/706032/

    Un cordiale saluto.
    Emilio L.

    RispondiElimina