17/09/13

IL MECCANISMO GIURIDICO PER L'USCITA DALL'EURO

Riprendo da Orizzonte 48 un importante contributo sugli aspetti giuridici dell'uscita dall'euro: i trattati vanno letti per il verso giusto, e i principi fondamentali della Costituzione, ricordiamocelo, stanno al di sopra...



Alcuni concetti giuridico-interpretativi, che, nell'attuale situazione possono risultare molto importanti:

1) l'uscita dall'euro, intesa come delimitato recesso dallo status di "Stato membro la cui moneta è l'euro", senza simultanea fuoriuscita dall'Unione europea (quale specificamente prevista all'art.50 del Trattato sull'Unione-TUE), ha un fondamento normativo ricavabile deduttivamente dall'art.139 del Trattato sul funzionamento dell'Unione- TFUE;

 
2) ciò, in primo luogo, significa che la condizione di "Stato membro la cui moneta è l'euro" (espressamente enunciata dall'art.139 anch'essa, in contrapposizione a quella di "Stato membro con deroga"), non è obbligatoria, ma soggetta alla precondizione essenziale di una libera manifestazione di adesione in tal senso dello Stato interessato (che tale deve sempre rimanere);

3) ciò è confermato senza ombra di dubbio dal par.3 del successivo art.140, in quanto non solo la acquisizione dello status di "Stato membro la cui monetà è l'euro" consegue alla "richiesta" di tale Stato, ma la deliberazione ammissiva finale, DEVE essere adottata all'unanimità tra gli Stati già aderenti e lo stesso Stato "in deroga" che già ne abbia fatto richiesta;
 
4) la domanda, alquanto ingenua in termini logico-giuridici, ma resa attuale e cruciale dalla propaganda dei "banchieri" e politicanti che hanno il monopolio dell'interpretazione dei trattati, allora è: questo consenso, da manifestare sempre come presente e da attualizzare, può essere revocato, riconquistando, ovvero acquistando per la prima volta (per un paese originariamente aderente, come l'Italia), lo status di "Stato membro con deroga"?
 
5) la risposta, e cerchiamo di dirlo con sintesi, non può che essere positiva. Innazitutto, per ragioni letterali ancorate, appunto, all'art.139: questo dispone che "in deroga" sia lo Stato per il quale il Consiglio abbia deciso che non soddisfi le condizioni necessarie per l'adozione dell'euro. Il che, conferisce, contrariamente a quanto credevano i banchieri autori del trattato, alla "uscita" un altissimo grado di discrezionalità in capo allo Stato interessato;
 
6) ed infatti, il Consiglio "decide" la non ricorrenza delle condizioni di adesione all'euro, in base alla richiesta dello Stato membro dell'UE : tant'è vero che non solo nessuna norma prevede la partecipazione obbligatoria all'euro, ma che lo stesso art.140 condiziona alla richiesta-consenso successivo dello Stato in deroga la successiva ammissione. ERGO, LA DECISIONE DEL CONSIGLIO CHE ACCERTA LA "IDONEITA'" E' UN ATTO AMPLIATIVO E NON RESTRITTIVO DELLA LIBERTA' NEGOZIALE DELLO STATO CHE VOGLIA ADERIRE: COME TALE, RIMANE (per principio generale) NELLA DISPONIBILITA' DI QUEST'ULTIMO, CHE PUO' RINUNCIARVI E DECIDERE DI NON FRUIRE DELLA "PATENTE" DI PAESE CHE SODDISFA LE CONDIZIONI DI ADESIONE, REVOCANDO LIBERAMENTE QUEST'ULTIMA;
 
7) ciò, a maggior ragione vale nel caso in cui lo Stato-membro interessato si avveda, anche a seguito di continui richiami delle istituzioni UE-UEM, circa il mancato "mantenimento" di tali condizioni, di non soddisfare più i requisiti di adesione. Quella che, appunto, in special modo sotto il profilo dell'ammontare del debito, è la condizione attuale, ed anche originaria, italiana. Condizione ora aggravata dagli oneri del fiscal compact: ulteriore "trattato" la cui efficacia è ontologicamente e giuridicamente subordinata al possesso del (revocabilissimo) status di "Stato membo la cui moneta è l'euro";
 
8) insomma, tutto il trattato è congegnato in modo da delineare l'adesione all'euro come un "qualcosa in più" e di vantaggioso per il paese che vi aderisce, e, ad un "vantaggio", si può sempre rinunziare. Tanto più che tedeschi (e francesi), hanno più volte pubblicamente manifestato la posizione di considerare l'adesione italiana alla moneta unica come un sacrificio cui si sottoponevano in una pretesa prassi cooperativa, senza, inoltre, aver mai lamentato o sostenuto qualunque inadempienza dei paesi "in deroga" che non avessero ancora espressamente richiesto di aderire;
 
9) quindi la "decisione" del Consiglio circa la soddifazione delle condizioni necessarie per l'adesione, vale, più che mai, come "rebus sic stantibus" e, per espresso dato normativo e sistematico del trattato, non può mai considerarsi "definitiva" e irreversibile, rimanendo, per coerenza con quanto accade in sede di adesione "successiva" ai sensi dell'art.140, subordinata alla perdurante unanimità di consenso che include la altrettanto perdurante volontà positiva dello Stato già aderente;
 
10) la fuoriuscita dall'euro, per revoca del proprio libero consenso (che tale deve rimanere nel tempo), consente allo Stato che manifesti tale volontà di accedere allo status di membro dell'Unione "con deroga". Ciò implica che vengono meno, ai sensi dello stesso art.139, non solo i vincoli del fiscal compact, ma anche quelli, espressamente enunciati dall'art.139, derivanti dalle norme che "non si applicano" agli Stati "con deroga". Tra essi spicca anche il mancato assoggettamento ai "mezzi vincolanti per correggere i disavanzi eccessivi, art.126, par. 9 e 11";
 
11) Fuoriusciti così da tutti i ricatti e le ipocrisie (disomogenei) esperibili contro l'Italia in caso di "disavanzo eccessivo" (lo vuole l'Europa), persino il nodo della banca centrale indipendente troverebbe ridefinizione. E' pur vero che il divieto di acquisto del debito pubblico (e gli altri divieti di azione della banca centrale nei confronti degli enti pubblici, in generale), ai sensi dell'art.123 TFUE, permangono anche in caso di Stato membro "con deroga", ma:
 
a) sarebbe possibile modificare la legislazione interna per consentire alla nostra BC di compiere questi interventi sui titoli sovrani (come fa la Bank of England), dato che l'adeguamento di tale legislazione è controllato dalla UE proprio in vista della futura adesione: e dunque la sanzione all'inadempimento sta nel non rinnovare la decisione del Consiglio di ammettere il paese in quella moneta unica da cui...si è appena voluti uscire. Cioè, non c'è un vero ostacolo giuridico, come dimostra la tranquilla azione di QE e di acquisto del debito perseguita da 2 anni dalla BOE;
 
b) sarebbe sempre possibile, comunque, che bankitalia agisse come...i tedeschi: cioè sottraendo dalle aste i titoli non collocati al tasso desiderato, trattenendoli in un "atipico" deposito e poi acquistandoli come "se fossero" già sul mercato secondario (una finzione cui finora nulla è stato mai opposto e che, comunque, fa leva sul fatto che tale acquisto "non diretto" non è vietato dai trattati).

Risolte "questioncine" come:

- il recupero della flessibilità del cambio (e della conseguente competitività di "prezzo"...anche su un "mercato unico" ove si riaprirebbero molte prospettive);
 
- l'assoggettamento al fiscal compact con i suoi esborsi, per noi paradossali ed esorbitanti, per la contribuzione ai vari fondi di salvataggio per gli Stati "la cui moneta è l'euro": oltre a non aggravare il nostro debito con ulteriori "ratei", ci andrebbero restituiti circa 45 miliardi e scusate se è poco...specie di questi tempi;
 
- il non doversi più preoccupare del pareggio di bilancio - con la "costituzionalizzazione" ce la possiamo vedere "all'interno", in termini di violazione dei principi fondamentali della Costituzione da parte della legge di "revisione"-, delle procedure di "deficit eccessivo, (di cui certo, nemmeno ora, si preoccupano Francia e Spagna);
 
- la incertezza del collocamento del debito, con possibilità di calmierazione, per più vie, dell'onere degli interessi (e poi, anche qui, la collocazione istituzionale della banca centrale ce la potremmo vedere con tutta una serie di norme nazionali e non più "volute dall'Europa", quindi democraticamente modificabili);  

SI RICOMINCEREBBE A RAGIONARE. ANZI, A RESPIRARE. 
 
Tante altre cose potrebbero essere fatte, SEMPRE SUL PRESUPPOSTO, preso in considerazione IN CONDIZIONE NON DI SHOCK RICATTATORIO, CHE LA COSTITUZIONE NON PUO' ESSERE ALTERATA NEI SUOI PRINCIPI FONDAMENTALI DA ALCUN TRATTATO INTERNAZIONALE. Ma questa parte la conoscete già molto bene. LA COSTITUZIONE, LA DEMOCRAZIA, SONO PIU' FORTI DEI "VINCOLI ESTERNI": PERCHE' COSI' STA SCRITTO IN ESSA. Insomma, siamo molto più liberi di decidere il nostro destino di quanto non ci voglia far credere il PUD€.


E' SOLO UNA QUESTIONE POLITICA (purtroppo...per ora).

9 commenti:

  1. E' SOLO UNA QUESTIONE POLITICA (purtroppo...per ora).

    Bene. Allora supponiamo che in Italia la volontà politica di liberarsi dall'Euro si manifesti, poi che succede?

    Intendo dire a quale Corte, Tribunale (ditemi voi cosa, si spera veramente indipendente e non condizionato, viene sottoposta la richiesta?

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    1. Perchè, per aderire occorre rivolgersi a una Corte? Fino a prova contraria esiste l'autonomia negoziale degli stati sovrani che si esplica nei rapporti di diritto internazionale (che fanno capo all'azione degli esecutivi e passano per la esecuzione dei parlamenti).

      Quanto alle modalità "tecniche" di espressione di tale libera volontà negoziale, è ovvio che ragioni di opportunità economico-finanziaria (a tutela dell'interesse generale della nazione), consigliano le "vie" di estremo riserbo indicate nel Tramonto nell'euro e di recente ribadite anche da Segio Cesaratto...

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    2. Infatti Cesaratto giustamente dice:
      (paragrafo 5.3 La rotture dell'euro)

      "Al primo vago accenno che forme di rottura dell’UME sono all’ordine del giorno politico si scatenerebbe infatti una enorme speculazione volta a spostare i capitali finanziari dai paesi con (futura) moneta debole verso quelli con (futura) moneta forte. Il che vorrebbe dire la fine immediata della moneta unica nel peggiore dei modi possibili"

      http://www.sinistrainrete.info/teoria-economica/3007-sergio-cesaratto-quel-pasticciaccio-brutto-delleuro.html

      Teniamo conto che forti fuoriuscite di capitali dai paesi PIIGS, inclusa l'italia, e lo disse la banca d'italia, sono già avvenuti e probabilmente continuano tuttora.
      Il peggiore dei modi possibili di cui parla quell'autore secondo me è rafforzato se l'uscita la fa (solo) l'italia: sarebbe incapace di gestirla in segretezza e peggio ancora se si mettesse da sola contro gli altri paesi dell'eurozona.
      Gli aspetti legali poi sappiamo che sono soggetti ad interpretazioni, per cui.... infiniti contenziosi internazionali come minimo.


      Sertin

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    3. Infatti Cesaratto dice: "L’unica strada percorribile sarebbe di accordi presi un venerdì sera almeno da un consesso di paesi che contano, da ratificarsi nel week end nei parlamenti nazionali.
      Banche e mercati sarebbero destinati a rimanere chiusi, tuttavia, anche per alcuni giorni successivi durante i quali verrebbero adottate misure volte ad assicurare una transizione dolce verso le monete nazionali. Gli accordi dovrebbero definire un quadro di risoluzione per i rapporti di debito-credito, ora denominati in euro, una volta effettuato il passaggio a monete nazionali.". Cipro adotta ad esempio, per quanto scarsi siano, controlli sui movimenti di capitali. Può ancora dirsi "all'interno dei trattati" che vietano espressamente questa tipologia di vincolo? E ancora: l'Euro greco, italiano, cipriota, vale come quello Olandese, Tedesco ecc.? Ed i costi di finanziamento bancari, sono gli stessi fra UEM Nord e UEM Sud, oppure i primi sono avvantaggiati mentre i secondi spinti ancora di più dell'abisso da costi esorbitanti (alla faccia degli "investimenti in R&D)? Allora non siamo già in una situazione di disgregazione? Suvvia, i capitali fuggono perchè sono i "non controlli" a favorire tali scappatoie. Qui non c'è nessuna faciloneria di fondo (che molti commenti "anti" vogliono far notare): strano però che tutti quelli che a priori si definiscono "anti Euro", non appena si parli di "riappropriazione di sovranità propria" di una nazione derivante da dettami ben specificati all'interno della Costituzione (o di fallacia nei trattati internazionali) si ritraggano impauriti dalla reazione dei cosiddetti "mercati", gli stessi che ci stanno assassinando. Ricordiamoci bene che la sovranità (intesa come liberazione dal giogo esterno) va di pari passo con lo smantellamento della finanza. Ma sappiamo bene come tanti, troppi, siano, oltre che allenatori mancati, pure economisti (ed avvocati) mancati.

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  2. ma le modalità di "espressione" non ritiene che debbano esprimersi attreverso un voto dei cittadini? so che Bagnai ed altri ritengono inutile la nascita di un partito che abbia come programma l'uscita dalla zona euro,al contrario io ritengo che la consapevolezza dei cittadini sia fondamentale per la buona riuscita di un ritorno alla lira, i partiti, per quanto possano fare schifo, sono l'espressione più concreta della democrazia.
    elena b.

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  3. Premesso che sono per l'uscita dall'Euro e dall'UE. Ma c'è un errore nell'articolo. Il Fiscal Compact NON riguarda SOLO gli Stati euro ma tutti quelli che vi hanno aderito. L'ho già scritto ad "Orizzonte 48" ma non ammette l'errore, anzi, offende e censura chi gli fa notare l'errore.

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    1. Non so chi abbia ragione, ma il Regno Unito non credo stia attuando il Fiscal Compact.. anzi tutt'altro. Fonte?

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    2. Il Fiscal Compact è stato firmato da 25 paesi, GB e Rep Ceca esclusi.
      Ma ecco la risposta già data da 48 sul suo blog, allo stesso commentatore:

      ..."il fiscal compact è essenzialmente volto a rafforzare la "unione monetaria" (basta vederne il preambolo motivazionale, inequivoco sul punto), tant'è vero che differenzia i suoi termini di rientro nei parametri tra paesi "la cui moneta è l'euro" e Stati "con deroga" eventualmente aderenti (per ragioni che avevano a che fare con l'introdotto emendamento alle procedure di revisione dell'originario trattato, oltre che per il "gravitare" di fatto, in base a vincoli di cambio unilaterlamente accettati di taluni di questi paesi).
      Di fatto e di diritto, la qualità di "Stato la cui moneta è l'euro" è decisiva per l'assoggettamento alla parte cogente e effettivamente sanzionatoria del "neo-patto di stabilità". Per questo la fuorisucita da questo status, per l'Italia, ne fa venire meno l'applicabilità nelle sue linee operativamente riconoscibili, in quanto "fondamento essenziale" del vincolo assunto. Quale disciplina e quali obblighi e termini gli sarebbero applicabili una volta che il "presupposto essenziale di status" venisse meno?

      Quindi il simultaneo effetto di fuoriuscita dalla moneta unica e dal fiscal compact, per un paese che vi abbia aderito come "Stato la cui moneta è l'euro" è logicamente e giuridicamente inevitabile (salvo preconizzare un integrazione analogica col livello di vincolo assunto da Stati con deroga, del tutto inammissibile a fronte della esigenza di una legge di esecuzione che aveva un oggetto ben determinato e che non può perciò essere cambiato ex post in via analogica)."

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    3. Inoltre su Orizzonte 48 trovate anche la risposta di Neri, che riporta il testo dell'accordo, e ulteriori considerazioni.

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