03/02/19

"Il dibattito ricorrente sul franco CFA finisce per minare l'immagine e l'onore della Francia"

Alfred Babo, docente di studi internazionali dell'Università di Fairfield (Connecticut), pubblica su Le Monde una intelligente provocazione: se davvero il franco CFA non è negli interessi della Francia, ma degli stati africani - i cui popoli però lo contestano-, perché la Francia non lo abolisce subito, mettendo così i capi di stato africani di fronte alle proprie responsabilità? Perché la Francia dovrebbe prendersi tante critiche, anche dai suoi alleati Italia e Germania, se nemmeno le conviene? Al lettore l'ovvia risposta.

 

 

 

Di Alfred Babo, 30 gennaio 2019

 

Nelle ultime settimane è riemerso il dibattito sul franco CFA. Alcune personalità italiane hanno apertamente accusato la Francia di rifiutarsi di decolonizzare e di ostacolare lo sviluppo di quattordici paesi africani, ex colonie francesi, attraverso lo strumento del franco CFA. Di fronte a questo attacco, la Francia ostenta indignazione e grida alle false accuse. Ma ciò che colpisce, nella sua linea di difesa, è questo curioso, insistente desiderio della classe dirigente francese, con il presidente Emmanuel Macron in testa, di accompagnare gli africani nelle riforme che vorranno realizzare su questa valuta.

 

Ci si può quindi fare delle domande su questa ideologia morale della Francia, che non rinuncia ad aiutare stati i cui popoli la accusano di sfruttarli. Che cosa è mai questo desiderio di aiutare qualcuno che ti accusa costantemente di sfruttarlo e, come se non bastasse, a volte sembra nemmeno riconoscere i benefici apportati? Perché la Francia non coglie l'opportunità che le è stata offerta dall'Italia di lavare il suo onore, quello del suo popolo e della nazione francese? Perché non mette finalmente gli africani di fronte alle loro responsabilità? Non si tratta affatto di tornare al dibattito sui vantaggi o le perversità del franco CFA. Qui si tratta di farsi delle domande sull'atteggiamento contorto tenuto dalla Francia per continuare a sostenere un sistema diventato anacronistico nella storia delle società contemporanee.

 

Creazione ed eredità dell'impresa coloniale


Bisogna fare riferimento alla storia della "missione civilizzatrice" della Francia per capire l'ideologia della posizione francese sul franco CFA. Nel 2006, al culmine dei dibattiti sui "benefici della colonizzazione" lanciato dal governo Villepin, i difensori, vecchi e nuovi, della succitata missione hanno sempre messo in luce i progressi compiuti dall'amministrazione coloniale nei campi dell'istruzione, della salute e dello sviluppo di infrastrutture.

 

Per i sostenitori di questa ideologia morale, la colonizzazione, nonostante i suoi difetti, ha portato agli africani la "civilizzazione", il modernismo, lo sviluppo e il progresso. E così i francesi che si sentono parte di questa Francia benintenzionata e progressista si adombrano per le critiche rivolte alla colonizzazione dagli africani, giudicandoli, in ultima analisi, degli ingrati. Questi sostenitori dell'ideologia della missione coloniale sono ancora più irritati quando le critiche vengono dall'interno. Il candidato Emmanuel Macron era così diventato il bersaglio di una disapprovazione veemente quando, nel febbraio 2017, in Algeria, aveva osato definire la colonizzazione "un crimine". Qui, per i sostenitori dell'ideologia coloniale, la posta in gioco è la grandezza e l'onore della Francia, che devono andare oltre la divisione politica tra sinistra e destra.

 

Il franco CFA, insieme creazione ed eredità dell'impresa coloniale, è presentato anche come strumento di amicizia, di benevolenza, ovvero della continuazione di questa missione civilizzatrice della Francia. Un obbligo morale di accompagnare le proprie ex colonie, a più di 50 anni dalla loro indipendenza, verso lo sviluppo economico.

 

Per i sostenitori francesi di questa filosofia, il franco CFA offre più vantaggi che svantaggi. Porta la stabilità economica in due subregioni africane. Esattamente come la sua convertibilità fissa con l'euro rappresenterebbe un vantaggio significativo per gli scambi finanziari di questi paesi con il resto del mondo. Questa valuta insomma sarebbe solo utile agli interessi degli africani. Ed è mantenuta in vita per la sola volontà degli africani stessi. In questa prospettiva, la Francia ufficiale si offende quando gli africani denunciano questa valuta e osano accusarla di essere una "colonizzatrice" e una incallita "sfruttatrice" . Ma la Francia si sente anche umiliata, quando la critica diventa un rimprovero e, come questa volta, viene formulata dai suoi partner europei, in particolare Germania e Italia.

 

Per rispondere a queste critiche, che negli ultimi anni sono diventate ricorrenti, con un picco nel 2016 e 2017, dopo che i movimenti sociali in Africa occidentale si sono impadroniti del dibattito, la Francia contrattacca con due argomenti implacabili. In primo luogo, la falsità delle accuse di sfruttamento arrivate da parte dell'Italia, di cui il franco CFA sarebbe stato lo strumento. Su questo punto, la Francia ufficiale ha sempre sottolineato l'irrilevanza del peso delle riserve del conto operativo delle banche centrali africane (BCEAO e BEAC) nell'economia francese (appena lo 0,25%).

 

O meglio, la Francia sottolinea che la tesi secondo cui il CFA servirebbe a impoverire l'Africa e a pagare il debito della Francia è semplicemente falsa. E sia. Ma allora, perché impegnare l'onore della nazione francese in una politica i cui interessi sono così irrilevanti per il paese? Davanti alle accuse inequivocabili del vicepresidente del Consiglio italiano, Luigi Di Maio, la Francia ha protestato per via diplomatica, convocando l'ambasciatore italiano. Perché, qui, quello che è in gioco è l'onore della Francia.

 

In secondo luogo, la Francia brandisce la responsabilità dei capi di stato africani, che non solo mantengono volontariamente questa valuta, ma potrebbero porre fine a questo vituperato sistema monetario, se lo volessero. Nel novembre 2017, rispondendo agli studenti del Burkina Faso, il presidente francese Emmanuel Macron ha ripetuto la tesi secondo cui i capi di stato africani sarebbero liberi di lasciare il sistema del franco CFA o di riformarlo. Ma sempre con l'aiuto e l'onnipresente accompagnamento della Francia.

 

Salvare il proprio onore


 

Per chi conosce la storia politica dell'Africa e quella della politica africana della Francia, questa teoria della "libertà" di agire dei presidenti africani deve essere però accolta con cautela. In effetti, secondo alcuni la storia collega la caduta o la scomparsa di alcuni presidenti, in particolare Gilchrist Olympio del Togo e Hamani Diori del Niger, e in misura minore Thomas Sankara del Burkina Faso, alla loro volontà di rompere con le ultime vestigia politiche, militari ed economiche della colonizzazione.

 

Così, gli attuali capi di stato della zona del franco CFA scelgono o di rimanere in silenzio come Roch Marc Christian Kaboré in Burkina Faso, oppure - come Alassane Ouattara in Costa d'Avorio e Macky Sall in Senegal - di schierarsi a favore del franco CFA, e tutti scelgono di rinunciare, in questo modo, a un potere sovrano autonomo.

 

In ogni caso, è chiaro che il dibattito ricorrente sul franco CFA finisce per minare l'immagine e l'onore della Francia. Ed è tempo di salvare questo onore disprezzato. La Francia può salvare il suo onore assumendosi le sue responsabilità. Può farlo rinunciando, qui e ora, ai due seggi che i suoi rappresentanti occupano nei consigli di amministrazione delle banche centrali africane. La Francia può lavare il suo onore decidendo, qui e ora, di smettere di stampare il franco CFA in Francia, a Chamalières, nel Puy-de-Dôme. La Francia può lavare l'onore dei valorosi francesi decidendo di chiudere, qui e ora, i conti operativi dei quattordici Stati africani presso la Banque de France. In questo modo, la Francia metterebbe finalmente i capi di stato africani di fronte alle loro responsabilità storiche. È tempo di porre fine a una "missione civilizzatrice" sempre più criticata.

 

Alfred Babo è professore di studi internazionali presso l'Università di Fairfield (USA).

 

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