Un bell'articolo di Martin Wolf sul Financial Times analizza il rapporto esistente tra pressione fiscale e produttività, e mostra con i dati che il punto non è la pressione fiscale, ma come questa viene utilizzata ...contro molti luoghi comuni
Il focus della
discussione politico economica degli Stati Uniti allo stato attuale è
quasi interamente sui disavanzi di bilancio e il livello della
tassazione. La mia opinione è che queste sono questioni di secondo o
anche di terzo ordine. Ciò che conta molto di più è la capacità
dell'economia di offrire livelli di vita soddisfacenti per i
cittadini. Questo dipende da forze molto più fondamentali dei
deficit e delle tasse, come l'innovazione, l'occupazione e i redditi.
Evidentemente, io sostengo che le tasse e il deficit non determinano
questi risultati. E lo dico perché effettivamente non lo fanno.
Quindi voglio
affrontare due punti di vista molto diffusi, ma sbagliati. Il primo è
che abbassare le tasse sia la via principale per una migliore
performance economica. La seconda è che la crisi finanziaria sia una
crisi del welfare occidentale.
Come si fa a misurare
la performance economica? La misura più importante è il reddito pro
capite. Anche l'occupazione e la distribuzione del reddito sono
importanti. Ma i redditi pro capite sono il punto di partenza. Nel
lungo periodo, il reddito pro capite determina il tenore di vita.
Quindi una domanda ovvia è quanto i livelli di tassazione spiegano
la crescita del reddito pro capite.
Il grafico sottostante confronta le prospere democrazie occidentali. Esso utilizza i dati sul prodotto interno lordo reale pro capite dal 1989 al 2011, a parità di potere d'acquisto, provenienti dal meraviglioso Total Economy Database del Conference Board. Il punto di partenza è il 1989 perché è il primo anno in cui sono disponibili i dati sulla Germania unificata. I dati sulle entrate del governo in rapporto al PIL sono un media del periodo 1989-2011 del Fondo Monetario Internazionale, anche se alcuni dati riguardano periodi un po' più brevi.
Cosa si può imparare
da questo grafico?
La prima conclusione è che non esiste alcun rapporto tra la quota di entrate pubbliche e il tasso di crescita del prodotto reale pro capite (cioè produttività) per il periodo 1989-2011. La ”linea di regressione1” è piatta. Vediamo paesi con bassi livelli di tassazione e bassa crescita della produttività (Giappone) e paesi ad alta fiscalità con alta crescita della produttività (Finlandia e Svezia). L'Irlanda mostra una deviazione sorprendente: aveva una tassazione relativamente bassa e una crescita relativamente elevata di redditi reali pro capite. Ciò è dovuto in parte al successo della sua ripresa (in particolare nel 1990) e in parte perché ha avuto un boom insostenibile (in particolare negli anni 2000).
La seconda conclusione
è che queste democrazie avanzate sembrano rientrare in tre gruppi. I
paesi di lingua Inglese hanno tutti aliquote fiscali medie
relativamente basse, che vanno da circa il 30 per cento del PIL al 42
per cento del Canada. Essi condividono questa fascia con il Giappone,
la Svizzera e la Spagna. Nella fascia successiva seguono i paesi
dell'Europa continentale, con pressione fiscale dal 40 per cento al
50 per cento del PIL. In questo gruppo, Italia e Germania sono
relativamente meno fortemente tassati e l'Austria e la Francia
relativamente più fortemente tassati. Infine, ci sono i paesi
Scandinavi, le cui entrate pubbliche in rapporto al PIL sono in
media oltre il 50 per cento.
La terza conclusione è che la divergenza della pressione fiscale media è abbastanza ampia, del 26 per cento del PIL dal Giappone alla Danimarca. È anche abbastanza sorprendente che una tale divergenza sembri non avere alcun effetto sui risultati economici. Per inciso, la pressione fiscale non ha alcuna relazione con il livello del PIL pro capite nel 2011, come illustrato di seguito. Quello che stiamo vedendo sono, in sostanza, diverse preferenze per la spesa pubblica sociale. (E' facile capire dal grafico precedente dove si trova un paese. Ma, per aiutare, faccio un elenco dei paesi, per PIL pro capite).
La quarta
conclusione è che molti dei paesi oggi maggiormente solventi sono
altamente tassati. Infatti, tra i paesi della zona euro, i paesi più
in crisi come Irlanda, Spagna e Italia hanno avuto aliquote fiscali
medie relativamente basse. (Hanno avuto anche avanzi di bilancio o
trascurabili deficit di bilancio, prima della crisi. Ma questo è un
argomento per un'altra occasione.) I paesi della zona euro tassati
più pesantemente, sul lato destro del grafico (dalla Germania in
su), sono ora relativamente liberi da crisi.
La conclusione da trarre è che una pressione fiscale all'interno di una gamma che va dal 30 per cento al 55 per cento del PIL non dice nulla sulle prestazioni economiche di un paese. E' soprattutto un riflesso delle diverse preferenze sociali sul ruolo dello Stato. Ciò che conta molto di più sono la cultura, la qualità delle istituzioni, compresa la legislazione, i livelli di istruzione, la qualità delle imprese, l'apertura al commercio, la forza della concorrenza e così via.
La mia conclusione è che concentrare l'attenzione sulla pressione fiscale sia fuorviante. Piuttosto, gli argomenti economici sono una copertura (perfettamente comprensibile) per l'interesse personale.
1Quando
la distribuzione dei punti nel piano è ben approssimata da
una funzione lineare, cioè da una retta di regressione, allora
si ha un elevato grado di correlazione (punti vicini alla
“linea di regressione”); un basso grado di correlazione
è rappresentato da punti lontani dalla “linea di regressione”
Apprezzo la consueta opera meritoria di fornire l'articolo in traduzione.
RispondiEliminaE sia, la pressione fiscale dice poco (o nulla) sulle prestazioni economiche di un paese. Però conferma che un paese capitalistico è il paradiso della goduria dell'efficienza (dal punto di vista di Ministro delle Finanze e del Tesoro). Quello che non capisco è perchè di ministri del tesoro-finanze efficienti nella zona alta del potenziale ce ne siano così pochi (Finlandia, Svezia, Danimarca e si potrebbe anche fare meglio). Economia : scienza triste ?
Neri