07/03/14

Krugman: La Bassa Inflazione in Europa è Deleteria come la Deflazione

Paul Krugman sul New York Times commenta un importante articolo di Moghadam, Teja, e Berkmen, pubblicato sul blog IMFdirect  del FMI (ancora!), secondo il quale anche se  la deflazione tecnica in Europa non è ancora arrivata ovunque, gli stessi effetti tremendi si stanno producendo anche con inflazione bassa e vicino allo zero, e sono molto peggiori della sindrome Giapponese. Per Krugman le élite europee sono così attaccate a questo progetto che non lo molleranno facilmente, e quindi l'euro potrebbe anche durare, ma sarebbe un disastro continuato. 

di Paul Krugman
5 marzo 2014
Su segnalazione del sempre prezioso Mark Thoma, il blog del FMI - sì, il FMI è diventato in effetti un “econblogger” - ha un pezzo formidabile sul problema della bassa inflazione in Europa. E' l'antidoto perfetto alle voci dell'inerzia che insistono sul fatto che non c'è nessun problema, perché ancora non vediamo una deflazione effettiva.

Parte dell'analisi del FMI riguarda la dinamica del debito. Non la mettono esattamente così, ma io direi in sostanza che per avere deflazione da debito – in cui il calo dei prezzi dovuto a un'economia debole aumenta l'onere reale del debito, che deprime ulteriormente l'economia, e così via – non c'è bisogno di avere una deflazione letterale. Il processo inizia non appena l'inflazione è inferiore a quella attesa quando sono stati decisi i tassi di interesse. E' anche degno di nota il fatto che i tassi di inflazione nei paesi fortemente indebitati sono tutti ben al di sotto della media dell'eurozona (pdf), con una vera deflazione in Grecia e una quasi deflazione nel resto dei paesi. Così la spirale di deflazione da debito è in realtà già ben avviata.

Oltre a ciò, il problema con la bassa inflazione è che aggrava il problema posto dai due zeri - l'impossibilità di tagliare i tassi d'interesse sotto lo zero e la grande difficoltà di tagliare i salari nominali.

La politica della BCE è vincolata dai tassi pari a zero? Potreste dire che non lo è, dal momento che avrebbe potuto tagliare un po' di più di quanto non abbia fatto, ma non lo ha fatto. Direi, però, che se i tassi di interesse nominali fossero molto più elevati - diciamo, al 4 per cento - ma la situazione macro dell'euro nel suo complesso fosse quella che è, con l'inflazione chiaramente al di sotto dell'obiettivo e la disoccupazione molto alta, la BCE non avrebbe (come di dovere) affatto esitato a tagliare sostanzialmente i tassi. E' solo il fatto che lo zero è già così prossimo che fa del taglio dei tassi un grosso problema, come se fosse l'ammissione che la situazione sta diventando pericolosa (come in realtà è).
 


Nello stesso tempo, lo zero sui salari è ormai estremamente significativo. Il problema fondamentale qui è che la Spagna (e altri debitori) deve ridurre i suoi salari relativi nei confronti della Germania, invertendo la rapida crescita dei suoi salari negli anni della bolla. L'argomento che alcuni di noi stanno portando avanti da lungo tempo è che sarebbe enormemente più semplice se questo aggiustamento avvenisse tramite l'aumento dei salari tedeschi, piuttosto che col crollo dei salari spagnoli - anche a causa della dinamica del debito, ma anche per il fatto cruciale che è molto difficile tagliare i salari nominali.
 
Cosa andresti a cercare se volessi verificare che la rigidità verso il basso dei salari nominali è un vincolo serio? Un picco a zero nella distribuzione della variazione dei salari1. E' abbastanza sicuro.

Per
esprimersi con termini tecnici: Sissignore. Questa è una prova evidente che l'inflazione troppo bassa è di già un problema enorme per l'Europa.

Il punto è che non c'è una linea rossa a inflazione zero;
eppure l'inflazione troppo bassa è un problema molto grave, soprattutto data la situazione europea, anche se il numero è positivo.

Così, quando si viene messi in guardia sulla potenziale Giapponesizzazione dell'Europa, siamo già oltre. L'Europa sta già sperimentando tutti i problemi associati alla deflazione, anche se finora è solo un'inflazione bassa; e i costi umani e sociali sono, ovviamente, molto peggiori di quanto il Giappone abbia mai sperimentato.

Questo non porta
necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere – ed essere un disastro continuato.

1 NdT: "Studi recenti basati su microdati si sono incentrati sulle distribuzioni delle variazioni dei salari nominali per stimare la rigidità al ribasso degli stessi. Un picco a zero di questa distribuzione evidenzia una rigidità nominale, in quanto suggerisce che numerose imprese sono state incapaci di diminuire i salari nominali e che quindi li hanno mantenuti invariati. (http://www.bancaditalia.it/eurosistema/comest/pubBCE/mb/2009/febbraio/mb200902/articoli_02_09.pdf)

8 commenti:

  1. il Giappone negli ultimi 20 anni ha visto un aumento considerevole del livello di povertà fra la sua popolazione.

    Però non ha mai sofferto della piaga della disoccupazione in modo anche solo paragonabile al nostro.

    noi le abbiamo entrambe così per non farci mancar nulla. e proseguiamo dritti per la via.

    RispondiElimina
  2. "Questo non porta necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere – ed essere un disastro continuato." Ecco appunto la forza dell'impegno delle élite europee nel tirare dritto verso gli obiettivi che si sono preposti: la distruzione del continente. E' questa propettiva che toglie ogni speranza.Dalla loro parte le élite hanno un enorme forza che va dall'immenso potere dei soldi alla propaganda più capillare che mai si sia sperimentata nella storia. Questo euro che porebbe sopravvivere portando con se solo disastri è quello che fa più paura, toglie il respiro annebbia il cervello. In queste condizioni viene la voglia di arrendersi e di gettare la spugna. Ogni giorno si cerca di instillare nelle menti altrui dubbi, di stimolare la riflessione, ma è un continuo combattere contro i mulini a vento. Oggi in televisione, così ascoltando per caso nel primo pomeriggio non mi ricordo in quale trasmissione, o se era uno spot di qualcosa, parlavano di generazione di Shenghen, ragazzi che hanno a diposizione un continente da esplorare senza confini dove è bello andare a lavorare in posti lontano dalla tua casa di origine perchè non si vede il motivo di voler restare dove sei nato. Se fosse stato possibile avrei volentire sfondato la tele e distrutto quelle facce ebeti di addetti alla propaganda. Mentre scrivo al computer vedo attraverso la finestra il celeste di una giornata serena, almeno dalle mie parti, ma questi delinquenti ti hanno tolto anche il gusto di godere dei primi sprazi di primavera.


    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le forze in campo sono diversificate, e anche se le oligarchie europee hanno uno strapotere di mezzi a disposizione, non è affatto facile che riescano a controllarle tutte. Certo, i media e soprattutto la televisione, incutono proprio questo senso di grande impotenza di fronte a una preponderanza schiacciante, perché ascolti il messaggio unidirezionale, senza alcuna possibilità di intervenire e incidere. Solo ascoltare.
      Tutt'altra cosa la rete, meno male.
      La prossima settimana avremo finalmente delle belle giornate col sole, Fiore, godiamoci questo inizio di primavera, da qui a maggio, quando avremo nuovi dati per aggiornare le ragioni del nostro pessimismo sull'euro...

      Elimina
  3. "....questo non porta necessariamente a una rottura dell'euro: i pessimisti su quel fronte, me compreso, non valutano a sufficienza la forza dell'impegno delle élite europee sul progetto. L'euro potrebbe anche sopravvivere..." Et voila. Krugman realisticamente si accorge di questa non banale verità. Ancora non riesce a mettere a fuoco i possibili e probabili cambiamenti delle politiche europee che verosimilmente verranno implementati nei prossimi anni. Ma è solo questione di tempo. Certo quella dell'euro è stata una scelta implementata malissimo. Ma la volontà politica e i timori delle conseguenze di un euro breakup sono una forza formidabile che piegherà anche i più ostinati renitenti ai cambiamenti dello status quo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La volontà politica sì, ma i timori di chissà quali conseguense di un break up sono del tutto strumentali alla volontà politica di cui sopra.

      Elimina
    2. C'è da sperare che i timori delle conseguenze di un euro breakup portino a scelte sagge, in primo luogo su scala nazionale.

      Elimina
  4. Segnali di cambiamento? E' solo l'inizio.
    http://www.telegraph.co.uk/finance/financialcrisis/10687708/Top-German-body-calls-for-QE-blitz-to-avert-deflation-trap-in-Europe.html

    RispondiElimina
  5. Ma magari fossimo il Giappone! !
    La svalutazione non serve ? il caso Giappone

    Sugli effetti della svalutazione, si continua a fare parecchia confusione.

    Ogni volta che un paese svaluta e dopo un certo periodo di tempo si constata che non c’è stato un miglioramento dei saldi commerciali con l’estero, invariabilmente qualcuno commenta che “la svalutazione è inutile”.

    Il punto è che l’evoluzione dei saldi commerciali non risente solo della svalutazione. Un altro importantissimo fattore è l’evoluzione della congiuntura nel paese che svaluta, in termini relativi (cioè rispetto ai suoi partner commerciali).

    Si era vista la combinazione di questi due fattori all’opera nel caso del Regno Unito. Vediamo ora che cosa sta accadendo in Giappone.

    Il saldo delle partite correnti negli USA, nell’Eurozona e in Giappone si è evoluto nel modo seguente tra il 2012 e il 2013 (dati in miliardi di dollari, fonte FMI):


    2012
    2013
    Usa
    -440
    -451
    Eurozona
    227
    295
    Giappone
    60
    61


    Il saldo del Giappone è rimasto sostanzialmente invariato, come quello USA, mentre è aumentato nettamente quello dell’Eurozona. Questo, nonostante una svalutazione dello yen del 18% contro dollaro e del 21% contro euro.
    Allora, la svalutazione non serve ? l’incremento maggiore l’ha avuto l’Eurozona, la cui moneta non si è svalutata ma addirittura rafforzata nei confronti dello yen e anche, leggermente, del dollaro.

    Il mistero si svela facilmente se guardiamo al dato del PIL procapite. La prestazione migliore, in termini di variazione 2013 vs 2012, è nettamente quella del Giappone: +2,2%. Molto staccati gli USA a +0,8%. L’eurozona registra un pessimo -0,6%.

    Il punto è che congiuntamente alla svalutazione, il Giappone ha effettuato forti azioni di rilancio della domanda, e il PIL è cresciuto. Senza la svalutazione, questo avrebbe creato sbilanci nei saldi commerciali esteri, che invece sono stati evitati. La svalutazione serve, eccome.

    L’Eurozona invece ha incrementato l’attivo delle partite correnti, certo, ma per quale via ? distruzione della domanda interna in tutti i paesi mediterranei (come da “manuale Monti”), crollo delle importazioni e ulteriore caduta del PIL procapite (e dell’occupazione, e della coesione sociale, e della capacità di tenuta del sistema finanziario e bancario…)

    Un paese che desidera ottenere una crescita del PIL e dell’occupazione, in termini sia assoluti che relativamente ai suoi partner commerciali, deve rilanciare la domanda: ma per evitare che gli effetti siano in buona parte vanificati dal peggioramento dei saldi esteri, occorre svalutare.

    RispondiElimina